Elegia di madonna Fiammetta (Laterza, 1939)/Chiose

Chiose

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Capitolo IX Nota
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CHIOSE

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Al capitolo primo.

[i denti seminati da Cadmo ]. Cadmo fu figliuolo di re Agenore re di Sidonia ed ebbe uno fratello chiamato Fenice e una sorella chiamata Europa, la quale Giove trasmutato in forma di tauro la rapí. Mandato il detto Cadmo col detto Fenice dal detto lor padre Agenore per ritrovare la detta Europa loro sorella, non trovandola, arrivaro in Boezia ove esso Cadmo uccise un serpente ad una fontana; del quale serpente seminò li denti dalli quali nacquero uomini armati, e gittata la terra ove furono seminati, infra loro subito s’uccisero l’uno con l’altro.

[Lachesis]: è una delle tre dèe c’hanno in potestate la vita umana.

[Proserpina]: fu figliuola di Cerere, la quale fu allevata in Cicilia. Andando a cogliere fiori appiè del monte di Etna, Pluto signore dell’inferno la rapí e menolla con seco e tolsela per moglie. E però dice Dante:

Tu mi risembri si come qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera.

[Euridice]: fu moglie di Orfeo la quale andandosi a sollazzo per un prato, pose i piè ad uno serpente il quale la morse nel calcagno e subito ne morí e andossene all’inferno. Per la quale il detto Orfeo andò all’inferno e tanto fece con suoi [p. 174 modifica] belli suoni che la riebbe, con patto che non si dovesse rivoltare indietro; ma lui poco savio rivoltandosi all’uscita della porta per vedere se ella uscìa fuori, la riperdé.

[nel peccato d’Atreo]. Atreo fu fratello di Tieste e figliuolo di Tantalo, padre di Agamennone e di Menelao, il quale cacciò il detto suo fratello Tieste del regno perché esso usò carnalmente con la sua donna; del quale volendosi il detto Atreo vendicare, sotto spezie di volersi pacificare con lui, lo fe’ ritornare e usò questa iniqua crudeltá: che uccise due figliuoli del detto Tieste e dièglili a mangiare. Per la qual crudeltá gl’iddíi corrucciati fèro una notte durare due dí.

[simile alle dèe vedute da Paris]. Qui madonna Fiammetta vuol dire che quando fu fatto quello convito ove furono invitati tutti gl’iddii e le dèe se non la dea della discordia nella valle d’Ida, per la qual cosa essa corrucciatasi e per mettere errore gittò intra costoro uno bellissimo pomo d’oro ove era scritto: «il pomo sia dato alla piú bella di costoro». Onde Pallas e Venus e Giunone, ciascuna il domandava dicendo che dovea essere suo. Di che il giudicio fu dato in mano di Paris come giusto giudice, e dovesse giudicare a chi di loro dovesse essere dato il pomo. Il quale giudicio esso rendè nella selva d’Ida appresso a Troia ove queste tre dèe andarono piú belle e piú ornate che poterono e seppero, promettendo ciascuna di costoro grande grazia al detto Paris, cioè: Pallas di farlo lo piú savio uomo del mondo; Venus gli promise di dargli la piú bella donna del mondo; e Giunone il piú potente e ricco uomo del mondo. Laonde esso rendè il giudicio che fosse dato a Venus. E cosí dice madonna Fiammetta che si ornò per parere piú bella a Panfilo.

[Venere santissima ]. Due sono gli usi di Venere, cioè Venere licita e Venere illicita. Venere licita è di stare il marito con la moglie e però dice santissima; illicita si è d’appetere il marito altra donna che la sua, e la donna altro uomo che il suo marito. [p. 175 modifica]

[Febo]: secondo li poeti è il sole.

[Gange]: è uno fiume in oriente e pare che Febo esca la mattina da questo fiume.

[l'onde d‘Esperia]: questo è il mare di Spagna.

[Arturo]: è una stella la quale ha per dominio lo tempo del verno.

[volante figliuolo]: cioè Cupido che signoreggia dalla ottava spera in giú per tutte sette le spere de’ pianeti.

[Febo vincitore del gran Fitone]. Febo fu lo dio della sapienza e della eloquenza. Fitone fu uno serpente mandato da Giunone che dovesse perseguitare Latona madre del detto Febo: il quale, Febo uccise per vendicare la iniuria della madre.

[accordatore delle celere di Parnaso]. Parnaso è uno monte il quale è in Boezia appresso alla cittá di Tebe ove anticamente fu lo studio de’ poeti al tempo del detto Febo ove era sacrificato come dio della sapienza ed eloquenza, e ove era una fonte sacrata alle muse della quale qualunque ne bevea diventava poeta.

[ora per Danne]. Danne fu una bellissima giovinetta figliuola di Peneo della quale primamente s’innamorò Febo e andògli dietro assai; ed ella fuggendo per non avere a fare con lui, fuggí a Peneo suo padre e chiamato dal suo padre aiuto, lui la trasformò in arbore lo quale si chiamò lauro; del quale Febo sempre portò ghirlanda e anco se ne corona li poeti.

[ora per Climenes]. Climenes fu la madre di Fetone, della quale s’innamorò Febo e ’ngravidolla e nacque il detto Fetone; il quale dimandò di grazia al detto Febo suo padre di [p. 176 modifica] voler governare li carri del sole, il quale Febo gli fece e lui li seppe mal governare, per la qual cosa morí.

[Leucotoe]. fu una giovine figlia di Orcamo re di Achimenia e d’Eurimene, e di lei s’innamorò Febo, e non vedendo modo di potere aver a fare con essa, si trasformò nella forma della detta Eurimene sua madre, e cosí ebbe a fare con essa.

[e per altre molte]: cioè che Febo s’innamorò di molte altre che qui non fa menzione: né di Circe, né di Clitie la quale il detto Febo convertí in mirasole. Onde dice Ovidio:

Vertitur ad Solem mutataque servat amorem.

[ Met., IV, 270.]


[pastore innamorato guardò gli armenti]. Febo s’innamorò della figlia d’Ameto re di Tessaglia, e volendo seguitare il suo amore si trasformò in forma d’uno pastore e posesi a guardare l’armento del detto Ameto, e per questo modo lui ebbe a fare con lei.

[in forma di candido uccello]. Giove s’innamorò di Leda, e non potendo avere a fare con lei si trasformò in forma d’un cigno; e andando la detta Leda per la riva del mare, Giove in forma di cigno le si gittò in grembo ed ebbe a far con lei, e nacque Castore e Polluce ed Elena, la quale tolse Paris etc.

[altra volta divenuto giovenco ]. Giove ancora s’innamorò di Europa figliuola di re Agenore e sorella di Cadmo e di Fenice con la quale non potendo avere a fare, stando la detta Europa in uno prato a cogliere fiori, lui si trasformò in giovenco e faccendo atti piacevoli ad essa li quali molto le piacquero; e per umiltá del detto giovenco li montò addosso da pie’, e lui subito la portò via e passò il mare e andò a Creti ed ebbe a fare con lei. [p. 177 modifica]

[quello che per Semelé]. Semelé fa una ninfa con la quale ebbe a fare Giove, e fu figliuola di Cadmo, e ingravidando nacquene Bacco.

[per Almeno mutato in Anfitrione]. Almena fu moglie di Anfitrione della quale Giove innamorò, e volendo stare con lei si trasformò nella forma di Anfitrione e stette con lei ed ebbene Ercule.

[quello che per Calisto mutato in Diana]. Calisto fu una giovinetta d’Arcadia figliuola di Licaone e fu donzella di Diana dea delle selve e delle cacciagioni; della quale Giove s’innamorò e trasmutossi in forma di Diana ed ebbe a far con lei, e ’ngravidolla e nacque Arcas il quale fu pur cacciatore. E Giunone volendosi vendicare dello strupo che avea commesso con Giove la trasmutò in orsa, la quale, Arcas predetto suo figliuolo andando a cacciare, non credendo che la madre fosse orsa, la volle sagittare per ucciderla; ma Giove per ricompensa dell’amore ch’ella avea avuto per lui la trasmutò in cielo e anche lo detto Arcas; e però si chiama Orsa maggiore e Orsa minore.

[o per Danae divenuto pioggia]. Danae fu figliuola di re Acrissio, della quale Giove s’innamorò; stando essa serrata in una torre, Giove si trasformò in aere pluvio ed ebbe a far con lei. Della quale nacque Perseo il quale fu virtuosissimo uomo e tagliò il capo a Medusa che col suo isguardo convertia gli uomini in pietra.

[iddio dell’armi]. Marte, iddio delle battaglie, s’innamorò di Venere moglie di Vulcano fabbro di Giove, e avendo a far con essa, fu accusato da Febo al detto Vulcano. Onde il detto Vulcano volendosi vendicare del detto dio Marte, fece reti di ferro sottilissime che non si poteano vedere, e misele intorno al letto ove faceano il fatto; e quando Marte andò a fare il fatto con Venere, furono tutti e due presi dalle dette [p. 178 modifica] reti a modo d’uccelli. Onde il detto Vulcano avendoli cosí presi, per vituperarli bene, mentre stavano cosí presi nelle reti, chiamò tutti gli altri dii che venissero a vedere, e cosí ivi vennero.

[trisulche ]: dice «trisulche» però che sono tre le generazioni di saette, cioè: una fende, l’altra arde, e l’altra scaccia.

