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702 | p u r g a t o r i o x x i x . | [v. 43-57] |
n’abbo ditto e sì ne la prima cantica et in questa seconda ancora. se fami, Freddo o vigilie mai per voi soffersi; quasi dica: Imperò che molto ne soffersi per acquistarvi; et accordasi con Orazio, che dice ne la poetica: Multa tulit fecitque puer, sudavit et alsit, Abstinuit Venere et vino, qui Pythia cantat Tibicen, didicit prius extimuitque magistrum. — , Cagion mi sprona; cioè me Dante, ch’io; cioè ch’io Dante, mercè vi chiami; cioè vi dimandi mercè e premio de la mia fatica e de l’amore ch’io abbo inverso voi. Or convien ch’Elicona; Elicon è uno de iughi di Parnaso, in sul quale era la citta u’ era lo studio de la teoria de le scienzie, et appresso u’ era la fonte Castalio che si chiama la fonte de le Muse; la quale fonte figurava la influenzia indeficiente de le scienzie che quive era; e però dice che ora conviene che Elicona, e pone qui Elicona per la fonte de le Muse, per me; cioè Dante, versi; cioè dell’abundanzia sua metta fuora sì, che ammaestri me tanto che mi vasti a questa materia che io abbo a scrivere, che à bisogno aiuto de le Muse; et accordasi con Orazio, dove dice nel sopradetto libro: Nec Deus intersit, nisi dignus vindice nodus Inciderit — , Et Urania; questa è una delle 9 Muse, cioè l’viii, che si chiama cusì1 a πῦρ che è in lingua greca lo fuoco; e però Urania s’interpreta celestiale, e però chiama l’autore nominatamente lei, perch’elli àe a dire de le cose celestiali, m’aiuti; cioè me Dante, col suo coro; cioè co la sua brigata: tutte le Muse ànno per suo coro le parti de le scienzie che servono e rispondono a lei, sicchè Urania, che è celestiale et elegge lo bene et aborre lo male, pillia de la Grammatica li vocaboli atti a la sua materia, da la Retorica lo stilo e li argumenti, e così dall’altro, Forte cosa; è, s’intende, a pensar, mettere ’n versi; sì fatta materia quale è questa de la quale io abbo a parlare, che è alta e trascende la ragione umana.
C. XXIX — v. 43-57. In questi cinque ternari lo nostro autore dichiara che era quello che facea lo splendore ditto di sopra, e che cantavano le voci di sopra udite, dicendo così: Poco più oltra; cioè che noi non eravamo, il lungo tratto; cioè la lunga distanzia, Falsava nel parere; cioè falsamente apparere facea, sette arbori d’oro; li quali, a la verità non erano arbori; ma così parevano per lungo tratto, cioè distanzia, Del mezzo, ch’era ancor tra noi e loro; cicè tra noi poeti e li ditti arbori; e sottilmente àe toccato qual’è la cagione che ’l vedere s’inganna, e dice che alcuna volta è per lunghessa del mezzo che eccede tanto la virtù visiva, ch’e’ raggi visuali si ristringeno innanti che vegnino a l’obietto; unde debbiamo considerare che l’occhio mette fuora raggi, li quali, avendo virtù di rappresentare
- ↑ Non da πυρ, fuoco; ma da οὐρανὸς, cielo deriva il nome d’Urania. E.