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— Volete alludere alla storia della piccola donna morta di spavento?

— O d’amore, — corresse Dauro. — La conoscete?

— Sì, me ne hanno parlato. Ma non credo meriti tutta l’importanza che voi volete attribuirvi.

— Questione d’opinione.

— Se io fossi Noris, — osservò ancora la fanciulla, — mi offenderei di questo romanzo che volete sempre attribuirgli per spiegare la sua audacia e la sua chiusa alterezza. Egli è un eroe; perchè volete diminuirlo e farne un poeta piagnucoloso?

— Piagnucoloso, no. Egli sdegna anzi, sopra ogni cosa, di parlare del dramma della sua vita.

— E voialtri parlate per lui e gli attribuite quello che volete, — disse Minerva Fabbri con una irritazione evidente.

— Non inquietatevi. Comunque sia, io non ho nessuna intenzione di diminuire l’amico nella vostra estimazione.

— Non basta, Dauro. Vorrei che voi rettificaste anche l’opinione degli altri. Nessuno può farlo meglio di voi che avvicinate Noris ogni giorno, che lo conoscete da anni e potete pretendere di giudicarlo con cognizione di causa. È insopportabile, per me, l’idea che tanta gente consideri ancora il tentativo audace al quale l’amico nostro si prepara come una specie di suicidio eroico.

— Vi comprendo e condivido il vostro sentimento, vi assicuro, ma non bisogna nemmeno giudicare con troppa severità coloro che accusano Noris di cercare la morte. Per accettare di compiere l’impresa alla quale l’amico nostro si accinge, bisogna, se non cercare la morte, essere almeno pronti a guardarla in viso.

— Così arduo davvero è il tentativo?

— Giudicate voi: ammettendo che Noris possa resistere a una velocità di centottanta chilometri all’ora, egli dovrà stare all’incirca ventitrè ore al volante del suo apparecchio immobile.

— Più delle ventitrè ore di tensione, mi sem-