[nella morte d’Adone]. Adone fu figliuolo di Mirra che fu figliuola di Cinara di cui essa s’innamorò, e fraudolentemente usò col suo padre; dalli quali fu ingenerato Adone il quale fu gran cacciatore, e di esso s’innamorò Venere dea della lussuria, lo quale fu morto cacciando da uno cignale. Essa Venere correndo a lui per aiutarlo, non potette, ma fe’ gran pianto sopra il suo corpo e lo fe’ trasmutare in fiore; e questo pone Ovidio nella fine del decimo libro Metamorfoseos.

[la pelle del gran leone]. Ercule andò per comandamento di Giunone sua matrigna che gli dimandò ogni cosa monstruosa del mondo, alla selva Nemea dove era un leone che divorava ogni persona che passava ivi, il quale leone con gran fatica ammazzò e scorticollo, e per segno di vittoria portò per sopravesta sempre la pelle del detto leone.

[il grande Anteo]. Ercule ancora per comandamento di Giunone fu mandato in Libia dove combatteo col forte Anteo gigante, il quale ogni fiata che toccava la terra se li raddoppiava la forza; ma pure con gran fatica l’ammazzò.

[lo ’nfernale cane]: cioè Cerbero il quale stava nella porta della entrata dello ’nferno con tre teste, e quando Ercule andò allo ’nferno per compagnia di Teseo il quale andò per tôrre Proserpina, secondo che pone Seneca in la prima tragedia, alla ritornata per forza menò legato il detto Cerbero cane infernale. [p. 179 modifica]

[ Clitennestra ]: fu moglie di Agamennone, la quale rimase a casa quando Agamennone andò a Troia. S’innamorò di Egisto, e poi che essa stette con lui carnalmente, quando Agamennone tornò vincitore di Troia, ella l’ammazzò, vestendosi una camicia senza capo.

[Silla], Silla fu figliuola di re Niso; s’innamorò di Minos re di Creti essendo esso ad oste contra del re Niso suo padre, il quale avea un capello d’oro in capo che mentre che li durava non potea perdere la sua guerra col detto capello reggendosi. Onde essa per compiacere al detto Minos di cui era innamorata, tagliò la testa al suo padre e presentolla al detto Minos. Onde pone Ovidio ch’ella si converti in lodola e ’l padre in fringuello, e però il fringuello è nemico della [lodola].

[Nettuno]: iddio del mare, innamorossi d’una bellissima giovane figliuola di Niteo di Tessaglia la quale ebbe nome Fenice, e andandosi un dí per la riva del mare, esso Nettuno la prese ed ebbe a fare con essa. E volendole far grazia disse che domandasse qual grazia volesse che elli faria. Onde essa domandò essere uomo, e cosí fu fatto, e poi l’aggiunse che non potesse essere ferito né morto di ferro. Da poi morí nella battaglia de’ Lapiti ricoperto di legname che li fu gittato addosso, e trasmutato in uccello che si chiama la fenice che uno solo se ne trova.

[Alfeo]: è un fiume nelle parti di Grecia cioè di Acaia, e s’innamorò di Aretusa, la quale, invocato l’aiuto di Diana però che era delle sue donzelle, non potendo fuggire la forza del detto Alfeo, si convertí in fiume detto dal suo nome.

[Semiramis]: fu moglie di re Nino e regina di Babillonia, la quale s’innamorò del figliuolo e fe’ iniquissime leggi, cioè che la madre potesse usare col figlio e la sorella col fratello. [p. 180 modifica]

[Biblis]: fu figliuola di Mileto e la madre ebbe nome Ciana, ed ebbe un fratello ch’ebbe nome Cauno del quale essa s’innamorò, e non potendo avere a fare con esso si converti in fonte del suo nome, secondo Ovidio:

Sic lacrimis consumpta suis Phoebeia Biblis
Vertitur in fontem, qui nunc quoque vallibus illis
Nomen liabet dominae nigraque sub ilice manat.

[ Met., IX, 663-665.]

[Cleopatras]: fu sorella di Tolomeo re d’Egitto, lussuriosissima femina tanto che ricercò il detto fratello di lussuria, per la qual cosa esso la mise in prigione e privolla della sua parte del reame. Ma poi che Cesare andò in Egitto per seguitare Pompeo, essa s’innamorò di lui, e cavolla di prigione ed ebbe a fare con lei e restituilla del reame; e però, morto il fratello, essa rimase reina.

[le nostra colombe ]. Le colombe secondo li poeti sono consacrate a Venere.

Al capitolo secondo.

[di Cerere in Erisitone ]. Erisitone fu di Tessaglia, grandissimo ispregiatore delli iddíi, il quale per ispregiare la detta Cerere tagliò una selva dove era una grandissima quercia consacrata ad essa. Per la qual cosa Cerere corrucciatasi contra di lui, gli mise una fame sí grande in corpo, che veruna cosa li bastava a saziarlo, e manicò se medesimo a poco a poco. La quale Cerere fu dea dell’abbondanza.

[Iside]. Essendo uno omo chiamato Ligdo dell’isola di Creti poverissimo, e’ ebbe una sua moglie chiamata Teletusa; la quale essendo gravida, esso le comandò che se facea figlio maschio lo dovesse nutricare, e se facea femina la dovesse [p. 181 modifica] annegare però che non l’averia potuto maritare per povertá. Per la qual cosa essa ne fu assai grama, e stando con gran malinconia le apparve in sogno Iside dea delli Egizii appresso del Nilo fiume, e sí la confortò e comandolle che non dovesse ammazzare la creatura fernina che facesse. Donde essa da poi partorio; e partorendo femina disse a Ligdo che era maschio e poseli nome Ifi per nome dell’avolo suo, e nutricollo come maschio fino in etá di otto anni e si li diè moglie una putta chiamata Iante; e venendo il tempo del matrimonio, Teletusa predetta fece orazione divotamente a Iside, che come di suo comando l’avea campata dalla morte, così li piacesse di trasformarla di femina in maschio acciò che potesse usare con la Iante sua moglie. E cosí fu esaudita che la prima notte dormendo con essa diventò maschio.

Al capitolo terzo.

[e quale Arunte]. Arunte secondo che pone Lucano fu grandissimo astrolago il quale per contemplare meglio il cielo delle stelle stava nelli monti della cittá dove fu Luni, e che sono in quello di Lucca dove si cava il marmo bianco. Esso essendo in questi monti, predisse la battaglia di Cesare e di Pompeo, che fu in Tessaglia.

Al capitolo quarto.

[Achemenide]. Secondo pone Virgilio, Omero e Ovidio, fu uno de’ compagni d’Ulisse, il quale rimase in Cicilia appiè delli scogli del monte d’Etna, quando Ulisse arrivò per fortuna nel detto loco dopo la distruzione di Troia. E tanto stette ivi perfino che passò Enea quando venne in Italia per far Roma, e da lui fu tolto per misericordia in sulle navi non ostante fosse greco; e cosí scampò dalle mani di Polifemo gigante che avea voluto divorare Ulisse con tutti li suoi compagni. [p. 182 modifica]

Al capitolo quinto.

[Ulisse etc.]. Qui è da sapere quello che pone Stazio nell’Achilleidos il quale scrive che da poi che Tetis ebbe partorito Achille, gittò sorti per vedere che fortuna dovea avere il detto Achille, per le quali conobbe che dovea essere morto nell’oste di Troia; e però quando venne il tempo che li Greci voleano andare a oste a Troia, essa sentendo che Achille era cercato, lo tolse da Chirone a cui l’avea dato perché l’ammaestrasse in fatto d’arme, e si lo portò nell’isola di Schiros e sí l’accomandò al padre di Deidamia e fello vestire in abito di femina acciò non si conoscesse che fosse maschio. E stando con questa Deidamia nel tempo ebbe a fare con essa e ingravidolla, della quale nacque Pirro. E sentendo li Greci che il detto Achille era nella detta isola e portava abito di femina e però non si conosceva, fûr mandati il detto Ulisse e Diomede che ’l cercassero, li quali andaro alla detta isola in forma di mercatanti, e dismontati delle navi andaro a visitare il re padre della detta Deidamia, ove portaro dilettissime gioie le quali mostraro alla detta Deidamia e alle sorelle, con le quali era Achille predetto. Ed esse prendendo gioie feminili, Achille inbracciò subito uno scuto e prese una spada in mano e cominciolla a brandire: li quali scudo e spada costoro aveano portato a studio di riconoscerlo. E cosí lo riconobbero e menaronlo via nell’oste a Troia ove fu morto.

[al misero Edippo]. Edippo, secondo pone Seneca e Stazio, fu figlio di Laio re della cittá di Tebe, e di Giocasta sua madre, la quale essendo gravida, il detto Laio ebbe responso dalli dii che doveva partorire un figliuolo che lo dovea uccidere, e però comandò alla detta sua donna che come avea partorito la creatura la dovesse far morire. Da poi partorí un bellissimo figlio maschio lo quale vedendolo essa sí bello, nol volle far morire, ma fello portare alli servi suoi che lo portassero in un bosco, e foraronli li piedi e con ritorte [p. 183 modifica] l’appiccarono a uno arbore; lo quale ritrovato da pastori fu nutricato da Polibo re di Foci, e venendo a etá virile, scontrandosi sventuratamente nel detto re Laio suo padre, l’uccise, e come piacque alla fortuna prese per moglie la detta Giocasta sua madre, della quale prima che la riconoscesse ebbe quattro figliuoli, due maschi e due femine: delli quali l’uno ebbe nome Etiocle, l’altro Pollinice; delle femine l’una Ismene, l’altra Antigone. Dopo li quali avuti figliuoli riconoscendo Edippo come avea morto il detto suo padre e avea per moglie la detta sua madre, considerata l’abominevole iniquitá in che esso stava con la madre, e lo padre ch’avea morto, per disperazione s’accecò. Da poi li detti suoi figliuoli vennero a divisione del regno tebano, s’uccisero insieme etc. Della qual morte contra d’essi esclama Stazio nel libro XI dove dice:

Ite truces animae funestaque Tartara leto
Polluite, et cunctas Rrebi consumite poenas!
Vosque malis hominum, Stygiae, iam parcite, divae:
Omnibus in terris scelus hoc omnisque sub aevo
Viderit una dies, monstrumque infame futuris
Excidat, et soli memorent haec proelia reges.

