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358 ATTO PRIMO

Florindo. Ma se per me fate partire la signora Rosaura, io non voglio certamente commettere questa mala creanza. Ho troppo rispetto per chi dipende da voi. (S’ella non resta, io parto). (da sè)

Beatrice. Via, quand’è così, Rosaura, restate.

Rosaura. Obbedisco.

Florindo. Favorite, accomodatevi. (offre la sua sedia a Rosaura)

Beatrice. No, no, qui dovete star voi. (a Florindo)

Florindo. Come comandate. Ecco, signora, un’altra seggiola. (Va a prender una sedia, la dà a Rosaura che siede, e Florindo resta nel mezzo.)

Rosaura. (Che giovine compito! Mi piace tanto). (da sè)

Beatrice. Signor Florindo, tornando al1 nostro proposito, di che condizione vorreste che fosse la vostra sposa?

Florindo. Dirò, signora...

Rosaura. Si fa sposo il signor Florindo?

Florindo. Mi farei sposo, se trovassi chi mi volesse.

Rosaura. Eh, troverà.

Beatrice. Oh, troverà, troverà. Badate a me. M’immagino la vorrete di condizione eguale alla vostra.

Florindo. Sì signora, io non voglio ne alzarmi, nè abbassarmi.

Beatrice. Bravissimo.

Florindo. Ma se non la trovo. (verso Rosaura)

Rosaura. Chi cerca, trova.

Beatrice. Eh, badate a me. Circa la dote? (a Florindo)

Rosaura. Mia madre ha avuto dodicimila ducati di dote,2 non è vero? (a Beatrice)

Beatrice. Bisogna vedere come anderà la lite del fidecommisso. Della mia dote sono padrona io. Sentite, io ho avuto ottomila ducati. Ma che! Ho sempre maneggiato io; ho il morto e nessuno lo sa. (piano a Florindo)

Florindo. La dote, come dicevo, non è il primo oggetto delle mie ricerche. Mi premerebbe trovare una sposa che mi volesse bene, che fosse di mio genio. (verso Rosaura)

  1. Bett. e Pap.: Ora, signor Florindo, ecc.
  2. Bett. segue: poco più, poco meno, non baderei.