Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Camera di Rosaura.

Rosaura e Corallina, che lavorano.

Corallina. Questa tela è molto fina, non vi è dubbio ch’ella vi scortichi1 le carni.

Rosaura. Il signor Pantalone mi vuol bene, me l’ha comprata di genio2.

Corallina. Certamente è una bella fortuna per voi, che siete senza padre, aver un tutore tanto amoroso.

Rosaura. Mi ama, come se fossi la sua figliuola.

Corallina. All’incontro il signor Ottavio, vostro zio, che dovrebbe [p. 338 modifica] avere per voi maggior premura, non ci pensa. È un poltrone, ozioso, che non farebbe mai nulla.

Rosaura. E pur mio padre lo ha lasciato tutore unitamente al signor Pantalone.

Corallina. Ed egli lascia far tutto a lui. Se aspettate che vostro zio vi mariti, volete aspettare un pezzo.

Rosaura. Io farò tutto quello che mi dirà il signor Pantalone.

Corallina. Oh che buona ragazza! In verità, siete una cosa rara. Non parete mai figlia di vostra madre. Ella è stata una testolina3 bizzarra. Povero suo marito! L’ha fatto morir disperato.

Rosaura. Mi dicono ch’io somiglio a mio padre.

Corallina. Sì, era buono, ma un poco troppo. Faceva più a modo degli altri, che a modo suo.

Rosaura. E anch’io faccio così.

Corallina. Fate così sempre?

Rosaura. Sempre.

Corallina. Quand’è così, starà meglio con voi chi saprà meglio chiedere. (ridendo)

Rosaura. Io non ti capisco.

SCENA II.

Beatrice mascherata, e dette.

Beatrice. Rosaura, volete venire con me?

Rosaura. Dove, signora?

Beatrice. A spasso.

Rosaura. A spasso?

Beatrice. Sì, un poco in maschera. Faremo una passeggiata per la Merceria, andremo a bere un caffè, e poi torneremo a casa.

Rosaura. A quest’ora? Io voleva terminar questa manica.

Beatrice. Eh, la finirete poi. Ho da fare una spesa in Merceria, e col beneficio della maschera voglio andare da me.

Corallina. (Che bel comodo è la maschera!4) (da sè) [p. 339 modifica]

Beatrice. Via, andiamo, che vi pagherò un bel goliè.

Corallina. (Ora scommetto che dice di sì). (da sè)

Rosaura. Un goliè? Di quali?

Beatrice. Di quelli coi fiori d’argento all’ultima moda.

Rosaura. Oh vengo, vengo.

Corallina. (Se l’ho detto io!) (da sè)

Beatrice. Corallina.

Corallina. Signora?

Beatrice. Va a prendere il tabarro, la bauta ed il cappello.

Corallina. Sì signora. (Oh che buona madre!) (da sè; s’alza e parte)

Rosaura. Ho da venire così?

Beatrice. Sì, state benissimo: col tabarro ogni cosa serve. Che maschera comoda è questa! Che bella libertà!

Rosaura. Ehi! signora madre, il goliè lo voglio color di rosa.

Beatrice. Sì, sì, color di rosa. Ci stai bene nel color di rosa, ti fa parer più bella.

Rosaura. Ma poi veniamo a casa subito.

Beatrice. Perchè subito?

Rosaura. Mi preme finire la manica che ho principiato.

Beatrice. Se non la finirai oggi, la finirai domani. Senti, voglio che andiamo a fare una burla al signor Florindo.

Rosaura. Al signor Florindo? Come?

Beatrice. Voglio che andiamo al caffè dove pratica, che gli facciamo delle insolenze, e lo facciamo strologare chi siamo, senza scoprirci.

Rosaura. Oh bella! Ci conoscerà.

Beatrice. Oibò, non ha pratica nel conoscer le maschere. Io sì, quando ho veduto una maschera una volta, la conosco in cento.

Rosaura. Bene, verrò dove volete.

Beatrice. Oh, se trovassimo quel pazzo di Lelio! Vorrei che lo facessimo disperare.

Rosaura. Oh bella! [p. 340 modifica]

SCENA in.

Corallina con tabarro, bauta, cappello e maschera; e dette.

Corallina. Ecco da mascherare la signorina.

Beatrice. Via, presto, mettile il tabarro.

Corallina. Subito. (Oh, la signora madre la farà un donnina di garbo). (da sè; mette il tabarro a Rosaura)

SCENA IV.

Pantalone di dentro, e dette.

Pantalone. Chi è qua? Se pol vegnir?

Rosaura. Oh! leva il tabarro. (a Corallina)

Beatrice. Eh via, pazza. Venga, signor Pantalone.

Pantalone. (Esce) Servitor obbligatissimo.

Rosaura. Serva sua.

Pantalone. Cossa vol dir? Cussì a bonora in maschera?

Beatrice. Andiamo a far delle spese.

Pantalone. Spese necessarie?

Beatrice. Necessarissime.

Pantalone. Per siora Rosaura?

Beatrice. Anco per lei.

Pantalone. Se a siora Rosaura ghe bisogna qualcossa, son qua a soddisfarla mi in tutto quel che xe giusto.

Beatrice. Oh sì, che vi verremo a seccare per ogni piccola cosa!

Pantalone. Seccarme? No, la veda. El mio obbligo xe de servirla.

Corallina. Caro signor Pantalone, noi altre donne abbiamo bisogno di certe cose, che gli uomini non l’hanno da sapere.

Pantalone. Vu, siora, no ve ne impazzè dove che no ve tocca.

Corallina. Oh, per non impacciarmi, anderò via. (Vecchio fastidioso!) (da sè, parte) [p. 341 modifica]

SCENA V5.

Pantalone, Beatrice e Rosaura.

Pantalone. Siora Beatrice, circa le spesette capricciose che volesse far siora Rosaura, poco più, poco manco lasseria correr, ma no me par necessario che la vaga ela in persona.

Beatrice. Oh signor sì, è necessario. Vogliamo veder noi, vogliamo soddisfarci.

Pantalone. Ben; se fa vegnir el mercante a casa. Cossa disela, siora Rosaura?

Rosaura. Per me son contentissima.

Pantalone. Sentela? Ela la xe contenta. Via, da marea savia e prudente, la ghe daga sto bon esempio, la resta in casa e la se lassa servir.

