Commedia (Buti)/Purgatorio/Canto XXIX

Purgatorio
Canto ventinovesimo

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Purgatorio - Canto XXVIII Purgatorio - Canto XXX
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C A N T O   X X I X.




1Cantando come donna innamorata,
     Continuò col fin di suoe parole:
     Beati, quorum tecta sunt peccata.
4E come ninfe, che si givan sole
     Per le silvatiche ombre disiando
     Qual di veder, qual di fuggir lo Sole,
7Allor si mosse contra ’l fiume, andando
     Su per la riva, et io pari di lei,
     Picciol passo con picciol seguitando.
10Non eran cento tra i suo passi e’ miei,1
     Quando le ripe egualmente dier volta,2
     Per modo, ch’al levante mi rendei.3
13Non anco fu così nostra via molta,
     Quando la donna tutta a me si torse,
     Dicendo: Frate mio, guarda et ascolta.
16Et ecco un lustro subito trascorse
     Da tutte parti per la gran foresta,
     Tal che di balenar mi misse in forse.
19Ma perchè ’l balenar, come vien, resta,
     E quel durando più e più splendeva,
     Nel mio pensier dicea: Che cosa è questa?4

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22Et una melodia dolce correva
     Per l’aire luminoso; unde buon zelo
     Mi fe riprender l’ardimento d’Eva,
25Che là dove ubidia la terra il Cielo,5
     Femina sola e pur testè formata,
     Non sofferse di star sotto alcun velo;
28Sotto ’l qual, se devota fusse stata,
     Avrei quelle ineffabili delizie6
     Sentito prima, e più lunga fiata.7
31Mentre io m’andava tra tante primizie
     De l’eterno piacer tutto sospeso,
     E disioso ancor a più letizie,
34Dinanzi a noi tal, quale un foco acceso,
     Ci si fe l’aire sotto i verdi rami,
     E ’l dolce suon per canti era già inteso.
37O sacrosante Vergini, se fami,
     Freddo o vigilie mai per voi soffersi,
     Cagion mi sprona ch’io mercè vi chiami.
40Or convien ch’Elicona per me versi,
     Et Urania m’aiuti col suo coro
     Forte cosa a pensar, mettere ’n versi.8
43Poco più oltra sette arbori d’oro
     Falsava nel parere il lungo tratto
     Del mezzo, ch’era ancor tra noi e loro;
46Ma quando fui sì presso di lor fatto,
     Che l’obietto comun, che ’l senso inganna,
     Non perdea per distanzia alcun suo atto;
49La virtù, ch’a ragion discorso ammanna,
     Sì com’elli eran candelabri apprese,
     E ne le voci del cantare, Osanna.

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52Di sopra fiammeggiava il bell’arnese,
     Più chiaro assai che Luna per sereno
     Di mezza notte nel suo mezzo mese.
55Io mi rivolsi d’ammirazion pieno
     Al buon Virgilio; et esso mi rispuose
     Con vista carca di stupor non meno.
58Inde rendei l’aspetto all’alte cose,
     Che si moveano in contra a noi sì tardi,
     Che foran vinte da novelle spose.9
61La donna mi sgridò: Perchè pur ardi
     Sì ne l’affetto de le vive luci,10
     Che ciò che vien di rieto a lor non guardi?
64Genti vidd’io allor, com’a lor duci,
     Venir appresso vestite di bianco;
     E tal candor di qua già mai non fùci.11
67L’acqua splendea dal sinistro fianco,12
     E rendea a me la mia sinistra costa,
     S’io ragguardava in lei, come ’n specchio anco.13
70Quando da la mia riva ebbi tal posta,
     Che solo il fiume mi facea distante,
     Per veder mellio ai passi diedi sosta;
73E viddi le fiammelle andar davante,
     Lassando drieto a sè l’aire dipinto,
     Che di tratti pennelli avea sembiante;14
76Sì che lì sopra rimanea distinto15
     Di sette liste tutte in quei colori,
     Onde fa l’arco il Sole, e Delia il cinto.

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79Questi stendali drieto eran maggiori
     Che la mia vista; e, quanto a mio avviso,
     Diece passi distavan quei dai fiori.16 17
82Sotto così bel Ciel, com’io diviso,
     Ventiquattro seniori a du’ a due18 19
     Coronati venian di fior d’aliso.20
85Tutti cantavan: Beneditta tue
     Ne le fillie d’Adamo, e benedette
     Sien in eterno le bellezze tue.
88Poscia che i fior e l’altre fresche erbette
     A rimpetto di me dall’altra sponda
     Libere fur da quelle genti elette,
91Sì come luce luce in Ciel sigonda,21
     Vennero appresso a lor quattro animali,
     Coronati ciascun di verde fronda.
94Ciascun era pennuto di sei ali,22
     Le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo,
     Se fosser vivi, serebber cotali.23
97A descriver lor forma più non spargo
     Rime, lettor, ch’altra spesa mi strigne
     Tanto, che ’n questa non posso esser largo.24
100Ma legge Ezechiel, che li dipigne
     Come li vidde da la fredda parte
     Venir con vento, con nube e con igne;25
103E qual li troverai ne le suo carte,26
     Tali eran quivi, salvo ch’a le penne
     Giovanni è meco, e da lui si diparte.

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106Lo spazio dentro a lor quattro contenne
     Un carro in su du’ ruote triunfale,27
     Ch’al collo d’un Grifon tirato venne.
109Esso tendea su l’una e l’altra ale
     Tra la mezzana e le tre e le tre liste,28
     Sì ch’a nulla, fendendo, facea male.
112Tanto sallivan, che non eran viste:
     Le membra d’oro avea, quanto era uccello,
     E bianche l’altre di vermillio miste.
115Non che Roma di carro d’or sì bello29
     Rallegrasse Africano, ovvero Augusto;
     Ma quel del Sol seria pover con ello,
118Quel del Sol, che sviando fu combusto
     Per l’orazion de la Terra devota,
     Quando fu Giove arcanamente giusto.
121Tre donne in giro da la destra ruota
     Venian danzando; l’una tanto rossa,
     Ch’appena fora dentro al foco nota;
124L’altra era, come se le carne e l’ossa
     Fossero state di smiraldo fatte;
     La terza parea nieve testè mossa:30
127Et or parean da la bianca tratte,
     Or da la rossa, e dal canto di questa
     L’altre tolliean l’andar tarde e ratte.31
130Da la sinistra quattro facean festa,
     Di purpura vestite, dietro al modo32
     D’una di lor, ch’avea tre occhi in testa.
 

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133Appresso tutto ’l pertrattato modo,33
     Viddi du’ vecchi in abito dispari;
     Ma pari in atto et onestato e sodo.
136L’un si mostrava alcun dei familliari
     Di quel sommo Ipocrate, che Natura
     Alli animali fe che ella à più cari;
139Mostrava l’altro la contraria cura
     Con una spada lucida et acuta,
     Tal che di qua dal rio mi fe paura.
142Poi viddi quattro in umile paruta,
     E di rieto da tutti un vecchio solo
     Venir dormendo co la faccia arguta.
145E questi sette col primaio stuolo34 35
     Eran abituati; ma di gilli36
     Dintorno al capo non facean brolo;37
148Anzi di rose e d’altri fior vermilli:
     Giurato avrea poco lontano aspetto,
     Che tutti ardesser di sopra da’ cilli.
151E quando il carro mi fu a rimpetto,38
     Un tuon s’udì; e quelle gente degne39 40
     Parveno aver l’andar più interdetto,41
154Fermandosi ivi co le prime insegne.

  1. v. 10. Il pronome possessivo suo qui pure adoperato invariabile, come altrove. E.
  2. v. 11. C.A. igualmente
  3. v. 12. C.A. ch’a levante
  4. v. 21. pensar
  5. v. 25. C. A. ubbidia la terra e il Cielo,
  6. v. 29. C. A. Avria
  7. v. 30. C. A. Sentite prima, e poi lunga
  8. v. 42. C. A. cose a
  9. v. 60. C. A. Che foran giunte da
  10. v. 62. C. A. nell’aspetto delle
  11. v. 66. Fùci; ci fu, dove gli antichi tralasciavano talora di raddoppiare la consonante dell’affisso. E.
  12. v. 67. C. A. imprendeva
  13. v. 69. C. A. riguardava in lei come specchio
  14. v. 75. C. A. E di tratti pennelli avean
  15. v. 76. C. A. Sì che di sopra
  16. v. 81. C. M. Dieci
  17. v. 81. C. A. Dieci passi distavan quei di fuori.
  18. v. 83. C. M. signori
  19. v. 83. C. A. a due a due
  20. v. 84. C. A. fiordaliso.
  21. v. 91. C. M. segonda
  22. v. 94. C. A. Ognuno
  23. v. 96. C. A. S’el fosse vivo
  24. v. 99. C. A. che a questa
  25. v. 102. C. A. con venti,
  26. v. 103. C. M. E quali i troverai
  27. v. 107. C. A. in su le rote trionfale,
  28. v. 110. C. M. C. A. le tre e tre
  29. v. 115. C. A. di carro così bello
  30. v. 126. C. A. neve
  31. v. 129. C. A. toglien l’andare e tarde e ratte.
  32. v. 131. C. M. C. M. porpora
  33. v. 133. C. A. nodo,
  34. v. 145. C. A. primiero
  35. v. 145. Col primaio stuolo; come il primaio stuolo, dove la particella d’accompagnamento fa l’ufficio di comparazione. E.
  36. v. 146. C. M. C. A. gigli
  37. v. 147. Brolo; orto con verzura, giardino, e figuratamente corona, ghirlanda. E.
  38. v. 151. C. A. a me fu a rimpetto,
  39. v. 152. C. A. Un suon s’udì;
  40. v. 152. C.M. C. A. genti
  41. v. 153. C. A. Parvero

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C O M M E N T O


Cantando come donna ec. In questo xxix canto lo nostro autore finge come, ammonito da Matelda, vidde figurato nel paradiso terresto in somma tutto ’l nuovo e vecchio testamento; la quale cosa molto artificiosamente finge, come apparrà nel processo. E dividesi principalmente questo canto in due parti: imperò che prima finge come, andando con Matelda elli dell’1una riva contro lo corso del fiume, et ella dell’1altra, torseno come torseva2 lo fiume in verso l’oriente: imperò che andavano in su, e come ella ammonitte3 che dovesse guardare a le cose che nel paradiso erano e che incontravenivano, e vidde figurati li sette doni de lo Spirito Santo, li sette sacramenti de la Chiesa, li dieci comandamenti de la legge; ne la seconda parte, che serà la seconda lezione, finge come vidde li Evangelisti, la santa Chiesa, Cristo capo de la Chiesa, le virtù cardinali e teologiche, et altre cose che a la materia s’appartegnano, come apparrà nel testo, et incominciasi quive: Sotto così bel Ciel, ec. La prima, che serà la prima lezione, si divide in parti sei: imperò che prima finge come s’inviò ad andare in suso in verso lo corso del fiume con Matelda, elli dall’una riva, et ella dall’altra; ne la seconda finge come Matelda lo fe accorto di uno grande lume che apparitte, et uno dolce canto, et incominciasi quive: Non anco fu così ec.; ne la tersa parte finge come, approssimandosi al lume et al canto, intese quello che era che si cantava e che facea quello lume, e fa la sua invocazione quive: Mentre io m’andava ec.; ne la quarta finge come approssimato vidde che quello lume faceano sette candellieri d’oro che li apparveno, et incominciasi quive: Poco più oltra; ne la quinta parte finge come vidde gente vestita di bianco seguitare quil grande lume, et incominciasi quive: Inde rendei l’aspetto ec.; ne la sesta finge come di sopra al ditto lume vidde l’aire dipinto di vari colori, et incominciasi quive: E viddi le fiammelle ec. Divisa adunqua la lezione, ora è da vedere lo testo co la esposizione letterale, allegorica o vero morale, la quale è bellissima in tutto questo canto, e molto artificiosa.

