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marina e domandò di grazia di potere vivere tanti anni quanti quelli granelli erano d’arena. La quale grazia Febo le fé’, ma essa poi si fe’ beffe di lui; e avrebbele conceduto che fosse vissuta sempre giovine, ma non lo domandò. Abitò costei alla cittá di Cuma e ivi era l’abitazione in forma d’una spelunca dove essa dava risposta delle cose future a chi v’andava a dimandare, e scrivevale nelle foglie e ponevate per ordine in sul limitare della porta della spelunca, e quando riserrava, le dette porte faceano vento e facea spargere le dette foglie sí che non si potea sapere sentenzia che esse dicessero. Visse anni, secondo che pone Ovidio:

... nam iam mihi saecula septem
Acta vides; superest, numeros ut pulveris aequem
Ter centum messes, ter centum musta videre.

[Met., XIV, 144-146.]

[o Fortuna etc.]. Seneca nel principio della tragedia che comincia Trohas pone le parole d’Ecuba alla fortuna:

Quicumque regno fidit et magna potens
Dominatur aula nec leves metuit deos
Animumque rebus credulum laetis dedit
Me videat et te Troia...

[se non come a Mida la ricevuta grazia]. Mida fu re nelle parti d’Africa, il quale avendo onorato molto in casa sua Silleno sacerdote di Bacco iddio del vino, arrivando a casa sua il detto dio Bacco e rendendogli il detto suo sacerdote e simile onore faccendo a lui, il detto dio Bacco volendolo rimunerare gli disse che esso Mida domandasse qual grazia esso volea ch’e’ gli la faria. Onde esso Mida come avarissimo e cupidissimo domandò che ciò che toccasse diventasse oro; e cosí fu fatta la grazia: per la qual cosa ciò che toccava diventava oro, sí che bisognava che misero morisse in tanta ricchezza. Onde conoscendo esso la sua cupiditá e domanda dannosa che avea fatta, ripregò il detto iddio Bacco che gli piacesse ritôrgli la grazia,