Rosaura. (Sarà meglio ch’io mi metta a finir la mia manica). (da sè, va a cucire)

Beatrice. Signor Pantalone carissimo, mio marito è morto, e non ho altri che mi comandino. In casa mia voglio fare a mio modo, e non ho bisogno di esser corretta.

Pantalone. Benissimo; ela fazza quel che la vol, mi no ghe penso6. Ma sta putta la xe stada raccomandada a mi da so pare. Mi son el so tutor, e mi ho da invigilar per i so interessi, per el so credito e per la so educazion.

Beatrice. Circa agl’interessi ve lo accordo; per il resto tocca a me, che sono sua madre.

Pantalone. Cara siora Beatrice, no la me fazza parlar.

Beatrice. Che vorreste dire?

Pantalone. La compatissa, za nissun ne sente. (la tira in disparte) Ghe toccherave a ela, se la gh’avesse un poco più de prudenza.

Beatrice. Io dunque sono imprudente? Viva il cielo! Mio marito non mi ha mai detto tanto. [p. 342 modifica]

Pantalone. Saria stà meggio che el ghe l’avesse dito.

Beatrice. Come saria stato meglio?

Pantalone. Se el ghe l’avesse dito, la s’averave corretto.

Beatrice. Mi maraviglio di voi7.

Pantalone. Védela? Se la gh’avesse prudenza, no l’alzerave la oseb. 8 Ela se fa più mal de quel che ghe posso far mi.

Beatrice. Ma... in che mi potete voi condannare?

Pantalone. Cara ela... in cento cosse. Qua se ammette zoventù in casa, senza riguardo che ghe xe una putta; qua se tien conversazion, e se gh’ha gusto che la putta ghe sia. Se vede, e se tase, e mi so cossa che se vede, e mi so cossa che se tase. La putta xe de bona indole, la xe modesta e un poco rustegac, e questo per ela xe ben, che per altro so siora mare ghe darave dei bei esempi... Basta, lassemo andar. Ma la diga, cara ela, cossa xe sto andar in maschera da tutte le ore? Anca la mattina in maschera? Do donne sole le se pettad su el so tabanello, e via. Che concetto ha da formar la zente de ela? Vorla9 far delle spese? O se manda, o se fa vegnir a casa, o se se fa compagnar, no se va sole. Le donne sole no le sta ben, no le par bon. I omeni, co i vede le donne sole, i dise che le va a cercar compagnia. I zira, i tenta, i se esebisse, i la incozza, e po i la venzee; e tante de ste patrone che va fora de casa con una maschera indifferente, le torna a casa con una maschera de poca reputazion.

Beatrice. Obbligatissima della sua seccatura. Rosaura, andiamo.

Rosaura. Che dite, signor Pantalone? Vado o non vado? (s’alza)

Pantalone. Che premura gh’aveu d’andar?

Rosaura. Mi vuol comprare un goliè...

Pantalone. Un goliè? De che sorte?

Beatrice. (Oh che uomo fastidioso! Vuol saper tutto). (da sè) [p. 343 modifica]

Rosaura. Un goliè color di rosa, con fiori d’argento.

Pantalone. Via, ancuo dopo disnarf ve lo porterò mi.

Rosaura. Oh, quand’è così, signora madre, non vengo altrimenti10, vado a terminar la mia manica. (siede)

Beatrice. Come? Così obbedisci la madre?

Rosaura. Ma se...

Pantalone. Orsù, qua mo no posso taser. Se tratta de massima, se tratta de una falsa educazion. Coss’è sto confonder el debito dell’obbedienza con quello della modestia? I fioi i ha da obbedir so pare e so mare, co i ghe comanda cosse lecite, cosse bone. Se i genitori xe matti, poveri quei fioli che per malizia o per semplicità li obbedisse. La se vol menar in maschera, la se vol viziar a un cattivo costume, e perchè, conseggiada dal so tutor, la resiste, se dirà che la disobbedisse so mare? Sì, in ste cosse mi ve fazzo coraggio a farlo; e in fazza del cielo e in fazza del mondo, sostegnirò che la vostra no xe disubbidienza, ma prudenza e virtù, che a longo viazzog farà vergognar chi no cognosse el debito d’una mare, chi no distingue el pericolo d’una fia. (a Rosaura)

Beatrice. Orsù, andate a fare il pedante in casa vostra.

Pantalone. Vegno qua, e parlo, e me scaldo, perchè gh’ho debito de invigilar su sta putta.

Beatrice. Voi non siete il solo tutore di Rosaura; vi è il signor Ottavio mio fratello, e suo zio, ch’è tutore testamentario tanto quanto siete voi.

Pantalone. Xe vero, ma el xe un omo che no gh’abbada, che lassa correr, che lassa far. E se lassasse far a elo, tutte le cosse le anderia a precepizio.

Beatrice. Mio fratello non è un balordo.

Pantalone. L’è un omo de garbo, ma nol vol far gnente.

Beatrice. Che cosa ha da fare?

Pantalone. L’ha da far quello che fazzo anca mi. [p. 344 modifica]

Beatrice. Voi non siete buono ad altro, che ad infastidir le persone.

Pantalone. Oh, vorla che ghe la diga? Con ela no voggio più aver da far. La venero e la rispetto, ma la me farave perder la pazienza. Siora Rosaura xe sotto la mia tutela, penserò mi a logarlah, fin che la se marida.

Beatrice. Come? Fareste a me questa ingiuria? Mi levereste la mia figliuola? Giuro al cielo! La mia figliuola...

Pantalone. Le putte no le se mena in maschera tutto el zorno.

Beatrice. A me un affronto simile?

Pantalone. Alle fiei se ghe dà dei boni esempi.

Beatrice. Oh cielo! levarmi la mia figliuola! Rosaura, andereste da me lontana?

Rosaura. Oh, io fo la mia manica, e non so altro.

Beatrice. Giuro al cielo! Ve ne pentireste. (a Pantalone)

Pantalone. (Canta, canta). (da sè)

Beatrice. Parlerò, ricorrerò, anderò alla Giustizia.

SCENA VI.

Corallina e detti.

Corallina. Signora, è venuto il signor Florindo per riverirla.

Beatrice. Vengo. Oh, questa non me la fate certo. (si leva il cappello, e lo dà a Corallina)

Pantalone. (Canta, canta). (da sè)

Beatrice. Io l’ho fatta, io l’ho da custodire, (dà la bauta a Corallina)

Pantalone. (Sì, una bona custodia!) (da sè)

Beatrice. Il signor tutore se ne prende più di quello che gli conviene. (si leva il tabarro, e lo dà a Corallina; cava uno specchio e s’accomoda il toppè).