C. XXIX — v. 1-12. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come Matelda, fatta la sua dichiaragione a Dante sopra lo dubbio che avea, ritornò a cantare lo salmo che incomincia: Beati, quorum remissæ sunt iniquitates ec.; e come si mosse ad andare in su in ver lo corso del fiume; e come si volseno inverso l’oriente, dicendo così: Cantando come donna innamorata; cioè Matelda, de la quale fu detto di sopra; questa, come fu ditto di sopra, [p. 698 modifica]significa la dottrina de la santa Scrittura la quale solve li dubbi ai fideli cristiani, e canta sempre loda di Dio: imperò che li santi predicatori e maestri in Teologia o elli ammaestrano lo populo, predicando, o elli cantano li salmi e l’officio, o fanno opere virtuose et esemplari, come può apparere per quello che fu ditto di sopra in più luoghi; e però ora dice l’autore che Matelda, compiuta la sua dichiaragione, ritornò a cantare come innamorata de l’Amore Divino e però dice: Continuò col fin di suoe parole; cioè ditte di sopra, sensa mezzo continuò cantando quil salmo nel suo canto, che comincia: Beati, quorum remissæ sunt iniquitates, et quorum tecta sunt peccata ec.; lo quale è uno dei salmi penitenziari, del quale prese l’autore de la ditta parte che venia a la sua rima; e viene questo salmo a proposito de la materia: imperò che l’autore era per passare lo fiume che tollie la memoria del peccato. E però finge che Matelda cantasse questo, per accenderlo al passamento del ditto fiume et acconciamento di venire a sì fatto stato, quale è quello de la innocenzia e de la purità de la mente, che l’omo non abbia memoria, nè incitamento di peccato, o non abbia di potersi fare coscienzia di peccato. E come ninfe; qui induce l’autore una similitudine, dicendo che Matelda si mosse sola su per la riva del fiume, andando in su come andavano le ninfe per le selve, o per fuggir lo caldo del Sole, o per loro trastullo pilliando piacere de la foresta: ninfa tanto è a dire quanto iddia d’acque, perchè abitavano le ninfe appresso ai fiumi; ma anco si trova generale nome di tutte le iddie che abitavano in terra, le quali propriamente erano gentili iovane, avansanti l’altre in virtù et in bellezza, de le quali erano diverse specie: imperò che altre abitavano a le fonti, e chiamavansi naiade; altre al mare, e chiamavansi nereide; altre ne le selve, e chiamavansi driade; altre alli arboretti e chiamavansi amadriade; altre ne’ monti, e chiamavansi oreade; altre ne’ campi, e chiamavansi napee, che sono vaghe dei fiori; e però lo nostro autore prese lo generale vocabulo, e massimamente quello che s’adatta a quelle che sono spose, che si chiamano ninfe per la frequentazione dei fiumi dove elle si lavavano: imperò che Matelda, secondo la lettera, ebbe marito; e, secondo l’allegoria, la dottrina de la santa Teologia e l’opere virtuose d’essa si fanno per la santa Chiesa, che è sposa di Iesu Cristo; e perchè era figurata ora allato al fiume, però l’assimilila a le ninfe, che si givan sole; cioè le quali ninfe andavano sole per le selve; e però dice: Per le silvatiche ombre; cioè per l’ombre de le selve, disiando; cioè desiderando, Qual di veder; cioè lo Sole, qual di fuggir lo Sole; cioè che quale va per le selve, per passare a la chiarezza et a luogo aperto dove vegga lo Sole; e quale, per intrare nel bosco folto, sicchè fugga lo Sole; cioè che quale andava cacciando, e [p. 699 modifica]questa desiderava di vedere lo Sole; e quale andava a stare a diletto a l’ombra et a la versura de la selva sì, che quale andava a la selva per esercitarsi a le fatiche, e quale per aver diletto, Allor si mosse; cioè Matelda cantando, come si muovono le ninfe per le selve, contra ’l fiume; cioè lo fiume Lete; e dice contra, perchè andava contra ’l corso del fiume, andando Su per la riva; cioè del fiume, andando inverso lo suo nascimento, et io; cioè Dante, pari di lei; cioè di Matelda, Picciol passo; cioè suo, con picciol; passo mio, seguitando; cioè ella andava piano, et io seguitava pianamente. E per questo dà ad intendere che la dottrina lo guidava parimente seco in verso Iddio, da la cui grazia discende quello fiume, e però dice: pari di lei: imperò che aggualliava le sue opere esemplari colli atti et opere virtuose. Non eran cento tra i suo passi e’ miei; cioè non eramo anco iti cinquanta passi per uno; e questi passi significano li atti e l’opere virtuose, che successivamente la dottrina de l’attività li mostrava et elli seguitava, Quando le ripe; cioè la sua di là e la mia di qua, egualmente dier volta Per modo, ch’al levante mi rendei; cioè pogo andammo che fummo volti all’oriente, secondo la lettera; ma allegoricamente, meno di 50 atti meritori li funno mostrati da la dottrina de la vita attiva, et elli l’ebbe adimpiuti andando incontra ala grazia di Dio, che elli fu nel suo cospetto; cioè de la grazia di Dio.

C. XXIX — v. 12-30. In questi sei ternari lo nostro autore finge come, volto inverso l’oriente, fatto attento da Matelda, incominciò a comprendere e vedere le cose di Dio; e però finge che prima apparisse uno grande splendore, lo quale fu lo splendore de lo Spirito Santo, come apparrà nel processo. Dice così: Non anco fu così nostra via molta; cioè anco non andammo molto la donna et io, al modo ditto di sopra; e per questo dà ad intendere che non pena a sopravvenire la grazia de lo Spirito Santo a chi va incontra a lei et a chi la va cercando, come andava elli, Quando la donna; cioè Matelda, tutta a me si torse; per farmi più attento; e questo dà ad intendere ch’elli più attentamente si diede a comprendere le cose che insegna la dottrina de la santa Chiesa, a l’attenzione de le quali li predicanti c’invitano quanto attentamente predicano, et inverso noi si piegano facendoci attenti, Dicendo: Frate mio, guarda et ascolta; cioè guarda quello che vedrai et ascolta quello che udirai. Et ecco un lustro; cioè uno splendore, subito trascorse: subitamente viene la grazia del Santo Spirito, Da tutte parti per la gran foresta: imperò che s’accorda co la santa Scrittura, che canta: Spiritus Sanctus replevit orbem terrarum; sicchè ben finge che quello lustro trascorresse da tutti parti per quella grande foresta, Tal che di balenar mi misse in forse; cioè in dubbio. Ma perchè ’l balenar, come vien, [p. 700 modifica]resta; cioè lo baleno come s’accende così si spegne, e quello durava; però fu certo che non era baleno, E quel durando più e più splendeva; cioè quando più durava, più s’accendea lo splendore, Nel mio pensier dicea; cioè io Dante: Che cosa è questa; la quale io veggo: imperò che finge che non li fusse anco nota la cagione de lo splendore? Et una melodia; cioè dolcessa di canto e concordia di suoni, dolce; cioè melodia e concordia di suoni, correva Per l’aire luminoso; sicchè ad una ora sentia la dolcessa del canto, e vedea la grande chiaressa de lo splendore del lustro; le quali due cose erano di grande diletto. E per questo dà ad intendere due singulari grazie, che dà a la mente umana lo Spirito Santo; cioè lume che caccia via ogni ignoranzia di peccato et induce notizia d’ogni bene, e dolcessa grandissima fa sentire de l’amore di Dio. unde buon zelo; cioè per la ditta cagione, essendo la mente mia sì lieta e sì contenta per buono amore e desiderio commosso, ripresi la colpa de la nostra prima madre Eva; e però dice: Mi fe riprender l’ardimento d’Eva; cioè, mosso da ira per zelo, ripresi l’ardire che ebbe Eva di fare contra ’l comandamento di Dio, Che; cioè la quale Eva, ; cioè là in quil luogo, cioè nel paradiso terresto, dove; cioè nel quale, ubidia la terra il Cielo; cioè la terra ubidia lo Cielo, facendo cioè che ’l Cielo imprimeva, non discordandosi da le suoe influenzie, Femina sola; cioè Eva, che non era accompagnata dall’altra donna, e pur testè formata: imperò che poghe ore era stata formata dinansi ch’ella disubbedisse, Non sofferse di star sotto alcun velo; cioè sotto lo velame de la notizia del bene e del male non sofferse di stare Eva, avendoli Iddio comandato che non toccasse il pomo de la notizia del bene e del male, essendo in quello luogo ove vedea che obedienzia mostrava la terra al Cielo, che dovea essere ammaestramento a lei d’essere obediente al suo Creatore: con ciò sia cosa che fusse in luogo4, u’ nulla obedienzia era, Sotto ’l qual; cioè velo, cioè di non sapere per esperienzia lo bene e lo male, se devota fusse stata; cioè se fusse stata con devozione; cioè desiderio e contentamento d’esser obediente al suo Fattore la nostra prima madre, e conseguentemente Adam, Avrei quelle ineffabili delizie; cioè diletti che non si possono dire: mellio si possano intendere che dire, Sentito prima; cioè Dante, ch’io non abbo sentito: imperò che l’arei sentito come fusse5 nato, e più lunga fiata; cioè più lungo tempo: imperò che sempre l’arei sentito sì, ch’io l’arei sentito più lungo tempo ch’io non abbo.

