La Liguria e i suoi abitanti nei tempi primordiali

italiano

Arturo Issel 1885 Indice:Liguria abitanti primordiali.djvu testi scientifici La Liguria e i suoi abitanti nei tempi primordiali Intestazione 19 ottobre 2021 75% Da definire

Appendice
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LA LIGURIA


E I SUOI ABITANTI


NEI TEMPI PRIMORDIALI




MOMENTI GEOLOGICI




DISCORSO LETTO DAL PROF. ARTURO ISSEL
nell'aula magna della R. Università di Genova
per l'inaugurazione dell'anno scolastico 1884-1885




GENOVA

TIPOGRAFIA MARITTIMA EDITRICE
Via Caffaro, N. 18 rosso


1885

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. . . . .

« voglioso anch'io
Ad onorar nostra diletta madre
Porto quel che mi lice »

Leopardi.


Chiamato dal voto dei colleghi ad inaugurare con breve disquisizione la riapertura delle nostre scuole, ho stimato opportuno adempiere all'onorevole uffizio, narrando le vicende subite dalla Liguria e dai suoi abitanti, in tempi remotissimi, quali ci sono rivelato dalla geologia e dalla paleontologia. E tale è stato il tema prescelto, non solo perchè appartenente alle discipline che io professo e compreso nel campo delle mie predilette investigazioni, ma ancora e più perchè nel parlarvi la prima volta in sì solenne ricorrenza, intendo rivolgere il mio pensiero alla terra che mi ha veduto nascere, a questa parte eletta della patria cara; intendo consacrarle, come figliale omaggio, i frutti del « lungo studio e del grande amore ». Nel nome suo venerato, e per quanto indegno di Lei, accogliete con benevolenza il modesto tributo.

La mia non potrebbe essere e non sarà in effetto che succinta esposizione di episodi, di momenti storici, [p. 6 modifica]ben più che narrazione ordinata, armonica nelle sue parti; ciò perchè i documenti, pur troppo deficienti, da cui l'ho desunta, compage dei monti, roccie, minerali, fossili, sono erosi dal tempo, ambigui, sconnessi e lasciano sussistere numerosi dubbi e lacune.

L’interpretazione di tali documenti è il risultato di lunghe e laboriose investigazioni dovute principalmente a Lorenzo Pareto, Giovanni Cappellini, Carlo Mayer, Lucio Mazzuoli, per quanto concerne la geologia, a Luigi Bellardi, Giovanni Michelotti, Giovanni Cappellini, Emilio Rivière, per quanto ha tratto ai fossili 1.

A Lorenzo Pareto, osservatore acutissimo e coscienzioso, spetta però il merito di aver tracciato con mano sicura le grandi linee della geologia ligustica, di aver determinato per la prima volta in modo razionale l'età e i rapporti delle precipue formazioni.

Mi compiaccio di rendere omaggio alla memoria dell’insigne naturalista, del cittadino eminente, in quest’aula sacra alla scienza e al cospetto di sì degno consesso. Nè vi sembri serotino il saluto alla stella che ha cessato di splendere da tre lustri; chè è destino del merito vero di spiccar vieppiù dopo morte e di giganteggiar col tempo; nel modo stesso che il fulgore del sole si apprezza adeguatamente dopo il tramonto.

Se si faccia astrazione dai tempi più remoti, le cui tenebre son poco meno che impenetrabili all’analisi scientifica, la più antica terra emersa di cui si possa [p. 7 modifica]argomentar l’esistenza nel perimetro della Liguria attuale risale all’èra paleozoica o precisamente al declinare di quel periodo detto carbonifero dalla copia dì litantrace acclusa nei terreni che vi si riferiscono.

A settentrione di Savona, nei pressi di Calizzano, Osiglia, Mallare, si trovano, fra scisti talcosi e cloritici ed arenarie, potenti strati carboniosi, i quali provengono verosimilmente da detriti di vegetali terrestri, travolti da acque correnti e depositati in un estuario.

Orbene, se tale è l’origine loro, come altrove in analoghe condizioni risulta da prove irrefragabili, essi non occupano già il posto di antiche terre emerse, ma, insieme ad altri dello stesso genere, ne seguono per così dire la periferia. Nel caso nostro, la distribuzione loro accenna al confine meridionale e occidentale di un continente sviluppato a settentrione e ad ovest, il quale si estendeva forse fino alla valle della Stura (di Cuneo), alla Savoia, al Delfinato e alla Valle d’Aosta.

Il combustibile delle località precitate è antracite, è un carbone in cui, per effetto di profonde alterazioni meccaniche e chimiche, scomparve ogni traccia di struttura organica; inoltre, le roccie che lo accludono non presentano, come altrove, impronte vegetali. Laonde non è possibile riconoscere di quali foggie di piante fosse costituito.

Ma, da un lato, il mio riverito maestro prof. Meneghini a Jano, in Toscana, dall’altro, il collega Baretti al Piccolo S. Bernardo, nella valle d’Aosta, raccolsero tra gli scisti ad antracite impronte di felci ed equisetacee schiettamente carbonifere2, piante [p. 8 modifica]le quali, secondo ogni verosimiglianza, vegetavano del pari in Liguria, ciò tanto più che la flora carbonifera offre per ciascun piano geologico, anche tra regioni assai lontane, perfetta uniformità, conseguenza dell’uniformità del clima, perennemente caldo e umido. La selva del paesaggio carbonifero era una congerie di grandi felci che levavano tronchi alti e nudi, terminati da ciuffi di fronde sempre verdi, rigide e minute. Non alberi maestosi dall’ampio fogliame che ogni anno appassisce e cade per poi rinascere, non fiori dalle tinte smaglianti, non frutti saporosi. Non risuonava nella boscaglia la voce dei più nobili animali, dei mammiferi e degli uccelli.

Il tipo più elevato della serie zoologica era, in quel tempo, un anfibio che calcava silente il suolo pantanoso, lasciandovi non di rado le sue orme impresse. Intanto, le acque marine accoglievano rettili nuotatori, selaci, ganoidi, conchiferi e coralli più o meno diversi dagli attuali, e gli ultimi superstiti della numerosa schiera dei trilobiti, omai prossimi alla completa estinzione.

Emersa e sommersa reiteratamente la zona litorale per l’instabilità del suolo, si produssero più volte, alle foci dei fiumi, strati alternanti di residui vegetali (tramutati di poi in antracite) e di sedimenti marini. Prevalendo in seguito (periodo permiano) il movimento discendente, tutta la regione che qui ci occupa rimaneva coperta dalle acque del mare, e si accumulavano nei suoi fondi sedimenti ora arenacei ora melmosi, i quali, mercè azioni chimiche e molecolari ancora [p. 9 modifica]mal note, si convertivano in roccie cristalline. Poco appresso, avvenivano piccole eruzioni sottomarine di porfido rosso in quel di Nava e d’Ormea, nonché in molti altri punti della regione Alpina e queste erano, a quanto pare, le prime avvisaglie del vulcanismo in Liguria.

In tali condizioni si chiude l'era paleozoica, che ha lasciato fra noi si scarse vestigia, ed esordisce la secondaria, per così dire il medio evo dei tempi geologici.

