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tava il diritto dell’aviatore e forse anche — di fronte alle precauzioni necessarie di difesa — un suo dovere.


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Un giorno, ciò che Noris intendeva tacere, ella lo seppe da Giorgio Dauro, senza che lo avesse chiesto, senza che una parola sua avesse sollecitato la confidenza grande.

Lo sarebbe parso un sacrilegio qualsiasi sollecitazione in proposito. Per questo non aveva mai osato interrogare Dauro quantunque da un pezzo avesse intuito confusamente che del giovane collaboratore di Ettore Noris ella avrebbe potuto fare quello che più le fosse piaciuto.

Giorgio Dauro non le aveva mai detto una sola parola che esprimesse la sua ammirazione entusiasta ma quell’ammirazione ella aveva letto mille volte nei suoi occhi che la guardavano come tutti gli occhi maschili la guardavano, ad eccezione di quelli di Ettore Noris, nell’assiduità colla quale egli cercava la sua compagnia, nella gioia che gli illuminava il volto ogni qual volta Minerva Fabbri compariva a Cassano.

Non s’ingannava. Minerva Fabbri. Dacchè il giovane ingegnere l’aveva veduta, ella contava un fedele di più nella coorte dei suoi adoratori. Tuttavia Giorgio Dauro non aveva mai tenuto a ostentare la simpatia vivissima che la fanciulla gli ispirava: se i suoi sguardi parlavano, lo facevano quasi a sua insaputa e non avevano mai avuto la loro eloquenza confermata dalle labbra. Non parlava, Giorgio Dauro, perchè sapeva che sarebbe stato perfettamente inutile e anche perchè gli premeva di non turbare, con delle complicazioni di galanteria, l’ora solenne che egli e Noris attraversavano e che avrebbe potuto essere decisiva per la sua vita.

Poi, quando gli fosse stato assicurato il trionfo, avrebbe pensato anche al proprio cuore e all’avvenire. Sarebbe entrata nel suo avvenire Mi-