[Theb., XI, 574 579]

[le figliuole di Danao]. Danao ebbe cinquanta figliuole femine, ed ebbe un fratello il quale ebbe nome Egisto ch’ebbe cinquanta figliuoli maschi, li quali presero per loro spose le dette cinquanta loro consobrine; alle quali Danao comandò che ciascuna dovesse la prima notte ammazzare lo suo marito, e questo fe’ acciò che rimanesse senza erede per tutto lo reame [e lo reame] rimanesse a lui. E cosí fecero tutte eccetto una la quale ebbe nome Ipermestra che fu maritata col fratello minore ch’ebbe nome Lino, che non l’ammazzò. Sí che di cinquanta ne campò uno solo etc. Il detto Danao fu figliuolo di Belo.

[Narciso]: fu figlio d’una ninfa chiamata Liriope e il padre ebbe nome Cefiso, e volendo sapere che fortuna dovea [p. 184 modifica] avere il detto Narciso, dimandarono consiglio a uno indovino che si chiamò Tiresia padre di Manto che edificò la cittá di Mantova; ed esso rispose che il detto Narciso viverebbe lungo tempo se esso non conoscesse se medesimo. Della qual cosa fu fatto beffe; ma poi venne tempo nella sua iuventute che una ninfa chiamata Eco s’innamorò di lui ed esso non di lei, onde ella il biastimò che esso si potesse innamorare di cosa che mai non potesse usare. E cosí fu che andando esso a bere ad una fontana perché era cacciatore ed era stanco, mirando nella fontana vide la sua figura bellissima, e innamorossi di se stesso, e non conoscendosi si consumò d’amore, e cosí dagl’iddíi fu trasmutato in fiore, di cui dice Ovidio:

Credule, quid frustra simulacra fugacia captas?
Quod petis, est nusquam; quod amas, avertere, perdes.

[Met., III, 432-433.]


[Atalanta]: fu figliuola di Ceneo re, la quale fu bellissima e velocissima in correre, in tanto che avanzava ogni uomo, e però avea fatta legge che qualunque corresse piú di lei la dovesse aver per moglie, e se no gli dovesse essere tagliata la testa. La qual cosa intervenne a molti, ma Ipomenes figliuolo di Megareo vedendo la bellezza di costei, volle correre con essa non ostante il pericolo. E però che esso era bellissimo di corpo, essa quando il vide disposto a correre con lei, mossa quasi a pietá averebbe voluto essere vinta da lui. Ma pur essa ed esso corsero insieme, e vinse Ipomenes però che Venere li donò tre pomi d’oro e disseli: «Quando sarai alla metá del corso butterai uno de’ detti pomi, lo quale essa vedendo si ristará per ricòrlo, e tu allora passerai dinanzi, e cosí farai del secondo, e il terzo butterai quando sarai appresso al termine del corso acciò che giungi prima di lei». E cosí fe’, e a questo modo vinse e fulli data per moglie; e menandola a casa sua, arrivaro ad uno tempio consacrato alla dea Cibele ch’è detta madre delli iddii, ed entrando nel detto tempio per riposarsi, il giovine predetto, per poca continenzia, [p. 185 modifica] non avendo rispetto alla religione, ebbe a far con la detta Atalanta. Per la qual cosa Cibele disdegnatasi, amendui li trasmutò in lioni li quali tirano li suoi carri. E però dice Ovidio questi versi:

Pro thalamis celebrant silvas; aliisque timendi
Dente premunt domito Cybeleia frena leones.

[Met., X, 703-704.]

[fratello della dura morte]: cioè il Sonno del quale parla Ovidio nel Metamorfoseos ove dice:

Somne, quies rerum, placidissime, Somne, deorum,
Pax animi, quem cura fugit, qui corpora duris
Fessa ministeriis mulces reparasque labori!
Somnia, quae veras aequent imitamine formas....

[Met., XI, 623-626.]

[i cento d’Argo]. A dichiarazione di questo si deve sapere quel che pone Ovidio nel primo libro del Metamorfoseos, cioè che Inaco re d’Arcadia ebbe una sua figliuola bellissima che si chiamò Io della quale s’innamorò Giove; e avendo a far con essa coperto d’una nuvola, Giunone sua moglie vedendolo, per l’inganni che Giove le solea fare, sappiendo quel che era, cioè che Giove avesse a far con qualche sua amica: onde discese del cielo e andò ov’era la detta nuvola per vedere quel ch’era. Della qual cosa Giove avvedendosi, trasmutò la detta Io in una vacchetta, e Giunone vedendo quel che facea, lo domandò, e lui rispose che riguardava questa bella vacchetta la quale dicea essere generata dalla terra, ed essa Giunone, ciò udendo, la dimandò di grazia in dono perché conosceva bene che non era così come Giove dicea. La quale Giove le donò, ed essa la diè in guardia a un suo pastore lo quale ebbe nome Argo ch’ebbe cento occhi, acciò che la guardasse bene acciò che Giove non la potesse ritòrre, sí che quando dormissero cinquanta occhi, gli altri cinquanta [p. 186 modifica] vegliassero. Per la qual cosa Giove vinto dall’amore per la pena che vedea patire alla detta sua amorosa, andò a Mercurio iddio della musica che dovesse andare in forma di pastore al detto Argo, e sí sonasse tanto dolce che lo facesse addormentare con tutti gli occhi. E cosí fe’, e addormentato lo detto Argo, Mercurio gli tagliò la testa; onde Giunone ciò sentendo e vedendo il detto Argo così morto, il trasmutò in pavone, lo quale è uccello consacrato a Giunone, e però il pavone ha tanti occhi nella coda. E da poi la detta Giunone mise uno assillo alla detta vacca, e fecela andare fuggendo perfino in Egitto dove dopo molte fatiche Giove mosso a misericordia commutò con Giunone di non avere a fare mai piú con essa, e la fe’ nella prima forma ritornare, e la fe’ maritare a Nubi iddio d’Egitto, ed essa fu chiamata Isi iddea del Nilo fiume etc.

[Miseno]: fu trombetta di Ettore e figlio di Eolo, e da poi di Enea quando si partí da Troia per venire nelle parti d’Italia, lo quale affogò in mare per fortuna. Onde Enea da poi che l’ebbe fatto seppellire per comandamento della Sibilla Cumana, andando allo ’nferno lo trovò, e di lui parla Virgilio nel sesto in questa forma [Aen., VI, 164-5]:

Misenum Aeoliden, quo non praestantior alter
Aere ciere viros Martemque accendere cantu.

Alla quale Sibilla Enea quando venne in Italia andò per consiglio in che modo potesse andare allo ’nferno per andare al padre suo Anchise, dove essa il menò con gran fatica, sí come pone Virgilio nel sesto.

[l’oracoli della Sibilla Cumana]. La Sibilla Cumana fu bellissima giovane della quale innamorò Febo dio della sapienza, al quale se avesse voluto consentire sarebbe stata divina. E pure esso Febo sollecitandola con prieghi che domandasse ciò che ella volesse che ’l farebbe, essa prese un pugno d’arena [p. 187 modifica] marina e domandò di grazia di potere vivere tanti anni quanti quelli granelli erano d’arena. La quale grazia Febo le fé’, ma essa poi si fe’ beffe di lui; e avrebbele conceduto che fosse vissuta sempre giovine, ma non lo domandò. Abitò costei alla cittá di Cuma e ivi era l’abitazione in forma d’una spelunca dove essa dava risposta delle cose future a chi v’andava a dimandare, e scrivevale nelle foglie e ponevate per ordine in sul limitare della porta della spelunca, e quando riserrava, le dette porte faceano vento e facea spargere le dette foglie sí che non si potea sapere sentenzia che esse dicessero. Visse anni, secondo che pone Ovidio:

... nam iam mihi saecula septem
Acta vides; superest, numeros ut pulveris aequem
Ter centum messes, ter centum musta videre.

[Met., XIV, 144-146.]

[o Fortuna etc.]. Seneca nel principio della tragedia che comincia Trohas pone le parole d’Ecuba alla fortuna:

Quicumque regno fidit et magna potens
Dominatur aula nec leves metuit deos
Animumque rebus credulum laetis dedit
Me videat et te Troia...