Presso a poco nel medesimo momento geologico, la Liguria era teatro di un fenomeno imponente, già verificatosi molto innanzi nella regione Alpina. Squarciatasi la corteccia terrestre nella Riviera Occidentale, e in ispecie fra Sestri Ponente ed Albissola, scaturirono torrenti di fanghi magnesiaci e si distesero sul fondo marino, occupandolo per vasto tratto. Ripetutasi due o tre volte l’eruzione di questi fanghi, i quali, consolidandosi, divennero le nostro serpentine antiche3, avvennero emissioni di acque minerali e termali che indussero mutamenti profondi nella natura dei depositi in via di formazione, talchè si produssero a lungo andare eufotidi, anfiboliti, dioriti ed altre cosidette pietre verdi4. [p. 10 modifica]Certe vene di lignite scaperte appiè del Monte Orditano, entro roccie di questa età, stanno ad indicare l'esistenza di isole o di continenti vicini.

Similmente, accennano a bassi fondi e quindi a terre emerse le breccie quarzose o anageniti che si depositarono nel tempo stesso in quel di Loano e d’Albenga, nonché alla foce della Magra.

Cessata remissione delle serpentine, si elaborarono negli oceani d’allora, pregni di sali magnesiaci, i marini, le dolomie e i calcari da calce che alimentano le fornaci di Sestri, S. Martino, Voltaggio, Cogoleto, Spotorno, Cairo ecc. Queste roccie si adagiarono in molti luoghi sulle anageniti.

Simultaneamente si formarono a Balestrino, a Corona, a Nizza e in molti punti delle Alpi Marittime, per lo più entro il calcare, lenti gessose, alla cui origine non sono forse estranee le acque minerali.

In molte località, non però nel territorio di cui abbiamo impreso a narrar le vicende, le masse di gesso sono associate a depositi di sai gemma.

Poco lunge, la vita delle acque acquistava in questo periodo mirabile rigoglio; ma presso di noi le condizioni locali furono poco propizie ai viventi o di questi si smarrirono le traccie. Tuttavolta, i numerosi encriniti trovati da Portis al colle dell’Argentiera, i gasteropodi e le alghe incrostanti raccolti dal Bruno a Villanova di Mondovì, tuttoché estranei alla Liguria propriamente detta, si possono considerare come produzioni del mare Ligustico d’allora.

Col volgere dei tempi, si formano depositi marini precipuamente dolomitici, bene spesso fossiliferi, i quali si convertono talvolta in un bel marmo con vene ed anastomosi ferruginose, nel celebrato portoro, uno dei vanti del delizioso golfo descritto da [p. 11 modifica]Persio. Il mare Ligure alimentava in quell’epoca numerosi testacei, i quali sembrano propri ad acque calme e profonde e furono enumerati dal professore Capellini5.

Continuando il lento sovrapporsi delle formazioni marine, ebbe origino al passo di Nava un lembo di calcare, testé segnalato dal Zaccagna, e ai due lati del golfo lunense, una zona di scisti varicolori e di calcari che al Monte Parodi e in altre località sono ricchi di bellissimi fossili, testé determinati dal Canavari6. Un sensibile sollevamento si manifestò al finire di quest’epoca (liasica), massime verso N. e N. 0, e dal tepido mare ond’era coperta quasi tutta Europa sorsero, nell’area dell’Inghilterra, della Francia, della Svizzera e del Piemonte, piccole isole o scogliere, intorno alle quali i polipi coralligeni si accinsero ad innalzare le loro mirabili costruzioni.

Una di queste isole, emersa non lunge da Mentone, fu recinta da una fitta barriera di frangenti, tuttora ben manifesta, quantunque alterata dal tempo, formata di parecchie specie, quali peculiari, quali già note altrove, studiate da A. d’Achiardi7.

Lo splendore e la varietà della fauna marina nella successiva fase geologica (oolite), massime in ordine ai testacei e agli echinodermi, superano ogni [p. 12 modifica]descrizione. Quanto agli animali che respirano nell’aria, la fervida fantasia dei Greci nulla seppe partorire di più mostruoso. Erano plesiosauri immani, dal corpo tozzo e grave, dal collo lungo e serpentino, dalla testa piccolissima; erano ittiosauri dalla testa enorme, quasi priva di collo, dalle robusto natatoie; erano coccodrilli di varie foggio che raggiungevano ben 15 metri di lunghezza; erano pterodattili, rettili conformati pel volo, che si libravano su grandi ali membranose, sostenute da alcune ossa delle estremità anteriori singolarmente allungate; erano volatili dal rostro dentato e dalla colonna vertebrale protratta in lunga coda pennuta, impasto bizzarro del sauro e dell’uccello. Ma in Liguria queste creature, così diverse dai tipi odierni, non vissero o non lasciarono vestigia di sè.

Durante i primordi del periodo seguente (cretaceo), la Liguria fu verosimilmente mare, come quasi tutta Europa, e nelle sue acque allignò una fauna distinta dallo precedenti, ricca di peculiari cefalopodi a conchiglie concamerate ecc. Se ne trovano i resti in certi calcari marniosi del Nizzardo. Assai più tardi, si depositarono presso la Spezia assise di scisti varicolori ed arenarie, contenenti ammoniti, fucoidi ed impronte di vermi. Nello scorcio dell’era secondaria, si verificò una fase d’emersione, per la quale rimasero probabilmente all’asciutto parte del territorio compreso fra l’Entella e la Magra ed un piccolo tratto di paese a ponente di Porto Maurizio. Ma, coll’esordire dell’era terziaria (al principio dell'eocene), la Liguria è di nuovo tutta sommersa, talché, poco a poco, si adagiano sul fondo marino sabbie minute che provengono da masse granitiche antiche, sollevate [p. 13 modifica]durante il cretaceo; poi, crescendo la profondità col progredire dell’avvallamento, scisti argillosi e calcari compatti. Compariscono allora nelle nostre acque o si moltiplicano a dismisura queste conchigliette discoidali, che ripetono con tanta verità l’aspetto di monete erose e distorte per lungo uso. Le spoglie delle nummuliti sono copiosissime alla Mortola presso Ventimiglia, nelle valli della Roia e della Nervia, nonché presso Santo Stefano. A Briga, sulle Alpi Marittime, raggiungono ben 2000 metri d’altitudine e ciò prova che da quel tempo in poi il letto del mare si sollevò di altrettanto.

Ben dice pertanto il Mascheroni:

« Tempo già fu che le profonde valli
E il nubifero dorso d’Appenino
Copriano i salsi flutti, pria che il cervo
La foresta scoresse, e pria che l’uomo
Dalla gran madre antica alzasse il capo ».

Dopo la comparsa delle nummuliti, avvenne un fatto, memorabile così nel Genovesato (massime nella Riviera di Levante) come in Piemonte, nell’Emilia e nella Toscana; si riprodusse, cioè, sopra larga scala l’eruzione della serpentina.