Pantalone. (Vardè la fantolina!j) (da sè)

Beatrice. Rosaura, andiamo. (Rosaura s’alza, e lascia il lavoro)

Pantalone. Tolè, vien zente, e subito alla putta: andiamo. [p. 345 modifica]

Beatrice. Quando ci sono io, ci può essere ancora ella.

Pantalone. Se la me permette, gh’ho da dir do parole, e pò la lasso vegnir. (a Beatrice)

Beatrice. Via, parlate, spicciatela.

Pantalone. Ben, ghe parlerò anca in so presenza. La diga, cara siora Rosaura...

Corallina. Signora, il signor Florindo aspetta. (a Beatrice)

Beatrice. Rosaura, prendetevi la vostra seccatura, e poi venite. (parte)

SCENA VII11.

Pantalone, Rosaura e Corallina.

Rosaura. (In verità ci anderei volentieri). (da sè)

Corallina. (Povera ragazza! si sente morire a non poter andar ancor ella12). (da sè; pone la roba sul tavolino)

Pantalone. Siora Rosaura, gh’ho da far una proposizion, ma vorria che ghe fusse anca so sior zio13, perchè anca lu el xe tutor come mi, e siben che poco el se ne incura, gh’ho a caro che in certe cosse el ghe sia. Corallina, cara fia, andè a chiamar sior Ottavio, e diseghe che son qua che l’aspetto.

Corallina. Oh, il signor Ottavio sarà ancora a letto.

Pantalone. Xe debottok mezzo zorno: e po son stà da elo co son vegnù qua. El giera in letto, l’ho fatto desmissiarl, el m’ha dito che el se vestiva; el sarà vestio: diseghe che el favorissa de vegnir qua.

Corallina. Vado, ma non credete ch’egli venga sì presto.

Pantalone. Che vol tanto a vestirse?

Corallina. Per lui vi vogliono delle ore; non la finisce mai. Tira fuori un braccio, sente aria, e lo torna a cacciar sotto. Poi s’alza a sedere sul letto, e sta mezz’ora ad affibbiarsi il giubbone14. Si mette la veste da camera, e poi sta lì a guardare [p. 346 modifica] i quadri, a contare i travicelli15, a contar i vetri delle finestre, a scherzar col gatto, e perde un’ora16 di tempo senza far niente. Si mette una calzetta, e poi prende il tabacco. Se ne mette un’altra, e poi fischiando suona un’arietta. Un quarto d’ora vi mette fra lo scendere dal letto, e mettersi li calzoni. Poi si getta sulla poltrona, prende la pipa, sta lì sino l’ora del pranzo, e questa è la vita che suol far tutte le mattine.

Pantalone. El xe un omo de garbo; i fatti soi i anderà pulito. Figureve che bon tutor! Feme sto servizio, diseghe, se el pol, che el vegna qua, se no vegnirò mi da elo.

Corallina. Oh, così va bene! Se egli non verrà da voi, voi andrete da lui. (parte)

SCENA VIII17.

Pantalone e Rosaura.

Pantalone. Diseme, cara siora Rosaura, aveu più gusto a star sola, o a star in compagnia?

Rosaura. Oh, io sto più volentieri in compagnia.

Pantalone. Se ve mettesse in un liogom, dove ghe xe delle altre putte, anderessi volentiera?

Rosaura. Sì signore, volentierissima.

Pantalone. Se zogan, se se diverte.

Rosaura. Oh! giuocherò, mi divertirò.

Pantalone. Ma alle so ore se lezze, se laora, se fa del ben.

Rosaura. Lavorerò, leggerò, farò del bene.

Pantalone. No ve mancherà el vostro bisogno.

Rosaura. Benissimo.

Pantalone. I ve vorrà ben, i ve farà mille finezze.

Rosaura. Davvero?

Pantalone. Sì, cara fia, gh’andereu volentiera?

Rosaura. Volentierissima. [p. 347 modifica]

Pantalone. (La xe una pasta de marzapan). (da sè) No ve despiaserà andar via de casa vostra?

Rosaura. Oh, signor no.

Pantalone. Ve rincresserà lassar vostra siora mare?

Rosaura. Un poco.18

Pantalone. La ve vegnirà a trovar; la vederè.

Rosaura. Sì? Avrò piacere.

Pantalone. Vegnirò a trovarve anca mi.

Rosaura. Avrò piacere.

Pantalone. Vegnirà a trovarve le vostre amighe.

Rosaura. Verrà anche il signor Florindo?

Pantalone. Sior Florindo? Cossa gh’intra sior Florindo?

Rosaura. Dicevo... perchè viene qui.

Pantalone. Omeni no ghe n’ha da vegnir.

Rosaura. Oh! non importa. Mi divertirò colle donne.

Pantalone. Che premura gh’aveu de sto sior Florindo?

Rosaura. Niente.

Pantalone. (No la vorave metter in malizia). (da sè) Le putte sta colle putte, e i omeni coi omeni.

Rosaura. La signora madre sta sempre cogli uomini, e mai colle donne.

Pantalone. (Ecco qua, le fie tol suso quel che ghe insegna la mareo), (da sè) Se vostra siora mare tratta coi omeni, la xe stada maridada, e la lo pol far.

Rosaura. Oh! è vero, è vero. Io starò colle ragazze.

Pantalone. Oh! sto caro sior Ottavio no se vede.

SCENA IX.

Corallina e detti.

Pantalone. E cussì? Vienlo o no vienlo?

Corallina. Ho fatto una fatica terribile a levarlo dalla sua poltrona. Ora viene. [p. 348 modifica]

Pantalone. Mo una gran poltroneria!

Corallina. (Signora Rosaura, venite con me, che la signora madre vi aspetta). (piano a Rosaura)

Rosaura. Vengo.

Pantalone. Coss’è? Dove andeu?

Rosaura. Vado...

Corallina. È venuta la sarta, che le ha da provar un busto19.

Rosaura. È venuta la sarta? (a Corallina)

Corallina. Sì, la sarta; andiamo. (Oh che gnocchetta!) (da sè)

Rosaura. Ma che busto mi ha da provare? (a Corallina)

Corallina. Il busto color di rosa, colla guarnizione20 (col diavolino che vi porti). (piano a Rosaura)

Rosaura. Andiamo. Io non so nulla.

Pantalone. Come! No la sa gnente! Chi ghe lo fa sto busto?