C. XXIX — v. 31-42. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come, andando al modo preditto, s’approssimò più lo splendore et intesesi lo canto, dicendo così: Mentre io; cioè in mentre ch’io [p. 701 modifica]Dante, m’andava tra tante primizie: primizie sono le cose primaticce, le quali per la sua novità più piaceno, De l’eterno piacer; cioè de la placibilità e diletto che genera lo Spirito Santo ne le menti umane, la quale in sè è eterna, tutto sospeso; per ch’io non sapea che fusse cagione di questo, E disioso; cioè desideroso, ancor a più letizie; cioè a la certificazione de la cagione di quello ch’io vedea, la quale è di maggior letizia che ’l vedere, Dinanzi a noi; cioè a me et a la donna et a Virgilio e Stazio, tal, quale un foco acceso Ci si fe l’aire; cioè ci parve che l’aire s’accendesse et ardesse, come fuoco, sotto i verdi rami; cioè sotto li arbori che erano verdi, E ’l dolce suon; che prima fu udito, per canti era già inteso; cioè da noi. E perchè lo nostro autore àe a dire una sottile finzione, sotto la quale mosterrà una eccellente verità, però fa invocazione a le Muse e specialmente chiama Urania, che è una de le nove Muse che si interpreta celestiale et è l’ottava de le Muse, la quale fa eleggere lo bene e dispregiare lo male; la quale cosa è di celestiale ingegno, e però dice così: O sacrosante; questa è una dizione composta da sacro e sante, e sacrum e la cosa santa quanto s’appartiene a Dio, e sanctum è la cosa ordinata et indicata inviolabile quanto al mondo, la quale violata merita pena, e però di queste due dizioni si fa una: imperò che ogni cosa sacra è santa; ma non ogni cosa santa è però sacra sì, come una virgine che servi, secondo lo corpo e non secondo la mente, sua virginità è santa, e merita pena secondo ’l mondo chi la violasse; ma non è sacra, secondo Iddio; ma una monaca, che servi virginità secondo la mente e secondo lo corpo, è sacro santa: però ch’è santa per la virtù et è per sacramento santa, sacra perchè è consecrata a Dio; e però questo nome adiettivo si dà a la chiesa di Roma: imperò ch’ella è santa, sicchè chi la violasse meritrebbe pena mondana e temporale; et è consecrata a Dio, sicchè chi l’offendesse offenderebbe Iddio, perchè è fatta santa all’uso di Dio, e meritrebbe pena eterna: e però dice l’autore che le Muse non solamente sono sante, che non è licito di violarle secondo lo mondo; ma eziandio sono sacrosante; cioè sante per sacramento di Dio: imperò che a lui consecrate; e puòsi intendere in du’ modi sacrosante, cioè sante insieme con sacro, cioè sacro e sante, e sante per lo sacro, Vergini; chiamale virgini: però che cusì fingeno li autori che fusseno: imperò che fingono che fusseno filliuole di Iove e di Iunone, e chi dice de la memoria, e non fingeno che si maritasseno: ma che le fusseno virgini, come dice Ovidio, Metamorfosi nel libro v; e così Pallade la quale finge iddia de la sapienzia. E questo è ragionevile: imperò che la sapienzia, e le Muse, che sono sotto poste a lei, non si meschiano a le vane delettazioni, nè a le carnali voluttadi; dei nomi di queste Muse in più luoghi [p. 702 modifica]n’abbo ditto e sì ne la prima cantica et in questa seconda ancora. se fami, Freddo o vigilie mai per voi soffersi; quasi dica: Imperò che molto ne soffersi per acquistarvi; et accordasi con Orazio, che dice ne la poetica: Multa tulit fecitque puer, sudavit et alsit, Abstinuit Venere et vino, qui Pythia cantat Tibicen, didicit prius extimuitque magistrum. — , Cagion mi sprona; cioè me Dante, ch’io; cioè ch’io Dante, mercè vi chiami; cioè vi dimandi mercè e premio de la mia fatica e de l’amore ch’io abbo inverso voi. Or convien ch’Elicona; Elicon è uno de iughi di Parnaso, in sul quale era la citta u’ era lo studio de la teoria de le scienzie, et appresso u’ era la fonte Castalio che si chiama la fonte de le Muse; la quale fonte figurava la influenzia indeficiente de le scienzie che quive era; e però dice che ora conviene che Elicona, e pone qui Elicona per la fonte de le Muse, per me; cioè Dante, versi; cioè dell’abundanzia sua metta fuora sì, che ammaestri me tanto che mi vasti a questa materia che io abbo a scrivere, che à bisogno aiuto de le Muse; et accordasi con Orazio, dove dice nel sopradetto libro: Nec Deus intersit, nisi dignus vindice nodus Inciderit — , Et Urania; questa è una delle 9 Muse, cioè l’viii, che si chiama cusì6 a πῦρ che è in lingua greca lo fuoco; e però Urania s’interpreta celestiale, e però chiama l’autore nominatamente lei, perch’elli àe a dire de le cose celestiali, m’aiuti; cioè me Dante, col suo coro; cioè co la sua brigata: tutte le Muse ànno per suo coro le parti de le scienzie che servono e rispondono a lei, sicchè Urania, che è celestiale et elegge lo bene et aborre lo male, pillia de la Grammatica li vocaboli atti a la sua materia, da la Retorica lo stilo e li argumenti, e così dall’altro, Forte cosa; è, s’intende, a pensar, mettere ’n versi; sì fatta materia quale è questa de la quale io abbo a parlare, che è alta e trascende la ragione umana.

C. XXIX — v. 43-57. In questi cinque ternari lo nostro autore dichiara che era quello che facea lo splendore ditto di sopra, e che cantavano le voci di sopra udite, dicendo così: Poco più oltra; cioè che noi non eravamo, il lungo tratto; cioè la lunga distanzia, Falsava nel parere; cioè falsamente apparere facea, sette arbori d’oro; li quali, a la verità non erano arbori; ma così parevano per lungo tratto, cioè distanzia, Del mezzo, ch’era ancor tra noi e loro; cicè tra noi poeti e li ditti arbori; e sottilmente àe toccato qual’è la cagione che ’l vedere s’inganna, e dice che alcuna volta è per lunghessa del mezzo che eccede tanto la virtù visiva, ch’e’ raggi visuali si ristringeno innanti che vegnino a l’obietto; unde debbiamo considerare che l’occhio mette fuora raggi, li quali, avendo virtù di rappresentare [p. 703 modifica]all’occhio la cosa veduta, tutta via si dilatano tanto che vegnano al mezzo correspondente a la virtù visuale, et infine a quive la cosa si discerne bene; e di quinci è che l’occhio picculino vede una torre che è così grande, perchè ’l raggio s’ampia e si dilata tanto, che apprende dil sommo a la fine, et oltra ’l mezzo sì fatto, perchè incominciano a chiudere, le cose che si veggiono incominciano ad apparire minori più l’una che l’altra, intanto che ritorna in acuto e così non vede poi più nulla, sì come appare in questa figura <>. Ma quando fui sì presso di lor fatto; cioè io Dante a quelli che mi pareano arbori, Che l’obietto comun, cioè la cosa, in che opera lo sentimento, cioè la cosa che l’occhio da lunga vedea, e dice comune: imperò che la cosa da esser appresa per li sentimenti è comune a tutti e cinque li sentimenti, infine a tanto che qualcuno non se l’appropria, che ’l senso inganna; cioè lo quale obietto inganna il senso, cioè la virtù visiva, Non perdea per distanzia; cioè per lunghessa, alcun suo atto; cioè alcuna sua operazione; e questo dice secondo l’opinione di coloro che tegnano che ’l vedere adoperi, ricevendo impressione da l’obietto, e non operi mettendo fuora li suoi raggi; ma ricevendo l’ombra de la cosa contra posta e la imagine, La virtù; cioè discernitiva, ch’a ragion; cioè la quale a la ragione, ammanna7; cioè apparecchia, discorso; cioè discorrimento dell’uno individuo nell’altro, tanto ch’ella viene a l’università; e così la discrezione è guida a la ragione e mena la ragione a l’università, Sì com’elli; cioè quelli che parevano arbori, eran candelabri; cioè candelieri accesi, apprese; cioè cognove et apprese, Osanna; questa è dizione ebraica, composta da osi, che viene a dire: Fa salvi, et anna che è interiezione di chi prega, come se dicesse: Deh facci salvi— , E ne le voci del cantare; cioè ne le voci di coloro che cantavano. Questi sette lumi che vegnano in su sette candellieri, che vegnano inansi al carro che significa la santa Chiesa, significano li sette doni de lo Spirito Santo, li quali sono contra sette peccati mortali; et illuminano tutto l’aire, sicchè fanno cognoscere a l’anima umana quello ch’ella dè credere e dirissanola a la sua salute; cioè dono di timore contra la superbia, dono di pietà contra la invidia, dono di fortessa contra l’ira, dono di scienzia contra l’accidia, dono di consillio contra l’avarizia, dono di sapienzia contra la gola, dono d’intelletto contra la lussuria. Di sopra; cioè a sè nell’aire, fiammeggiava; cioè faceva fiamme, il bell’arnese: cioè li ditti 7 candellieri faceano 7 fiamme nell’aire, Più chiaro assai; cioè con più chiaro lume assai, che Luna per sereno; cioè che non fiammeggiava la Luna, quando è sereno, Di mezza notte; dice, perchè quanto è più profonda la notte, più [p. 704 modifica]risplende la Luna: imperò che per la tenebra più appare lo splendore, nel suo mezzo mese; cioè quando la Luna è quinta decima: imperò che allora è lo suo mese, nel quale ella fa lo corso suo mezzo. Io; cioè Dante, mi rivolsi d’ammirazion pieno; vedendo le cose preditte, Al buon Virgilio; lo quale era di rieto a me: imperò che queste cose apprende la sensualità e non la ragione, e però sta di rieto la ragione dimandandolo, s’intende per quil che seguita, de la significazione di queste cose, et esso; cioè Virgilio, mi rispuose; per questo, che dice che Virgilio li rispuose, si dimostra ch’elli lo dimandò, Con vista carca; cioè carica, di stupor; cioè di meravillia, non meno; cioè non minore che fusse lo mio stupore. E dice che rispuose con vista; ma non con parole: imperò che fece atto, come fa chi si meravillia senza parlare; e debbiamo attendere che l’autore nostro in questi8 figurazioni à seguitato l’Apocalissi di s. Ioanni, mutando le figure e le loro9 figurazioni a suo modo, e chi leggerà quello vedrà che quinde l’àe cavate.

C. XXIX — v. 58-70. In questi quattro ternari lo nostro autore finge come, ritornato anco da l’aspetto di Virgilio a l’aspetto dei ditti candelabri, fu ammonito da Matelda che ragguardasse all’alte cose che seguivano, dicendo così: Inde; cioè poi che Virgilio mi fece tale atto, rendei; io Dante, l’aspetto; cioè lo mio sguardo, all’alte cose; cioè a vedere quelli candelabri e quelli lumi, ch’erano alte cose, Che; cioè le quali, si moveano in contra a noi; ecco che già erano venuti li ditti candelabri tanto in verso loro, che veniano loro incontra dall’altra banda del fiume, sì tardi; cioè sì10 agiatamente, Che foran vinte; cioè ne l’andare, da novelle spose: imperò che serebbeno ite più ratte di quelli candelabri. Questa tardessa non finge qui l’autore sensa cagione: lo nostro autore finge che Matelda li dimostri queste cose, che non è altro a dire se non che la dottrina dei predicanti dimostra a lui, et a’ fideli cristiani l’ordine e ’l processo dell’umana salute dal principio del mondo e da la creazione de l’omo infine a l’avvenimento di Cristo; e però prima finge come vidde, e questo si dè intendere leggendo o udendo de la dottrina de la santa Chiesa, lo lume de lo Spirito Santo che illuminò lo paradiso delitiarum, e lo primo omo e la prima femina del lume naturale, e questo fu figurato per lo Sole che vidde prima; poi, come venneno li 7 doni de lo Spirito Santo molto tardamente nelli omini, et a poghi omini: però che non era anco lo tempo de la grazia; poi, come venneno coloro che credetteno in Cristo venturo, li quali finge vestiti di bianco; poi, coloro che compuoseno li 24 libri de la Bibbia, et essi [p. 705 modifica]libri in forma d’omini; possa li 4 Evangelisti venneno con Cristo et istituitte la Chiesa; e questo è lo carro che tira lo griffone. Allora si manifestonno le 3 virtù teologiche e le 4 cardinali, poi li scrittori delli Atti delli Apostuli e l’Epistule, che funno s. Luca e s. Paulo, poi li 4 discepoli che scrisseno l’altre Epistole, poi s. Ioanni evangelista che scrisse l’Apocalissi; e così dimostra che chi vuole passare a lo stato de la innocenzia e diminticare lo fomite de’ vizi e de’ peccati, si dè esercitare ne lo studio e ne la dottrina de le preditte cose, che tutte si contegnano ne la Bibbia, la quale mostra ch’elli studiasse e che si debbia studiare da chi vuole passare a lo stato de la innocenzia; le quale cose ritoccherò ancora quando sarò ad esse. E però finge, come ditto è, perchè quelli candelabri vedeva venire così adagio: imperò che di po’ l’avvenimento di Cristo venne lo Spirito Santo prestamente ne li Apostuli e ne li altri santi11 omi; ma ora intende del testamento vecchio, nel quale si trova che tardo e rade12 venisse. La donna; cioè Matelda, mi sgridò; cioè me Dante: Perchè pur ardi; cioè ardentemente incendi; Sì ne l’affetto; cioè ne l’amore, de le vive luci; cioè dei ditti sette lumi che sono in su li sette candelabri, che sono li 7 doni de lo Spirito Santo, Che ciò che vieti di rieto a lor non guardi; cioè per la qual cosa non guardi quil che viene di rieto a questa guida? Certo d’ogni atto virtuoso è guida lo Spirito Santo. Che Matelda riprenda Dante significa che chi vuole venire a stato d’innocenzia non solamente si dè ammaestrare di questo antecedente; ma eziandio del susseguente. Genti vidd’io allor; cioè allora ch’io mi diedi a ragguardare, com’ a lor duci, Venir appresso; cioè di po’ li ditti candelabri vidde seguitare gente dal vecchio testamento, come guidata da esso, cioè Profeti e santi omini che funno in quil tempo, li quali tutti si trovano da chi cerca e studia la santa Scrittura, vestite di bianco; questo colore si conviene a loro, perchè funno fideli e la fede conviene esser pura, E tal candor; cioè tal bianchezza, di qua; cioè da quil tempo in qua, secondo allegoria; e per questo intende in questa nostra età, già mai non fùci; cioè tanta purità di fede non s’è trovata poi; ma, secondo la lettera, s’intende, nel nostro emisperio ma’ non fu tal bianchezza13 L’acqua; cioè del fiume, splendea dal sinistro fianco; questo è vero, secondo la lettera, che s’elli andava inverso mano ritta et era di qua dal fiume, convenia che ’l sinistro fusse in verso lo fiume, E rendea a me; Dante, la mia sinistra costa; cioè rappresentava a me lo mio cuore, s’intende allegoricamente; questo fiume è la considerazione de la purità e de la innocenzia che fa dimenticare lo male e rende il cuore noto a [p. 706 modifica]la sensualità, quando si specchia in essa acqua; e però dice: S’io ragguardava in lei; cioè ne la ditta acqua, come ’n specchio anco; cioè ancora come ne lo specchio si ragguarda l’omo la sua imagine.