La roccia, spremuta allo stato semiliquido e bollente attraverso al fondo marino, si distese in letti e in ammassi, colmando le depressioni, modellandosi nelle anfrattuosità. Sgorgarono pure simultaneamente, come per lo passato, acque calde e minerali, d’onde si originarono conglomerati e svariate roccie anfimorfiche, risultando questa volta più copiosa d’ogni altra l’eufotide ed una sorta di diabase a grana minuta, la quale, alterandosi in presenza degli agenti atmosferici, diede luogo al così detto gabbro rosso. Le assise più superficiali, preesistenti, si convertivano [p. 14 modifica]intanto, per l’azione di acque termominerali, in calcari silicei, diaspri, ftaniti ecc. Un solo letto di serpentina tra Pontore e la via del Bracco raggiunse più di 12 chilometri di lunghezza, con potenza, in certi punti, di ben 2500 metri.

Sopra Borzoli, due sottili letti di serpentina terziaria si adagiarono quasi immediatamente al disopra della serpentina antica; coincidenza non sospettata prima d’ora e che rese per molti anni assai difficile e complicata la determinazione cronologica di siffatte roccie8.

Il pregiato verde di Polcevera, di cui sono decorati alcuni dei nostri più nobili edifici, non è altro che serpentina pertinente ad uno di questi letti, la quale, fessa ed infranta da ingente pressione, fu poi ricementata da acque calcarifere.

Dopo tale sfogo non parve attutirsi l’energia delle forze interne. Ben presto, infatti, cominciò a manifestarsi mia serie di oscillazioni del suolo, per le quali si abbozzarono talune delle pieghe che dovevano dare origine alle Alpi e agli Apennini. Le roccie più rigide, piegate e contorte, si ruppero e nelle spaccature le acque circolanti depositarono svariati minerali metallici, i cui elementi furono tolti di preferenza alla serpentina.

Così ebbero origine, io credo, i filoni ramiferi di Monte Loreto, della Gallinaria, di Bargone ecc. In pari tempo, grandi masse di sedimenti argillosi s’impregnarono, per effetto delle stesse acque, di minerali di ferro, di rame e di manganese e in seno a tali roccie si produssero, per lenta [p. 15 modifica]concentrazione molecolare, gli arnioni di pirite di Libiola, Colle d’Arena, le Cascine, e quelli di manganese ossidato di Cassagna, Gambatesa ccc.

Poco dopo, nel Vicentino e nel Padovano si ridestava il vulcanismo, propriamente detto, da lungo tempo sopito in Italia. Con alterna vece sorgevano dal mare, tra fumo e fiamme, coni di tufo e dì trachite, e andavano distrutti dalla violenza delle onde, mentre da altre bocche ignivome erompeva il basalto incandescente e si distendeva sul fondo. Innumerevoli animali marini trovavano così morte improvvisa in seno allo acque, divenute calde o deleterie. Forse allora, forse più tardi, non saprei decidere, si accese anche in Liguria la sinistra lampana dei vulcani. Di contro a Monaco un cratere, ora sommerso, scagliò lapilli e massi di trachite, i cui residui si vedono ancora sui Capi Mala e d’Aglio. Perché non si spalanca di nuovo quel cratere e non seppellisce sotto il fuoco e le ceneri il tempio del vizio, causa di tanta jattura in Liguria, il quale, rilucente d’ori e di marmi, sorge orgogliosamente sulla vicina pendice?

Il nostro suolo, travagliato dall’attività endogena, attraversò in quel tempo una fase di violente agitazioni che si manifestarono con avvallamenti e sollevamenti, di cui sarebbe difficile ristabilire con esattezza i confini e l’ordine di successione. In complesso, sì estendono le terre già esistenti, i rilievi montuosi si fanno più prominenti, nuove montagne in formazione levano sullo specchio delle acque la calva fronte. Il gruppo dell’Ariona e del Penna, il rilievo del Gottero a levante, le Alpi Marittime a ponente, dominano già le alture circostanti. Intanto, le acque e le intemperie esercitano la loro azione demolitrice, [p. 16 modifica]e, nelle recenti vallate, poderosi torrenti travolgono massi e ciottoli di roccie antiche, i quali si accumulano lungo le spiaggie, per formare i conglomerati inferiori di Portofino, Celle, Albissola, Cairo, Dego, Voltaggio ecc. Anche questi emergono alla loro volta e si aderge fra Albissola e Rapallo una estesa propaggine di terra, destinata in breve a scomparire per le successive invasioni del mare.

Colmate le maggiori depressioni, almeno presso i litorali, fattosi piò regolare il regime dei corsi d’acqua, rallentati i movimenti tellurici, quasi si direbbe che gli agenti naturali si riposano delle agitazioni trascorse e si apparecchiano a nuove fatiche. Soffermiamoci alquanto a considerare l’aspetto del paese durante questa fase. Esso apparisce come un gruppo di colline basse, rotondeggianti, coperte di rigogliosa vegetazione; grandi fiumi l’attraversano e alla foce loro s’impaludano in vaste lagune, nelle quali il mare « cuopre e discopre i liti senza posa ». Le piante, che sono i migliori termometri a massima e a minima del passato, c’insegnano che il clima era caldo, mite, uniforme non meno di quanto oggi non sia sulle giocondo pendici di Madera. Non brine, non nevi, non frigide brezze. Quercie, faggi, olmi, pioppi si addensano nelle foreste, e sulle plaghe più soleggiate fioriscono lauri sempre verdi, olezzano Oreodaphne e cinnamomi, spesseggiano svelti palmizi.

Un venerando sacerdote che seppe associare il culto della scienza alle cure dell’alto suo ministero, Don Perrando, raccolse con diligenza unica piuttostochè rara, fra le balze di Santa Giustina, migliaia o migliaia di impronte mirabilmente conservate, in cui rivive ranella splendida vegetazione. [p. 17 modifica]È probabile che qui, come in Toscana e in Francia, antropomorfe simili al gibbone e al troglodite popolassero le selve insieme a numerosi carnivori, pachidermi e ruminanti. Tutta volta, si può soltanto asserire, riguardo alla Liguria, che due specie d’antracoterii dal grave incesso e più raramente un tapiro lasciarono le loro ossa fra i residui vegetali trascinati dalle correnti. Nelle tepide acque allignavano inoltre pesci di molte generazioni, alcune specie di testuggini diverse dalle odierne e piccoli coccodrilli.

Siffatto paesaggio paradisiaco avrà esso pure una esistenza effimera. Si rianima l’attività sotterranea, si producono nuovi corrugamenti del suolo, si levano più alte le antiche gibbosità; il clima è divenuto più umido e instabile, si ravviva pertanto la furia degli agenti distruttori, il duello titanico fra la montagna e il torrente! Nuovi depositi di sabbie, ghiaie e ciottoli coprono negli estuari e nelle lagune i detriti vegetali accumulati in lungo volgere di tempo, e questi, convertiti in lignite da una lenta fermentazione, restituiranno più tardi all’uomo, sotto forma di calorico e di forza, i raggi solari di un’altra età.

Lungo il litorale delle grandi isole ligustiche, le quali occupavano verosimilmente non solo quasi tutto l’Apennino e le Alpi Marittime, ma ancora parte del Tirreno, si manifestò allora allora un generale avvallamento. La terra ovunque si ritirò d’innanzi al finito erompente, sedimenti marini si sovrapposero alle ligniti, alle mollasse d’acqua dolce di Santa Giustina, Sassello, Massimino ecc. e furono precipuamente depositati letti di sabbie e di limo, ricchi di organismi in gran parte riferibili a generi [p. 18 modifica]tropicali, ma specificamente distinti dagli odierni. In questo punto avvenne che il gruppo principale degli Apennini, essendo ridotto ad un piccolo arcipelago, si sviluppò intorno alle isolette sorelle una fitta barriera di frangenti madreporici, costituita di svariatissimi tipi, quali a foggia di masse globose o circonvolute, quali diramati e filiciformi, quali muniti di espansioni fogliari o palmate9.

