Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Camera di Beatrice.

Beatrice e Rosaura.

Rosaura. Signora madre, che cosa avete che siete malinconica? A tavola non avete mangiato niente.

Beatrice. Lasciatemi stare. Ho qualche cosa per il capo.

Rosaura. Siete in collera?

Beatrice. (Ha detto di ritornare1 Florindo). (da sè)

Rosaura. Siete in collera con me?

Beatrice. Eh, frascherie! (Se avrà premura, tornerà). (da sè)

Rosaura. S’io vado in ritiro, verrete spesso a trovarmi?

Beatrice. Senti, ti lascio andare, perchè2 ho qualche cos’altro da [p. 366 modifica] pensare; del resto il signor Pantalone non mi leverebbe la mia figliuola.

Rosaura. Se non volete ch’io vada, resterò.

Beatrice. No, va pure, ma assicurati che poco ci starai.

Rosaura. Perchè poco?

Beatrice. Se prendo marito, ti voglio con me, caschi il mondo.

Rosaura. Oh mamma mia! Volete maritarvi?

Beatrice. Può essere di sì.

Rosaura. Fate presto, fate presto. Oh che gusto! Averò il mio papà.

Beatrice. E poi subito mariterò ancora te.

Rosaura. Anche me?

Beatrice. Sì. Avrai piacere di essere sposa?

Rosaura. Signora sì.

Beatrice. E voglio io maritarti. Il signor tutore vada a comandare al suo figliuolo. Quattordicimila ducati di dota non si hanno a gettar via malamente.

Rosaura. Signora3 madre.

Beatrice. Che cosa vuoi?

Rosaura. Mi darete il signor Florindo?

Beatrice. Che Florindo? Che parli tu di Florindo? Egli non è per te. Florindo è giovine serio, sostenuto; non vuole una fraschetta; vuole una donna posata, una donna di garbo. Guardate che pretensioni!

Rosaura. Io non dico altro.

Beatrice. Il signor Florindo? Fa ch’io non ti senta più nominarlo.

Rosaura. Non dubitate, non lo nomino più.

Beatrice. Guardate la graziosa! Tutti quelli che vede, li vorrebbe per sè.

Rosaura. Tutti no, quello solo...

Beatrice. Zitto lì.

Rosaura. Non parlo. [p. 367 modifica]

SCENA II.

Corallina e dette.

Corallina. Signora, è qui il signor Lelio.

Beatrice. Venga, è padrone.

Corallina. (Oh! ella non dice mai di no). (da sè, parte)

Rosaura. Partirò, signora.

Beatrice. No, restate.

Rosaura. Ma non vorrei...

Beatrice. Fate buona cera al signor Lelio.

Rosaura. Signora sì.

SCENA III.

Lelio, Corallina e detti.

Lelio. M’inchino a lor signore.

Beatrice. Serva, signor Lelio.

Rosaura. La riverisco. (sostenuta)

Lelio. Signora Rosaura, che cosa vi ho fatto? Mi guardate sì bruscamente?

Beatrice. Via, senza creanza, trattatelo con civiltà.

Rosaura. Mi perdoni. Serva umilissima. Come sta? Sta benone? Posso servirla? Mi comandi.

Lelio. Oh compitissima!

Rosaura. (Basta?) (piano a Beatrice)

Beatrice. (Che schioccherella!)

Corallina. (Che buona ragazza per far tutto quello che vogliono! Una per casa ce ne vorrebbe). (da sè)

Lelio. Signore mie, vengo a riverirvi per ordine di mio padre. Egli si ritrova presentemente da quelle signore, colle quali ha destinato di mettere in educazione la signora Rosaura. Esse bramano di vederla e conoscerla prima di formare il contratto, e mio padre ha promesso di dar loro questa soddisfazione. Non ha potuto venire in persona a prendere ed accompagnare la signora Rosaura, onde ha mandato me colla gondola a pregarla di venir meco. [p. 368 modifica]

Beatrice. Con voi la fanciulla?

Lelio. Oh signora, non dicesi che venga sola. Si spera che l’accompagnerà la sua genitrice.

Beatrice. Io verrei... ma... aspetto visite... non mi conviene partir di casa.

Corallina. (Capperi! premono le visite! Più tosto senza pane, che senza conversazione). (da sè)

Lelio. Signora, se vi è d’incomodo, non è necessario che l’accompagniate voi stessa. Credo che per ogni onesto riguardo potrà bastare la cameriera.

Corallina. Ma io dalle bocche strette ci vado mal volentieri.

Lelio. Se la padrona comanderà, bisognerà andarvi.

Beatrice. Voi, Rosaura, che cosa dite?

Rosaura. Per me, mettetemi allesso, mettetemi arrosto, son qui.

Beatrice. Dov’è la gondola? (a Lelio)

Lelio. Alla vostra riva.

Beatrice. Che gondola è?

Lelio. La gondola di casa nostra.

Beatrice. Non so, non vorrei errare4.

Lelio. Ma che risolviamo? Dovrò dire a mio padre, che la signora Rosaura non ha voluto venire, o che voi non avete voluto che ella venga?

Beatrice. Aspettate. Corallina, va dal signor Ottavio mio fratello, digli quello che ha detto il signor Lelio, e se crede ben fatto che vada Rosaura, e che tu l’accompagni.

Corallina. Sì, signora. (Prego il cielo ch’egli dica di no). (da sè, parte)

SCENA IV5.

Beatrice, Rosaura e Lelio.

Beatrice. Ma voi che cosa dite? (a Rosaura)

Rosaura. Io resto, se volete; io vado, se comandate.

Lelio. La signora Rosaura è buona assai. [p. 369 modifica]

Beatrice. Oh, è una pasta di zucchero.

Lelio. Mi consolo infinitamente con voi. (a Rosaura) Siete adorabile. Il cielo vi ha colmato di cose buone.

Beatrice. Via, rispondetegli.

Rosaura. Grazie.

Beatrice. Oh che bel garbo!

Rosaura. Gli rendo infinitissime grazie. Se posso servirla, mi comandi. (con una riverenza)

Lelio. È veramente tutta compita.

Beatrice. Ha poco spirito, ma si farà.

Lelio. Nel luogo ov’io la conduco, avrà occasione di farsi spiritosa e prudente.

SCENA V.

Corallina e detti.

Beatrice. E bene, cosa ha detto?

