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Senonché nuova gente dalla testa allungata, dalle arcate sopraccigliari prominenti, dalle orbite quadre, dagli zigomi larghi e robusti, dalle mandibole protratte, genti affine nei caratteri osteologici alle tribù dei Balzi Rossi, forse discendente da queste, si stabilisce nel Nizzardo, nel Loanese, nel Finalese, in quel di Bergeggi, alla Palmaria, come pure, se certi indizi dicono il vero, nelle alte valli dell’Apennino e nelle Langhe. Vestigia del medesimo popolo si rinvengono, inoltre, sparse nella valle del Po, specialmente nei così detti fondi di capanne del Reggiano, illustrati dal prof. Chierici.
Questo popolo preistorico, che chiamerò delle Arene Candide, dalla località in cui lasciò di sé gli avanzi più notevoli, non solo pratica la caccia, ma possiede alcuni animali domestici, fra i quali il cane, la pecora, il bue, esercita la pastorizia e qualche rufdimentale coltura. Esso trova ancora nelle caverne un temporario rifugio e vi deposita i suoi morti; ma, secondo ogni verosimiglianza, dimora normalmente in misere capanne. Non conosce l’uso dei metalli e foggia pugnali, punte di freccia e di giavelotto, aghi, lesino, spatole, coll’osso e col corno, accette, scalpelli, bipenne, dischi forati, colle pietre più dure e tenaci. Queste pietre talvolta son lavorate colla percussione, per scheggiatura, secondo il costume dei trogloditi dei Balzi Rossi, bene spesso ancora collo stropicciamento sopra altra pietra e sogliono essere perfettamente levigate e affilate. Non gli è ignota l’industria del vasaio e, comunque sprovvisto del tornio e della fornace, egli riesce a fabbricare per gli usi domestici svariate foggio di tazze, olle, pentole, fregiate talvolta di rozzi graffiti; ed ecco i primi bagliori dell’arte.