Lungo il rio dei Zunini, presso Sassello, vedesi ancora, quasi integra, la bizzarra vegetazione dei polipai aderire ai fianchi di un’arida collina serpentinosa e basta un lieve sforzo di fantasia per immaginare quella selva lapidea, sommersa nelle acque glauche, e infiniti polipi dai vivi colori sbocciar dai cespiti come fiori semoventi e guizzar pesci dai riflessi metallici e scaturir agili granchetti dal cavo delle rupi e serpeggiar sul fondo anellidi irsuti e strisciar molluschi dalla tersa conchiglia; è facile, ripeto, a quella vista evocar l’immagine incantevole del banco madreporico (di quel banco meraviglioso che non mi saziai di ammirare nelle acque cristalline dell’Eritreo) colla sua esuberanza di vita, colle sue ombre misteriose e il suo sfoggio di vividi colori appena smorzati dalla profondità. Ma tosto per incanto cessa nell’udir lo spaccapietre inconsapevole, il quale, sotto la sferza del sole, spezza a colpi misurati il paziente edifizio dei polipi. L’ornamento più vago del palagio d’Anfitrite or diventa il pietrisco delle nostre vie! Perdurando l’avvallamento già segnalato, si depositano nel mar Ligure arenarie grigie, da prima, [p. 19 modifica]poi, cresciuta la profondità, marne azzurrognole nodulose o scistose, con scarsi organismi che sono precipuamente pteropodi e specie proprie agli abissi marini (langhiano).

Senonché, trascorrono molti secoli ancora sulle ali del tempo e si inizia nell’Alta Italia e in ispecie intorno all’arcipelago ligure-piemontese una nuova fase d’emersione. Collo scemare della profondità, col ristringersi dei canali e dei golfi, tornano a brulicare infinite creature viventi, massime nel Finalese e, lungo l’attuale valle della Scrivia, a Serravalle e a Stazzano, poi, col progressivo sollevarsi del fondo, anche nel Tortonese, (tortoniano, elveziano) per cui il suolo di quel territorio rimarrà cosparso di avanzi marini, fecondo materiale di futuri viventi.

Frattanto, si accumuleranno in piccoli estuari copiosi detriti vegetali, d’onde nuovi bandii di lignite. Fino a quel punto il Golfo Adriatico, già delineato, comunicava liberamente col Tirreno, mediante un ampio braccio di mare che occupava la valle del Po, il territorio d’Acqui, le Langhe e parte del Savonese. Colla progressiva emersione dei rilievi apennini, la comunicazione si fa più angusta e infine si chiude per sempre (messiniano).

Nel movimento ascendente si prosciugano, frattanto seni e golfi, e lungo i litorali bassi e pianeggianti rimangono divisi dal mare piccoli laghi d’acqua salsa, in cui l’evaporazione darà luogo ad un deposito di materiali saliferi e gessosi. In Sicilia e in Romagna si formeranno simultaneamente, ma coi concorso di acque minerali solfuree, i giacimenti di solfo, oggetto, ai nostri giorni, di cospicua industria estrattiva. Ha termine così l’epoca miocenica e, colla successiva, le terre subiscono una nuova depressione, in conseguenza [p. 20 modifica]della quale il mare s’insinua nella valle del Po fin nei pressi di Torino, in quella della Dora Baltea fin nelle vicinanze d’Ivrea, nonché in molte valli secondarie e perfino nei laghi delle Prealpi. Questi appariscono allora come golfi profondamente insenati fra alte ripe, golfi simili ai fiord attuali della Scandinavia. In Liguria, il Mediterraneo si addentra nelle vallate della Roia e della Nervia, occupa i piani d’Albenga e di Vado ed una estesa striscia di litorale. Ivi si depositano le marne impropriamente conosciute col nomo di tufi e sabbie gialle, le quali in passato costituivano un solo deposito continuo dal Varo fino alla fiumana bella che « tra Sestri e Chiavari s’adima » e forse più in là.

Nei primi tempi del periodo geologico cui sono pervenuto colla mia narrazione (pliocene), i monti e i colli, meno alti che non attualmente, rimangono in gran parte coperti di sedimenti marini, recenti, che saranno asportati poi dalla denudazione e presentano curve più regolari e fianchi meno ripidi e scoscesi. Fiumicelli tranquilli scorrono in mozzo ai boschi, in cui prevalgono le conifere dei generi Sequoia, pino ed abete. Queste piante accusano un clima piuttosto caldo e asciutto. Mentre nella Val d’Arno, in Toscana si conservarono i resti dì una ricca fauna terrestre un po’ meno antica, fauna che comprende scimie (Macacus fiorentinus e ausonius), felini (3 sp.), Machærodus (3 sp.), iene (2 sp.), canidi (2 sp.), cervi (4 sp.) e inoltre i generi orso, Mustela, cavallo, Mastodon (M. Arvernensis), Elephas (E. meridionalis), Rhinoceros (R. elruscus) Bos, Histrix, Lepus10, [p. 21 modifica]presso di noi gli avanzi di mammiferi terrestri si riducono a frammenti riferibili ad un mastodonte, ad un rinoceronte e a due o tre specie dì ruminanti11.

Oltre a ciò, fu scoperto, fin dal 1856, nel bel mezzo della città di Savona, entro una marna azzurra che indubbiamente si riferisce all’orizzonte geologico di cui si tratta, uno scheletro umano, il quale, non essendo presente al ritrovamento alcun naturalista, andò irreparabilmente perduto, tranne pochi frammenti che ora si conservano nel nostro Museo Civico di Storia Naturale e nella raccolta di Don Perrando.

Il prezioso antropolite è esso contemporaneo allo strato in cui giaceva? Io lo credo fermamente, ma altri nega. Intanto, dall’esame del poco che ne rimane si argomenta che appartenesse ad un individuo dotato di caratteri osteologici abberranti, assai piccolo ed esilissimo, quantunque avanzato negli anni. Ogni altra induzione sarebbe ora intempestiva.

A Genova, a Borzoli, a Savona, ad Albenga ci si presentano, nei terreni riferibili al medesimo livello geologico, le vestigia di una ricchissima fauna marina, nella quale figurano foche, delfini, svariatissimi squali (Carcharodon, Lamna, Oxyrhina, Galeocerdo), una gigantesca razza a macina (Myliobates ligustica), grossi granchi, echinodermi, coralli, e principalmente testacei, di cui molte specie (dal 15 al 20 per 100) si ritrovano tuttora viventi nel nostro [p. 22 modifica]mare, mentre quasi tutte le altre, estinte, per le affinità loro, sembrano collegarsi alla fauna dell’Oceano Indiano anziché alla nostra.