[se non come a Mida la ricevuta grazia]. Mida fu re nelle parti d’Africa, il quale avendo onorato molto in casa sua Silleno sacerdote di Bacco iddio del vino, arrivando a casa sua il detto dio Bacco e rendendogli il detto suo sacerdote e simile onore faccendo a lui, il detto dio Bacco volendolo rimunerare gli disse che esso Mida domandasse qual grazia esso volea ch’e’ gli la faria. Onde esso Mida come avarissimo e cupidissimo domandò che ciò che toccasse diventasse oro; e cosí fu fatta la grazia: per la qual cosa ciò che toccava diventava oro, sí che bisognava che misero morisse in tanta ricchezza. Onde conoscendo esso la sua cupiditá e domanda dannosa che avea fatta, ripregò il detto iddio Bacco che gli piacesse ritôrgli la grazia, [p. 188 modifica] ed esso esaudendolo gli comandò che se volea essere liberato andasse al fiume Pattolo e dentro vi si lavasse e allora sarebbe libero della detta sconcia grazia per lui domandata; e così fe’. Per la qual cosa il detto fiume ha sempre menato vena d’oro. E vergognandosi poi esso Mida e avendo in odio la gente, abitò nelle ville e nel li boschi, ove esso stando ed essendo pur poco savio, volle contendere con lo iddio Pan dio de’ pastori e maestro delli suoni, che esso Mida sonava meglio di lui; e furono alla pruova e fu giudicato che lo dio Pan sonava meglio di lui. Laonde Febo per correggere la sua pazzia gli fe’ l’orecchie dell’asino le quali tenne ascose lungo tempo, ma uno suo famiglio vedendogli tondere li capelli vide che avea l’orecchie dell’asino, e non potendolo ritenere per paura lo disse alla Terra ove subito nacquero cannuccie le quali traendo il vento e percotendosi insieme diceano: «lo re ha l’orecchie dell’asino». Onde dice Ovidio:

Creber harundinibus tremulis ibi surgere lucus
Coepit, et ut primum pieno maturuit anno
Prodidit agricolam: leni narri motus ab austro
Obruta verba refert, dominique coarguit aures.

[Met., XI, 190-193].

[di prendere vendetta di Febo]. Febo come fu detto dinanzi fu iddio della sapienza e uccise Fitone il gran serpente il quale la terra produsse dopo il diluvio di Pirra e Deucalione. Vedendo un dí Cupido iddio dell’amore con l’arco in mano, si fe’ beffe di lui gloriandosi che esso Febo avea morto il detto serpente e dicendogli: «Perché porti tu l’arco e le saette le quali si convengono a noi?». A cui Cupido rispose: «Io ti farò provar la possanza dell’arco e delle saette mie». E mise mano all’arco e alle saette e prese una saetta d’oro la quale induce l’amore, e ferí il detto Febo. Onde Febo innamorò subito d’una giovinetta la quale ebbe nome Danne, figliuola di Peneo, ed essa il detto Cupido saettò e ferí con una saetta di piombo la quale ha questa virtú che caccia ogni amore; e però Febo l’amava con ardentissimo amore ed essa [p. 189 modifica] non lui per nullo modo, e pur perseguitandola ed ella pure fuggendo e non possendo un dí fuggirgli piú dinanzi e domandando e gridando l’aiuto del detto suo padre, esso suo padre la fe’ convertire in lauro: laonde Febo se ne fe’ ghirlanda per amore e ordinò che li poeti se ne dovessero incoronare e ancora gl’imperatori. Del quale parla Dante nel principio della terza cantica [ove] disse cosí invocando Febo:

O buon Appollo, all’ultimo lavoro
fammi del tuo valor si fatto vaso
come dimandi a dar l’amato alloro.
.    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    .    
Sí rade volte, padre, se ne coglie
per triunfar o Cesare o poeta
colpa e vergogna dell’umane voglie...

E simile tocca Ovidio dicendo:

Arbor eris certe — dixit — mea. Semper habebunt
Te coma, te citharae, te nostrae, laure, pharetrae;
Tu ducibus Latiis aderis, cum laeta triumphum
Vox canet et visent longas Capitolia pompas.

[Met., I, 558-561.]

[Semiramis simigliare]. Questa fu regina di Babillonia e fu alterissima e lussuriosissima sí che volle avere a fare col figliuolo, secondo pone Iustino nel libro primo.

[ Cleopatras ]. Questa fu figliuola di re Tolomeo re d’Egitto il quale fe’ decapitare Pompeo. Fu bellissima e lussuriosissima, con la quale ebbe a fare Cesare ed ebbene uno figliuolo chiamato Cesarione; poi fu moglie di Antonio nipote del detto Cesare e fratello di Ottaviano imperadore, e fu ornatissima donna la quale si uccise con l’aspide.

[alla Ciprigna Venere]. Ciprigna è detta cosí perché in Cipri fu molto sacrificata. [p. 190 modifica]

[Scevola somigliava]. Questo fu Romano compagno di Scipione Africano Maggiore e di Lelio vero amico del detto Scipione. Esso Scevola fu omo savissimo e governatore di grandi uficii di Roma, e fu chiamato Quinto Muzio secondo che pone Tullio in libro De amicitia, quando disse: «Quintus Mutius aghur Scevola» etc.

[il Censorino Catone o l’Uticense]. Due furono li Catoni, cioè Cato Censorino e l’altro Cato Uticense. Questo Uticense fu il piú diritto omo che mai fosse al tempo suo e per salvare la repubblica di Roma seguitò Pompeo, e dopo la morte di Pompeo rimase capitaneo dello esercito. Da poi sconfitto in Africa insieme con re Iuba, dimorando esso in Utica cittá, leggendo De immortalitate animi, uccise se medesimo. Il detto Cato Censorino fu valentissimo omo etc.

[Scipione Africano]: fu Romano e fu sopra tutti il piú valente omo che mai avesse Roma e le sue virtú sono innumerabili delle [quali] non si possono saziare li scrittori.

[ Cincinnato]: fu pur Romano valentissimo omo e robustissimo.

[Arcadio Partenopeo ]. Partenopeo fu figliuolo di Atalanta regina d’Arcadia e fu re essendo giovinetto. Fu bellissimo del corpo tanto che passò di bellezza nella sua etá ogni altro, e cosí similemente fu di grande animo, in tanto che quando Adrasto di Grecia andò ad oste alla cittá di Tebe per acquistarla a Etiocle figliuolo di Edippo del quale fu detto dinanzi, essendo il detto Partenopeo giovinetto di quattordici anni, fu uno delli sette re che andaro ad oste alla cittá di Tebe e lí fu morto.

[Ascanio]. Questo fu figliuolo di Enea e fu piacevolissimo e bellissimo. [p. 191 modifica]

[Deifebo]: fu figliuolo di re Priamo, il quale fu fortissimo in arme e peregrinò nell’Attica, e perciò dice Virgilio [Aen., VI, 500]:

Deiphebe armipotens genus alto a sanguine Teucri.

[Ercule]. Come fu detto, fu figliuolo di Giove e d’Almena, il quale fu il piú forte omo del mondo, e per segno di fortezza portava una ghirlandetta verde di quercia o d’oppio a dimostrare la sua grandezza.

[al grande Ettor]. Questo fu figliuolo di re Priamo, il quale fu fortissimo ed espertissimo in arme, e fu morto da Achille.

[Quasi un altro Achille]. Questo fu figliuolo di Pelleo figliuolo di Eaco re di Tessaglia il quale fu fortissimo e valorosissimo in arme e fu morto a Troia.

[Protesilao]. Questo fu re e come fu detto dinanzi s’innamorò di Laudomia, e quando andò ad oste a Troia esso fu il primo ucciso da Ettor perché prima discese delle navi loro. Onde disse Ovidio:

Troes, et Hectorea primus fataliter hasta,
Protesilae, cadis...

[Met., XII, 67-68.]

[Menelao]: fu fratello di Agamennone re in Grecia e fu marito della detta Elena e fu figliuolo di Atreo.

[Agamennone]: fu fratello del detto Menelao e figliuolo del detto Atreo e fu ferissimo in arme e fu capitano di tutta l’oste greca contra di Troia perfino a tanto che la vinsero e guastaronla. Poi Clitennestra sua moglie l’ammazzò com’è detto dinanzi. [p. 192 modifica]

[Pirro]: fu figliuolo di Achille e fu crudelissimo in arme e con fiero aspetto, il quale ammazzò re Priamo con gran crudeltá. Però dice Virgilio:

At non ille, satum quo te mentiris, Achilles
Talis in hoste fuit Priamo; sed iura fidemque
Supplicis erubuit, corpusque exsangue sepulchro
Reddidit Hectoreum, meque in mea regna remisit.

[Aen., II, 540-543.]

[Aiace]: fu figliuolo di Talamone figliuolo di Eaco com’è detto dinanzi e fratello di Pelleo padre di Achille, e fu figliuolo di Essiona sorella di re Priamo la quale tolse Talamone nella prima distruzione di Troia quando fu guasta per Ercule e per Giasone quando andavano a conquistare il vello d’oro. [Aiace] fu fortissimo e valorosissimo in arme il quale uccise se medesimo per disperazione non potendo avere l’arme di Achille.

[Orfeo]: fu di Tracia e fu figliuolo di Appollo il quale prese per moglie Euridice la quale morendo, esso pel grande amore che le portava andò allo ’nferno per averla con la sua cetera con la quale sonava molto bene. Essendo lí sonò tanto bene che la detta Euridice li fu conceduta con patto che non si dovesse mai voltare indietro; e voltandosi all’uscire della porta dello ’nferno, la riperdé e per questo non volle mai piú usare con femina. Laonde fu ammazzato dalle femine perché abbandonò il coito delle donne e badava alli giovani, come dice Ovidio:

Ille etiam Thracum populis fuit auctor, amorem
In teneros transferre mares, citraque iuventam
Aetatis breve ver et primos carpere fiores.

[Met., X, 83-85.]