Corallina. Sua madre, sua madre. Sì, sua madre. (parte, conducendo Rosaura)

Pantalone. Basta, no me fido gnanca de sta cameriera. La tirerò via de qua, la metterò in liogo seguro... Oh manco mal, xe qua el sior Ottavio... Via21 bel bello, senza pressap.

SCENA X.

Ottavio in veste da camera, berretta e pianelle, a passo a passo; e detto.

Ottavio. Oh, non voglio che il signor Pantalone s’incomodi: son qua io. Quattro passi più, quattro passi meno, non m’importa. Non guardo a incomodarmi, quando si tratta del signor Pantalone.

Pantalone. Caro sior Ottavio, me despiase del vostro desturbo; sarave vegnù mi, ma siccome avemo da parlar colla putta...

Ottavio. Ma perchè stiamo in piedi? Sediamo. Ehi. (chiama) [p. 349 modifica]

Pantalone. Via, se no ghe xe nissun, n’importa; tiolemose una carega22, q e sentemose. (prende la sedia per sè)

Ottavio. Ehi... (chiama)

Pantalone. Aveu bisogno de gnente?

Ottavio. Ho bisogno della sedia. Io non voglio durar23 questa fatica.

Pantalone. Se no volè far24 vu, farò mi. (gli dà una sedia) Comodeve.

Ottavio. Vi ringrazio. (siede)

Pantalone. Sior Ottavio caro, nu semo colleghi nella tutela de vostra nezzar. Vorave che se fessimo onor, e che arrecordandose dell’impegno che avemo tolto...

Ottavio. Ehi. (chiama)

Pantalone. Cossa ve bisogna?25

Ottavio. Su questa seggiola io non ci posso stare.26

SCENA XI.

Un Servitore e detti.

Servitore. Signor, ha chiamato?

Ottavio. Fatemi portare la mia poltrona.

Servitore. Sì signore. (parte)

Pantalone. Caro sior Ottavio, ve piase molto i vostri comodi.

Ottavio. Oh, io sì veh. Voglio goder più che posso; e non ho altro bene, e non godo altro che la mia comodità. Questa sedia dura mi ammacca, con riverenza, il di dietro.

Pantalone. No so cossa dir, tutto xe un avvezzarse. Ma tornemo al nostro proposito. Sta putta, come che diseva, xe granda e vistosa. In casa pratica della zoventù...

Ottavio. (Sì va rimescolando sulla seggiola.)

Pantalone. Coss’è? Cossa gh’aveu? [p. 350 modifica]

Ottavio. Ma se su questa seggiola non ci posso stare.

Pantalone. Ma cossa ghe xe? Dei chiodi, dei spini27?

Ottavio. Via, via, parlate. Vi scaldate per poco. Io non vado mai in collera...

Pantalone. Alle curte: sta putta in casa no sta ben.

Ottavio. Vi è sua madre. (rimescolandosi)

Pantalone. So mare tien conversazion.

Ottavio. Conversazione di chi?

Pantalone. Oh bella! No savè chi pratica in sta casa?

Ottavio. Io non ci abbado. Sento gente andare innanzi e indietro, ma non m’incomodo dalla mia poltrona per vedere chi sia.

Pantalone. Compare, sè un bell’omo.

Ottavio. Mio cognato è morto, ed io son vivo.

Pantalone. Per cossa mo credeu che el sia morto?

Ottavio. Perchè si levava dal letto a buon’ora, perchè andava qualche volta in collera, perchè si prendeva di quei fastidi che non mi voglio prender io.

Pantalone. Ma vostro cugnà v’ha lassà tutor del so sangue in mia compagnia, e bisogna pensarghe.

Ottavio. Oh, ci penseremo. Ecco la mia poltrona.28 (Due servitori portano una poltrona e partono. Ottavio siede) Ora parlate, che vi ascolto con comodo. (si va accomodando ora da una parte, ora dall’altra)

Pantalone. Manco mal. Mi crederia necessario de metter sta putta in t’un retiro, fin che ghe vien occasion de maridarse. Cossa diseu?

Ottavio. Sì, mettiamola.

Pantalone. Gh’ho anca dà qualche motivo, e par che la sia contenta.

Ottavio. Buono. (prende il tabacco con flemma)

Pantalone. Bisogna che pensemo tra de nu, dove che l’avemo da metter.

Ottavio. Ci penseremo. (dà tabacco a Pantalone) [p. 351 modifica]

Pantalone. Grazie, no ghe ne togos.

Ottavio. Io, quando non prendo tabacco, dormo.

Pantalone. Mo caro vu, se no fare del moto, creperè.

Ottavio. Mio cognato che faceva del moto, è crepato prima di me. Voi fate del moto?

Pantalone. Eccome!

Ottavio. Creperete avanti di me.

Pantalone. Orsù, lassemo ste freddure, e parlemo sul sodo. Gh’aveu gnente vu in vista per liogar sta putta?

Ottavio. Io? Non so nemmeno chi stia di qua e di là della mia casa.

Pantalone. Donca troverò mi.

Ottavio. Sì, trovate voi.

Pantalone. Cossa credeu che se possa dar all’anno?

Ottavio. Io non so far conti.

Pantalone. No savè far conti? Mo chi spende in casa vostra?

Ottavio. Brighella.

Pantalone. E chi ghe rivede i conti?

Ottavio. Mia sorella.

Pantalone. E tra la sorella e el servitor i ve manderà in rovina,

Ottavio. Eh, che non mi voglio ammalare per queste cose.

Pantalone. (Manco mal che la roba de sta pupilla la manizzo mit). (da sè) Orsù, za che vu no volè intrigarve, farò mi. La metterò in t’un liogo, dove che la starà ben; la sarà ben trattada, e se spenderà poco, e saremo seguri che la gh’averà un’ottima educazion.

Ottavio. (si va addormentando.)

Pantalone. Penseremo po a mandarla. Me xe sta fatto qualche ricerca: ma no trovo gnente a proposito. Intanto xe necessario che anca vu de l’assenso per metter sta putta in retiro, e per passarghe la so dozzena e quello che bisogna. Ah! Cossa diseu? Ve par che parla ben? Oh siestu maledetto! El dorme. Sior Ottavio! [p. 352 modifica]

Ottavio. Chi è? (si sveglia con flemma)

Pantalone. Aveu sentìo cossa che ho dito?

Ottavio. Niente affatto.

Pantalone. Donca cossa faremio?