C. XXIX — v. 70-81. In questi quattro ternari lo nostro autore finge che, quando fu iunta quella gente che andava di rieto ai candelabri, e li candelabri rimpetto a lui che era di qua dal fiume elli si resse14 per mellio comprendere e vidde 7 liste che rimaneano dipinte nell’aire dal fuoco di quelli candelabri, come se rimanesse lo fumo; e però dice: Quando da la mia riva; cioè da la ripa del fiume, da la quale io Dante era, ebbi tal posta; cioè ebbi tal luogo, che per diritto io potea vedere ciò ch’era di là, Che solo il fiume mi facea distante: imperò che altro mezzo non c’era che ’l fiume: e per questo dà ad intendere che non restava, se non a bere l’acqua del fiume e lavarsi, a venire a lo stato de la innocenzia che figura ch’elli avea a deponere giuso lo incentivo dei peccati e la loro radice, la quale si conviene deponere e purgare coi tre passi ditti di sopra, Per veder mellio ai passi diedi sosta; cioè ferma’mi, per vedere mellio che non arei veduto andando. E viddi le fiammelle; dei 7 candelabri, andar davante; cioè inanti a quella gente, come guida, Lassando drieto a sè l’aire dipinto; cioè lassando in aire di rieto da sè 7 liste di diversi colori, Che; cioè lo quale aire, avea sembiante; cioè similitudine, di tratti pennelli; cioè di fregatura di pennelli, come frega lo dipintore quando vuole15 scire una lista, Sì che lì sopra; cioè per sì fatto modo, che quive di sopra, rimanea distinto; cioè l’aire, Di sette liste; cioè di sette righe, tutte in quei colori; cioè di quattro colori, Onde; cioè dei quali, fa l’arco il Sole; cioè l’arco che appare ne le nebbie, del quale è stato ditto di sopra, e Delia; cioè la Luna, la quale si chiama Delia da Delo, isula ne la quale Latona partoritte Febo e Diana; è Diana è chiamata16 apo li Poeti per tre nomi, cioè Diana, Luna e Proserpina; Diana si dice in quanto è reputata iddia di castità, et abita ne le selve et esercitasi cacciando le fiere; Luna si dice in quanto sta in cielo; e Proserpina in quanto è reina de lo inferno, mollie di Plutone; unde l’autore pillia in questa parte Delia per la Luna, il cinto; cioè fa lo circulo intorno a sè, quando è coperta o intorneata da le nebbie rade: imperò che come lo Sole fa l’arco ne le nebbie; così la Luna fa lo cerchio tondo intorno a sè di 4 colori; cioè rosso, sanguigno, verde e bianco. Questi stendali; cioè queste 7 liste che designavano ne l’aire li 7 candelabri ditti di sopra di quattro diversi colori, dei quali è ditto di sopra, drieto eran [p. 707 modifica]maggiori; cioè si stendevano per l’aire a drieto più, che la vista di Dante non potea comprendere; e però dice: Che la mia vista; fusse grande, s’intende, e, quanto a mio avviso; cioè al mio parere, Diece passi distavan quei; cioè li ditti stendali; cioè le ditte liste 7 erano di lungi e levate su alto in aire diece passi; e però dice, dai fiori; cioè da la terra ch’era tutta fiorita; e così appare che 10 passi erano lunghi i candelabri. In questa parte è da notare quello che l’autore intese in questa fizione, ne la quale l’autore finge che sette candelabri con sette lumi suso, lunghi diece passi con17 sette liste di diversi quattro colori; cioè rosso, sanguiguo, verde e bianco, lassando di rieto a sè nell’aire lunghe liste, sicchè non potea vedere loro fine, andasseno inanti a la turba grande che seguitava vestita di bianco, per la quale si può comprendere che queste sette liste che erano colorate dei colori che colorano l’arco del Sole e lo cerchio de la Luna, poste e figurate in aere da lumi de’ candelabri e che andavano inanti a la gente che seguitava, significano li 7 sacramenti de la Chiesa li quali sono18 segno dei 7 doni de lo Spirito Santo. E però finge l’autore che siano figurati da quelli 7 lumi de’ candelabri, e che siano alti li ditti candelabri, e le liste che si lassano di rieto sì lunghe che lo loro fine non si potea per lui vedere, a significare che niuno può sapere quanto debbiamo di qua durare, se non Iddio; e da’ fiori del prato, cioè da la vita prima esemplare virtuosa, posti in alto 10 passi; cioè li 10 comandamenti de la legge, per li quali si monta de l’antica legge a li doni de lo Spirito Santo, e per quelli ai sacramenti de la Chiesa: imperò che la prima Chiesa, che si chiamò sinagoga, fu terrena e fu tutta piena di figure e disegni e di cerimonie, e però è significata per li fiori, et ebbe li 10 comandamenti; cioè: adora et ama uno Dio: non pilliare in vano il nome di Dio: guarda li sabbati, cioè le feste: onora lo padre e la madre: non sii ucciditore: non sii furo, non sii lussurioso: non19 reddere falso testimonio: non desiderare le cose del prossimo tuo: e non desiderare la donna del vicino tuo; per li quali si venne per mezzo de la passione di Cristo, e montossi suso per li ditti 10 comandamenti a li doni de le 7 grazie de lo Spirito Santo; cioè timore, pietà, fortessa, scienzia, consillio, sapienzia, intelletto; per segno dei quali la nuova Chiesa tiene 7 sacramenti; cioè crisma, battesimo, ordine, eucaristia, penitenzia, estrema unzione, e matrimonio. Li quali [p. 708 modifica]sacramenti sono colorati in questo modo, secondo la fizione de l'autore; cioè la crisma di colore rosso, che è segno del timore che sta radicato in su la carità che l’omo à inverso Iddio, e cusì ne nasce l’umilità che è contra la superbia; lo battismo è di colore vermillio o sanguigno che significa la pietà, che sta radicata in su la carità che l’omo à in verso lo prossimo che è minore che quella che s’à inverso Iddio, e però è segnato di vermillio o sanguigno, e così ne nasce l’amore del prossimo contra la invidia; l’ordinazione è di colore verde che significa la fortessa, ch’è radicata in su la speransa che l’omo àe in Dio, e così ne nasce la religione contra l’ira; l’eucaristia è di colore bianco che significa la scienzia, ch’è radicata in su la fede che l’omo à nel sacrificio dell’altare nel corpo di Cristo, che ne nasce l’operazione virtuosa contra l’accidia; la penitenzia è di colore verde che è segno de lo consillio, ch’è radicato in su la speransa in Dio, che ne nasce moderazione contra l’avarizia; l’estrema unzione è di colore rosso che è segno de la sapienzia, che è radicata in su la carità che l’omo à in verso lo prossimo, cioè sè medesimo, che ne nasce astinenzia contra la gola; lo matrimonio è di colore sanguigno vermillio ch’è segno dello intelletto, ch’è radicato in su la carità che l’omo à inverso lo prossimo, che ne nasce castità contra la lussuria. Et è da notare che queste tre virtù teologiche, in su le quali sono20 seminati li candellieri, sono prefigurate et inanti mostrate da le 4 virtù cardinali: imperò che iustizia le prefigurò e premostrò tutte; ma specialmente la carità in verso Iddio, unde viene lo timore, la prudenzia; la carità inverso il prossimo, unde nasce la pietà, la fortessa; la speransa, unde nasce la fortessa, la prudenzia: ancora la fede, unde nasce la scienzia, la temperansa; ancora la speranza, unde nasce lo consillio, la temperansa; ancora la carità inverso sè medesimo, unde nasce la sapienzia, la fortessa: ancora la carità inverso lo prossimo, unde nasce lo intelletto. Et in tutte queste è ancora la iustizia: imperò che con tutte è, come bene lo vede chi la loro unione e colligazione considera; et acciò che mellio si vegga quello che è ditto, ne farò qui21 di sotto una figura, che mostri22 divisamente le suprascritte cose23. [p. 709 modifica]

Crisma [rosso] [Segni e doni santi] Timore [che si generano] Carità di Dio prefigrata da giustizia
Battesimo [vermiglio o sanguigno] Pietà Carità del prossimo da giustizia e prudenzia
Ordine [verde] Fortezza la Speranza da giustizia e fortezza
Eucaristia [bianca] Scienzia la Fede da giustizia e prudenzia
Penitenzia [verde] Consiglio la Speranza da giustizia e temperanza
Estrema unzione [rossa] Sapienzia la Carità di sè medesimo da giustizia e temperanza
Matrimonio [vermiglio o sanguigno] Intelletto la Carità del prossimo da giustizia e fortezza


[rosso] Crisma [Segni delli santi doni] Timore Umilità contra Superbia
[vermiglio o sanguigno] Battesimo Pietà Amore o benivolenzia » Invidia
[verde] Ordine Fortezza Religione » Ira
[bianca] Eucaristia Scienzia Operazione virtuosa » Accidia
[verde] Penitenzia Consiglio Moderazione » Avarizia
[rossa] Estrema unzione Sapienzia Astinenzia » Gola
[vermiglio o sanguigno] Matrimonio Intelletto Castità » Lussuria

                                   che si generano da
                                        Carità di Dio
                                        Carità del prossimo
                                        Speranza, Fede
                                        Carità di sè medesimo
                                        Carità del prossimo