[O felice colui etc.]. Di questa beata vita attribuita alli villani lavoratori secondo pone qui l’autore, parla Virgilio nel [p. 193 modifica] libro secondo Georgicon ove loda per la piú beata vita che si possa menare in questo mondo se il villano ci stesse contento, ove dice:

O fortunatos nimium, sua si bona norint
Agricolas! quibus ipsa procul discordibus armis
Fundit humo facilem victum iustissima tellus.

[vv. 457-459]

A dimostrare come la natura dell’omo si poria contentare di poco e non appetere cose superflue che sono la morte dell’omo, come che chiaro dimostra l’autore di questo, scrive Lucano in questa forma:

........ O prodiga rerum
Luxuries, numquam paro contenta paratis
Et quaesitorum terra pelagoque ciborum
Ambitiosa fames et lautae gloria mensae
Discite, quam parvo liceat producere vitam
Et quantum natura petat. Non erigit aegros
Nobilis ignoto diffusus consule Bacchus:
Non auro murrhaque bibunt, sed gurgite puro
Vita redit...

[Bell. civ., IV, 373 sgg.]


[li satiri etc.]. Li Satiri secondo li poeti sono gl’iddii delle ville; li Fauni secondo li poeti sono gl’iddii delle selve; le Driadi secondo li poeti sono le dèe delli boschi; le Naiadi secondo li poeti sono le dèe delle fonti; le Ninfe secondo li poeti sono le dèe delli fiumi.

[al suo biforme figliuolo ]: cioè Cupido figliuolo di Venere, dio dell’amore, il quale si pone nudo e cieco.

[Sardanapallo]. Secondo pone Iustino istoriografo e abreviatore di Trogo Pompeo, fu il terzo re che signoreggiò la cittá di Babilonia dopo la morte di Semiramis regina la quale [p. 194 modifica] fu detta dinanzi che fe’ vita lascivissima; e regnando il detto Sardanapallo, trovando il vivere degli uomini cosí corrotto per leggi che avea fatte la detta Semiramis, esso come uomo di buona vita corresse il detto vituperoso vivere ponendo regula al mangiare e al bere cioè a Cerere e a Bacco che sono due cose cagioni grandissime di lussuria; e però disse Terenzio: «Sine Cerere et Bacho friget Venus».

[li sommersi regni]. Troia fu guasta per amore di Paris e di Elena, e però dice qui li sommersi regni.

[Ariete], Ariete è uno delli dodici segni del Zodiaco, nel quale segno entra il sole a mezzo marzo e sta fino a mezzo aprile.

[ Spurinna]. Secondo pone Valerio Massimo in rubrica De Verecundia, fu uno giovine ateniese (?) il quale fu tanto bellissimo del corpo che per natura non poria essere stato piú bello prodotto, della cui bellezza era quasi presa ogni femina che lo riguardava; la qual cosa conoscendo esso che era cagione di fare peccare molte donne, esso come pudico e casto volle levare la cagione la quale inclinava l’animo delle predette donne a peccare, e sí si guastò ogni sua bellezza del suo viso, tagliandosi il naso, guastandosi la bocca e ogni altra bellezza del viso per volere vivere casto e non volere mai avere a far con donna.

Al capitolo sesto.

[il sole tornato etc.]: cioè il sole era tornato un’altra volta nel segno di Scorpione che è uno delli dodici segni del Zodiaco, e però vuol dire ch’era giá passato uno anno che Panfilo s’era partito da Fiammetta, ch’era stato del mese di ottobre, perciò che il sole entra nel detto segno a mezzo ottobre, e in quello segno era allora che Fetone figliuolo di Febo e di [p. 195 modifica] Climenes guidò il carro del sole onde arse tutto il mondo; e questo prova Ovidio nel secondo libro Metamorphoseos:

Est locus in geminos ubi bracchia concavat arcus
Scorpius et cauda flexisque utrimque lacertis.

[Met., II, 195-196.]


[Oenone]: fu una giovinetta pastorella delle ville di Troia, della quale s’innamorò Paris figliuolo di Priamo e presela per moglie prima che ritornasse alle delizie reali; e ritornato e riconosciuto per figliuolo di re Priamo, andò da poi in Grecia e tolse Elena moglie di Menelao, e menolla a Troia, la quale vedendo Oenone ebbe grandissima doglia.

[il misero Atamante]. Questo fu re di Tebe, il quale ebbe una sua moglie chiamata Ino della quale ebbe due figliuoli: l’uno si chiamava Learco, l’altro Melicerte. E perché Giunone sempre fu nemica di tutti quelli che discesono di Cadmo che edificò Tebe, come è stato detto dinanzi per Semelé della quale Giove s’innamorò, cosí inimicando fe’ mettere furia addosso al detto Atamante per sí fatta forma che vedendo esso la detta sua moglie con li figliuoli in braccio, gli parve una lionessa e correndo incontro a lei gridando «tendete le reti acciò che sia presa», e giuntala, tolse di braccio il detto figliuolo Learco dicendo ch’era uno leoncino e stoppiollo nel muro e ucciselo. Onde la madre fuggendo con l’altro chiamato Melicerte, giunta sopra uno scoglio del mare, si gettò con esso suo figliuolo. Per la qual cosa Nettuno iddio del mare a’ prieghi di Venere sí la trasmutò insieme col figlio in dea marina che fu poi chiamata Leuocotoe e lo figlio Palemone, e perciò dice Ovidio:

Annuit oranti Neptunus et abstulit illis
Quod mortale fuit, maiestatemque verendam
Inposuit, nomenque simul faciemque novavit:
Leucotheeque deum cum matre Palaemona dixit.

[Met., IV, 539-542]

[p. 196 modifica]

[dello innocente Ipolito ]. Questo fu figliuolo di Teseo duca d’Atene e figliuolo d’Ipolita regina dell’Amazone, la quale poi che fu morta, andando esso Teseo per essere divorato dal Minotauro e scampato per l’aiuto di Adriana e di Fedra figliuole di re Minos, si prese per moglie la detta Fedra. E però qui è da sapere quello che pone Seneca nella terza tragedia, che essendo andato Teseo in compagnia di Peritoo suo compagno allo ’nferno ed essendo rimaso il detto Ipolito in luogo del padre insieme con Fedra sua matrigna, essa s’innamorò di lui tanto fieramente che lo richiese d’amore, ed esso ch’era castissimo non volle consentire. Onde ella tenendosene svergognata e volendo sua vergogna ricoprire, quando Teseo fu tornato, l’accusò che l’avea voluta sforzare. La qual cosa udendo Teseo mattamente credette, e prendendo il detto suo figlio per farlo morire, e non potendolo avere, lo isbandí di tutto il suo reame. Onde esso fuggendo per andare alla cittá di Corinto, andando per la riva del mare, di subito levato in gran fortuna escia del detto mare un toro il quale parea che gittasse uno mare per la bocca e per le nari; onde li cavalli suoi che tiravano il carro spaventati per gran paura in lá e in qua fori d’ogni via il detto carro violentemente tirando, si ruppe il meditullo, cioè quello che muntene le rote, e cadendo il carro e Ipolito insieme con esso, le rote gli andarono addosso e tutto il dilaniaro. Da poi per aiuto delli medici resuscitò e fu chiamato Virbio vel bis vir, e perciò dice Ovidio in libro Metamorphoseos:

Hipolitus — dixit — nunc idem Virbius esto.

[Met., XV, 544.]

[Penelope]. Questa fu moglie di Ulisse, la quale fu castissima servando sempre la fede al detto suo marito aspettandolo che esso tornasse dopo la distruzione di Troia come gli altri erano tornati; ma esso rivolto in mare da molta fortuna, arrivò ove regnava Circe figliuola del Sole la quale s’innamorò d’esso e ritennelo assai tempo che non curava tornare a sua donna Penelope. [p. 197 modifica]

[ Cassandra ]: fu figliuola di re Priamo e fu assai bella del corpo, e d’essa s’innamorò Appollo iddio della sapienza che conosce ciò che deve venire e quel ch’è passato. Seguitando questa Cassandra per avere a fare con essa ed essa fuggendolo, pur vinta da molte promesse disse che volea consentire alla sua volontá se esso le dava grazia che essa potesse conoscere e indovinare le cose future. La qual cosa Appollo le concedette, e volendo avere a fare con essa, essa si fe’ beffe di lui e non gli volle osservare la promessa. Per la qual cosa Appollo vedendosi schernito da lei, non potendole togliere la grazia data, le tolse che quello che essa indovinasse non le fosse creduto, ma fosse riputata insana.

[Dite]. Questo è re dello ’nferno.

[Stige ]. Questa è una palude nello ’nferno, la quale è interpretata tristizia.

[Arpie]: sono uccelli che hanno collo e viso umano e furono tre, cioè Aellopo, Occipito e Celeno; le quali quando Enea arrivò nell’isola di Strofade e pigliando rinfrescamento e cibo, queste Arpie vennero alle loro tavole e rapirono le lor vivande, e col loro putrido sterco imbrattarono tutte le mense; laonde Enea prese uno arco per cacciarle via e sagittolle. Di che esse come nunziatrici di male fuggendogli innanzi predissero ad esso Enea che innanzi che giugnesse in Italia ove dovea acquistare nuovo regno e li discendenti suoi dovieno edificare Roma, loro bisognava per fame mangiare le mense. Del quale agurio fu Enea molto tristo e però dice Virgilio nel terzo di Eneidos:

Ibitis Italiani portusque intrare licebit;
Sed non ante datam cingetis moenibus urbem
Quam vos dira fames nostraeque iniuria caedis
Ambesas subigat malis absumere mensas.