Ottavio. Quello che fate voi, è ben fatto.

Pantalone. Orsù, deme el testamento de vostro cugnàu, acciò possa servirmene, e farò mi quel che poderò, senza disturbarve.

Ottavio. L’ho io il testamento di mio cognato?

Pantalone. Sior sì. L’altro zorno ve l’ho lassa, acciocchè considerò quel ponto del fidecommisso per la lite che s’ha da far.

Ottavio. Io non me ne ricordo.

Pantalone. L’averè letto pulito!

Ottavio. Quando leggo due righe, mi vien sonno.

Pantalone. Donca vegnimelo a dar, e destrighemose.

Ottavio. Io non so dove sia.

Pantalone. L’avere messo in tel vostro burò.

Ottavio. Bene, prendetelo.

Pantalone. No volè vegnir a darmelo?

Ottavio. Sto tanto bene; non mi incomodate.

Pantalone. Oh caro! Via, le chiave, e lo torrò mi.

Ottavio. È aperto.

Pantalone. El burò averto?

Ottavio. Sì, aperto, io non serro mai.

Pantalone. Dove tegnìu i vostri bezzi?

Ottavio. Tutti in tasca.

Pantalone. E no se fa mai conti?

Ottavio. Mai conti.

Pantalone. Co no ghe ne xe più, i conti xe fatti.

Ottavio. Così per l’appunto.

Pantalone. Bravo. Vago a tor el testamento. (s’alza)

Ottavio. Sì, andate.

Pantalone. E no savè gnente chi pratica da vostra sorella?

Ottavio. Io no. [p. 353 modifica]

Pantalone. Lassè far?

Ottavio. Ci pensi ella. (si va addormentando)

Pantalone. Ve par mo che un omo civil, come che sè vu, abbia da far sta vita cussì poltrona, senza abbadar alla casa, senza saver chi va e chi vien? Tolè, el s’indormenza. Zoccov, 29 tangaro maledetto. (gridando parte)

Ottavio.30 O cara questa poltrona! Si sta pur bene! Ma parmi che sarebbe ora d’andare a pranzo. Ehi, chi è di là?

SCENA XII.

Brighella, Arlecchino e detto; poi un altro servitore.

Arlecchino. Sior.

Brighella. Cossa comandela?

Ottavio. Si mangia o non si mangia?

Arlecchino. Presto, el patron vol magnar.

Brighella. El cogo ha messo su adesso la manestra. Da qua mezz’oretta l’anderà in tavola.

Ottavio. Non la finite mai.

Arlecchino. L’è quel che digo anca mi, non se magna mai.

Ottavio. Arlecchino, come stai d’appetito?

Arlecchino. Benissimo, per servirla.

Brighella. Vólela intanto, che demo una revista a sto contarello? (gli mostra un foglio)

Ottavio. Andate da mia sorella. Che minestra c’è?

Brighella. Risi.

Ottavio. Ah! Arlecchino, ti piace il riso31?

Arlecchino. Me piase32: no tanto come la polenta, ma poco manco.

Ottavio. Oh buona eh, quella polentina! [p. 354 modifica]

Arlecchino. Oh cara!

Ottavio. Che nuoti nel butirro.

Arlecchino. Oh vita mia!

Ottavio. Carica di formaggio.

Arlecchino. Ah, che non posso più!

Ottavio. Ah, ah, ah! Arlecchino va in deliquio per la polenta. (ride)

Brighella. Sior padron, ghe vol dei denari.

Ottavio. (Rldt) Arlecchino, te ne voglio far mangiar una pentola33 piena.

Arlecchino. Oh magari!

Brighella. Ala inteso, che ghe vuol denari?

Ottavio. Sì, ho inteso. Ti piacciono i capponi? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Corpo del diavolo! I capponi? Oh benedetti!

Ottavio. Voglio che ne mangiamo uno tanto fatto. Metà per uno, metà per uno. Mezzo tu, mezzo io. A te gli ossi, a me la carne. (ride)

Arlecchino. M’al tolt per un can, o per un gatto?

Ottavio. (Ride.)

Brighella. Me favorissela sti denari?

Ottavio. Ehi, Brighella, un cappone mezzo a lui, mezzo a me34: io la carne, Arlecchino l’ossa. (ride forte)

Arlecchino. (Eh, se sarò minchion, me danno). (da sè)

Brighella. Ma la favorissa de veder la polizza.

Ottavio. Non mi romper il capo. Ehi, Arlecchino, ti piacciono le torte?

Arlecchino. Sior sì.

Ottavio. Te ne voglio dar una cotta al sol. (ride) Cotta al sole.

Brighella. Vólela veder...

Ottavio. Cotta al sole.

Brighella. (Oh che freddure da ragazzo, da scempio, da babuin). (da se)

Ottavio. Cotta al sole. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Cotta al sole, cotta al sole. (burlandolo) [p. 355 modifica]

Ottavio. Asinaccio, mi burli?

Arlecchino. Coss’è sto asinaccio? Sangue de mi!

Ottavio. Zitto, non andar in collera. Non mi far alterare, per amor del cielo. Brighella, che cosa vuoi?

Brighella. O che la veda sto conto delle spese, o che la me daga dei denari, e tireremo avanti.

Ottavio. Eccoti una doppia, e tiriamo innanzi. Cotta al sole, (ride)

Arlecchino. No se burla i poveri servitori.

Ottavio. Zitto; un cappone, mezzo tu e mezzo io. (ride)

Brighella. Caro signor, la se perde con quel martuffo?

Ottavio. Mi diverto assai. Arlecchino mi fa ridere. Sei il mio buffone, non è vero?

Arlecchino. Mi buffon? Me maravei dei fatti vostri.

Ottavio. Zitto, non mi far agitare.

Servitore. Quando comanda, è in tavola.

Ottavio. Oh buono, buono. Andiamo, alzatemi. Cotta al sole, cotta al sole. 35

SCENA XIII.

Camera di Beatrice.

Beatrice e Florindo.

Beatrice. Caro signor Florindo, voi siete pieno di buone grazie.

Florindo. Voi siete la stessa bontà, e perciò mi soffrite.

Beatrice. Di grazia, accomodatevi un poco.

Florindo. L’ora è tarda, signora, non vorrei esservi di soverchio incomodo. (Non si vede la signora Rosaura). (da sè)

Beatrice. Per me è presto. Io non pranzo che due o tre ore dopo il mezzogiorno. Mio fratello vuol mangiar presto, e mangia solo. In questa casa ognuno la fa a suo modo.