E come sta questo candelabro, sette se ne vorrebbono fare in questa forma, mutate le cose da mutare. E nota che li comandamenti debbono cominciare di sotto, sì che questa è utile. Umilità produtta da la carità in verso Dio è contra la superbia; amore produtto da la carità in verso ’l prossimo, contra la invidia; religione produtta de la speransa in Dio, contra l’ira; opera virtuosa produtta da la fede ne li articuli, contra l’accidia; moderazione produtta da la speransa in Dio, contra l’avarizia; astinenzia produtta da la carità inverso sè medesimo, contra la gola; castità produtta da la carità inverso lo prossimo, contra la lussuria. Queste tre cose teologice24, in su che nasceno li doni de lo Spirito Santo, generono per diverso obietti25 sette virtudi che sono contra sette peccati mortali. E queste sono li candelabri e salliesi, incominciando da la radice su per la virtù infine [p. 710 modifica]al lume, per adempimento dei dieci comandamenti de la legge, sì come da la carità in verso Iddio nasce umilità, la quale per dieci gradi; cioè per li dieci comandamenti, incominciando dal primo di sotto e montando suso infine al supremo, perviene al primo dono; cioè al timore, e dessi ponere sotto l’ultimo et andare in su infine al primo, e così si dè fare ad ogni candelabro. E volendo mostrare chiaramente questo, si vorrebbeno dipingere 7 candelabri, e nel pedistallo scrivere la radice, nel gambo la virtù che nasce da quella radice; e fare 10 gradi nel candelabro, et in ciascuno scrivere lo suo comandamento, e nel lume di sopra lo dono, e ne la lista lo sacramento, e colorare le liste dei colori scritti e vedrebbesi ad occhio quello che l’autore figura. E però à finto l’autore li ditti colori ai ditti sacramenti, per mostrare le virtù teologice de le quali nasceno; le quali virtù teologiche sono produttrici ai doni de lo Spirito Santo per mezzo de l’opere virtuose che nasceno da esse, come ditto è di sopra; e sono contra li 7 peccati mortali, e montasi suso quinde per li 10 comandamenti. E nota, lettore, che l’autore finge che li candelabri ditti di sopra si movesseno per sè medesimi e non fusseno portati, per dimostrare che li doni de lo Spirito Santo vegnano sensa mezzo alcuno all’anima de lo Spirito Santo26; e così pienamente si dimostra l’allegoria de la finzione dell’autore. Seguita la seconda lezione del canto xxix, finita la prima.

Sotto così bel Ciel ec. In questa seconda lezione del canto xxix lo nostro autore seguita la materia incominciata; cioè dichiarando l’ordine e ’l processo del mutamento che fece lo nostro signore Iesu Cristo da la legge antica data a Moisè a la nuova evangelica27, lo quale incominciò a figurare di sopra mostrando prima di po’ la caduta de’ primi parenti per la disobedienzia, l’apparimento dei 7 doni de lo Spirito Santo sotto figura di 7 candelabri accesi; et appresso li 7 stendali che rimaneano nell’aire di quattro colori, che significano li 7 sacramenti de la chiesa di Cristo; e la distanzia da’ fiori a li stendali per 10 passi, che significano li 10 comandamenti de la legge antica, che sono siati come gradi a la novella legge; e la turba multa vestita di bianco con corone di gilli in testa, che28 figurano li santi del vecchio testamento, secondo che scrive santo Ioanni ne l’Apocalissi: Et vidi turbam magnam ec.29. E dividesi questa [p. 711 modifica]lezione in 7 parti: imperò che prima finge come vidde 24 vecchi venire a du’ a du’, che significano li 24 libri del vecchio testamento de la Bibbia, e li 4 Evangelisti in forma d’animali che significano li 4 Evangeli che seguitano poi; ne la seconda tratta, dichiarando mellio, ancora dei ditti 4 Evangelisti, et incominciasi quive: A descriver lor ec.; ne la terza figura la sinagoga de’ Iudei, mutata in s. Chiesa, in figura d’uno carro, quive: Lo spazio dentro ec.; ne la quarta parte figura le tre virtù teologiche e le 4 cardinali, quive incominciando: Tre donne ec.; ne la quinta parte figura li componitori de li Atti de li Apostuli e de l’epistole prime de la Bibbia, quive incominciando: Appresso tutto ’l pertrattato ec.; ne la sesta parte finge li 4 componitori de le Pistole quattro che seguitano, e lo componitore de l’ultimo libro de la Bibbia, cioè l’Apocalissi, et incominciasi quive: Poi viddi quattro ec.; ne la settima et ultima figura come lo carro si fermò al fiume Lete, a figurare come Cristo menò la sinagoga de’ Iudei da la circuncizione al battismo, et allora fu istituta la santa Chiesa e mutata la sinagoga in s. Chiesa, et incominciasi quive: E quando il carro ec. Divisa adunqua la lezione, ora è da vedere l’esposizione del testo co l’allegorie e co le suoe moralità.

C. XXIX — v. 82-96. In questi cinque ternari lo nostro autore finge come di po’ le preditte cose di sopra vidde venire 24 vecchi e 4 animali, li quali seguitavano li 7 candelabri ditti di sopra, e li altri vestiti di bianco che passati erano inanti, che erano, secondo l’Apocalissi, d’ogni tribù d’Israel 11000 figurati, dicendo così: Sotto così bel Ciel; cioè sotto così bello aire colorato de le ditte 7 liste, che erano di 4 sopra ditti colori, com’io; cioè come io Dante30, diviso; cioè descritto per lo modo, che ditto è di sopra, Ventiquattro seniori; per questi 24 seniori31 figura l’autore li 24 libri de la Bibbia del vecchio testamento, a du’ a due Coronati venian di fior d’aliso; cioè divisi veniano a du’ a du’ con corone di gilli e vestiti di bianco, come fu ditto di sopra, per significare la loro fede; che andasseno a du’ a du’ figura, per addornessa de la sua figura, che figura che venisseno a modo di processione quelli che la dottrina de la santa Teologia studiata da lui li mostrava, la quale è figurata per Matelda, Tutti; cioè questi seniori ditti di sopra, cantavan: Beneditta tue Ne le fillie d’Adamo; cioè sopra le filliuole d’Adamo; ecco che finge che costoro cantasseno, venendo a questa processione, le lode32 de la Virgine Maria: imperò è che tutti quelli libri del vecchio testamento dimostrano per diritta linea lo descenso da Adam ad Abram, e da Abram a David, e da lui a la Virgine Maria de la quale nacque [p. 712 modifica]Cristo, e lo nascimento di Cristo e lo suo processo quale per narrazione propria, quale per narrazione dependente o circustante, e quale sotto figurazione, e quale sotto profezie; sicchè tutti cantano lode de la Virgine Maria, e diceno la loda de l’angiulo, che ella è benedetta sopra tutte le femine, e benedette Sien in eterno le bellezze tue; cioè le virtudi tue le quali dureranno in eterno, parlando de la Virgine Maria: però che tutti cantano le virtudi suoe. E perchè sotto la narrazione istoriale e litterale del vecchio testamento sta lo dimostramento de l’avvenimento in carne del filliuolo di Dio nel ventre de la Virgine Maria, però finge che questi seniori coprisseno l’erbe e i fiori, che significano lo vecchio testamento che figurava lo nuovo. Poscia che i fior e l’altre fresche erbette; che, secondo la lettera, erano in sul prato del paradiso, A rimpetto di me; cioè Dante, cioè incontra me, dall’altra sponda: imperò ch’erano di là dal fiume, et io Dante era ancora di qua, Libere fur da quelle genti elette; cioè poichè funno passati quelli 24 seniori e rimase lo prato scoperto incontra a me Dante; cioè poichè io ebbi passato parte del prato de la santa Scrittura, e rimasemi a considerare e mettere in ordine l’altre parti, per mostrare l’ordine del mio esercizio, Sì come luce luce in Ciel sigonda; ecco che induce una similitudine che, sì come nel cielo l’una luce seguita di po’ l’altra: imperò che l’uno corpo lucido segue di po’ l’altro: imperò che l’una stella va per lo cielo di po’ l’altra, e così l’uno pianeto di po’ l’altro; così Iddio ne la costituzione de la fede catolica l’una dichiaragione seguitte di po’ l’altra: imperò che di po’ la dichiaragione che fenno li 24 libri de la Bibbia, ponendo tutte le preparazioni che andavano inanti a l’avvenimento del filliuolo di Dio, e li misteri che ’l figuravano e le profezie che ’l prediceano, venne poi elli che fu luce chiarissima. E dimostrò la sua luce, predicando et operando; unde li Evangelisti scrisseno lo suo avvenimento, la sua vita et operazione, la sua predicazione, la sua passione, et ascensione in cielo, lo mandamento de lo Spirito Santo nei suoi Apostuli, l’ultimo avvenimento suo ad iudicare. Ne le quali tutte cose esercitandosi lo nostro autore di po’ la penitenzia fatta dei suoi peccati, per mezzo de la grazia di Dio meritò poi di contemplare la beatitudine dei beati; e per sè insegna che si debbia così fare dalli omini che sono nel mondo, che volliano scire de la bruttura del peccato e volliano ritornare a lo stato de la innocenzia, nel quale contemplando in carne l’eterna beatitudine per grazia, la meritino di ricevere poi in spirito per gloria; e però finge che di po’ li ditti 24 vecchi vedesse seguitare li 4 Evangelisti: imperò che di po’ lo studio ch’elli prese sopra lo vecchio testamento e compiette, prese lo studio dei 4 Evangelisti secondo l’ordine de la Bibbia, e però dice. [p. 713 modifica]Vennero appresso a lor; cioè a li ditti 24 vecchi, quattro animali; 4 Evangelisti, cioè li 4 Evangeli fatti e composti da Matteo, Marco, Luca et Ioanni, figurati in forma d’animali, secondo che finge santo Ioanni ne l’Apocalissi, unde l’autore trasse questa figurazione, et anco dell’altre; cioè Matteo in forma d’uomo figurato: imperò che più intese a mostrare l’umanità di Cristo che li altri; Marco in specie di leone figurato: imperò che come leone33 di po ’l terso di’ rivivifica col rugito li suoi filliuoli, così Marco più chiaramente che li altri disse la resurrezione di Cristo; Luca in specie di bu’: imperò che come lo bu’ mette grande mugghio, così s. Luca più chiaramente disse la predicazione di Cristo che li altri; Ioanni in specie d’aquila: imperò che come l’aquila vola sopra tutti li altri uccelli e tiene fissi li occhi suoi ne la luce del Sole, così s. Ioanni si levò più in alto di tutti, e messi li occhi de la ragione e de lo intelletto ne la luce infinita et eccessiva de la divinità, più attamente che tutti toccò la divinità del filliuolo di Dio, Coronati ciascun di verde fronda; questi 4 Evangelisti, secondo l’autore, erano coronati di corona di fronde d’allorio la quale sempre sta verde, a significare che la loro dottrina durerà in perpetuo, cioè nel mondo mentre che durerà; et in vita eterna lo vero maestro Cristo la loro dottrina confermerà. Ciascun; cioè dei ditti Evangelisti, era pennuto di sei ali; questa finzione dell’ali è posta dell’34 autore, perchè s. Ioanni evangelista ne l’Apocalissi li figurava coll’ali; e queste 6 ali figurano 6 estendimenti che feciono lo intelletto e la ragione delli Evangelisti a considerare la latitudine e la lunghessa, l’altessa e la profondità di questo omo del quale scrisseno, cioè di Cristo. E desi intendere, benchè s. Ioanni nol dica, che due di queste ali alsavansi suso a la testa, a considerare lo principio di Cristo; cioè la divinità, e due si stendevano ai piedi, a considerare lo processo infine a la consumazione del seculo, e l’altre si stendesseno ciascuno al suo braccio et a la mano, a considerare la vita di Cristo e l’opere suoe che fece nel mondo infino a l’ascensione in cielo. E perchè l’altessa sua, cioè la divinità, fu poco da loro appresa co la ragione e co lo intelletto, però finge Ezechiel che due penne, cioè quella ch’andava al capo e quella ch’andava ai piedi, coprivano lo corpo loro, cioè l’altessa di Cristo che è la divinità, la quale poco fu rilevata35 a loro e poco ne scrisseno a noi, e la profondità che significa l’avvenimento di Cristo all’ultimo iudicio perchè non fu noto loro il quando. E ben che s. Ioanni ne pogna 6, et Ezechiel 4, una medesima cosa intoseno: imperò che s. Ioanni intese la ragione e lo intelletto, et Ezechiel solamente lo intelletto; ma la lunghezza che fu la [p. 714 modifica]vita corporale di Cristo, e la latitudine che fu la dottrina sua fu loro nota; e però finge Ezechiel che le penne de le braccia fusseno stese, l’una dall’uno braccio e l’altra dell’altro, e coniungessensi la penna dell’uno co la penna dell’altro36. Le penne piene d’occhi; qui finge, secondo s. Ioanni nel predetto libro, che le penne de le ditte 6 ali fusseno piene d’occhi d’entro e di fuori, che significano la circuspezione che fu data da Dio ai ditti Evangelisti, a vedere d’entro la divinità del Verbo velata sotto l’umanità di Cristo e di fuori la sua umanità coniunta co la divinità, sicchè queste due nature faceano uno individuo. Et anco secondo s. Ioanni aveano occhi d’inanti e di rieto, a significare che ebbeno circuspezione a considerare le figure e profezie passate nel vecchio testamento dal principio del mondo infine a la sesta età, ne la quale venne Cristo e da lui s’incominciò e da la sesta infine a la fine del mondo, quando Cristo verrà ad iudicare. e li occhi d’Argo, Se fosser vivi, serebber cotali; arreca ora similitudine de la fizione poetica. Finge Ovidio, Metamorfosi nel libro primo, che Argo filliuolo d’Aristore ebbe cento occhi intorno al capo, e mai non dormiano se non due per volta, al quale Iunone diede a guardare Io mutata in vacca, la quale Mercurio liberò, uccidendo Argo talliandoli la testa; unde Iunone prese lo capo d’Argo e puoselo a la coda dei suoi37 paoni mutandolo ne la ditta coda, et allora diventonno piene d’occhi le code de’ paoni. E però dice l’autore che, se li occhi d’Argo fusseno vivi, serebbeno tali quali quelli de li Evangelisti preditti: però che Argo fu ditto avere cento occhi per la sua grande circuspezione, e così li ditti Evangelisti: e non vuole che s’intenda che, ben ch’elli figuri quelli occhi essere ne le penne dell’ali, ch’ei fusseno fatti come li occhi de le penne del paone, che paiano occhi perchè ànno figura d’occhi; ma non ànno l’effetto de li occhi: imperò che non vedono, e quelli de li Evangelisti vedeano come vedeano li occhi d’Argo vivo.

