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ciulla un’occhiata d’odio e di collera, poi stette ad ascoltare ansiosa la risposta di Ettore Noris a quella preghiera.

Respirò.

Ettore Noris diceva rude:

— Vado solo! Un sorriso sfiorò le labbra di Tripoletta mentre una identica espressione di malcontento si dipingeva sul viso del piccolo meccanico e dell’allieva di Noris.

L’ingegner Dauro allargò le braccia come a dire:

— lo non ho colpa!

Invece spiegò:

— I posti son due, ma Noris andrà solo.

— Perchè? — insistè la Fabbri rivolta al maestro....

— Perchè ho deciso così.

— Forse — osservò Ugo pensoso — è meglio; l’apparecchio dovrà portare il minor peso possibile.

— No, — osservò Dauro, — la questione del peso in questa proporzione è indifferente.

— Ma diminuisce sempre la velocità.

— Caro mio, abbiamo tanta di quella forza a nostra disposizione!

Il giovinetto spalancò gli occhi inebbriato, come alla contemplazione di una cosa fantastica.

— Dica! — implorò.

Ma Ettore Noris interveniva un’altra volta ammonendo l’amico:

— Ti prego, Dauro, non voglio indiscrezioni.

— Siete fra devoti, — gli osservò la Fabbri con accento di rimprovero.

— Non ne dubito, ma mi piace parlare delle cose soltanto quando siano fatte.

— Non è tutto fatto?

— Ed esperimentato, — soggiunse Noris.

— Insomma, — riprese la fanciulla, — quand’è che contate di poter compiere il grande disegno?

— Fra quindici giorni, se l’esperimento andrà bene.