Florindo. Così va benissimo, uno non dà soggezione all’altro. La signora Rosaura pranzerà con voi.

Beatrice. Oh si sa! Ella è la mia compagnia.

Florindo. Sarà alla tavoletta la signora Rosaura, sarà ad assettarsi. [p. 356 modifica]

Beatrice. Oh! è assettata ch’è un pezzo. Ella s’alza due o tre ore prima di me.

Florindo. Si vede che è una giovane di garbo.

Beatrice. Non dico perchè sia mia figlia, ma vi assicuro, è una gioja.

Florindo. Degna figlia di una sì degna madre.

Beatrice. Siete troppo obbligante. (gli fa una riverenza)

Florindo. (Se Rosaura non si vede, io me ne posso andare). (da sè)

Beatrice. Via, accomodatevi, sedete.

Florindo. In verità, è tardi. (guarda l’orologio) A casa mi aspetteranno.

Beatrice. Mezz’ora36 non incomoda. Tenetemi un poco di compagnia.

Florindo. Verrò dopo pranzo...

Beatrice. Aspettate; non volete nemmeno dare il buon giorno a Rosaura? Ehi, Corallina.

SCENA XIV.

Corallina e detti.

Corallina. Signora?

Beatrice. Di’ a Rosaura che venga qui subito. Il signor Florindo la vuol salutare.

Corallina. Sì signora. (Ma! Se vuol mantener la conversazione, ci vuol l’aiuto della figliuola). (da sè, parte)

Beatrice. Caro signor Florindo, non abbiate tanta fretta di partire.

Florindo. Quando si tratta di compiacervi, resterò. (siede)

Beatrice. Oh, così mi piace. Siete un uomo adorabile. (siede)

Florindo. (Guarda verso la scena.)

Beatrice. Che cosa guardate?

Florindo. Guardavo... Mi pareva di veder qualcheduno.

Beatrice. Badate a me. Come state di cicisbee?

Florindo. Oh, io non ne ho certamente. [p. 357 modifica]

Beatrice. Eh! sa il cielo quante ne avete.37

Florindo. No davvero, e vi dirò la ragione. Sono in disposizione di prender moglie, e non voglio perdere il credito.

Beatrice. Via, da bravo; quando mangiamo questi confetti?

Florindo. Se non trovo nessuna che mi voglia!

Beatrice. Non trovate nessuna? Eh furbetto!38

Florindo. Ma è così; io non la trovo.

Beatrice. Eh, se fosse vero che non l’aveste trovata...

Florindo. Da uomo d’onore, non l’ho trovata.

Beatrice. Sentite... Su tal proposito si potrebbe discorrere. (Questo sarebbe un buon negozietto per me). (da sè)

Florindo. (Se parlasse di sua figlia, ci aggiusteremmo presto), (da sè)

Beatrice. Per esempio, che cosa vi gradirebbe?

Florindo. Circa a che, signora?

Beatrice. Che so io? A dote, a condizione, a età?

Florindo. Ecco la signora Rosaura.

SCENA XV.

Rosaura e detti.

Rosaura. Che mi comanda?

Beatrice. Oh, siete venuta a sturbarci.

Rosaura. Bene, signora, io torno via. (in atto da partire)

Florindo. Non signora, non partite, giacchè per grazia della vostra signora madre ho l’onore di riverirvi.

Rosaura. Obbligatissima. Le son serva.

Beatrice. Avete finita la vostra manica?

Rosaura. Signora no.

Beatrice. Potete andare a finirla.

Rosaura. Anderò. Serva sua.

Florindo. Orsù, io vedo che a quest’ora la mia visita è a lor signore d’incomodo. (s’alza) Partirò per lasciarle in libertà.

Beatrice. Fermatevi: ho da parlarvi. [p. 358 modifica]

Florindo. Ma se per me fate partire la signora Rosaura, io non voglio certamente commettere questa mala creanza. Ho troppo rispetto per chi dipende da voi. (S’ella non resta, io parto). (da sè)

Beatrice. Via, quand’è così, Rosaura, restate.

Rosaura. Obbedisco.

Florindo. Favorite, accomodatevi. (offre la sua sedia a Rosaura)

Beatrice. No, no, qui dovete star voi. (a Florindo)

Florindo. Come comandate. Ecco, signora, un’altra seggiola. (Va a prender una sedia, la dà a Rosaura che siede, e Florindo resta nel mezzo.)

Rosaura. (Che giovine compito! Mi piace tanto). (da sè)

Beatrice. Signor Florindo, tornando al39 nostro proposito, di che condizione vorreste che fosse la vostra sposa?

Florindo. Dirò, signora...

Rosaura. Si fa sposo il signor Florindo?

Florindo. Mi farei sposo, se trovassi chi mi volesse.

Rosaura. Eh, troverà.

Beatrice. Oh, troverà, troverà. Badate a me. M’immagino la vorrete di condizione eguale alla vostra.

Florindo. Sì signora, io non voglio ne alzarmi, nè abbassarmi.

Beatrice. Bravissimo.

Florindo. Ma se non la trovo. (verso Rosaura)

Rosaura. Chi cerca, trova.

Beatrice. Eh, badate a me. Circa la dote? (a Florindo)

Rosaura. Mia madre ha avuto dodicimila ducati di dote,40 non è vero? (a Beatrice)

Beatrice. Bisogna vedere come anderà la lite del fidecommisso. Della mia dote sono padrona io. Sentite, io ho avuto ottomila ducati. Ma che! Ho sempre maneggiato io; ho il morto e nessuno lo sa. (piano a Florindo)

Florindo. La dote, come dicevo, non è il primo oggetto delle mie ricerche. Mi premerebbe trovare una sposa che mi volesse bene, che fosse di mio genio. (verso Rosaura) [p. 359 modifica]

Rosaura. Eh, la troverà.

Beatrice. Oh se la troverà! Ascoltatemi. (a Florindo) Ragazza non la vorrete.

Florindo. Oh ragazza! Come ragazza? Vi sono delle ragazze grandi, e delle ragazze piccole.

Beatrice. Voglio dire... (Non vorrei...) (da sè) Per esempio, di che età la vorreste?

Florindo. Eh, che so io? Così... (verso Rosaura)

SCENA XVI.

Corallina e detti

Corallina. Signora, il signor Lelio Bisognosi.

Beatrice. Oh venga, venga. Metti una sedia.