Corallina. Già ve lo potete immaginare. Ha detto di sì.

Beatrice. Come di sì?

Corallina. Che vada, e che io l’accompagni.

Beatrice. Bene, se volete andare, andate. (a Rosaura)

Rosaura. Anderò.

Lelio. Sollecitiamo, perchè ci aspettano.

Rosaura. Son pronta.

Lelio. Lasciate ch’io vi serva. (le offre la mano)

Rosaura. Aspettate ch’io mi vada a mettere il zendale.

Lelio. Ma frattanto... (come sopra)

Rosaura. Obbligatissima. (gli dà la mano)

Beatrice. Via, un poco di disinvoltura, un poco di brio.

Lelio. Oh, imparerà.

Rosaura. Imparerò, imparerò. (parte con Lelio)

Corallina. (Se vuole imparar bene, non ha da partirsi di questa casa). (da sè)

Beatrice. E tu non vai?

Corallina. Vado. [p. 370 modifica]

Beatrice. Presto, non li lasciar soli.

Corallina. (Non ci abbada la madre, figurarsi se ci voglio abbadar io). (da sè, parte)

Beatrice.6 Veramente non è mal fatto ch’ella stia un poco lontana, sin tanto ch’abbia fatta scoperta l’inclinazione di Florindo. Oggi lo farò parlare, sentirò il suo sentimento. Se ha dell’inclinazione per me, come spero, non voglio che Rosaura mi sturbi; se poi avrà premura di lei... Non so... penserò quello che dovrò fare.

SCENA VI.

Brighella e detta.

Brighella. Con permission de vussustrissima.

Beatrice. Che cosa vuoi. Brighella?

Brighella. Son sta dal padron...

Beatrice. Dimmi: è partita Rosaura con Corallina?

Brighella. Sì signora. Le ho viste montar in barca col sior Lelio. Anzi, per dirghela, me son un poco maravegià, che la lassa andar do putte con quel zovenotto.

Beatrice. È figlio del signor Pantalone; è figlio del tutore.

Brighella. Ma el gh’ha poco bon nome per la città.

Beatrice. L’ha mandato suo padre.

Brighella. Lo sala de seguro, che l’abbia manda so padre? Mi so che tra padre e fiol ghe passa poco bona corrispondenza.

Beatrice. Tu mi metti in confusione. Sono partiti?

Brighella. Oh, a st’ora i sarà fora del rio7.

Beatrice. Ho mandato a chiedere a mio fratello il di lui parere.

Brighella. Apponto son sta dal so sior fradello per far sti conti, e no gh’è rimedio che el li voia far. Mi son un omo onorato, ho gusto de far conosser la mia pontualità; onde, se la se contentasse, la pregheria de farmeli ela i conti. [p. 371 modifica]

Beatrice. Mi sta sul cuore Rosaura.

Brighella. Comandela farme sta grazia?

Beatrice. Da’ qui, vediamoli. Che conti sono?

Brighella. La spesa quotidiana de un mese.

Beatrice. È troppo lunga questa faccenda. (Povera me, se Rosaura fosse ingannata!) (da sè)

Brighella. Se la comanda, lezzerò mi8.

Beatrice. Orsù, mi preme che andiate subito a vedere di Rosaura.

Brighella. Dove?

Beatrice. Fatevi dire da Ottavio il luogo dov’ella deve essere andata. Presto, non perdete tempo.

Brighella. Ma la nota?

Beatrice. La nota la vedremo poi.

Brighella. La guarda. Ho avudo 30 zecchini; ho speso 687 lire: resto creditor de lire 27.

Beatrice. Via, andate, che vi saranno bonificate.

Brighella. Volela che strazzemo el conto?

Beatrice. Sì, stracciatelo.

Brighella. Son creditor de 27 lire. (straccia la nota)

Beatrice. Andate, e tornate presto.

Brighella. Vado subito. (Oh che bella cossa! Che conti! Che dolce spender! Che grazioso magnar!) (da sè)

Beatrice. (Per bacco. Costui mi mette in agitazione. Ma finalmente ho chiesto consiglio a mio fratello). (da sè)

Brighella. Signora...

Beatrice. Non andate? [p. 372 modifica]

Brighella. L’è qua el sior Pantalon de’ Bisognosi.

Beatrice. Venga, venga, e voi aspettate in sala.

Brighella. (Ma el conto l’è strazzà). (da sè, parte)

Beatrice. Il signor Pantalone? Mi mette in maggior sospetto.

SCENA VII.

Pantalone e detta.

Pantalone. Son qua...

Beatrice. Le avete vedute?

Pantalone. Chi?

Beatrice. Rosaura e Corallina.

Pantalone. Mi no.

Beatrice. No?

Pantalone. No seguro.

Beatrice. Perchè non le avete aspettate?

Pantalone. Dove?

Beatrice. Da quelle signore.

Pantalone. Da quale signore?

Beatrice. Oh me infelice! Ah signor Pantalone, vostro figlio mi ha assassinata.

Pantalone. Come? Coss’alo fatto?

Beatrice. Oimè... È venuto in nome vostro... È venuto colla gondola... Ha detto che voi aspettate mia figlia... E l’ha condotta via colla serva. (con affanno)

Pantalone. (Ah tocco de desgrazià!) (da sè) Zitto, no la se affanna. El le averà condotte al retiro.

Beatrice. Le avete voi mandate a pigliare?

Pantalone. Siora sì, mi le ho mandae a tor.

Beatrice. Oimè, respiro.

Pantalone. (Oh poveretto mi! Quel sassin l’ha menada via. Ma bisogna che veda de coverzer e de remediar). (da sè)

Beatrice. Perchè non mi avete detto alla prima, che l’avete mandata a prendere?

Pantalone. Perchè no credeva che la fusse gnancora andada. [p. 373 modifica]

Beatrice. È andata; e voi perchè non l’avete aspettata?

Pantalone. Quanto sarà che la xe andada?

Beatrice. Un quarto d’ora.

Pantalone. Con chi xela?

Beatrice. Con Corallina.

Pantalone. E la lassa andar do putte de quella sorte con un tocco de zovenastro?

Beatrice. È venuto per parte vostra.

Pantalone. Perchè no xela andada ela co so fia? (alterato)

Beatrice. Ma che? Vi è qualche pericolo?

