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non avendo rispetto alla religione, ebbe a far con la detta Atalanta. Per la qual cosa Cibele disdegnatasi, amendui li trasmutò in lioni li quali tirano li suoi carri. E però dice Ovidio questi versi:

Pro thalamis celebrant silvas; aliisque timendi
Dente premunt domito Cybeleia frena leones.

[Met., X, 703-704.]

[fratello della dura morte]: cioè il Sonno del quale parla Ovidio nel Metamorfoseos ove dice:

Somne, quies rerum, placidissime, Somne, deorum,
Pax animi, quem cura fugit, qui corpora duris
Fessa ministeriis mulces reparasque labori!
Somnia, quae veras aequent imitamine formas....

[Met., XI, 623-626.]

[i cento d’Argo]. A dichiarazione di questo si deve sapere quel che pone Ovidio nel primo libro del Metamorfoseos, cioè che Inaco re d’Arcadia ebbe una sua figliuola bellissima che si chiamò Io della quale s’innamorò Giove; e avendo a far con essa coperto d’una nuvola, Giunone sua moglie vedendolo, per l’inganni che Giove le solea fare, sappiendo quel che era, cioè che Giove avesse a far con qualche sua amica: onde discese del cielo e andò ov’era la detta nuvola per vedere quel ch’era. Della qual cosa Giove avvedendosi, trasmutò la detta Io in una vacchetta, e Giunone vedendo quel che facea, lo domandò, e lui rispose che riguardava questa bella vacchetta la quale dicea essere generata dalla terra, ed essa Giunone, ciò udendo, la dimandò di grazia in dono perché conosceva bene che non era così come Giove dicea. La quale Giove le donò, ed essa la diè in guardia a un suo pastore lo quale ebbe nome Argo ch’ebbe cento occhi, acciò che la guardasse bene acciò che Giove non la potesse ritòrre, sí che quando dormissero cinquanta occhi, gli altri cinquanta