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lungo il loro versante meridionale, ove scevra da ogni commistione, forse da ogni contatto, rimane ancora la stirpe delle Arene Candide1.

Finalmente ben altri invasori ormai padroni delle pianure padane si affacciano ai valichi alpestri della Liguria; son legioni compatte e disciplinate che portano l’aquila per insegna e obbediscono a capi prudenti e valorosi. Procedono lenti ma sicuri, e nel paese conquistato aprono strade, gettano ponti stabiliscono colonie; provvedono così a perpetuare il loro dominio.

I Liguri sostengono una lotta disperata, feroce contro il potente aggressore, difendono palmo a palmo ogni valle, ogni rupe, ogni sentiero. Pugnano gli uomini, le donne, i fanciulli. Ma tutto è inutile; vinti, dispersi, cacciati di covo in covo, soccombono o si sottomettono imprecando all’odiosa signoria.

È probabile che qualche tribù scampata all’eccidio e insofferente di servitù, riparasse dopo la conquista, fra greppi inaccessibili, per sottrarsi al giogo, e quindi, segregata da ogni consorzio, conservasse a lungo l’antico modo di vita e divenisse per gli



  1. Questa asserzione non deve essere intesa in modo assoluto, perciocché presso Mentone, a Sassello sull’Apennino e non lungi da Sestri Levante si raccolsero manufatti di bronzo, i quali, mentre risalgono cronologicamente ai tempi di transizione fra l’età della pietra e la protostorica, spettano indubbiamente ad un’arte non ligustica. Inoltre, nelle miniere di Libiola, Monte Loreto e in altre della Liguria sì sono scoperte le vestigia di una antica lavorazione che si praticava mercè rozzi utensili di pietra e di legno (ritrovati negli scavi); indizio codesto che l’industria del bronzo, già fiorente nella valle padana, aveva in qualche punto valicato l’Apennino, probabilmente insieme al popolo che la esercitava.