Pantalone. Pericolo, o no pericolo, la mare no ha da lassar andar in sta maniera la fia. La xe colla cameriera? Le cameriere, se sa che le se l’intende colle patrone. Xe vegnù mio fio? El xe un zovene, e dei zoveni no se se fida. (Oh bestia matta senza cervello!) (da sè)

Beatrice. Ho fatto chieder consiglio a mio fratello.

Pantalone. L’ha tolto conseggio da un omo de garbo.

Beatrice. Ma voi mi ponete in dubbi grandi. Non vorrei... Signor Pantalone, andate subito; se vostro figliuolo avrà ardir d’ingannarmi, giuro al cielo, me la pagherà.

Pantalone. Zitto. No sarà gnente. La putta sarà là che la me aspetterà. Dico solamente per la bona regola. Cossa dirà quelle bone creature, co le vederà do putte con un zovenotto? Giudizio, siora Beatrice, giudizio. Vago subito. (Oh poveretto mi! Dove sarali? Dove anderali? Ah infame! Ah traditor! Cossa averali fatto?) (da sè, parte)

Beatrice. Manco male che non vi sono inganni: ma se non fosse vero che il signor Pantalone avesse mandata a levar mia figlia, e che Lelio me l’avesse rapita, misera me! Che mai sarebbe? È vero, dovevo andar io. Ma aspetto il signor Florindo. Che vuol dire che ancor non viene! L’ora è tarda. Sono impaziente di rivederlo. Voglio andare ad attenderlo alla finestra. (parte) [p. 374 modifica]

SCENA VIII.

Camera di Ottavio. Letto disfatto, tavola piccola apparecchiata9.

Ottavio sulla poltrona presso la tavola, che beve, ed Arlecchino.

Arlecchino. Sior padron, elo contento che desparecchia?

Ottavio. Eh, vi è tempo, sparecchierai.

Arlecchino. Le son tre ore in ponto, che V. S. la xe a tavola.

Ottavio. A tavola non s’invecchia.

Arlecchino. Vólela intanto che ghe fazza el letto?

Ottavio. Or ora voglio andare a riposare un poco. Lo farai questa sera.

Arlecchino. Per mi manco fadiga, e più sanità.

Ottavio. Sì, dici bene, meno che si fatica, si sta più sani.

Arlecchino. Ma no vorria che i disesse, che son un poltron che no vol far gnente.

Ottavio. A me basta che tu abbadi in cucina, che aiuti al cuoco acciò la mattina si sbrighi presto, che sii attento a portarmi la zuppa al letto, ad apparecchiar la tavola, a far camminare la mia poltrona; queste sono cose che mi premono, alle quali voglio che tu abbadi con attenzione, con diligenza. Mi hai capito? (beve)

Arlecchino. Sior sì, ho capido.10

Ottavio. Oh, non voglio bever altro.

Arlecchino. Vólela che porta via?

Ottavio. No, lascia lì, spingi avanti questa poltrona.

Arlecchino. (Ho anca da menar la carriola). (da sè; fa correr avanti la poltrona)

Ottavio. Oh, così un poco di moto fa bene! Vammi a prender la mia pipa.

Arlecchino. Sior sì. L’aspetta che desparecchia. [p. 375 modifica]

Ottavio. Eh, non importa. La tavola apparecchiata non dà fastidio a nessuno. Va a prendere la pipa.

Arlecchino. Vado, sior sì. (Oh che poltron!11) (da sè, parte)

Ottavio. Bel gusto! Mangiare, bere, dormire, fumare, star a sedere, e non far niente! E non far niente!

SCENA IX.

Pantalone e detto.

Pantalone. Sior Ottavio, ve reverisso. (affannato12)

Ottavio. Servo, signor Pantalone. Che c’è, che vi vedo affannato?

Pantalone. Ho premura de parlarve, ma che nissun senta.

Ottavio. Oh, siete qui sempre colla vostra premura. Voi morirete13 presto.

Pantalone. Eh compare, se tratta de onor. Lassè che serra sta porta.

Ottavio. No, non la serrate.

Pantalone. Perchè?

Ottavio. Perchè aspetto la14 pipa.

Pantalone. Eh, altro che pipa. (vuol chiuder l’uscio)

Ottavio. Lasciatela aperta. Di che avete paura?

Pantalone. Via, quel che volè. Sappiè, sior Ottavio caro, che vostra nezzaa xe stada menada via.

Ottavio. Oh!

Pantalone. E no se sa dove che la sia.

Ottavio. Oh!

Pantalone. Quella cara vostra sorella l’ha lassada andar colla cameriera.

Ottavio. Oh!

Pantalone. E per scusarse, la dise che vu gh’ave dà conseggio. [p. 376 modifica]

SCENA X.

Arlecchino colla pipa, e detti.

Ottavio. Da’ qua la mia pipa. (si mette a fumare)

Pantalone. Via, sior; andè via, che avemo da descorrer. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Discorrè pur: cossa m’importa a mi?

Pantalone. Ma vu no gh’ave da esser.

Arlecchino. Fe cont che no ghe sia.

Pantalone. Sior Ottavio, fe andar via costù.

Ottavio. Oh!

Pantalone. Orsù: za che vedo che no v’importa, che no gh’avè fin de reputazion, vago via...

Ottavio. Aspettate, siate un poco più flemmatico; siete troppo furioso, morirete presto.

Pantalone. Co volè che parla, no vol costù presente.

Ottavio. Va via. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Ho da desparecchiar.

Ottavio. Va via.

Arlecchino. Ho da far el letto.

Ottavio. Va via.

Pantalone. E co sta flemma ghel disè?

Ottavio. Non voglio alterarmi.

Pantalone. Me deu licenza che el manda via mi?

Ottavio. Sì, fate voi.

Pantalone. Va via, va via, va via. (a calci lo caccia via)

Ottavio. (Ride) Bravo, ma io non l’avrei fatto.

Pantalone. No? Perchè?

Ottavio. Per paura di slogarmi una gamba. (segue a fumare)

Pantalone. Sior Ottavio, qua bisogna remediarghe. Sappia, e lo digo colle lagreme ai occhi, che Lelio mio fio ha fatto sta iniquità.

Ottavio. Oh! (fumando)

Pantalone. Spero che no ghe sarà gnente de mal, perchè ghe xe la cameriera, e po no ghe daremo tempo. Ho manda [p. 377 modifica] subito i mi barcaroli a veder, a cercar, e ho mandà altre quattro persone, acciò i me sappia dir da che banda i xe andai, dove che i se pol trovar: ma bisogna che anca nu se demo le man intorno. Presto, sior Ottavio, vestive, andemo fora de casa.