Corallina. Subito. (vuol metter la sedia presso Beatrice)

Beatrice. No, no, mettila da quell’altra parte.

Corallina. Vicino alla signorina?

Beatrice. Sì.

Florindo. (Questa mi dispiace. Lelio è un impertinente). (da sè)

Corallina. (Ho inteso: è una madre discreta; vuol far le parti giuste colla figliuola. Uno per una). (da sè, via)

Rosaura. Signora madre, io me ne potrei andare.

Beatrice. Eh via, restate, scioccherella41.

SCENA XVII.

Lelio e detti.

Lelio. Servitor umilissimo di lor signore; amico, vi riverisco. (Florindo lo saluta)

Rosaura. Serva.

Beatrice. Viva il signor Lelio, favorite, sedete.

Lelio. Son ben fortunato a ritrovar questa sedia vacante vicino a questa bella fanciulla42. [p. 360 modifica]

Beatrice. L’ho fatta metter io quella sedia.

Lelio. Oh, molto tenuto alle grazie della signora Beatrice. (Questo sarebbe un bocconcino per me; quattordicimila ducati di dote). (da sè)

Beatrice. Signor Florindo, ritiratevi in qua. (si accosta un poco) Torniamo al nostro discorso.

Florindo. (Questo signor Lelio non vorrei... basta...) (da sè)

Lelio. Signora Rosaura, quando vi fate sposa?

Rosaura. Non trovo nessuno che mi voglia.

Florindo. Eh, troverà.

Lelio. Eh, troverà, troverà.

Beatrice. Sì, sì, troverà. Venite qui, parlate con me. (a Florindo)

Florindo. Ma devo voltar la schiena alla signora Rosaura.

Beatrice. Eh, non abbiate questi riguardi. Ella parla col signor Lelio.

Florindo. (Questo è quel ch’io non vorrei). (da sè)

Lelio. (Oh, se mio padre volesse, potrebbe fare la mia fortuna!) (da sè)

SCENA XVIII.

Pantalone e detti.

Pantalone. Con grazia, se pol vegnir? (di dentro)

Beatrice. Questo vecchio mi secca.

Lelio. (Ecco, se mi vede qui, è capace di sgridarmi). (da sè, s’alza)

Pantalone. Patrone reverite. (le donne s’alzano, e lo salutano) Sior Florindo, servitor suo. Oe, qua ti xe, bona lana? (a Lelio)

Lelio. Sono venuto a riverire la signora Beatrice.

Pantalone. E a st’ora ti vien a far visite? Mi xe un’ora che ho disnà, e ho disnà solo, perchè el sior fio no s’ha degnà de favorirme.

Lelio. Oh, vi dirò...

Pantalone. Zitto, zitto, che po la discorreremo. Ale disnàw elle, patrone? [p. 361 modifica]

Beatrice. No, signore, è ancora presto.

Pantalone. Xe ancora presto? (verso Rosaura)

Rosaura. Ella dice che è presto, ma io mangerei.

Pantalone. Anca sior Florindo xe de quei che va tardi?

Florindo. Non sono de’ più solleciti, ma l’ora veramente è passata. Signore mie, con loro permissione. Padroni, vi sono schiavo. (Mi spiegherò col signor Pantalone). (da sè)

Beatrice. Ricordatevi che non abbiamo terminato il nostro discorso.

Florindo. Lo finiremo poi.

Beatrice. Dopo pranzo?

Florindo. Sì signora, verrò dopo pranzo. (parte)

SCENA XIX43.

Pantalone, Beatrice, Rosaura, Lelio.

Pantalone. (Conversazion, seguro, e la putta in mezzo. Ho paura che la se ne serva per oselx da rechiamo). (da sè)

Lelio. Signore mie, vi leverò l’incomodo.

Pantalone. Fermeve, sior, che v’ho da parlar.

Lelio. Benissimo. (Egli è il suo tutore; se me la desse, oh la bella cosa!) (da sè)

Pantalone. Siora Rosaura, l’avviso qua in presenza de so siora mare, che ho trovà el liogo da metterla, che la xe aspettada, e che quanto prima vegnirà la mia gondola a levarla, e la meneremo dove che l’ha d’andar.

Rosaura. Benissimo... Anderò dove mi condurranno.

Pantalone. Cossa disela, siora Beatrice? Gh’ala gnente in contrario?

Beatrice. (È meglio ch’io la lasci andare). (da sè) Che cosa dice mio fratello?

Pantalone. Lu xe contento.

Beatrice. Bene, se egli si contenta, sono contenta ancor io. [p. 362 modifica]

Pantalone. Manco mal, cussì faremo le cosse d’amor e d’accordo.

Rosaura. Signora madre, mi verrete a vedere?

Beatrice. Sì, sì, verrò.

Rosaura. Condurrete il signor Florindo?

Beatrice. Via, via, fraschetta, va a finir la tua manica. (parte)

Rosaura. E non si parla di mangiare.

Pantalone. Vederè, fia mia, che sarè tutta contenta.

Rosaura. Oh! io mi contento di tutto.

Pantalone. Brava, sieu benedetta. Se seguiterè cussì, a sto mondo sarè felice. Beato quello che ve toccherà. No ve dubitè, fia mia, siè bona, e el cielo ve assisterà. A so tempo ve farò novizzay se vorrè, e stè certa che averziròz ben i occhi, e no ve darò ne un spuzzettaaa, nè un scavezzacollo, ma un putto sodo, che ve possa mantegnir da par vostro, e che ve voggia ben.

Rosaura. Grazie, signor Pantalone. (Oh se mi desse il signor Florindo, lo prenderei tanto volentieri!) (da sè, parte)

SCENA XX44.

Pantalone e Lelio.

Pantalone. Sior fio, son qua da ela.

Lelio. Eccomi a’ vostri comandi. (Bisogna imbonirlo). (da sè)

Pantalone. Voleu pensar a muar vita, o voleu che mi pensa a farve muar paese?

Lelio. Signor padre, vi domando perdono dei dispiaceri che finora vi ho dato. Conosco che ho fatto male. Ne sono pentito, e mi vedrete intieramente cangiato.

Pantalone. Distu dasseno, o xelo un dei to soliti proponimenti?

Lelio. Dico davvero, e lo vedrete.

