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l'ombra del passato 329

aiutata dalla sorella, scese pian piano dalla sua camera e sedette in un angolo della cucina. Ella stava un po’ meglio: Adone la guardò alla sfuggita e ancora una volta gli parve ch’ella Io fissasse con tristezza. Egli volse di nuovo gli occhi alla fiamma e riprese il suo fantasticare. Egli non odiava la zia: non odiava più neppure il Pirloccia. Erano uomini degni di odio, quelli? No, più che di odio erano degni di pietà.

Essi non sapevano quello che si facevano: non erano neppure uomini; erano esseri d’una razza inferiore, gnomi di foreste primordiali, guidati solo dall’istinto rapace. Nessuno li aveva educati. Egli doveva serbare tutto il suo rancore per altri!

— Sei stato da Caterina? — domandò la zia, guardando le scarpe infangate ch’egli parava alla fiamma.

— No, — egli rispose seccamente.

Ella non apri più bocca: piccola, rannicchiata nel suo seggiolino, pareva una bambina malata.

Carissima canticchiava ancora. Ed egli rivedeva Caterina, intenta a intessere le stuoje, all’ombra del portone. Anche lei cantava la canzonetta birichina.

Col suo fazzoletto nero legato sulla nuca, le gonne corte e volanti, i piedi nudi entro le pianelle di legno e di stoffa, ella aveva un’aria zingaresca: le sue mani forti, che intrecciavano i giunchi come fili di seta, rivelavano in lei una creatura di forza che, volendolo, poteva afferrare, senza bisogno d’aiuto, la sua parte di bene nella vita.