Ottavio. Aspettate ch’io finisca di fumar questa pipa.

Pantalone. Eh, che no ghe xe tempo da perder. Animo, destrigheve, vestive.

Ottavio. Avete la gondola?

Pantalone. Sì ben, gh’ho la gondola. Caro vu, andemo.

Ottavio. Che cosa dice mia sorella?

Pantalone. A ela no gh’ho dito gnente, che mio fio ha fatto la baronada. Ve prego, caro amigo, anca vu; se podemo, salvemo la reputazion della putta, e la vita del quel povero desgrazià. Mo via, destrigheve per carità.

Ottavio. Ecco, la pipa è finita: sarete contento.

Pantalone. Sia ringrazia el cielo. Via, vestive.

Ottavio. Ehi. (chiama)

Pantalone. Via, voleu che ve agiuta mi?

Ottavio. Oibò. Ehi. (chiama)

SCENA XI.

Brighella e detti.

Brighella. Signor.

Ottavio. Mi voglio vestire.

Brighella. (Oh che miracolo!) (da sè) Vólela lavarse le man?

Ottavio. Eh, non importa.

Brighella. (L’è do mesi che nol se le lava). (da sè)

Ottavio. Dov’è Arlecchino?

Brighella. L’è andà via brontolando, e no so dove el sia.

Ottavio. Tu solo non mi potrai vestire.

Pantalone. Mo via, destrigheve. Cossa ghe vol a vestirve? Ve aiuterò anca mi.

Brighella. Mi no gh’ho pratica. La perdona: dove tienla le scarpe? [p. 378 modifica]

Ottavio. Saranno sotto il letto.

Pantalone. Presto, caro vu, che preme. (a Brighella)

Brighella. (Porta scarpe vecchie affibbiate15) Ele queste?

Ottavio. Sì, queste.

Brighella. Come s’ha da far a metterle?

Ottavio. Oh, io non le tiro mai su le scarpe; patisco de’ calli. (si mette le scarpe a pianta16)

Pantalone. Cussì faremo più presto.

Brighella. Vólela la velada?

Pantalone. Oibò, metteve su el tabarro.

Ottavio. Sì, dite bene. Il tabarro.

Brighella. Dov’elo?

Ottavio. Sarà sul letto.

Brighella. El tabarro per coverta. (lo va a prendere)

Pantalone. Via, leveve suso.

Ottavio. Aspettate. (Brighella viene col tabarro) Dammi mano. (a Brighella)

Brighella. Son qua.

Ottavio. Anche voi. (a Pantalone)

Pantalone. Oh che pazienza! (Ottavio si leva e gli mettono il tabarro)

Brighella. Vólela la perucca?

Ottavio. Quanto mi spiace a levarmi la mia berretta! Sì, dammi la parrucca.

Brighella. Dov’ela?

Ottavio. Io non lo so.

Pantalone. Tolè, adesso no se troverà la perucca.

Ottavio. Aspetta... credo sia caduta dietro la seggetta.

Brighella. A profumarse. (la va a prendere)

Ottavio. È tanto che non l’adopero! (a Pantalone)

Pantalone. (Debotto no posso più. Ma se vago via mi, costù no se parte più de casa). (da sè)

Brighella. Ho trova la perucca. (porta la parrucca tutta arruffata)

Ottavio. Oh, bravo! [p. 379 modifica]

Brighella. Vólela che ghe daga una pettenada?

Ottavio. Eh, non importa.

Pantalone. Destrighemose. (con furia)

Ottavio. Siete un uomo molto furioso.

Pantalone. E vu molto flemmatico. (intanto Brighella gli leva la berretta, e gli mette la parrucca)

Brighella. El cappello dov’elo?

Ottavio. E lì fra il capezzale ed il muro.

Brighella. Una bella cappelliera!

Ottavio. Ma guarda bene, che dentro vi sono delle mele17.

Brighella. Dove vólela che le metta?

Ottavio. Sotto il capezzale. La mattina mi diverto. (a Pantalone)

Pantalone. Oh che pazienza!

Brighella. La toga el cappello. (gli dà un cappello straccio)

Pantalone. Oh, andemio?

Ottavio. La mia scatola. (a Brighella)

Brighella. Dov’ela?

Ottavio. Sulla poltrona.

Brighella. La toga. (gli dà la scatola)

Pantalone. Andemo.

Ottavio. Il fazzoletto. (a Brighella)

Pantalone. Oh poveretto mi!

Brighella. Dov’elo?

Ottavio. L’ho qui, l’ho qui. (se lo trova in seno)

Pantalone. Xela fenia? Andemio?18

Ottavio. Non andate in collera. Poco più, poco meno, son qui; quanto ci ho messo a vestirmi? Un mezzo quarto d’ora.19

Pantalone. Sia ringrazia el cielo; andemo una volta.20

Brighella. Signori, gh’è uno che domanda el sior Pantalon.

Pantalone. Chi xelo?

Brighella. Mi no lo cognosso. [p. 380 modifica]

Pantalone. Felo vegnir avanti.

Brighella. Subito.21 (va)

Pantalone. Chi mai pol esser questo? Chi sa che nol sia qualcun che me porta la niova d’aver trovà vostra nezza?

Ottavio. Può essere.22 (siede sulla poltrona)

SCENA XII.

Tiritofolo e detti.

Tiritofolo. Signor Pantalone, li ho ritrovati.

Pantalone. Oe, el li ha trovai. (ad Ottavio) Dove? (a Tiritofolo)

Tiritofolo. A Castello.

Pantalone. Oe, a Castello i xe. (ad Ottavio)

Ottavio. Ih! In capo al mondo.

Pantalone. In gondola, femo presto.

Ottavio. Ho paura dell’aria. Ditemi, è scirocco?

Pantalone. Contème, come i aveu trovai? (a Tiritofolo)

Tiritofolo. Ho preso una gondola, son andato a sorte cercandoli, e li ho veduti smontare.

Pantalone. In casa de chi xeli?

Tiritofolo. Sono...

Pantalone. Andemo, andemo, che me conterè per strada. Presto, sior Ottavio, andemo.

Ottavio. Oh! Stavo tanto bene! Aiutatemi.