Pantalone. El cielo voggia che ti dighi la verità, e che ti pensi [p. 363 modifica] una volta al fin; che co son morto mi, ti pol deventar miserabile. Intrae ghe ne xe poche; bezzi no ghe n’ho, e se ghe n’avesse, i fenisse presto. Ti no ti sa far gnente; se no ti gh’averà giudizio, ti sarà un pitocco.

Lelio. Pur troppo dite la verità. Conosco anch’io che la fortuna non mi ha finora molto assistito, e che dall’industria mia poco posso sperare. Voi, signor padre, potreste farmi felice.

Pantalone. Come? In che maniera?

Lelio. Dandomi per moglie la signora Rosaura.

Pantalone. Siora Rosaura?

Lelio. Sì, ha quattordici mila ducati di dote. Sarebbe la nostra fortuna.

Pantalone. Tocco de desgrazià; adesso capisso la rason, perchè ti vien via facendo la gatta morta: Sono pentito, vi domando perdono, mi vedrete cangiato. Ti vorressi che te dasse sta putta per muggier, no miga per el so muso, ma per i quattordese mile ducati, per magnarghe la dota, per destruzzerla in pochi zorni, e po lassarla una miserabile e desperada. Con che cuor, con che conscienza, con che stomego me la vienstu a domandar? Credistu che no sappia el to proceder, le to belle virtù? A più de sie putte ti ha promesso, e ti le ha tutte impiantae, e a tutte, furbasso, ti gh’ha magna qualcossa. Te piase le sgualdrinelle, e ti ghe n’ha una per tutti i cantoni. So tutto, tocco de infame; so i segreti che passa tra ti e mio compare chirurgo. Son to pare, xe vero, e son tutor de Rosaura, e poderia, se volesse, tirarme la dota in casa, e dartela per muggier. Ma son un omo d’onor, no vôi precipitar una putta per meggiorar la mia casa, per contentar un mio fio, un fio scavezzo, un fio relassà. Ti zioghi, ti va all’osteria, ti fa el buio, ti è pien de donne; ti porti via quel che ti pol a to pare: ti gh’ha diese vizi un più bello dell’altro, e ti me domandi Rosaura per muggier? E ti me dà da intender, che da un momento all’altro ti t’ha cambià? No te credo, no te ascolto; mua vita, e te crederò; tendi al sodo, e te abbaderò. Ma se ti seguiti sta carriera, no solo no te vôi [p. 364 modifica] maridar, ma te scazzarò, te manderò in Levante, te saverò castigar: e ti imparerà a to spese, che la fortuna no xe per i baroni; che el cielo non assiste, no provede a chi gh’ha massime indegne, a chi deturpa el so sangue e la propria reputazion. (parte)

Lelio. Ah! mio padre mi vuol rovinare del tutto. Egli potrebbe con questo matrimonio rimettermi, e non lo vuole; e mi vuol vedere precipitato. Perdere quattordicimila ducati di dote? Questa è una perfidia, è una vendetta che fa mio padre contro di me. Ma, giuro al cielo, non sono un balordo. Troverò io la maniera d’averla senza di lui. O col mezzo della madre, o con qualche inganno, giuro che l’avrò; e se mi riesce d’averla senz’opera di mio padre, io vorrò maneggiare la dote, e si pentirà di non avermi accordata una sì giusta, una sì onesta soddisfazione.

Fine dell’Atto Primo.





Note dell'autore
  1. Madre.
  2. Voce.
  3. Rustica.
  4. Si mettono.
  5. Insistono, e poi la vincono.
  6. Oggi dopo pranzo.
  7. A lungo andare.
  8. A collocarla.
  9. Figliuole.
  10. La bambina!
  11. Or ora.
  12. Svegliare.
  13. In un luogo.
  14. Si gioca.
  15. Le figliuole apprendono quel che insegnano loro le madri.
  16. Fretta.
  17. Seggiola.
  18. Nipote.
  19. Non ne prendo.
  20. La maneggio io.
  21. Cognato.
  22. Ceppo.
  23. Hanno pranzato.
  24. Uccello.
  25. Sposa.
  26. Aprirò.
  27. Un cacazibetto.
Note dell'editore
  1. Ed. Bettinelli: roda.
  2. Bett.: comprata lui.
  3. Bett.: testina.
  4. Bettin. e Paperini: Gran bel comodino è quella bauta.
  5. È unita nell’ed. Bett. alla scena precedente.
  6. Bett. aggiunge: nè bezzo, nè bagattin.
  7. Bett. e Pap. aggiungono: Io non sono un’imprudente.
  8. Bett. aggiunge: Mi parlo in fià e ela ciga.
  9. Bett.: Se vorla.
  10. Bett.: altro.
  11. È unita nell’ed. Bett. alla scena precedente.
  12. Bett.: ancor lei.
  13. Bett.: barba.
  14. Bett. e Pap.: il corpetto.
  15. Bett.: a contar i travi.
  16. Bett. e Pap.: un’oretta.
  17. È unita nell’ed. Bett. alla scena precedente.
  18. Bett.:Io credo di no.
  19. Bett. e Pap.: bustino.
  20. Bett. e Pap. aggiungono: colle maniche, colle alette.
  21. Bett. e Pap. aggiungono: adasietto.
  22. Bett. aggiunge: per omo.
  23. Bett.: far.
  24. Bett. e Pap.: farla.
  25. Segue nell’ed. Bett.: «Ott. Ehi! Pant. Mo via, cossa voleu? Ott. Su quella ecc.»
  26. Bett. aggiunge: Ehi!
  27. Bett. e Pap. aggiungono: dei corni?
  28. Qui comincia la scena VIII nell’ed. Bett.
  29. Bett. e Pap. aggiungono; salgher.
  30. Bett.: " Chi è? svegliandosi. Mi sognavo che il signor Pantalone gridava, e non c’è più. O cara ecc.».
  31. Bett.: Ti piacciono i risi?
  32. Bett.: I me piase.
  33. Bett.: caldara.
  34. Bett.: mezzo lui, mezzo io.
  35. (tutti via)
  36. Bett.: Una mezz’ora.
  37. Bett. e Pap.: Eh furbo! Sa il cielo quante.
  38. Bett.: Eh galeotto! Pap.: Eh sciamato!
  39. Bett. e Pap.: Ora, signor Florindo, ecc.
  40. Bett. segue: poco più, poco meno, non baderei.
  41. Bett.: fraschetta.
  42. Bett. e Pap.: ragazza.
  43. È unita nell’ed. Bett. alla scena precedente.
  44. È unita nell’ed. Bett. alle scene precedenti.