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342 l'ombra del passato


E fu per non andare. Ma poi si decise. Gli pareva d’essere ricaduto nella cupa indifferenza dei giorni scorsi. Andava, appunto perchè non sentiva più nulla. Sull’argine, sebbene fossero già le nove passate, non si vedeva nessuno: ma Pigoss ripuliva la barca, entro la quale aveva collocato due sedie; la gita non era rimandata.

Adone dovette aspettare un bel po’. Ui giornata era tiepida; il cielo velato, l’acqua lattiginosa. Tutte le cose intorno, in quel silenzio profondo di giornata quasi autunnale, avevano un incanto fantastico. Le macchie delle isole e i boschi della riva si riflettevano taciti nell’acqua lattea, con profili indecisi, come nelle sere di luna. I colori della vegetazione, il grigio dei pioppi, il verdolino chiaro degli scopeti, il giallo di qualche salice, la figura stessa del barcaiuolo, dai capelli argentei e gli occhietti verdastri, avevano sfumature delicate da pastello.

— Vieni tu pure? — domandò il vecchio, collocando un’asse attraverso la barca. — Hai letto il foglio, ieri? Che diceva di quel bastimento naufragato?

— Hanno trovato il cadavere d’un vescovo, ora. Lo hanno riconosciuto dalle vesti.

— Anche un vescovo! — disse l’altro con meraviglia. — Una cosa terribile così non s’era mai sentita, dacchè son vivo. E il cadavere del nostro compaesano! Si trova?

Adone non ascoltava più. Vedeva Jusfin, alto e imponente nel suo costume da caccia, avanzarsi, con due cestini in mano.