Pantalone. Via, tolè; andemo subito. Più che se tarda, più cresse el pericolo.

Ottavio. Son qui.

Pantalone. Mo via con quella vostra maledetta flemma.

Ottavio. Mi cadono li calzoni.

Pantalone. Eh, andeve a far ziradonar, sier omo de stucco. So dove che i xe. I troverò mi. Andemo, compare Tiritofolo, andemo. (via con Tiritofolo) [p. 381 modifica]

Ottavio. (Torna a sedere) Che uomo furioso è quel Pantalone! Sa dove sono, li ha trovati, poco più, poco meno, non vi era tanta fretta. Ehi! Chi è di là?

SCENA XIII.

Beatrice, Ottavio e poi un Servitore.

Beatrice. Chiamate?

Ottavio. Sì, dove sono coloro?

Beatrice. Io non lo so. Che ha il signor Pantalone, che l’ho veduto andar via riscaldato?

Ottavio. È matto.

Beatrice. Avete gridato insieme?

Ottavio. Oh, io non grido mai.

Beatrice. E voi, che fate col tabarro ed il cappello?

Ottavio. Volevo appunto che me lo cavassero.

Beatrice. Ma perchè ve lo siete messo?

Ottavio. Avevo d’andare con Pantalone.

Beatrice. A far che?

Ottavio. A far che, eh? A cercare di quella bricconcella di vostra figlia.

Beatrice. Come? Non è ella da quelle giovani, ove deve esser collocata?

Ottavio. Sì, collocata! Lelio ve l’ha ficcata.

Beatrice. Oh cielo! Che dite? Lelio m’ha ingannata? Suo padre non l’ha mandata a prendere? Oimè! che sarà mai?

Ottavio. Orsù, non venite qui colle vostre smanie a farmi serrar il cuore.

Beatrice. Ah Ottavio! Ah fratello mio! Siamo rovinati! (piange)

Ottavio. Via, non piangete. L’hanno ritrovata.

Beatrice. L’hanno ritrovata?

Ottavio. Sì. L’hanno ritrovata a Castello.

Beatrice. Oh cielo! Dove? Insegnatemi dove. Anderò a ricercarla.

Ottavio. Non v’infuriate, è andato il signor Pantalone.

Beatrice. E voi perchè non ci siete andato? [p. 382 modifica]

Ottavio. Perchè mi cascano i calzoni.

Beatrice. Eh, uomo da poco, senza riputazione.

Ottavio. Io?

Beatrice. Sì, voi; ho mandato a chiedere il vostro parere per disimpegnarmi con Lelio, e voi avete detto che vada.

Ottavio. Bisognava mettermi in sospetto che Lelio mi potesse ingannare, e allora avrei detto di no.

Beatrice. Siete un pazzo.

Ottavio. Ehi, avete fatto crepare vostro marito, ma con me non fate niente.

Beatrice. Povera la mia figliuola! Che cosa sarà di lei?

Ottavio. Che cosa volete che sia? Niente.

Servitore. Signora, è il signor Florindo che vorrebbe riverirla. (a Beatrice, e parte)

Beatrice. Vengo. (parte)

Ottavio. Eh! quando si tratta di visite, mia sorella è lesta come un gatto. Non si ricorda più di sua figliuola. Oh, io anderò a riposare un poco.23 (si avvia verso il letto, e si chiude)

SCENA XIV.

Camera di Beatrice.

Beatrice e Florindo.

Beatrice. Oh bravo! Siete stato uomo di parola.

Florindo. Quando prometto, non manco.

Beatrice. Sediamo.

Florindo. Mi sono presa la libertà di portarvi quattro dolci del mio paese.

Beatrice. Oh obbligatissima! Troppo compito. ( 1 ) [p. 383 modifica]

Florindo. Dov’è la signora Rosaura? Vorrei aver l’onore di darne quattro anche a lei.

Beatrice. Glieli darò io, quando tornerà. Non è in casa.

Florindo. Non è in casa? È andata a spasso?

Beatrice. È andata a fare una visita.

Florindo. Senza di voi?

Beatrice. È colla cameriera.

Florindo. Signora, perdonatemi, faccio per istruirmi del costume. Al mio paese non si usa mandar le ragazze a far visite colla cameriera.

Beatrice. Oh, nemmeno qui. Ma è andata col suo tutore.

Florindo. Col signor Ottavio?

Beatrice. No, col signor Pantalone.

Florindo. Il signor Pantalone l’ho ritrovato in gondola con un altr’uomo, ora che venivo qui. Con lui non vi eran donne.

Beatrice. Sì, erano in un’altra gondola, ma ora sono tutti insieme. Orsù, parliamo d’altro. Questa mattina eravate di buon umore, e avete detto delle cose che mi hanno dato piacere.

Florindo. (Ho paura che la signora Beatrice me la voglia nascondere. Sarà in casa, e non vorrà ch’io la veda). (da sè)

Beatrice. Ecco, e poi diranno di noi altre donne, che siamo volubili. Stamane eravate di un umore, oggi siete di un altro.

Florindo. Ho mangiato malissimo.

Beatrice. Perchè?

Florindo. Non lo so nemmen io.

Beatrice. Sarete innamorato.

Florindo. Chi sa? Può anche essere di sì.

Beatrice. Vi conosco negli occhi.

Florindo. Ah, in amore non ho mai avuto fortuna.

Beatrice. Non direte sempre così.

Florindo. Chi sa? Ho paura di sì.

Beatrice. Se vi confidaste con me, forse forse vi trovereste contento.

Florindo. Oh signora mia, non mi devo prender con voi questa libertà.

Beatrice. Oh bella! Se io vi dico di farlo, non dovete avere riguardi. Già nessuno ci sente, la cosa resta fra voi e me. [p. 384 modifica]

Florindo. Signora... Voi avete una figliuola da marito.

Beatrice. È vero. Questo vuol dire che mi sono maritata assai giovine.

Florindo. Favoritemi in grazia, volete maritare la signora Rosaura?

Beatrice. A questo per ora io non ci penso. Il suo tutore la vuol mettere in un ritiro, sinchè le capiti una buona occasione. Rosaura è assai ragazza, per lei vi è tempo.

Florindo. (L’ho detto. Questa non è la strada; convien ch’io parli col signor Pantalone). (da sè)

Beatrice. Ora che questa figliuola sarà in ritiro, sarò sola, senza imbarazzi. Mi parrà di essere un’altra volta fanciulla.