C. XXIX— v. 97-105. In questi tre ternari lo nostro autore, seguitando la fizione de la processione ch’ei finge che vedesse venire in verso sè, che figura lo studio de la Bibbia ch’elli prese compiuta la sua penitenzia de la Santa Scrittura, e che dè pilliare ciascheduno fidele cristiano di po’ la sua penitenzia, esercitando sè ne le opere sante, vedendo prima quello che si contiene ne la Bibbia nel vecchio testamento, appresso quel che si contiene nel nuovo, ditto per li Evangelisti; e, se non può vedere per sè, seguiti la dottrina de la santa Chiesa, figurata per Matelda; cioè la s. [p. 715 modifica]predicazione, pone ora la figurazione dei ditti Evangelisti secondo Ezechiel, dicendo: A descriver lor forma; cioè dei ditti Evangelisti, più non spargo Rime; cioè io Dante; e dice rime perchè lo suo parlare è in versi rimati, Lettor; ecco che dirissa lo suo parlare al lettore, ch’altra spesa mi strigne; cioè me Dante, cioè di procedere più oltra ne la materia incominciata, Tanto, che ’n questa; cioè spesa di discrivere altramente li ditti Evangelisti, non posso esser largo; cioè a dirne più ampiamente, Ma legge; tu, lettore, Ezechiel; cioè profeta, che li dipigne; cioè lo quale li descrive nel capitolo primo del suo libro, Come li vidde da la fredda parte; cioè da la parte settentrionale, Venir; cioè descender, con vento, con nube e con igne: però che così dice Ezechiel nel preditto luogo. E qual li troverai ne le suo carte: cioè ne la sua visione, ch’elli descrive, Tali; cioè sì fatti, eran quivi; cioè in quello luogo, che io Dante abbo descritto di sopra, salvo ch’a le penne; cioè all’ali, Giovanni; cioè s. Ioanni evangelista ne l’Apocalissi, è meco; cioè s’accorda meco: imperò che cusì li descrive, come li abbo descritto io Dante, e da lui si diparte; cioè s. Ioanni si diparte da Ezechiel: imperò che nolli descrive come elli: imperò che s. Ioanni dice che aveano sei ali; et Ezechiel dice che aveano quattro penne, e che due coprivano li corpi loro, e due dell’uno si iungevano co le penne dall’altro.

C. XXIX— v. 106-120. In questi cinque ternari lo nostro autore finge, seguitando la processione incominciata di sopra, che di po’ li sette candelabri, e di po’ li vestiti molti di bianco che funno turba molta che niuno potea38 innomerare, e li ventiquattro vecchi e di po’ li quattro Evangelisti figurati animali, a la ditta processione venne in mezzo dei ditti quattro animali uno carro d’oro tirato da uno grifone, dicendo: Lo spazio dentro a lor quattro; cioè animali descritti di sopra, che figurano li quattro Evangelisti, contenne; cioè occupò, Un carro triunfale; cioè a modo di quello, col quale si dava lo triunfo ai principi vincitori di Roma, in su du’ ruote; questo carro figura la sinagoga mutata in santa Chiesa, la quale è in mezzo dei quattro Evangelisti: imperò ch’elli sempre l’accompagnano, come i suoi baroni et adornatori; e le due ruote figurano li du’ testamenti, cioè lo vecchio e ’l nuovo, in su quali è menata la Chiesa di Dio, come lo carro in su due ruote, Ch’al collo d’un Grifon tirato venne; cioè lo quale carro venne tirato dal collo d’uno grifone. Questo grifone significa Cristo, lo quale fu di du’ nature; cioè divina et umana, come lo grifone che è da la parte di sopra uccello, e da la parte di sotto leone. Bene s’adatta questa figura a Cristo: imperò che la parte de lo uccello s’adatta a la divinità, e [p. 716 modifica]la parte del leone all’umanità; e bene figura l’autore ch’elli tirasse lo carro: imperò che Cristo edificò la Chiesa, et elli l’à riconcilliata col padre, e tirato a l’obedienzia sua. Esso; cioè grifone, che figura Cristo, tendea su; cioè inverso ’l cielo, l’una e l’altra ale; per questo figura che questo grifone avesse due ale ine la parte che era uccello; le quali ali sono de la divinità, cioè l’ala ritta la iustizia divina, e l’ala manca la misericordia; le quale ali sempre tenne ritte mentre che fu in terra in carne, in ver lo cielo coniunte col Padre e co lo Santo Spirito, Tra la mezzana e le tre e le tre liste; intende de le sette liste che significano li sette sacramenti de la Chiesa, li quali sono segni dei sette doni de lo Spirito Santo, sicchè tra le ditte du’ ale39 stava l’eucaristia che è lo corpo di Cristo santissimo, lo quale sta in mezzo tra l’ala de la iustizia e l’ala de la misericordia: imperò che Cristo istituitte questo mirabile sacramento in segno di iustizia, perchè noi rendiamo al Padre lo debito sacrificio, come noi siamo tenuti; e niuno sacrificio potea essere correspondente a la infinita eccellenzia del Padre, se non questo et in segno di misericordia: imperò che per questo sacrificio noi meritiamo la ineffabile misericordia di Dio. E dice che di fuora dall’ala ritta rimanevano le tre liste, che significano li tre sacramenti; cioè crisma, battismo et ordinazione: imperò che questi sono segni dei tre doni de lo Spirito Santo, che vegnano da la iustizia di Dio; cioè timore, pietà, e fortessa: imperò che, conservandoci Iddio ne le ditte tre grazie, iustamente possiamo piacere a Dio inanti che noi caggiamo, e meritare vita eterna. E similmente dice che di fuora da la manca erano l’altre 3 liste, che significano li altri tre sacramenti; cioè penitenzia, estrema unzione e matrimonio; e questi sono segni delli altri tre doni de lo Spirito Santo; cioè consillio, sapienzia, et intelletto: imperò che, conservandoci Iddio ne le ditte grazie misericordevilmente; cioè sopra venendo la sua misericordia, possiamo piacere a Dio e meritare vita eterna; e lo sacramento, che è segno de la scienzia, sta in mezzo tra le ditte du’ ale: imperò che per quello iustamente e misericordevilmente insieme possiamo piacere a Dio e meritare vita eterna. Sì ch’a nulla, fendendo, facea male; cioè per sì fatto modo co le ditte ale dividea li ditti 7 sacramenti de la Chiesa, tenendo l’uno tra le du’ ali e tre di fuora dall’una ala, e tre di fuora dall’altra, che così dividendoli a nulla40 facia male; cioè niuno ne guastava. E questo dice l’autore: imperò che tutte l’opere di Dio in verso li omini sono piene di verità e misericordia; dunqua si potrebbe dubitare, ponendo e figurando la ditta divisione dell’ale, che pure nell’uni fusse la iustizia e nelli [p. 717 modifica]altri la misericordia, e così si dividerebbe la iustizia de la misericordia nei sacramenti, che esser non può per la ragione detta. A che si dè rispondere che in quelli dell’ala ritta intese l’autore che la iustizia vada inanti a la misericordia, et in quelli da l’ala manca va inanti la misericordia a la iustizia; e però rimane vera la ragione ditta di sopra e la figurazione dell’autore, e però dice: Nulla41 guastava la ditta divisione. Tanto sallivan; cioè le ditte du’ ali: imperò che la ritta infine al Padre, e la manca infine a lo Spirito Santo, che non eran viste; e chi potrebbe videre42 quanto è la iustizia e la misericordia di Dio? Nullo: imperò che sono infinite. Le membra d’oro avea, quanto era uccello; ora descrive la figura del grifone, e dice che dal mezzo in su, u’ era uccello, era fatto d’oro; e questo finge, per mostrare secondo la lettera che non era di penne, nè di carne, come sono li uccelli; et allegoricamente, per dare ad intendere la purità de la divinità: imperò che come l’oro è più prezioso, più bello, e più puro metallo che sia; così la divinità del Verbo incarnato era più pura, più preziosa e più bella che si potesse pensare: imperò ch’era Iddio, E bianche l’altre di vermillio miste; ora finge che ’l ditto grifone avesse le membra dal mezzo ingiù bianche, meschiate di vermillio sì, come lo corpo umano, per mostrare ch’avesse natura umana, secondo la lettera. E per questo intese la natura umana di Cristo la quale fu purissima: imperò che fu sensa peccato, e però finge che fusse bianca; e fu tutta piena di carità, e però finge che fusse meschiata di vermillio. E volendo dimostrare la bellessa del detto carro, arreca due similitudini; negando cioè del carro triunfale di Roma, e del carro del Sole, dicendo: Non che Roma; cioè non che si possa dire che Roma, Rallegrasse Africano; cioè Scipione Africano, del quale è stato ditto di sopra, che vinse Africa du’ volte; l’una volta facendola tributaria, l’altra volta43 diffacendo Cartagine, sicchè li Romani li fenno triunfo in sul carro coperto d’oro, come è stato ditto di sopra, di carro d’or; cioè di carro d’oro, sì bello; come questo, lo quale io abbo ditto che viddi nel paradiso terreste, ovvero Augusto; cioè Ottaviano imperadore, lo quale ebbe molti triunfi, Ma quel del Sol; cioè ma lo carro del Sole, lo quale descrive Ovidio, Metamorfosi II, che era d’oro e di pietre preziose, salvo che i razzi de le ruote erano d’ariento, seria pover con ello; cioè serebbe povero posto allato a quil carro ch’io viddi: tanto era più eccellente quello; ecco quanto commenda la Chiesa, Quel del Sol; ecco che replica, per mellio dare ad intendere di quale carro intende, adiungendo la fizione poetica; cioè quando Fetonte resse un di’ lo carro del Sole, nel quale arse lo carro e guastòsi per le saette di Iove, pregato da la terra che ardeva, come è stato ditto di sopra nel canto xvii ne la [p. 718 modifica]prima cantica, che; cioè lo quale carro, sviando; cioè dal cammino usato, come finge Ovidio nel preditto luogo, fu combusto; cioè fu arso, Per l’orazion de la Terra devota; ecco che mostra la cagione, Quando fu Giove arcanamente giusto; cioè quando Iove fu eccessivamente sopra tutte l’altre volte iusto: imperò che somma iustizia fu deponere tanta superbia, quanta fu quella di Fetonte.