[vv. 254 - 257.]

[p. 198 modifica]

[la celestiale Orsa]. In Arcadia fu una giovine bellissima ch’ebbe nome Calisto e fu serviziale di Diana; della quale Calisto s’innamorò Giove, e trasformatosi nella forma di Diana ebbe a fare con essa e ’ngravidolla, e nacquene uno figliuolo che si chiamò Arcas come fu detto dinanzi, ed essendo trasmutati in stelle fu chiamata Orsa maggiore e Orsa minore, le quali perché non tramontano come fanno l’altre, fingono li poeti che per comandamento di Giunone non si possano rinfrescar nel mare oceano come l’altre stelle.

[e taceranno li cani di Silla ]. Silla fu figliuola di Forco, la quale fu bellissima vergine e vagheggiata da molti li quali essa tutti rifiutava fuggendo alle ninfe marine e spezialmente a Galatea della quale era innamorato Ciclope detto Polifemo. La quale Silla standosi un dí lavandosi su nel lito del mare, Glauco iddio marino che prima fu omo pescatore e da poi diventò iddio gustata certa erba la quale avea fatti tutti li pesci ch’avea presi resuscitare, vedendola, subito s’innamorò di lei, ed essa schifandolo lo fuggia come suo nemico. Laonde il detto Glauco se ne andò a madonna Circe figliuola del Sole, la quale con suoi incanti e per virtú d’erbe facea venire gli uomini e le donne alla sua volontá, e narrando il detto Glauco il suo amore, raccomandandosi elli che lo dovesse aiutare, essa vedendolo, perché era bellissimo, s’innamorò di lui e richieselo d’amore. A cui Glauco rispose che il suo amore volea che fosse di Silla. Per la qual cosa Circe disdegnatasi, sapendo il luogo del mare ove la detta Silla pigliava rinfrescamento bagnandosi, essa Circe andò al detto luogo e per dispetto di Glauco, acciò che di lei avesse abominazione, quello luogo fece con sughi d’erbe e con suoi incanti infetto e maladetto. Al qual luogo quando la detta Silla andò com’era usata, e intrata dentro fino al corpo per bagnarsi, li peli ch’essa avea addosso tutti diventarono cani che sempre abbaiavano e latravano, e da poi fu trasformata in uno scoglio marino; il quale luogo è pericolosissimo in mare; onde di lei parla Ovidio: [p. 199 modifica]

Scylla venit: mediaque tenus descenderat alvo
Cum sua foedari latrantibus inguina monstris
Aspicit; ac primo non credens corporis illas
Esse sui partes, refugitque abigitque pavetque
Ora proterva canum: sed quos fugit, attrahit una...

[Met., XIV, 59 63.]

[e la rapace onda della ciciliana Cariddi]. Questo Cariddi è uno luogo di mare pericoloso in Cicilia, nel quale è sempre gran tempesta; onde le navi che vi vanno tutte periscono, però che quello luogo non ha mai posa. Onde dice Ovidio:

Scylla latus dextrum, laevum inrequieta Charibdis.

[Met., XIII, 730.]


[Dedalo]’, fu ingegnosissimo uomo e fece il Laberinto per suo ingegno, nel quale fu messo il Minotauro. Poi che Teseo l’ebbe ammazzato, il re Minos vi fe’ imprigionare dentro il detto Dedalo perché conobbe che per suo magisterio Pasife moglie del detto re Minos concepette del toro il detto Minotauro; ed essendo esso nella detta prigione e non potendone uscire perché era ben guardato, si fe’ ale per sua industria per sé e per Icaro suo figliuolo che era in prigione con esso, e postelesi alle loro spalle volarono fuori del detto Laberinto, ammonendo prima il detto suo figliuolo che non dovesse andare troppo alto per certe ragioni che gli assegnò. E non volendo fare li comandamenti del padre ei volle andare piú alto che non se li convenia, e cadde in mare e affogossi, onde quel mare d’allora in qua fu chiamato il mare Icaro.

[li carri di Medea], Medea fu figliuola di re Oete dell’isola di Colcos; come fu detto dinanzi, s’innamorò di Giasone e con lui se n’andò, del quale ebbe due figliuoli li quali essa Medea, poi che Giasone ebbe presa altra donna, li uccise per rabbia, e però ella volendo scampare, per incanti d’arte [p. 200 modifica] magica si fe’ portare in uno carro il quale era da dragoni menato. E però dice Ovidio:

Sed postquam Colchis arsit nova nupta venenis
Flagrantemque domum regis mare vidit utrumque,
Sanguine natorum perfunditur inpius ensis,
Ultaque se male mater Iasonis effugit arma.
Hinc Titaniacis ablata draconibus intrat
Palladias arces...

[Met., VII, 394-399-]


[Tizio c’è posto etc.]. Tizio fu gigante e bellissimo del corpo tanto ch’ebbe ardire di richiedere Giunone moglie di Giove, di lussuria, a cui essa rispose ch’era contenta; ma venendo al fatto essa Giunone interpose tra lei e ’l detto Tizio una nuvola nella quale, credendo avere a fare con la detta Giunone, mise il seme suo, onde ne nacquero li centauri. Per la qual cosa Giunone volendosi vendicare del detto ardito Tizio lo fe’ mettere nello ’nferno a sostenere questa pena: che gli avoltoi i sempre gli stracciassero il fegato; il quale fegato quando è consumato sempre ricresce. Però sempre ha pena perpetua. Onde dice Ovidio:

Viscera praebebat Tityos lanianda novemque
Iugeribus distentus erat...

[Met., IV, 457-458.]

[Tantalo]. Fu padre di Pelope, avarissimo, e però è posto nello ’nferno con questa pena: che esso è messo nell’acqua fino alla bocca e non può bere perché l’acqua li fugge dinanzi, e simile li pomi c’ha sempre presso alla bocca, e non ne può gustare. Sí che per pena nell’abbondanzia muore di fame e di sete. Onde dice Ovidio:

...tibi, Tantale, nullae
Deprenduntur aquae, quaeque imminet, effugit arbor.

[Mel., IV, 458-459.]

[p. 201 modifica] [e ancora il mísero Issione]. Questo è posto nello ’nferno su in una rota e ha questa pena: che sempre si volta e mai non ha fine. Onde dice Ovidio:

Volvitur Ixion et se sequiturque fugitque.

[Met., IV, 461.]

[le figliuole di Danao] perché uccisero li loro mariti e consobrini sono poste nello ’nferno con questa pena: che debbono vuotare uno gran fiume con li corbelli, e però non hanno mai posa. Onde dice Ovidio:

Molirique suis letum patruelibus ausae
Adsiduae repetunt, quas perdant, Belides undas.

[Met., IV, 463 - 64.]

[Giasone si partí di Lemnos]. A dichiarazione di questo è da sapere quello che pone Stazio nel quinto libro del Tebaidos, cioè che Isifile fu figliuola di re Toante dell’isola di Lemnos il quale andando per acquistare certi popoli a lui inimici e stando mollo tempo a ciò fare, le donne spregiavano il sacrificio di Venere dea della lussuria; e di ciò essa corrucciandosi verso di loro, quando ritornarono, avuta ch’ebbero la vittoria, alla detta isola di Lemnos, volendo la detta Venere vendicarsi di loro, mise una puzza di bocca tra loro donne, per la qual cosa essi le fuggiano come cose putride. Onde esse donne corrucciatesi diliberaro d’ammazzare tutti li loro mariti e ogni altro uomo. Alla quale diliberazione fu richiesta questa Isifile e promise ammazzare il detto Toante suo padre. La qual cosa non fe’ ma per pietá lo salvò, fatta a lui palese la detta diliberazione. Laonde le dette donne avendo ammazzati tutti li loro uomini e credendo che la detta Isifile avesse ammazzato il padre, fecero lei loro regina, reggendosi loro senza volere uomo. In questo tempo andando Giasone per acquistare il vello d’oro arrivò al porto della [p. 202 modifica] detta isola, il quale gli convenne vincere per forza, e fatta gran battaglia con le dette femine e poi ricevuto con grande onore dalla detta Isifile, promettendole toglierla per sua moglie, stette con lei e ingravidolla di due figliuoli, la quale poi esso abbandonò per Medea. Di che essa Isifile fu scacciata dal reame dalle dette femine per ch’avea campato il padre e rotta la fede. Sconosciuta fuggendo arrivò a casa di re Licurgo col quale s’acconciò per sua balia, e nutricando uno suo figliuolo il quale fu chiamato Archemoro il quale fu morto da uno serpente avendolo essa lasciato per mostrare l’acqua ove bevve l’esercito di re Adrasto e di Pollinice quando andaro ad oste alla cittá di Tebe, e tornando trovò il detto citello morto dal serpente. E il detto Adrasto volendola consolare, domandolla prima cui ella era, ed essa narrandogli, per consolazione della morte del citello [fece fare onori] quasi nella simile forma che fe’ fare Enea alla sepoltura di Anchise suo padre, come pone Virgilio. Nelli quali onori a caso o a fortuna essa Isifile conobbe i due predetti suoi figliuoli che avea avuti di Giasone.

[e tornò in Tessaglia a Medea]. Medea, come fu detto dinanzi, fu abbandonata da Giasone per un’altra donna, come pone Seneca nelle tragedie, per la qual cosa essa corrucciatasi uccise due figli che ebbe di Giasone e arse il palagio regale con la nuova sposa e fuggí da esso e andossene a Egeo padre di Teseo, il quale ricevendola con grande onore se la tolse per moglie; e da poi perché volle fare attossicare il detto Teseo, conosciuta la iniquitá sua, si fuggi da Egeo, onde dice Ovidio:

     Excipit hanc Aegeus, facto damnandus in uno,
Nec satis hospitium est: thalami quoque foedere iungit.