Florindo. Signora Beatrice, se mi date licenza, vi leverò l’incomodo. (s’alza)

Beatrice. Volete partir sì presto?

Florindo. Deggio andare alla piazza; un amico mi aspetta.

Beatrice. Un amico o un’amica?

Florindo. Vi assicuro che non ho amiche.

Beatrice. Certo, certo?

Florindo. Certissimo.

Beatrice. In nessun luogo?

Florindo. In nessun luogo.

Beatrice. Nemmeno in questa casa?

Florindo. Qui poi... ho delle padrone ch’io venero.

Beatrice. Siete divenuto rosso.

Florindo. Sarà per rispetto.

Beatrice. Sedete un poco, non partite sì presto.

Florindo. Permettetemi; tornerò questa sera.

Beatrice. Via, v’aspetto; ma non mancate.

Florindo. (Questa sera vedrò l’idolo mio). (da sè) Servo divoto.

Beatrice. Addio, Florindo.

Florindo. (Che buona suocera sarebbe questa per me!) (da sè, parte) [p. 385 modifica]

SCENA XV24.

Beatrice sola. Che buon marito per me sarebbe Florindo! Tornerà questa sera; non è senza mistero la sua frequenza. Ma che sarà di Rosaura? Ah figliuola mia, dove sei? Misera me! Se non la trovano, se non la riconducono a casa, son disperata. Non ho altro che quest’unica figlia. Quanti stenti, quante fatiche vi vorranno, prima che come questa io n’abbia un’altra! îparte

SCENA XVI.

Camera nella casa trovata da Lelio a Castello.

Lelio e Corallina.

Corallina. Ditemi un poco, signor Lelio, che casa è questa dove noi siamo? Alla padroncina, che è semplice, potete dare ad intendere tutto quel che volete, ma io non credo sì facilmente. Dove sono queste signore del ritiro? Dove sono le fanciulle in educazione? Dov’è il signor Pantalone, che ci aspettava?

Lelio. Corallina mia, ho fatto trattenere Rosaura nell’altra camera colla padrona di questa casa, per aver libertà di parlar con voi che siete una giovane di proposito, che avete più discernimento della vostra padrona.

Corallina. Parlate pure. (Mi aspetto qualche bella scena), (da sè)

Lelio. In poche parole. Questa è una casa di persone mie dipendenti. Casa onorata, di povera ma onesta gente. Io sono invaghito della signora Rosaura, che desidero per moglie.

Corallina. Oh poter del mondo! che azione è questa? Che tradimento infame! che inganno! che iniquità! Così si assassinano due povere donne? Una innocente precipitata per sempre, ed io infamata col titolo di mezzana?

Lelio. Zitto...

Corallina. Che zitto? Siete un traditore, siete un indegno. Non [p. 386 modifica] mi sarei mai figurata un caso simile. Nessuno può intaccare in una minima parte la mia riputazione.

Lelio. Ma zitto...

Corallina. Voglio25 dire l’animo mio. Voglio che ci mettiate in libertà. Voglio condur via la padrona. Voglio tornare a casa. Dir tutto a vostro padre, per farvi castigar come meritate.

Lelio. Non vi riuscirà di farlo. Siete nelle mie mani.

Corallina. Credete voi di farmi paura? Giuro al cielo, non mi conoscete bene. Cane senza legge, senza riputazione. Bella cosa, eh? Condur via una povera ragazza innocente?

Lelio. Ma io la voglio sposare.

Corallina. Perchè non dirlo a vostro padre?

Lelio. Gliel’ho detto, e me l’ha negata.

Corallina. Se ve l’ha negata, saprà che non la meritate; siete26 un discolo, un vagabondo.

Lelio. Via, Corallina, ascoltatemi, che sarà meglio per voi.

Corallina. Non voglio ascoltar niente. Lasciatemi andare, o solleverò il vicinato.

Lelio. Corallina, questi sono zecchini, ascoltatemi.

Corallina. Via, che cosa mi volete dire? (si va calmando27)

Lelio. Io sono innamorato della signora Rosaura.

Corallina. Bene, e così?

Lelio. Un giovine che ama una ragazza per isposarla, commette alcun mancamento?

Corallina. Che spropositi! Signor no.

Lelio. Se il padre nega al figlio una sposa senza ragione, il figlio non ha motivo d’andar in collera?

Corallina. Amore... certamente... scalda il sangue.

Lelio. Quanti hanno fatto delle pazzie per amore?

Corallina. Ah! ne ho fatte anch’io qualcheduna.

Lelio. Deh, Corallina, compatitemi.

Corallina. Vi compatisco, ma queste non sono azioni da farsi. [p. 387 modifica] Condur via una ragazza con inganno? Con tradimento? E metter in pericolo la mia riputazione! Oh, questa non ve la perdono.

Lelio. Corallina mia, compatitemi. Tenete questi dieci zecchini; godeteli per amor mio, ed abbiate compassione di me.

Corallina. Oh, amore fa far le gran cose!

Lelio. Via, teneteli.

Corallina. Che sì, che li avete tolti a vostro padre? (li prende)

Lelio. Egli non me ne dà, ed io me ne piglio. Cara Corallina, pare a te ch’io non sia degno della signora Rosaura?

Corallina. Io non dico questo. Siete di egual condizione.

Lelio. È vero che ho goduto il mondo finora, ma i giovani col matrimonio si assodano.

Corallina. Sì, abbiamo degli esempi, che molti si sono assodati.

Lelio. Veniamo al fatto.

Corallina. Oh, qui sta il punto.

Lelio. Io era innamorato della signora Rosaura: mio padre mi mette in disperazione d’averla; che cosa doveva io fare?

Corallina. Ah... basta, è fatta, bisogna rimediarci.

Lelio. Se io la sposo, è rimediato ad ogni cosa.

Corallina. Avete detto nulla alla signora Rosaura?

Lelio. No, non ho avuto coraggio. Cara Corallina, diglielo tu.

Corallina. Sapete ch’ella vi voglia bene?

Lelio. Veramente io non lo so.

Corallina. E v’innamorate solo da voi28?

Lelio. Così è, sono innamorato.

Corallina. Di lei, o de’ quattordicimila ducati?

Lelio. E se buscassi li quattordicimila ducati, credi tu che non ve ne sarebbe un migliaio per Corallina?

Corallina. Un migliaio?