C. XXIX — v. 121-132. In questi quattro ternari lo nostro autore, procedendo ne la descrizione de la processione ch’elli finge che vedesse nel paradiso delitiarum, finge che allato al carro descritto di sopra, ch’era tirato dal grifone, nel mezzo dei quattro Evangelisti erano da la rota ritta tre donne, e da la sinistra quattro, dicendo così: Tre donne venian danzando in giro: imperò che faceano ballo tondo, da la destra ruota; cioè dal lato a la ruota del ditto carro, che era dal lato ritto; questa ruota figura lo testamento nuovo, e queste tre donne figurano le tre virtù teologiche; cioè carità, speransa e fede; e però finge che dansino da quella ruota: imperò che ’l testamento nuovo è tutto pieno de le ditte tre virtù; e però dobbiamo attendere la loro diffinizione; cioè fede è sustanzia de le cose da esser sperate, et argumento de le non apparenti; e speransa è attenzione certa de la gloria futura, produtta da la Grazia Divina e da precedente merito; e carità è ardente amore di Dio e del prossimo. l’una tanto rossa, Ch’appena; cioè che a pena, fora; cioè serebbe stata, nota; cioè congnosciuta, dentro al foco; cioè se fusse stata in uno fuoco non sarebbe stata44 distinta, cognosciuta dal fuoco, e questa è la carità la quale tutta arde de l’amore di Dio. L’altra: cioè donna, era, come se le carne e l’ossa Fossero state di smiraldo fatte; questa è la speransa la quale era verde, come smeraldo: imperò che la speransa sempre dè45 verzicare, e non dè mai mancare; ma sempre crescere. La terza parea nieve testè mossa; cioè la tersa donna era bianca come nieve; e questa figura la fede la quale dè essere pura, come la bianchessa; unde bene dice Virgilio, nel primo de le Eneide: Cana fides etc. Et or parean da la bianca tratte; dice che alcuna volta parea che la bianca si tirasse l’altre di rieto: imperò che di rieto a la fede viene la carità, e la speransa alcuna volta, Or da la rossa; pareano tratte l’altre, s’intende: imperò che alcuna volta la carità va in anti, e tirasi di rieto la speransa e la fede; la fede genera alcuna volta la carità e la speransa; e la carità genera alcuna volta la fede e la speransa; la speransa mai non è inanti a la fede et a la carità. e dal canto di questa; cioè de la carità, L’altre tolliean l’andar tarde e ratte: tanto va la fede, quanto la carità la muove; e tanto va la speransa, quanto la carità la muove: se la carità è poca [p. 719 modifica]nell’anima, tarda è la fede e la speransa; se la carità è fervente, ratta è la fede e la speransa. Da la sinistra; cioè rota, che figura lo testamento vecchio, quattro; cioè donne, facean festa: imperò che ancora dansavano: queste sono le quattro virtù cardinali; cioè iustizia, prudenzia e fortezza e temperansa, de le quali è tutto pieno lo testamento vecchio; et è iustitia abito dell’animo, servata la comune utilità, dante a ciascuna la sua ragione; prudenzia è scienzia di ciascune de le buone cose e de le rie; fortessa è considerato ricevimento dei periculi, e sostenimento de le fatiche; e temperansa è ferma e moderata signoria de la ragione contra la libidine, e contra li altri non diritti impeti dell’animo. Di purpura vestite; cioè di purpura bianca, che significa mondessa e purità, dietro al modo; cioè seguitando lo modo, D’una; cioè virtù, di lor; quattro, ch’avea; cioè la quale avea, tre occhi in testa; questa è la prudenzia, la quale si dice avere tre occhi: imperò ch’ella considera le cose passate, e provede a le cose che denno venire, et ordina le cose presenti; e però degna cosa è che tutte l’altre vadano di rieto al modo suo: imperò che in tutte le virtù la prudenzia è necessaria.

C. XXIX — v. 133-141. In questi tre ternari lo nostro autore, seguitando la descrisione della processione incominciata di sopra, finge che di rieto al carro presso venisseno due; cioè s. Luca e s. Paulo: imperò che ne la Bibbia di po’ li 4 Evangeli46 seguita li Atti de li Apostuli che scrisse s. Luca, e le Epistole che scrisse s. Paulo; e però dice: Appresso tutto ’l pertrattato modo; cioè appresso tutto quello, che ditto è di sopra del carro e de le ruote e de li accompagnatori e de le accompagnatrici, Viddi; cioè io Dante, du’ vecchi; cioè s. Luca, e s. Paulo: imperò che s. Luca, oltra l’Evangelio, scrisse li Atti de li Apostuli, e s. Paulo scrisse le sue Epistole ad Romanos, ad Corinthios, ad Galatas, ad Ephesios, ad Philippenses, ad Colossenses, ad Tessalonicenses, ad Timotheum, ad Titum, ad Philemonem, et ad Hebraeos, come, dispari; cioè disequali, in abito: imperò che non era abituato l’uno, come l’altro, Ma pari in atto et onestato e sodo: imperò che funno pari nell’atto da l’esercizio per la fede di Cristo: imperò che ciascuno soperò in ciò onestamente e fermamente, come appare ne la Bibbia dove sono prima l’Epistole preditte di s. Paulo e poi li Atti de li Apostoli, ne le quali si vede l’onestà e la costanzia dell’uno e dell’altro. L’un si mostrava; cioè s. Luca ne l’abito pareva, alcun dei familliari Di quel sommo Ipocrate; Ipocrate fu maestro de la Medicina, e s. Luca fu medico, e però finge l’autore [p. 720 modifica]ch’elli venisse vestito in abito di medico, che; ciòè lo quale Ipocrate, Natura; cioè la natura naturante, Iddio, fe; cioè creò, o volliamo intendere la natura naturata, et allora dicemo fe; cioè produsse, Alli animali; cioè ad utilità delli animali, che; cioè li quali, ella; cioè natura, à più cari; e47 queste sono li omini: imperò che Iddio à più cari li omini che tutti li altri animali, e però dà ad intendere che la natura produsse, o vero creò Ipocrate ad utilità delli omini a conservare la sanità, et a ricoverarla quando fusse perduta; e questo mostrò Ipocrate e di ciò fu studioso, come appare nei suoi libri; e però finge che s. Luca venisse col bussolo da la medicina in mano, per mostrare che fusse stato medico. Mostrava l’altro; cioè s. Paulo, la contraria cura; a quella di s. Luca: imperò che mostrava essere destrottore delli omini, dove, colui mostrava d’essere conservatore, Con una spada lucida et acuta; cioè che portava in mano, in segno che prima era stato omo d’arme perseguitatore dei Cristiani, Tal che di qua dal rio; unde io Dante era, mi fe paura; cioè a me Dante, vedendoli quella spada in mano; e però ben disse che mostrava la contraria cura: imperò che medicina dimostra la conservazione de la vita, e la spada significa lo privamento de la vita. E per questo dà ad intendere che, poi ch’elli si fu esercitato ne lo studio de li Evangelisti, s’è esercitato ne lo studio de le Pistole di s. Paulo, delli Atti de li Apostoli, studiando ordinatamente la Bibbia. E così dè fare ciascuno che à fatto la debita penitenzia de’ suo’ peccati, quanto è possibile a chi sta nel mondo, e non solamente esercitarsi ne lo studio; ma ne l’opere secondo che quive si contiene, e chi non sa leggere ne le prediche dei predicatori de la parola di Dio che ciò ammaestrano, seguendo coll’opere sempre la dottrina.

C. XXIX — v. 142-150. In questi tre ternari lo nostro autore, seguendo la fizione ditta di sopra, de la ditta processione finge che dirieto ai sopraditti seguitasseno anco quattro molto umili a du’ a du’, come li altri; e di rieto a tutti48 uno vecchio solo che venia dormendo, dicendo così: Poi; cioè di po’ li du’ ditti di sopra, viddi; cioè io Dante, quattro; cioè omini seguitare la ditta processione, in umile paruta; cioè in umile apparenzia, cioè molto umili ne la vista: questi quattro figurano quelli quattro Apostoli che fenno quelle quattro epistole che seguitano ne la Bibbia di po’ li Atti de li Apostuli; cioè s. Iacopo fratello di Cristo, s. Piero apostulo, s. Ioanni evangelista, et Iuda fratello di s. Iacopo; li quali tutti funno umili poverelli, l’Epistole dei quali elli studiando vidde di rieto alli Atti de li Apostuli adimpiendo coll’opere quanto potea la loro dottrina, et insegnando che cusì facciano li purgati dei loro peccati co la penitenzia, E di rieto da tutti; cioè quelli che sono ditti di sopra, un [p. 721 modifica]vecchio solo; questi è s. Ioanni evangelista che scrisse l’Apocalissi; e dice vecchio: imperò che quando lo scrisse era vecchio; e dice solo: imperò che nella Bibbia di po’ l’Apocalissi non seguita più libro niuno, Venir dormendo; finge che vegnia dormendo: imperò che questa revelazione vidde s. Ioanni, quando dormitte ne la cena nel petto di Cristo, e poi le scrisse quando era ne la silva49 di Patmos, co la faccia arguta; cioè sottile: imperò che quello libro è di grande sottilliessa ad intenderlo. E questi sette; cioè li du’ ditti di sopra e li 5 ditti avale, col primaio stuolo; cioè co li vestiti di bianco ch’andonno inanti di rieto ai candelabri, e li 24 seniori, Eran abituati; cioè erano vestiti di bianco ad uno modo: imperò che li 24 libri del vecchio testamento, l’Epistole di s. Paulo, li Atti de li Apostoli, le 4 epistole de li Apostuli, e l’Apocalissi di s. Ioanni, tutti sono vestiti di fede, che è significata per l’abito bianco, ma di gilli; ecco in che erano differenti delli altri questi sette: imperò che li vestiti di bianco e li 24 seniori, che significano quivi li 24 libri del vecchio testamento, funno figurati coronati di gilli come appare di sopra, e li Evangelisti di fronde verde; ma questi sette erano coronati di rose e di fiori vermilli, e però dice: Dintorno al capo non facean brolo; cioè verdura: brolo al modo lombardo è orto dov’è verdura; e qui lo pillia per lo frontale e per la corona, Anzi di rose e d’altri fior vermilli; e questo figura: imperò che li 24 libri del vecchio testamento sono da essere letti e studiati co la purità de la fede, e però richiedono per principio e preparamento la fede, altramente in vano serebbe lo loro studio; e però ànno di gilli lo capo adornato che sono bianchi, e figurano la purità de la fede, e li Evangelisti ànno di verde che figura la speransa: imperò che ’l principio delli Evangeli è la vigorosità de la speransa a chi li vuole studiare, altramente li studierebbe in vano se non sperasse fermamente quello che promettono; e questi 7 ànno adornato lo capo di rose vermillie e fiori vermilli, che figurano la carità: imperò che lo loro principio è lo fervore de la carità. Giurato avrea poco lontano aspetto; cioè uno che avesse vedutoli da lungi, Che tutti ardesser di sopra da’ cilli: tanto eran vermilli; ecco che dimostra lo grande fervore di carità col quale si volliano leggere e studiare li preditti 7 libri, li quali elli studiò con grande fervore di carità e la loro dottrina misse in opera ardentemente; e così insegna che debbia fare chiunqua à compiuto la purgazione dei suoi peccati volendosi esercitare ne la vita attiva prima, e poi può sallire a la contemplativa.