Verso il tramonto del periodo di cui tengo discorso, che è quanto dire alla fine dell’era terziaria, la costa poco a poco si aderge, sollevandosi verso il Varo e la Roia di oltre 400 metri, e di circa 200 nei pressi di Albenga e sempre meno fino a Genova, ove l’innalzamento sembra non aver superato i 100 metri. L’antica spiaggia sollevata, coi suoi ciottoli, le sue ghiaie, le sue rupi forato dai litodomi, costituisce una sorta di terrazzo, altra volta continuo, di cui non rimangono oggidì che scarsi lembi nei promontori d’Arenzano, d’Invrea, di Noli e nelle stesse colline di Carignano e d’Albaro della nostra città.

Probabilmente, cominciò allora a modificarsi il clima col divenir più variabile, più umido e pertanto meno caldo. Certo è, ad ogni modo, che in uno spazio di tempo relativamente breve cessarono d’esistere quasi tutte le specie di grandi mammiferi che abbiamo testé ricordate e furono sostituite da altre più o meno diverse. Questa nuova fauna, che segna il principio dell’era quaternaria, è rappresentata in Liguria dagli ossami rinvenuti nella Grotta di Grimaldi, a ponente di Ventimiglia, e nella breccia ossifera di Santa Teresa, presso la Spezia. Dalla prima località provengono l’elefante meridionale, un ippopotamo (H. major), il quale assai poco differiva dalla specie africana, e il ghiottone delle caverne (Gulo spelæus), dalla seconda un rinoceronte non determinato e lo stesso ippopotamo.

Si noti che la presenza dell’ippopotamo fossile implica necessariamente un clima analogo a quello che regna nella bassa valle del Nilo e correnti fluviali [p. 23 modifica]ampie e profonde, ben maggiori della Magra e del Varo d’oggidì.

Crebbero indi, poco a poco, le pioggie, i venti, le nevi; l’inverno si fece piò lungo e più rigoroso, talché le cime dei monti e le valli più elevate si vestirono di candido ammanto, non più temporario, come per lo passato, ma perenne, d’onde si fece vieppiù attiva la condensazione dei vapori atmosferici. Già nelle zone più elevate la neve si concreta in gelo, già nelle vallate incomincia il lento progresso dei ghiacciai e questi si avanzano lenti lenti, ma irresistibili; colmano le depressioni, circondano o soverchiano gli ostacoli, invadono il piano, spingendo dinanzi a sé e riversando ai lati cumuli dì detriti e di massi, macerie di monti distrutti. La valle d’Aosta fino a Caluso, la valle di Susa fino ad Avigliana, Collegno e Pianezza, il Lago Maggiore fino ai colli d’Arona, Gattico, Sesto Calende, i laghi di Como, di Varese, di Lugano, d’Iseo, di Garda sono divenuti altrettanti fiumi rappresi. Coll’avanzarsi dell’ingente massa agghiacciata, intristisce l’antica vegetazione; una nuova flora meno rigogliosa, ma più appropriata alle nuovo condizioni climatologiche, la sostituisce. Sono estinti i rappresentanti della fauna pliocenica e della quaternaria dei primi tempi; non più mastodonti, non più elefanti meridionali, non più ippopotami.

Comparisce per la prima volta nella gelida valle l’elefante dal tolto vello, col suo fido compagno il rinoceronte lanoso, il quale, pel doppio corno ond’è munito e per la testa allungata, ricorda il rinoceronte capense12. Nelle selve di larici e d’abeti si [p. 24 modifica]nascondono irsuti cinghiali o l’uro che Cesare trovò vivente ancora nelle Gallie, e l’alce dalle corna gigantesche e grandi cervi.

E qual terribile accolta di fiere non infesta i nostri monti? Vi ha il leone delle caverne, che uguaglia in mole un bove di inedia grandezza, vi ha una pantera maggiore dell’attuale, e non mancano la lince e il lupo. Forse s’asconde ancora nelle selve impenetrabili, il feroce Machaerodus, sorta di tigre, armata di zanne fatte a lama di sciabola e lunghe più d’una spanna, che sembrano destinate a fendere il cuoio dei pachidermi. Finalmente, le caverne di cui abbondano i nostri monti servono di rifugio a iene o ad orsi di varie specie.

In mare, molte forme di carattere tropicale cessano d’esistere e sono sostituite da tipi nordici, taluni dei quali, col mitigarsi del clima, si ritirano in regioni più settentrionali o in acque più profonde. Questo fatto è ben dimostrato dalle ricerche talassografiche testé compiute nel Golfo di Genova, dal comandante Magnaghi, a bordo del R. piroscafo Washington.

La rigidezza delle stagioni non raggiunse presso di noi un grado eccessivo e i ghiacciai non ebbero mai grande sviluppo. Se ne osservano traccie sotto forma di colline moreniche, ai confini del nostro territorio, nella valle del Tanaro presso Priola e fra le Alpi Apuane nella valle del Serchio,

Nella Liguria propriamente detta, sono forse dovute a questi fenomeni certo accumulazioni detritiche [p. 25 modifica]massi erratici, a Torriglia, nella valle di Trebbia, nella valle d’Aveto ecc. 13.

Comunquesia, la durata del periodo frigido fu relativamente breve. Dopo alternanze di aumento e di regresso, i ghiacciai rapidamente diminuirono d’ampiezza e scomparvero affatto dalle nostre vallate; le vette dei monti rimasero libere da nevi perenni.

Frattanto, i fiumi e i torrenti, dapprima gonfi d’acqua, scemarono o si ridussero ad occupare il fondo delle valli che avevano scavate. Estesi letti di ciottoli e di ghiaie rimangono tuttora, lungo le rive abbandonate, ad attestare la potenza delle antiche fiumane. A questo punto della storia fisica della Liguria credo si debba far risalire una emersione di 15 a 20 metri subita dai nostri litorali, emersione dimostrata, secondo le località, da strati di ghiaie e di sabbioni, da calcari fossiliferi o da fori di molluschi litofagi.

Pertanto, anche in tempi a noi prossimi crebbe, e forse in alcuni punti cresce tuttora, l’altezza delle montagne per sollevamento, mentre la denudazione tendeva, e ancora tende a diminuirla. Le montagne si possono in ciò paragonare a quelle antiche cattedrali, in cui si concreta il pensiero religioso di tutta un’era storica, nelle quali, mentre da un lato si risarcisce la base cadente per vetustà, dall’altro si rizzano le più alte cuspidi.

E l’uomo non fu esso testimonio nelle nostre contrade, come altrove, di questa invasione di nevi e [p. 26 modifica]di ghiacci? Io rispondo, tacendo di altri indizi, che se risalgono alla fase frigida, come io credo fermamente, gli avanzi d’orso raccolti nel baratro della Giacheira, profonda spelonca in quel di Pigna, non son per certo meno antichi il cranio umano e le mandibole che giacevano impigliati con quegli avanzi, in una medesima breccia ossifera. Escluso dalle condizioni locali il dubbio, che la caverna fosse un’antica abitazione od un sepolcro, l’unica ipotesi plausibile, por spiegare il ritrovamento di ossa umane in tali condizioni, si è che fossero resti di cadaveri ivi trasportati dalle fiere. E di fatti, si videro presso quel cranio, in una falda di melma indurita dallo stillicidio calcarifero, le orme di un grosso carnivoro.

Anche prescindendo da ciò, è ben probabile che prima di diventar cacciatori i nostri antenati, deboli e disarmati, subissero la sorte crudele della selvaggina.