Lelio. Sì, un migliaio.29

Corallina. Vi prendo in parola. [p. 388 modifica]

Lelio. Ma Rosaura sarà poi mia?

Corallina. Lasciate fare a me.30

Lelio. Come farai?

Corallina. Niente, con una somma facilità. La signora Rosaura dice presto di sì. Con quattro delle mie parole ve la faccio sposar su due piedi.

Lelio. Mi raccomando.

Corallina. Mandatela qui, e non dubitate.

Lelio. (Mai più ho speso il mio denaro sì bene. Quattordicimila ducati: e quando Rosaura è maritata, la tutela è finita). (da sè, parte)

Corallina. Finalmente io posso sempre dire di essere stata tradita. La padrona mi ha obbligato accompagnar la figliuola. Chi ha da sognare, che un uomo che rapisce una ragazza, si vaglia di me per persuaderla? Dirò che ho gridato in vano, e niuno mi viene a guardare in tasca.

SCENA XVII.

Rosaura e detta.

Rosaura. E ancora non si vedono queste signore! Io non so che cosa mi dica. Direi degli spropositi.

Corallina. Oh che belle cose, che si sentono al giorno d’oggi!

Rosaura. Il signor Pantalone dov’è?

Corallina. Il signor Pantalone verrà.

Rosaura. Ma intanto che cosa facciamo qui? Era meglio ch’io stessi a casa a terminar la mia manica.

Corallina. Eh signora Rosaura, il vostro tutore ve ne vuol fare una brutta.

Rosaura. Oimè! il signor Pantalone?

Corallina. Sì, quel signor Pantalone, che pare il ritratto [p. 389 modifica] dell’onoratezza. Vi vuol mettere in un luogo, dove sarete trattata male e non uscirete più fuori in tempo di vostra vita.

Rosaura. E perchè mi vuol fare questa brutta cosa?

Corallina. Oh bella! Per mangiarvi la dote.

Rosaura. E mia madre?

Corallina. Vostra madre è d’accordo.

Rosaura. Tutti contro di me?

Corallina. Tutti contro di voi, e quel giovane dabbene del signor Lelio mi ha confidato ogni cosa.

Rosaura. Il cielo di ciò lo remuneri. Cara Corallina, aiutami per carità.

Corallina. Or ora deve venire il signor Pantalone; s’apre una porta nell’entrata di questa casa, vi caccia dentro, e non vedete più nè la madre, nè i parenti, nè gli amici, nè la vostra Corallina che vi vuol tanto bene. (fingendo di piangere)

Rosaura. Povera me! Che cosa ho fatto al signor Pantalone? Che cosa ho fatto alla mia signora madre? (piange)

Corallina. Povera ragazza!

Rosaura. Corallina, aiutami.

Corallina. Eh, se voleste far a mio modo, li vorrei far restare con tanto di naso.

Rosaura. Insegnami che cosa ho da fare. Io farò tutto quello che mi dirai.

Corallina. Maritatevi.

Rosaura. Con chi?

Corallina. Col signor Lelio.

Rosaura. Bisognerà vedere s’ei mi vorrà.

Corallina. Se glielo dirò io, lo farà.

Rosaura. E poi...

Corallina. Qui vi vuole risoluzione. O dentro, o fuori.

Rosaura. Come! Non ti capisco.

Corallina. O sepolta fra quattro mura, o sposa del signor Lelio.

Rosaura. Sepolta? Oh, piuttosto sposa.

Corallina. Volete ch’io lo chiami?

Rosaura. Ah... Se si potesse... [p. 390 modifica]

Corallina. Che cosa?

Rosaura. Se si trovasse il signor Florindo...

Corallina. Qui non c’è altro rimedio. Di qui non si esce: o il signor Lelio, o nessuno; o sposa, o dentro.

Rosaura. Te l’ho detto: piuttosto sposa.

Corallina. Lo chiamo?

Rosaura. Sì; ma parla tu; non mi far vergognare.

Corallina. Eh, in due parole ci spicciamo. Signor Lelio, (chiama)

SCENA XVIII.

Lelio e dette.

Lelio. (Bravissima, ho sentito tutto). (piano a Corallina)

Corallina. Signor Lelio, giacchè avete avuto la carità di scoprirci ogni cosa, se vi sentite di soccorrere questa povera sfortunata, e sposarla, ella è pronta a darvi la mano.

Lelio. Non so che dire: sarò fortunato, se potrò assicurare la sua e la mia felicità.

Rosaura. (Piange.)

Corallina. Via, 31 rispondetegli.

Lelio. La compatisco, è confusa, si rasserenerà.

Corallina. Lo volete per vostro sposo? (Rosaura piange) Dite sì, o no.

Rosaura. Sì. (mestamente)

Corallina. E voi, signor Lelio, volete per vostra sposa la signora Rosaura?

Lelio. Sì certamente.

Corallina. Via, datevi la mano.

Lelio. Eccola, mia cara.

SCENA XIX.

Pantalone, Tiritofolo, Uomini e dette.

Pantalone. Alto, alto.

Corallina. Ah signor Pantalone! Aiutateci, siamo tradite, siamo assassinate. [p. 391 modifica]

Lelio. Come!...

Pantalone. Tasi là. Omeni, compagnele in barca. Adesso vegno anca mi. Andè in barca, putte, poverazze! andè là, care, andè là.

Lelio. (Ah, se tardava un momento!) (da se)

Rosaura. Signor Pantalone, vi prego, per carità...

Pantalone. Sì, fia mia, sì, andè là, parleremo...

Rosaura. Mi volete mettere in quel ritiro?...

Pantalone. Sì, ve metterò dove che volè.

Rosaura. Ma per carità...

Pantalone. Ande là, no me fa andar in collera.

Rosaura. Povera me! Ora vado a seppellirmi per sempre! (parte)

Corallina. Ecco lì, vostro figlio l’ha fatta bella. Povera la signora Rosaura! Se io non fossi stata coraggiosa e onorata...

Lelio. Eh, non le credete...

Pantalone. Tasi, furbazzo.

Corallina. (Oh, son sicura che crederà a me, più che a lui). (da sè, parte.)

SCENA XX32.

Pantalone e Lelio.