[Met., VII, 403 - 404.]

[Paris si partí]. Questo, come fu detto dinanzi, fu figliuolo di re Priamo, il quale essendo pastore s’innamorò di Oenone e [p. 203 modifica] presela per moglie. Da poi il detto Paris riconosciuto figliuolo di re Priamo, abbandonò la detta Oenone perché avea tolto la reina Elena.

[Teseo si partí]. Questo fu figliuolo di re Egeo e andando per essere divorato dal Minotauro nel Laberinto di Creti, scampò per aiuto di Adriana figliuola di re Minos e promise menarlasi con lui; e menandola la lasciò nel cammino per amore di Fedra sua sorella perché gli parve più bella Fedra, la quale Fedra avea promessa dare per moglie a Ipolito, ed essa Adriana prese poi per marito l’iddio Bacco. Per che, tornato Teseo disposò per moglie la detta Fedra, benché Fedra fosse malcontenta che la sorella fosse stata abbandonata. Standosi un dí la detta Fedra isguardando a Ipolito suo figliastro, s’innamorò di lui e richieselo di lussuria. A che lui non volle consentire perché era casto e non volea rompere la promessione fatta alla dea della castitá etc.

[che dirai tu di Deianira]. Questa Deianira fu moglie di Ercule la quale esso abbandonò perché s’innamorò d’una donna ch’ebbe nome Iole e funne innamorato sí fieramente che essa Iole lo minacciava come fosse stato uno fanciullo, e comandavali talora che filasse stoppa e voltasse le fusa, e di tutto era ubbidiente alla detta Iole.

[Filis]. Questa fu figliuola di Licurgo re di Tracia e fu dell’isola di Rodope; innamorossi di Demofonte figliuolo di Teseo col quale ebbe a fare. E partendosi da essa con promessione di tornare infra due mesi ed esso non tornando al termine e ancora aspettandolo altrettanto, essa per disperazione s’impiccò e convertissi in mandorlo. Onde il detto Demofonte tornando la trovò arbore e non femina. Questo pone Ovidio nella seconda pistola.

[Cloto Lachesis e Atropos]. Queste sono tre fate secondo li poeti c’hanno a disponere della vita umana, cioè Cloto [p. 204 modifica] inconocchia la rocca, che tanto è a dire quanto nascimento d’uomo, Lachesis fila, cioè a dire che mena la vita, Atropos taglia il filato, cioè la morte dell’uomo.

[Dido]: ebbe tre nomi, cioè Elissa, Fenissa e Dido; come fu detto dinanzi si uccise per amore di Enea.

[Biblis]: della quale fu detto dinanzi, s’innamorò del fratello ch’ebbe nome Cauno, col quale non potendo avere a fare, per disperazione s’impiccò.

[Amata]: come pone Virgilio, fu moglie di re Latino e madre di Lavinia la quale essa Amata volea che fosse moglie di Turno re de’ Rutuli, e aveala promessa con la volontá del detto re Latino, però che esso avea avuta risposta dalli iddii che convenia che la maritasse a omo che venisse di stranii paesi. Il quale fu Enea che quando venne in Italia per fare Roma venendo alla cittá di Laurento al detto re Latino, esso conobbe che questo era quello a cui esso dovea dare la detta sua figlia per moglie, e cosí fece. Però seguitò la guerra grande e le fiere battaglie tra Enea e il detto re Turno. Laonde la detta reina Amata vedendo che non potea seguire la volontá sua, per disperazione s’impiccò, vedendo la detta sua figlia moglie di Enea e non di Turno.

[come li Saguntini]. Sagunto, secondo pone Tito Livio in secundo bello punico fu una cittá in Spagna la quale fu fedelissima alla cittá di Roma, e però Annibale figliuolo d’Amilcare signore di Cartagine passando in Spagna nel principio della detta guerra pose assedio alla detta cittá di Sagunto; la quale struggendo per lungo assedio e li Romani non dando a loro soccorso, essi si tennero tanto per salvare loro fede, che mancando a loro la vettovaglia si condussero a mangiare ogni sozzura fino alli topi. E pur vedendo non potersi difendere, diliberaro di ardere loro e la detta cittá prima che venissero sotto la signoria del detto Annibale, e così fecero etc. [p. 205 modifica]

[o gli Abidei]. Abido fu un’isola abitata, ed essendo assediata da Filippo re di Macedonia fecero il simile come li sopradetti Saguntini.

[li velenosi sughi etc.]: cioè che Fiammetta si diliberò di attossiccarsi come fece Annibale e Socrate filosofo; il quale Annibale, secondo pone il detto Tito Livio, partendosi d’Italia ove era stato diciassette anni inimichevolmente con li Romani per andare a soccorrere la cittá di Cartagine la quale Scipione Africano maggiore osteggiava per lo popolo di Roma, esso Annibale fu sconfitto, laonde la detta Cartagine fu vinta per li Romani: per la qual cosa Annibale si fuggí al re di Prusia suo amico credendo essere da lui aiutato e favoreggiato. E conoscendo dopo molte cose la gran sua gloria e fama essere trasmutata in infelicissima disavventura, avvelenò se medesimo con uno anello il quale portava in dito, su la pietra del quale avea fatto porre il veleno.

[Filis]. Questa, come pone Ovidio nella seconda Epistola, ricevette in casa sua Demofonte e subito lei s’innamorò del detto Demofonte ed ebbe a fare con lui ed esso la sposò per sua donna e poi si partí da lei con promessione di tornare a lei come a sua sposa, il quale mai non tornò etc.

[e tu, o Mercurio]. Questo fu figliuolo di Maia figliuola di Atalante, e fu figliuolo di Giove e messaggiere degl’iddii come pone Ovidio nel secondo libro ove dice: «Pleionesque nepos ego sum, qui iussa per auras | Verba patris porto; pater est mihi Iupiter ipse».

Questo Mercurio s’innamorò d’una giovine figlia d’uno centauro la quale ebbe nome Erse e fu bellissima quanto a quel tempo si trovasse; e perché dormia nel mezzo di due sue sorelle che l’una ebbe nome Pandroso e l’altra Aglauros, esso non vedendo modo di poter aver a fare con la detta Erse appalesossi alla detta Aglauros ed essa gli promise che consentiria che esso Mercurio dormisse con Erse. Ma mossa [p. 206 modifica] da invidia del bene che pensò che dovesse avere la detta sua sorella, ingannò il detto Mercurio che non potè avere a fare con Erse. Per la qual cosa Mercurio corrucciatosi la trasmutò in pietra. Onde dice Ovidio:

Nec conata loqui est nec, si conata fuisset,
Vocis habebat iter: saxum iam colla tenebat
Oraque duruerant, signumque exsangue sedebat
Nec lapis albus erat: sua mens infecerat illam.

[Met., II, 829-832.]

Mercurio ancora è ricevitore dell’anime di comandamento di Giove e menale allo ’nferno e mettele nelli luoghi deputati secondo debbano ricevere debita punizione. E però dice ora Fiammetta pregando il detto Mercurio che riceva l’anima sua e mettala in luogo dove sia poca pena.

[Ecate ]. Ecate, Trivia e Diana è una medesima cosa, cioè la luna, ma è cosí nominata da’ poeti per diversi effetti però che Ecate è invocata dalle incantatrici in aiuto perciò c’ha predominio di notte, e queste arti si fanno generalmente di notte. E questo prova Ovidio in libro Metamorphoseos negli incanti di Medea ove dice:

Nox, — ait — arcanis fidissima quaeque diurnis
Aurea cum luna succeditis ignibus astra,
Tuque triceps Hecate, quae coeptis conscia nostris
Adiutrixque venis cantusque artisque magorum,
Quaeque magos, Telius, pollentibus instruis herbis.

[Met. VII, 192-196.]


Al capitolo settimo.

[Europa ]. Come detto è dinanzi, Giove trasmutato in forma di tauro la rapí, e da poi esso Giove trasmutò il tauro in segno celeste che si chiama Tauro nel quale il sole entra a mezzo aprile; e però dice qui venuta la primavera. [p. 207 modifica]

[Zefiro], Questo è uno vento dolce e soave che fa venire tutte le piante in frutto la primavera onde fanno li fiori; e però dice florigero.

[Borea], Questo è vento settentrionale freddissimo il quale fa il contrario di Zefiro che arreca le frondi agli arbori, e ’l detto Borea le fa cadere.

[al cielo ottavo]-, cioè l’ottava spera; secondo li filosofi e astrolaghi sono le stelle fisse, come noi vedemo.

[Narciso]. Come fu detto dinanzi s’innamorò di se medesimo ad una fonte e poi fu trasmutato in fiore.

[la madre di Bacco]-, come fu detto dinanzi, fu Semelé con la quale ebbe a fare Giove, onde nacque Bacco iddio del vino; ma qui tocca l’autore la veritá della finzione poetica, cioè che Semelé è la vite, e impregnandosi di Giove cioè dell’aere, fa al tempo le frondi e l’uve.