C. XXIX — v. 151-154. In questo ternario e versetto lo nostro autore finge come si fermò la processione per lui descritta, la quale [p. 722 modifica]venia incontra a lui; e come s’uditte lo tuono che fu segno che la ditta processione si dovesse fermare, e però dice: E quando il carro; questo carro è quello che è stato ditto di sopra, ch’era tirato dal collo del Grifone che significa la sinagoga trasformata in s. Chiesa; la quale lo Griffone, cioè Cristo nostro salvatore, àe tirato con grande sua pena e passione tanto ch’ella è posta nel cospetto d’ogni omo, sicchè ad ogni omo è manifesta, e però dice: mi fu a rimpetto; cioè fu dinanti da me Dante dall’altra parte del fiume; et allegoricamente per questo intende che, poi ch’elli ebbe studiato la Bibbia ordinatamente, come descritta è di sopra, li fu manifesto lo processo tutto de la salute dell’umana specie dal principio del mondo infine a la costituzione de la nuova Chiesa, la quale istituitte lo nostro signore Iesu Cristo, la notizia del quale guidata da li 7 doni de lo Spirito Santo si fa incontra a chiunqua lo vuole considerare, come finge Dante che facesse o veramente che così fece, e così insegna a ciascuno che legge questo suo libro che debbia fare, esercitandosi ne la dottrina di queste cose, sicchè poi possa intendere a la contemplazione di vita eterna: imperò che questa è la via; cioè vedere questa visibile e terreste Ierusalemme; e, veduta questa et intesa pur carnalmente, s’intende poi spiritualmente a contemplare, poi che serà bagnato nel fiume Lete e di quello abbeverato; cioè mondato o lavato da ogni ricordazione e incentivo di peccato; e poi nel fiume Eunoe et ancora di quello abbeverato, sicchè s’accenda in lui l’amore de la virtù e del sommo bene inestinguibile, fatto l’omo sì come angiulo in terra puro et innocente, la celeste Ierusalemme abitando in essa co la mente per grazia mentre che si sta in questa vita, e poi partita l’anima dal corpo per gloria, Un tuon s’udì; cioè da me Dante; questo tuono, che l’autore finge qui, si dè intendere che fusse in quello luogo cosa sopra natura, e fusse segno da Dio dato che la processione si dovesse fermare e dare la volta inverso lo Sole seguendolo: imperò che, come è stato dichiarato di sopra nel canto xxi, dal sommo grado de la scaletta che monta suso al purgatorio in su, non può essere nessuna alterazione d’aire: imperò che quive incomincia la tersa regione dell’aire nel quale non ascendeno vapori umidi, nè secchi, li quali cagionano li tuoni, come dimostra Aristotile ne la sua Metaura: imperò che quando li vapori secchi montano suso, sicchè trovino le nuvule piene di vapori umidi, entrano ne le loro concavità e convertensi in vento; e movendosi dentro a la nuvula cercano escimento e rompono la nuvula, et allora si fa grande suono se il vapore è grande, e se è picculo muovesi dentro ne la nuvula, e fa picculo suono e per tale agitamento si genera lo fuoco alcuna volta e la saetta, et alcuna volta no, secondo la forte e debile resistenzia de le nuvule, e la [p. 723 modifica]quantità dei vapori, e per tanto secondo la lettera debbiamo intendere che questo tuono fusse naturale; ma ora veggiamo che intese allegoricamente l’autore per questo tuono. E secondo lo mio comprendere lo nostro autore àe volsuto figurare, come ditto è, lo processo de la s. Chiesa, la quale ebbe incominciamento dal legno de la notizia del bene e del male, del quale si partitteno li primi parenti per disobedienzia dal comandamento di Dio, et andava tutta la generazione umana in verso occidente per che nullo andava in paradiso; ma tutti li rei a l’inferno, e li buoni al limbo; e però venne Cristo e legòsi questa Chiesa al collo, la quale era allora la sinagoga de’ Iudei e tirolla infine al fiume Iordano, e quive si batteggiò; et allora s’uditte lo tuono, cioè la voce del Padre, che venne come uno tuono, dicendo: Hic est filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui: Ipsum audite. E batteggiato Cristo, fu fatto de la sinagoga chiesa, sicchè finita fu la legge de la servitù, et incominciata la legge de la grazia; e però finge l’autore che infine a qui venisse la processione inverso l’occidente: imperò che Cristo infine a 30 anni visse secondo la legge di Moisè, e però andoe inverso l’occidente; ma poi che uscitte del diserto di far la penitenzia et andòsi a battegiare, allora si fermò lo processo della legge di Moise e della circuncisione, et incominciòsi la nuova legge evangelica col battesmo. E però finge l’autore che qui si fermasse, udito questo tuono, dove dimostrò Iddio che volea che noi fermassemo lo discorso de la legge antica; e, ricevuta la nuova, dessemo volta a ritornare con essa per obedienzia al legno de la notizia del bene e del male: e però dimostra di sotto che questa gente desse volta, e tornasse inverso lo legno de la notizia del bene e del male; e quive si terminerà la processione, e legherà lo Grifone lo carro al ditto legno: imperò che l’arà rimenato per obedienzia al ditto legno, unde s’era partito per disobedienzia, e la gente se ne menerà in cielo, e questo figurerà la passione, resurrezione et ascensione di Cristo in vita eterna; e però ben figura che s’uditte lo tuono, e quelle gente degne; cioè quelle che descritte sono ne la ditta processione, e che sono andate per la legge de la natura e de la servitù di Moisè, Parveno aver l’andar più interdetto; cioè vietato l’andare più oltra con quella legge, ne la quale erano stati infine a quive: imperò che fu consecrato lo battismo, e tolto via la circuncisione e le cerimonie tutte, et incominciasi la nuova legge evangelica, ne la quale allora si fermonno li santi omini che seguitonno Cristo; e però dice: Fermandosi ivi: cioè quive, ne la legge evangelica, co le prime insegne; cioè co li 7 doni de lo Spirito Santo e coi 7 sacramenti de la Chiesa, li quali s’intendeno per li 7 candelabri e per le 7 liste, come esposto è. E qui finisce lo canto xxix, et incominciasi lo xxx.

Note

  1. 1,0 1,1 C. M. dall’
  2. C. M. torce
  3. C. M. l’ammonitte
  4. C. M. luogo, dove nulla disobedienzia era,
  5. C. M. com’io fusse
  6. Non da πυρ, fuoco; ma da οὐρανὸς, cielo deriva il nome d’Urania. E.
  7. Ammannare; verbo della terza coniugazione foggiato sulla prima. E.
  8. C. M. in queste— ; e il Riccard. — questi — per parità di desinenza, come porti, salubri ec. E.
  9. C. M. significazioni
  10. C. M. sì pianamente,
  11. Omi; uscita regolare dal singolare omo, non avvertita da nissun grammatico E.
  12. C. M. rado
  13. C. M. pari bianchezza.
  14. C. M. si resse e stette fermo per mellio
  15. C. M. vuole fare una lista— ; ed il Cod. nostro — scire — , uscire, alla guisa de’ Siciliani. I Gradi di s. Geronimo ànno «gli farò scire fiumi d’acque» E.
  16. Apo; più secondo l’apud dei Latini, dal quale deriva. E.
  17. C. M. con dieci liste
  18. C. M. de lumi della sacra cosa: imperò che si dice sacramento segno della sacra cosa; questi vii sacramenti sono segno de’ vii candelabri.
  19. Reddere. I nostri antichi dissero anche reddere alla foggia latina. Nelle storie di Paolo Orosio volgarizzate, lib. I. «redderebbero loro la segnoria de’ Beozzi». E.
  20. C. M. sono fermati li candelabri
  21. C. M. qui appresso una
  22. divisatamente
  23. Nel Codice Magliabechiano manca la figura che segue.
  24. C. M. tre virtù.
  25. Obietti; al singolare, per cadenza uniforme a cavalieri, di' ed altrettali. Nel Rosaio della Vita «La qual cosa è contra l’Esodi». E.
  26. C. M. Santo, et illuminano l’anima e guidanola in vita eterna; e così
  27. C. M. la quale
  28. C. M. che significano e figurano
  29. C. M. ec. Ora seguitando la ditta figurazione, dimostrando le ditte cose andare sotto modo di processione e venire incontra il suo processo, compie la ditta figurazione infine alla figurazione del battesmo di Cristo, figurando libri della Bibbia sotto figura di omini e dimostrando l’ordine loro: imperò che in essi si contiene il processo de l’umana salute; et elli li studiò dal primo all’ultimo, fatta la sua purgazione. E dividesi
  30. C. M. Dante, ò diviso;
  31. C. M. 24 signori
  32. C. M. le lodi
  33. C. M. lo leone
  34. C. M. dall’autore,
  35. C. M. rivellata
  36. C. M. de l’altro, a significare che lo intelletto de l’uno s’accordava collo intelletto dell’altro, et e converso a trattare e scrivere e fare nota ai lettori la vita corporale di Cristo e la sua dottrina. Le penne
  37. Paoni; levato di mezzo il v, come in auto, leggea e simili. E.
  38. Innomerare; nomerare, aggiunto l’in, come in innarrare ec. E.
  39. C. M. due ali
  40. Facia; dall’infinito facire. E.
  41. C. M. dice, che nulla
  42. C. M. vedere
  43. C. M. disfacendo
  44. C. M. stata distintamente cognosciuta
  45. C. M. verdezzare,
  46. Seguita li Atti. Non è nuova presso i nostri classici la foggia di accordare un verbo di terza persona singolare col soggetto plurale, nel che seguono i Provenzali i quali nella terza persona del maggior numero sopprimevano l’n finale, dicendo teno, vendo per tenon, vendon e via via. E.
  47. C. M. e questi sono
  48. C. M. a tutti venisse uno solo vecchio
  49. C. M. ne l’isola di Patmos
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