Ma non era lontano il momento in cui, sviluppatesi noli’ uomo le facoltà intellettuali e compensando coll’artificio la defìcienza della forza fisica, egli fosse per trionfare de’ suoi nemici più formidabili ed assicurarsi un dominio incontestato sulle altre creature.

Mentre declina l’influsso glaciale e le condizioni fisico-climatologiche della Liguria già sì accostano a quelle che vi regnano al presente, ritroviamo l’uomo all’estremo limite della Riviera Orientale.

Non è più l’esile creatura dei tempi primordiali, facile preda delle fiere, ma è l’uomo nella pienezza del suo sviluppo fisico; l’uomo alto, ben proporzionato, agile e robusto. Il suo cranio capace è assai lungo e arrotondato; ha l’angolo facciale aperto, le tempie depresse, le orbite quasi rettangolari; i denti sono piuttosto grossi, fitti e a superficie triturante [p. 27 modifica]piana 14. Gli ultimi orsi spelei, gli ultimi leoni, forse lo stesso rinoceronte velloso cadono esangui, colpiti dalla cuspide di pietra, ai piedi del potente avversario. Egli si copre di pelli ferine, si orna di conchiglie raccolte sulla vicina spiaggia, trae le sue armi e i suoi utensili dalla selce, dall’osso e dal corno. Già possiede il fuoco e se ne vale per cuocere la selvaggina di cui si pasce e riscaldar le membra irrigidite dal freddo. Le spelonche e le anfrattuosità che si aprono nelle rupi ferrigne dei Balzi Rossi, sono la sua dimora o il suo ricovero. Là chiude gli occhi al sonno, là trascina la preda sanguinosa per cibarsene, là fabbrica le sue armi e le sue suppellettili, là compone per l’ultimo riposo le salme dei suoi morti15.

Dopo il momento geologico segnato dallo estinguersi della fauna quaternaria non si verificarono che lievissimi mutamenti locali nella distribuzione relativa della terra emersa e del mare in Liguria, e ridotti, quasi, i ghiacciai ai loro confini odierni, il clima continuò, grado grado, a mitigarsi.

Quanto ai trogloditi dei Balza Rossi, sappiamo soltanto che disertarono gli antichi focolari. Furono essi cacciati da un invasore più forte? Abbandonarono la Liguria per altri lidi? Furono distrutti da un morbo micidiale? Mistero! [p. 28 modifica]Senonché nuova gente dalla testa allungata, dalle arcate sopraccigliari prominenti, dalle orbite quadre, dagli zigomi larghi e robusti, dalle mandibole protratte, genti affine nei caratteri osteologici alle tribù dei Balzi Rossi, forse discendente da queste, si stabilisce nel Nizzardo, nel Loanese, nel Finalese, in quel di Bergeggi, alla Palmaria, come pure, se certi indizi dicono il vero, nelle alte valli dell’Apennino e nelle Langhe. Vestigia del medesimo popolo si rinvengono, inoltre, sparse nella valle del Po, specialmente nei così detti fondi di capanne del Reggiano, illustrati dal prof. Chierici.

Questo popolo preistorico, che chiamerò delle Arene Candide, dalla località in cui lasciò di sé gli avanzi più notevoli, non solo pratica la caccia, ma possiede alcuni animali domestici, fra i quali il cane, la pecora, il bue, esercita la pastorizia e qualche rufdimentale coltura. Esso trova ancora nelle caverne un temporario rifugio e vi deposita i suoi morti; ma, secondo ogni verosimiglianza, dimora normalmente in misere capanne. Non conosce l’uso dei metalli e foggia pugnali, punte di freccia e di giavelotto, aghi, lesino, spatole, coll’osso e col corno, accette, scalpelli, bipenne, dischi forati, colle pietre più dure e tenaci. Queste pietre talvolta son lavorate colla percussione, per scheggiatura, secondo il costume dei trogloditi dei Balzi Rossi, bene spesso ancora collo stropicciamento sopra altra pietra e sogliono essere perfettamente levigate e affilate. Non gli è ignota l’industria del vasaio e, comunque sprovvisto del tornio e della fornace, egli riesce a fabbricare per gli usi domestici svariate foggio di tazze, olle, pentole, fregiate talvolta di rozzi graffiti; ed ecco i primi bagliori dell’arte. [p. 29 modifica]All'innata bramosia d’ornarsi, costoro soddisfano tingendosi il corpo e il volto di vivi colori e appendendo alle braccia e al collo braccialetti e monili di conchiglie, canini di lupo, zanne di cinghiale appositamente forati.

Finalmente, in certi costumi dei nostri Liguri e in ispecie di quelli che vissero nella vasta spelonca delle Arene Candide, si palesano sensi gentili che difficilmente avremmo potuto immaginare in uno stato sociale così primitivo. Essi onorano gli estinti e, nel comporre il cadavere per l’ultimo sonno, collocano accanto al guerriero le sue armi predilette, i trofei conquistati alla caccia e in battaglia, l’ocra da tingere, onde si presenti smagliante di rosso nel regno degli spiriti; accanto alla femmina pongono gli ornamenti donneschi e gli utensili domestici e perfino non obliano di abbellire la tomba dell’innocente bambino, coi nicchi di cui soleva trastullarsi. Né manca a ciascuno la scorta di cibo per il lungo viaggio e il pietoso suffragio del funebre banchetto16.

Delle tribù dei Balzi Rossi, come di quelle delle Arene Candide, sappiamo che erano stretti parenti dei trogloditi della Francia centrale, (della razza cosiddetta di Cro-Magnon) che nei caratteri scheletrici si accostano principalmente a certi popoli viventi nell’Europa e nell’Affrica occidentale, (Berberi, Guanci, Iberici) che facevano uso di utensili in giadeite, pietra estranea alia Liguria e forse all’Europa, la quale si trova nell’Asia centrale, alla Nuova Zelanda, al Messico, che, per imprimere sul corpo loro strani ornamenti, adoperavano suggelli di [p. 30 modifica]terra cotta simili alle pintaderas dei Messicani o dei Guanci della Gran Canaria.

E qui sarebbero a citarsi gli strani geroglifici incisi da gente preistorica, forse dallo stesso popolo delle Arene Candide, sulle rupi della gelida valle d’Inferno, tra le Alpi Marittime, a 2000 metri d’altitudine, geroglifici che ricordano, per certi segni comuni, le iscrizioni rupestri del Marocco e delle Canarie, testé descritte dall’amico mio Enrico d’Albertis.

Che argomentare da si strane coincidenze, da rapporti si inaspettati?

Nulla per ora, ma non è lontano il giorno in cui si troverà tra questi fatti disparati un nesso logico, in cui nuovi documenti, nuove osservazioni, ci consentiranno di risolvere l’intricato problema delle origini ligustiche. Frattanto, fa d’uopo raccogliere ed osservare coscienziosamente e senza idee preconcette.