[le misere sirocchie di Fotone]. Fetone come fu detto dinanzi fu figliuolo di Climenes e di Febo, il quale perché steppe mal guidare il carro del sole, arse tutto il mondo ed esso cadde nel fiume che si chiama Po in Lombardia; e andandolo cercando la madre con le sue figliuole e sorelle del detto Fetone, le quali ebbero nome Fetusa e Iapece, arrivando sopra al detto Po trovando la sepoltura del detto Fetone, sopra essa faccendo gran lamento, per misericordia degl’iddii furono trasmutate in salci delli quali è gran copia sopra al fiume del detto Po.

[Espero]. Secondo li strolaghi è stella in cielo la quale è chiamata ancora lucifer, e volgarmente è chiamata stella diana. Espcro è chiamata quando apparisce la sera cioè nel tempo dell’inverno; e che questa sia una medesima stella e abbia diversi nascimenti prova Virgilio (?). [p. 208 modifica]

[Febea]: Cioè la luna con li raggi del suo fratello, cioè del Sole; e però dice Febea che fu sorella di Febo.

[Almena]: fu moglie di Anfitrione il quale essendo andato a studio e dovendo tornare, essa per meglio piacere al suo marito si adornò nobilissimamente; e cosí fece Fiammetta quando le fu detto che il suo Panfilo tornava.

[Icaro ]. Fu figliuolo di Dedalo; come fu detto dinanzi, uscendo del Laberinto per magisterio d’ale, cioè volando, volendo volare troppo alto, cadde in mare e annegò, e da poi fu chiamato dal suo nome il mare Icaro. Onde dice Ovidio:

Tabuerant cerae: nudos quatit ille lacertos
Remigioque carens non ullas percipit auras,
Oraque caerulea patrium clamanti a nomen
Excipiuntur aqua, quae nomen traxit ab ilio.

[Met., VIII, 227-230.]


Al capitolo ottavo.

[la figliuola d’Inaco]: ebbe nome Io, come fu detto dinanzi, della quale s’innamorò Giove. Copertala da una nube ebbe a fare con essa e trasmutolla in vacca la quale, contro sua voglia donò a Giunone sua moglie, ed essa la diede in guardia ad Argo suo pastore che aveva cento occhi; il quale Argo fu poi ammazzato da Mercurio. Laonde la detta Giunone cacciò questa vacca perfino in Egitto ove ritornata in pristina forma, divenne moglie di Osiri re d’Egitto.

[Biblis]. Come fu detto dinanzi, fu sorella di Cauno del quale ella s’innamorò; ma non potendo avere a fare con esso per disperazione s’impiccò, e per miserazione dell’iddii fu trasmutata in fonte, come piú chiaro fu detto dinanzi. [p. 209 modifica]

[Mirra]. Come fu detto dinanzi fu figliuola di re Cinara del quale essa s’innamorò e avuto a fare con lui fraudolentemente per aiuto e consiglio della sua nutrice e fuggendo da poi l’ira del detto suo padre, per miserazione degl’iddii fu trasmutata in arbore del suo nome. Onde dice Ovidio:

Flet tamen, et tepidae manant ex arbore guttae.
Est honor e lacrimis, stillataque robore murra
Nomen erile tenet nullique tacebitur aevo.

[Met., X, 500-502.]

[ Cenace ]. Come fu detto dinanzi fu figliuola di Eolo re delli venti e innamorossi d’uno suo fratello carnale ch’ebbe nome Macareo col quale avendo a fare ingravidò e partorí: la qual cosa sentendo il detto suo padre, la mise in prigione, ed essa s’uccise se medesima.

[Piramo]: fu uno giovane bellissimo della cittá di Babillonia; innamorossi d’una sua vicina giovinetta e assai bella che si chiamava Tisbe con la quale si convenne per avere a fare con lei d’andare di notte fuori della cittá a certo luogo diterminato ove era una fontana. E lí aspettando l’uno l’altro, Tisbe giunse prima alla detta fontana, e aspettando Piramo, venne uno leone per bevere alla detta fontana: onde essa per paura fuggí e lasciovvi uno pannicello che portava in capo, il quale il detto leone trovando, tutto stracciò e insanguinò. Da poi venendo Piramo trovò il detto pannicello cosí sanguinoso, credette che Tisbe fosse stata divorata dalla detta fiera; onde esso per disperazione con la sua spada s’uccise. Alla qual cosa Tisbe correndo, e trovandolo quasi morto, con la detta sua spada per disperazione se medesima uccise. Per li quali morti uno celso ch’era ivi ch’avea li pomi bianchi diventaro neri. Onde dice Ovidio:

At tu quae ramis arbor miserabile corpus
Nunc tegis unius, inox es tectura duorum
Sigila tene caedis pullosque et luctibus aptos
Semper habe fetus, gemini monimenta cruoris.

[Met., IV, 158-161.]

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[Dido]. Come fu detto dinanzi, fu di Sidonia, ed essendo stato morto il suo marito Sicheo da Pignaleone suo fratello, perciò che volea il suo tesoro, essa se ne fuggí portandosene il detto tesoro e arrivò nelle parti d’Africa ove edificò la cittá di Cartagine; alla quale arrivando Enea dopo la distruzione di Troia, essa s’innamorò di lui, e partendosi lui pervenire in Italia ad edificare Roma, essa Dido per disperazione si uccise; benché la veritá della storia fu altramente, come pone Iustino.

[Ero]. Come fu detto dinanzi fu dell’isola di Sesto e di lei s’innamorò Leandro di Abido alla quale volendo andare, andava per mare notando alla detta isola. Di che una notte s’affogò in mare e per fortuna fu apportato al lito del mare ove la detta Ero il solea aspettare; la quale trovandolo morto sopra di lui fece gran pianto. Onde della temeritá del grande amore di Leandro parla Virgilio in libro terzio Georgicon.

[Fedra]. Come è stato detto, fu figliuola di Minos e moglie di Teseo duca d’Atene; innamorossi d’Ipolito suo figliastro, ma esso non volle consentire a sua vituperosa volontá, onde ella l’accusò a Teseo suo padre. Per la qual cosa fuggendo fu isquartato dalli suoi cavalli che tiravano il carro suo, come chiaro fu detto dinanzi.

[Laudomia ]. Come fu detto dinanzi, fu moglie di Protesilao a cui essa volle molto bene come dimostra Ovidio nelle pistole; e fu il primo uomo che fosse morto all’oste di Troia, onde essa n’ebbe grandissima doglia.

[Deifile e Argia]. Come pone Stazio nel Tebaidos furono sorelle e figliuole di re Adrasto d’Argo cittá in Grecia; alla quale arrivarono insieme una notte con grande fortuna di rio tempo Pollinico figliuolo di re Edippo partitosi dal suo fratello Etiocle a cui toccava il reggimento di Tebe per uno anno, e Tideo fuggitosi dal padre però ch’avea morto uno suo fratello isventuratamente. E faccendo insieme questi due [p. 211 modifica] grandissima battaglia per volere bene alloggiare, il detto re che dormia si risvegliò al romore e levatosi per cercare quel ch’era trovò questi due che faceano cruda battaglia, e domandandoli chi essi erano, ed essi dicendolo, li ricevè graziosamente: e guardando nelli scudi loro all’armi che portavano, che l’uno portava uno leone e l’altro uno porco per segnale, subito si ricordò del sogno ch’avea fatto poche notti dinanzi, che sognava che dovea dare per moglie le dette sue figliuole cioè Deifile e Argia ad uno leone e ad uno porco, e conoscendo esso la veritá del sogno per questo fu assai contento e diede a loro per moglie le dette sue figliuole. Li quali andando per racquistare Tebe con l’aiuto del detto re Adrasto, Tideo figlio di Eneo di Calidonia dopo molte prodezze fu morto, e il detto Etiocle s’ammazzò insieme col fratello Pollinice come fu detto dinanzi, sí che le dette Deifile e Argia rimasero triste di loro.

[Evannes]. Questa fu moglie di re Capaneo l’uno delli sette re ch’andò ad oste alla detta cittá di Tebe, uomo ferissimo in fatto d’arme e spregiatore degl’iddii; e uno di combattendo alle mura di Tebe biasimando Giove, [Giove] lo flagellò d’una folgore che subito morí; e da poi essendo rotta l’oste e scampando solo lo detto re Adrasto e tutti gli altri morti, Creonte prese la signoria di Tebe e per crudeltá comandò che niuno corpo morto fosse sepellito. La qual cosa udendo la detta Evannes radunatesi insieme Deifile e Argia e tutte l’altre donne greche per dare sepoltura al li loro mariti, e questo fecero con l’aiuto di Teseo duca d’Atene che uccise il detto Creonte e guastò la detta cittá di Tebe.

[Deianira]. Come fu detto dinanzi, fu moglie di Ercule, e sentendo come esso era innamorato di Iole, volendolo ritrarre dal detto amore gli mandò una camicia tinta nel sangue di Nesso centauro il quale fu morto dal detto Ercule, e innanzi che morisse volendosi vendicare di Ercule, diede questa camicia a Deianira dicendole ch’avea questa virtú: che facea [p. 212 modifica] cacciare via ogni amore e ritornare al primo. La qual cosa credendo fare la detta Deianira, fe’ il contrario, perché essa camicia era avvelenata, e come Ercule la si mise addosso arsero le carni del detto Ercule: e però ove credette di far bene, fe’ molto male e rimasene molto trista. Della cui morte parla Ovidio:

Nec mora, letiferam conatur scindere vestem,
Qua trahitur, trahit ille cutem, foedumque relatu,
Aut haeret membris frustra temptata revelli,
Aut laceros artus et grandia detegit ossa.

[Met., IX, 166-169.]