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più grazioso degli altri ma non meno un collega col quale si poteva discorrere e discutere, che sapeva commentare e consigliare con competenza.

La curiosità la solleticava fino a un certo punto soltanto. Nessuna cosa preoccupava mai troppo quella forte e libera creatura che proseguiva per la sua via guidata soltanto dai suoi impulsi e salvaguardata solo dalla sua infinita alterezza. E se la tempra che ella pensava glaciale di Noris le piaceva, quello che la esaltava nel suo giudizio e nella sua ammirazione per l’uomo non era la sua sentimentalità negativa ma la sua audacia senza limite e senza spavalderia, il suo coraggio che non si vestiva di parole ma che pareva soltanto l’espressione naturale di una tranquillità e di una sicurezza superiori, tanto era semplice e sereno.

Adesso, l’impresa che Noris si accingeva a compiere la riempiva veramente d’entusiasmo. Ed era tale la fiducia che ella nutriva nel suo maestro che nemmeno si poneva mai, sotto forma di dubbio, la domanda se egli sarebbe riuscito. Certamente egli sarebbe riuscito. Ella ne era così convinta come se la cosa fosse stata già un fatto compiuto.

Con questa certezza ella ne parlava agli amici comuni di Ettore Noris e suoi, che vagamente sapevano, che nulla di preciso conoscevano. Com’era orgogliosa di poter vivere nell’ambiente dell’audacissimo che fra poco avrebbe sbalordito il mondo coll’affermazione nuova che sarebbe stata ugualmente frutto del suo ingegno e del suo valore, della freddezza dei suoi nervi e dell’audacia del suo pensiero!

Perchè Minerva Fabbri non dubitava che tutto il merito del tentativo nuovo dovesse venir attribuito a Noris esclusivamente. Giorgio Dauro aveva collaborato con lui all’impresa grandiosa? benissimo. Ma l’idea prima di quell’impresa era germogliata nel cervello di Noris e senza dubbio era suo anche il punto di partenza del modo possibile per tradurla in pratica.