Ed ora eccomi giunto all’aurora dei tempi storici, che è quanto dire al fine della mia disquisizione. Stirpi mal note, sospinte da una forza irresistibile, fatale, cominciano dal fondo di remote regioni asiatiche ed europee a riversarsi in Italia e vi soggiogano, respingono o disperdono gli antichi abitatori del suolo. Scendono i Terramaricoli, abitatori di palafitte, semplici pastori, ma pur versati nella metallurgia del bronzo; vengono le stirpi bellicose della prima età del ferro; poi gli Etruschi, già pervenuti ad alto grado di civiltà e dotati di finissimo senso artistico; giungono ancora i Celti fieri e pugnaci. Questi vari elementi etnici si sovrappongono nella valle del Po, alla razza o alle razze preesistenti, e si confondono fra loro per dar origine ad un popolo nuovo; non così tra gli Apennini liguri e in ispecie [p. 31 modifica]lungo il loro versante meridionale, ove scevra da ogni commistione, forse da ogni contatto, rimane ancora la stirpe delle Arene Candide17.

Finalmente ben altri invasori ormai padroni delle pianure padane si affacciano ai valichi alpestri della Liguria; son legioni compatte e disciplinate che portano l’aquila per insegna e obbediscono a capi prudenti e valorosi. Procedono lenti ma sicuri, e nel paese conquistato aprono strade, gettano ponti stabiliscono colonie; provvedono così a perpetuare il loro dominio.

I Liguri sostengono una lotta disperata, feroce contro il potente aggressore, difendono palmo a palmo ogni valle, ogni rupe, ogni sentiero. Pugnano gli uomini, le donne, i fanciulli. Ma tutto è inutile; vinti, dispersi, cacciati di covo in covo, soccombono o si sottomettono imprecando all’odiosa signoria.

È probabile che qualche tribù scampata all’eccidio e insofferente di servitù, riparasse dopo la conquista, fra greppi inaccessibili, per sottrarsi al giogo, e quindi, segregata da ogni consorzio, conservasse a lungo l’antico modo di vita e divenisse per gli [p. 32 modifica]altri Liguri, già dirozzati, oggetto di superstizioso terrore.

Ciò spiegherebbe, da un lato, la commistione di manufatti preistorici liguri e romani in certe caverne ossifere e dall’altro la tradizione, vivente ancora in Liguria, di misteriosi e feroci Lestrigoni, dediti ad un culto bizzarro.

Chi sa che non fossero superstiti dell’antica schiatta dei cavernicoli quei Liguri convertiti alla fede cristiana da Windemiale e S. Eugenio, allorché, nel primo secolo dell’era nostra, i due vescovi reduci dall’Affrica, approdarono ai castello di Vado? Secondo un antico testo, quei barbari convenivano, prima della conversione, in una tetra spelonca (probabilmente nella vasta grotta di Bergeggì) e ivi « una esecrabile bestia, con vanissimo sentimento adoravano e con sacrilego e scelleratissimo rito gli offrivano ogni giorno vittime e sacrifizi » 18.

Altri narri quali furono di poi le fortunose vicende della gente ligure, come abbracciasse la nuova fede banditrice di fratellanza, di carità, di speme, come si costituisse in libero reggimento, quanto operasse per la patria, per la fede, per la civiltà. Dinanzi al tempio della storia m’inchino reverente, ma non è lecito a me profano varcarne le soglie.

Se dopo essermi a lungo soffermato sull’uomo, mi si consenta di considerare una volta ancora la terra, dirò che, dopo l’invasione romana, gli interrimenti hanno qua e là modificato il litorale, colmando seni ed estuari; ma in gran parte questo fenomeno è compensato da una nuova fase d’immersione che [p. 33 modifica]si manifesta in quasi tutta la periferia della penisola italiana ed anche in Liguria, Si tratta di un avvallamento del suolo o di un innalzamento del livello marino per effetto di cause astronomiche? Sarebbe qui intempestivo il discuterlo; certo è che il mare l’ha coperto qua e là antichi edifizi già emersi ed ora batte in breccia con insolita efficacia distruttiva il nostro litorale. Le meteore e i corsi d’acqua, intanto, hanno continuato assiduamente a disgregare, a corrodere le roccie, e se certi indizi, desunti dalla vegetazione e dal regime delle acque, non mentiscono, il clima si è fatto più dolce e più secco.

E, tornando all’uomo; dalla fusione dell’antica schiatta primordiale colla stirpe dominatrice, nacque il Ligure odierno che in sé congiunge, strano connubio, i caratteri del vincitore e del vinto, dell’aborigeno e dell’invasore.

Semplice e rude, egli si mostra, tardo nell’amicizia, ma amico sicuro. È sobrio, frugale, laborioso, economo, ed or si addita ad esempio di parsimonia, or di regale munificenza. Lo si dice avido di guadagno, ma per certo non è meno avido di gloria; odia ogni giogo, ogni oppressione, ma è pure insofferente di freno e di disciplina; diffidente dell’altrui virtù, è pronto al sogghigno, tuttavolta eccolo primo al cimento, al sacrifizio, intrepido nel periglio ove si combatte per una causa nobile e grande. O molto credente, o molto scettico, ama svisceratamente la sua terra, e pure una forza irresistibile lo trae a lontane peregrinazioni, laonde il gergo ligure suona per tutti i climi, per tutte le plaghe.

Ormai l'uomo, improntato all’immagine della sua terra, imprime, alla sua volta, un’orma sempre più [p. 34 modifica]profonda sul suolo che l’ha veduto nascere; è divenuto per così dire il precipuo fattore geologico in Liguria. Egli atterra gli alberi, apre le zolle colla vanga e l'aratro, taglia le rupi in scaglioni, spezza e feconda la nuda roccia, edifica muri di sostegno, casolari, capanne. Più tardi scaverà porti e darsene, fonderà moli e scali, fabbricherà ponti, officine, ospizi, templi, palagi, teatri, aprirà strade, ferrovie, forerà le montagne per agevolare le comunicazioni tra valle e valle. Che importa che la natura gli abbia negato il fiume e il lago, d’onde il beneficio delle acque perenni e copiose? Egli raccoglierà il tributo dei rivi e delle sorgenti, formerà laghi artificiali sbarrando valli; il torrente non sarà più un flagello per lui; ma, sapientemente imprigionato, si convertirà in docile schiavo che il suo signore destinerà ai più svariati uffici.

Ora di proposito deliberato, ora inconsapevole, l’uomo esercita altresì un’azione potente sulla fauna e sulla flora; molte specie sono da lui distrutte, altre egli ne introduce da lontani paesi. Certi animali sono per opera sua profondamente modificati dalla domesticità, così come corte piante subiscono cangiamenti radicali per effetto della coltura. E, dal modificarsi della flora e delle locali condizioni topografiche e idrografiche, risulta che il clima stesso non sfugge, comunque indirettamente, alla sua influenza.

Di siffatto trionfo del popolo ligure sulla natura, mi compiaccio come splendida manifestazione di energia, di intelligenza, di pertinacia, ed io confido che il progresso nell’ordine materiale non andrà disgiunto da quello nell’ordine morale, in cui ripongo tuttavolta il più alto ideale di grandezza. Perciocché, [p. 35 modifica]senza virtù e senza giustizia, ricchezza e potenza d'un popolo son per me larve fugaci che nascondono la miseria e il servaggio; senza virtù e senza giustizia, l'onore e la gloria sono squillo rimbombante che appaga gli stolti; senza virtù e senza giustizia, io credo che la scienza sia lume acceso ad illuminar sepolcri e la fede stessa sia fuoco che non arde nè riscalda.