Pantalone. Tocco d’infame! tocco de desgrazià! Sastu per cossa che son restà indrio? Per cossa che me son fermà in sta camera? Ti crederà per criarte, per manazzarte, per rimproverarte delle to iniquità. No, sto mestier l’ho fatto abbastanza, son stuffo de farlo, e in do parole me sbrigo. Questa xe l’ultima volta che ti vedi to pare. Va, che el cielo te benediga. Arrecordete de quel che ti m’ha fatto passar. S’el cielo te darà desgrazie, se ti patirà, se ti pianzerà, arrecordete de to pare e di’: Adesso sconto le lagreme e i patimenti che gh’ho fatto soffrir. No te vôi più rimproverar, no te voi più dir gnente: el xe fiàb butta via, el xe tempo perso. I groppi xe vegnui [p. 392 modifica] al pettene, e no gh’è più remedio. Adesso ti dirà in tel to cuor: Cossa sarà de mi? Gnente a quel che ti meriti, ma tanto che basterà a castigarle. Menar via una putta? Sassinar una pupilla? Ah, questo me passa el cuor! Fio indegno, fio desgrazià! Vame lontan dai occhi, come te mando lontan dal cuor. Ah, volesse el cielo che te podesse allontanar anca dalla memoria! Ma pur troppo ti sarà fin che vivo el mio tormento, el mio rossor, la mia desperazion, la mia morte. (piange)

Lelio. Ah caro padre...

Pantalone. Via, furbazzo; indegno de nominar el nome de pare. (parte)

Lelio. Oh me infelice! che cosa sarà di me? Anderò lontano da mio padre? Dove? Come? Mille timori mi assaliscono. Oh donne! oh donne! E quell’indegna di Corallina mi ha mangiati i denari, e poi ancora m’insulta? Ah, ch’io son disperato! Vadasi incontro ad ogni avverso destino. (parte)

Fine dell’Atto Secondo.




Note dell'autore
  1. Nipote.
  2. Fiato.
Note dell'editore
  1. Bett. e Pap.: Oggi ha detto di tornare ecc.
  2. Bett. e Pap.: perchè in oggi ecc.
  3. Bett.: Eh! Signora ecc.
  4. Bett.: fallare.
  5. È unita alla scena preced. nell’ed. Bett.
  6. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.; Veramente aver meco mia figliuola mi comoda; poichè son sola, da me non viene nessuna donna, e sola non posso dar retta a tutta la conversazione. Per altro non è mal fatto ecc.
  7. Rivo, canaletto interno: v. Boerio.
  8. Segue nelle edd. Bett., Pap. ecc.: «Beatr. Sì, leggi, che ascolto. Brigh. Al primo del mese un cappon, lire 6; do colombini, lire 3; manzo lire 8, a soldi 14, fa lire 7; vedello lire 12, a soldi 18, vai lire 11; una pollastra, lire 4; una dindiotta, lire 11; formaggio per tavola, lire 3. Beatr. Non ho bene, se non so qualche cosa di Rosaura. Brigh. A dì 3 marzo una bosega  1 7 lire. Beatr. Oh diavolo! 7 lire. Brigh. Oh, el pesse l’era caro in quel zorno! Cievoli lire 3, a soldi 20 la lira, val lire 4. Salata... Beatr. Ma qui è fallato. Tre lire di cefali a 20 soldi la libra, Vogliono lire 3, e non 4. Brigh. Eh, ho fallà mi. Quattro lire de peso i era. Oh, se la savesse quante volte che fallo in mio danno! Mah! chi spende, sempre ghe remette. Salata soldi 12. Oio... Beatr. Orsù, mi preme che andiate subito a vedere... ecc.».
    1. Un pesce della specie del muggine. [nota originale]
  9. Bett. aggiunge: con vino.
  10. Bett. e Pap. aggiungono: (Za avanti sera l’è imbriago).
  11. Bett. e Pap. aggiungono: Oh che porco!
  12. Bett.: ansante.
  13. Bett.: morite.
  14. Bett. e Pap.: la mia.
  15. Bett. aggiunge: col calcagno piegato.
  16. Bett.: le scarpe sotto piedi.
  17. Bett.: pomi.
  18. Segue nell’ed. Bett.: «Ott. Prendiamo una presa di tabacco. Pant. Adessadesso me fe vegnir el caldo. Ott. Non andate in collera. (prende tabacco) Poco più ecc.».
  19. Bett. aggiunge: Andiamo. Brighella, va innanzi, mi darai mano a far la scala.
  20. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Ott. Aspettate; mi cadono i calzoni. Pant. Ve possa cascar la testa».
  21. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Ott. Ehi! Mi cadono li calzoni, a Brighella. Brigh. Poverazzo! Me despiase. via».
  22. Bett. e Pap. aggiungono: «Pant. Via! Zozo quel taolazzo». Quest’ultima parola significa bersaglio e, per metafora, deretano badiale: Boerio, Diz.
  23. Bett. aggiunge: Chi è di là? Segue poi altra scena: «Arlicchino. Sior. Gh ’ elo più quel vecchio maledetto dalle peae? Ott. Dammi mano. Arl. Son qua. Ott. s’alza. Spogliami. Arlicchino lo spoglia e getta in terra tabarro, cappello e perrucca. La berretta. Arl. Dov’ela? Ott. Presto, la berretta? Arl. Ma dov’ela? Ott. Povero me! Mi raffreddo. Da qui. si mette il cappello d’Arlecchino. Arl. Oh bello! Ott. Andiamo. si fa dar mano. Arl. Dove? Ott. A riposare un poco. Ari. (Oh che porco!) S’avviano verso il letto, e si chiude».
  24. È unita alla scena preced. nell’ed. Bett.
  25. Bett.: Zitto un corno, voglio ecc.
  26. Bett. e Pap.: perchè siete ecc.
  27. Bett.: con caldo, ma non tanto.
  28. Bett.: sgrafignati.
  29. Bett.: da vostra posta? (3) Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Cor. È troppo. Mi contento di meno. Lel. Via, cento zecchini. Cor. Quanti me ne date a conto? Lei. Tutti quelli che ho nella borsa. Eccola, se la vuoi. Cor. Vi prendo in parola ecc.».
  30. Segue nelle edd. Bett. e Pap.: «Lel. Avverti che non porterai li denari fuori di quella casa. Cor. Ih! Chi sono io? Qualche zingara? Mi maraviglio di voi. Lel. Come farai? ecc.».
  31. Bett, aggiunge: cosa avete?
  32. È unita alla scena preced. nell’ed. Bett.