Al pari del fantastico viaggiatore evocato da Edgardo Quinet, di quel viaggiatore, il quale con passo gigantesco attraversa antichi reami e città distrutte, interroga la polvere delle tombe, investiga le vicende degli imperi caduti, s’inspira alla poesia delle rovine e trae dal complesso dei fatti un concetto sublime che grado grado s’innalza alla divinità, all’infinito, noi, in brevi istanti, e con passo ben più sollecito, abbiamo fatto una escursione nel passato, in un passato remotissimo e tenebroso, contemplando i ruderi dei tempi trascorsi, ricomponendo le faune e le flore estinte, esumando le reliquie dell'uuomo primordiale, risuscitando l'mmagine d’un mondo scomparso. Ed ora, giunto al termine del lungo viaggio, un grave dubbio mi assale e mi conturba.

Nell'effigiare le grandi scene dei tempi geologici mi sono lasciato forse trasportare dalla folle du logis, dall’immaginazione, viva ancora in me malgrado le brine degli anni? Forse era disdicevole alla solennità del loco e del momento ch’io mi soffermassi tratto tratto a raccogliere lungo il sentiero il fragrante fiorellino della poesia che pur nasce, checché se ne dica, lontano dal Parnaso, anche nel dominio di Gea. A noi naturalisti si chiedono fatti, sempre fatti, minuziosi, precisi, terra terra. Ma lo spirito, impaziente di precorrere il lento incesso di Minerva, si ribella [p. 36 modifica]a questa legge severa, non si appaga delle minuzie, quasi stilla di rugiada offerta ad un assetato. Anela ad attingere largamente alle fonti vive del vero. Sopraggiunge allora la fantasia e con modi lusinghieri lo trasporta colle sue ali dorate sul pelago infido dell’ipotesi. Il meschino vi si tuffa con delizia e crede soddisfare alle sue più ardenti brame; ma il gorgo lo sommerge e non lo disseta, ond’egli si pente amaramente e si querela, pronto a lasciarsi adescare da nuove illusioni.

Se così è, chiedo venia ai colleghi. Mi assolvano almeno coloro (e qui ne vedo parecchi), i quali, come scrisse il poeta, « le corde trattar di Febo con maestre dita ».

Ai giovani dirò ancora; Non misurate la nobilissima disciplina che io professo, e di cui vi ho offerto un saggio pur troppo si imperfetto, alla stregua dell’oscuro espositore. Essa, che tra i rami dello scibile è forse il più giovane, vanta già segnalate vittorie contro l'ignoranza e l’errore, mirabili conquiste nel campo del vero, e con ciò offre ancora ai suoi seguaci gloriosi allori da cogliere.

Cominciai invocando la gran madre antica, inspiratrice di queste povere note. Ora finisco innalzando ancora a Lei il mio pensiero; finisco con parole che riassumono, o signori, le nostre più alte aspirazioni, i voti più ardenti: Viva l'Italia! Viva la Scienza!


Note

  1. Hanno pur cooperato ad illustrare i terreni e i fossili della Liguria: Guidoni, Di Collegno, De la Bèche, Savi, A. ed E. Sismonda, Ramorino, Gastaldi, Zaccagna, Taramelli, Pellati, D’Achiardi, Canavari ed altri.
  2. Le specie di Jano spettano ai generi: Pecopteris, Necropteris, Odontopteris, Annularia, Calamltes; quelle del Piccolo S. Bernardo sono: Lepidostrobus, Nevropteris? Lepidophyllum, Lepidodendron, Annularia, Asterophyllites, Calamites.
  3. Questo modo di spiegare l’origine delle serpentine è ammesso da buon numero di geologi; altri però tengono le serpentine in conto di metamorfiche. Vedasi in proposito la relazione pubblicata nel l.° fascicolo del Bollettino della Società geologica italiana e i lavori di Taramaelli, De-Stefani e Lotti.
  4. Siccome supponiamo che queste roccie sieno formate col concorso di materiali di sedimento e d'altri idroplutonici, in certo modo da due parti, perciò l’ingegnere Mazzuoli ed io le denominiamo complessivamente anfimorfiche (Boll. del R. Com. geol., 1881).
  5. Questi spettano precipuamente ai generi; Neritopsis, Chemnitzia, Cerithium, Turritella, Orthostoma, Turbo, Myacites, Astarte, Cardinia, Cardita, Cucullea, Nucula, Avicula (fra le altre la nota A. Contort), Lima, Pecten.
  6. Vi figurano una Pleurotomaria peculiare, alcuni Aegoceras, varii Atracites, il Lytoceras subbiforme, Can., un Arietites, il Tropites ultratriasicus, Can. ecc.
  7. Principalmente: Calamophylliaa, Stylina, Montivaultia, Thecosmilia, Cladophyllia, Pleurocora.
  8. Vedasi: Mazzuoli e Issel, Boll. del R. Com. geol., 1884.
  9. In particolar modo: Heliastræa, Astrangia, Prionastræa, Philochæania, Thamnastræaa ecc.
  10. Vedi Forsyth Mayor, Consid. sulla Fauna dei Mammiferi fossili della Toscana, Pisa 1877.
  11. Forsyth Mayor attribuisce al pliocene inferiore, quindi all’orizzonte delle marne azzurre ligustiche i fossili del Casino in Toscana (Semnopithecus Monspelussanus, Macacus priscus, Mastodon brevirostris, Rhinoceros megarhinus, Tapirus minor, Hyænarctos sp. ecc,), ma non pare ancora accertato che si competa loro tal posto nella serie.
  12. L'Elephas primigenius fu rinvenuto nelle alluvioni quaternarie della valle Nervia e nel Nizzardo; del Rhinoceros tichorinus si racolsero scarsi avanzi nelle grotte dei Balzi Rossi.
  13. In siffatte accumulazioni si trovano frequentemente tronchi d’albero, massime d’abete, in perfetto stato di conservazione.
  14. Son pur notevoli la grandezza del piede, l’altezza insolita del tallone, la forma schiacciata della tibia, la lunghezza del radio ecc.
  15. Intorno alle caverne dei Balzi Rosei si consulteranno con profitto le memorie di E. Rivière e specialmente quella che ha per titolo: Paléoethnologie; de l’Antiquité de l’Homme dans les Alpes- Maritimes, (Parìs 1878-79).
  16. Vedasi in proposito: Issel, Nuove ricerche nelle caverne, Mem. della R. Accad. dei Lincei, 1878.
  17. Questa asserzione non deve essere intesa in modo assoluto, perciocché presso Mentone, a Sassello sull’Apennino e non lungi da Sestri Levante si raccolsero manufatti di bronzo, i quali, mentre risalgono cronologicamente ai tempi di transizione fra l’età della pietra e la protostorica, spettano indubbiamente ad un’arte non ligustica. Inoltre, nelle miniere di Libiola, Monte Loreto e in altre della Liguria sì sono scoperte le vestigia di una antica lavorazione che si praticava mercè rozzi utensili di pietra e di legno (ritrovati negli scavi); indizio codesto che l’industria del bronzo, già fiorente nella valle padana, aveva in qualche punto valicato l’Apennino, probabilmente insieme al popolo che la esercitava.
  18. Salino, Boll. del Club Alpino, Voi. XI