Wikisource:Testo in evidenza/Archivio/2017

1 gennaio

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     La capanna dello zio Tom    di Harriet Beecher Stowe (1853), traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)

 
Nella città di P...., nel Kentucky, al tramontare di una fredda giornata di febbraio, due gentlemen protraevan l’ora col bicchiere alla mano in una sala da pranzo splendidamente arredata; allontanato ogni servo, seduti l’un presso l’altro, parea discutessero con gran calore un qualche affare importante.

Abbiam detto, per convenienza, due gentlemen; ma uno di essi, osservato attentamente, non dimostrava di appartenere a questa classe. Piccolo, tozzo, di lineamenti grossolani, vulgari, affettava quel piglio borioso che è tutto proprio di uomo plebeo, il quale ambisce farsi innanzi nel mondo sociale. Era molto ben in arnese; portava un corpetto di gala screziato, una cravata azzurra, tempestata di punti gialli, composta con un nodo colossale, in armonia perfetta col complesso della persona. Le sue mani, larghe e tozze, splendean di anelli; una massiccia catena d’oro, che finiva in gran volume di ciondoli d’ogni colore, e che egli, nel calore del discorso, solea agitar per vezzo, con evidente soddisfazione, gli pendeva da un orologio d’oro. Il suo parlare, non troppo scrupoloso della grammatica di Murray, si condia tratto tratto di espressioni tali, che, per quanto amiamo esser veridici, non ci indurremo a trascrivere.

8 gennaio

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     L'arte distillatoria    di Pietro Andrea Mattioli (1681)

 
Non ritrovo che Medico veruno delli antichi habbi mai scritto del modo di lambiccare le acque dalle piante, ò da altre cose vegetabili. Imperoche usavano in vece delle acque distillate per curare i foro infermi, ò infusioni, o dicottioni, come quelli, che dalle acque distillate non havevano notitia alcuna. Però adunque bisogna dire, che la inventione del destillare le acque, è cosa di non lungo tempo. Et vogliono la più parte, che il modo sia stato ritrovato dalli Alchimisti, se ben sono alcuni, che dicono esser stato ritrovato accidentalmente da un Medico, il quale essendo diligentissimo investigatore delle cose naturali, et havendo un giorno cotto delle biegole per mangiarsele, le pose calde, anzi boglienti dalla pignatta in un piatto di stagno, et acciò si mantenessero ben calde coperse con un’altro piatto simile, et venendo poscia il tempo di mangiarsele, et ritrovando il piatto di sopra tutto di dentro così abbombato d’acqua, che gocciolava per tutto all’intorno, et che le gocciole havevano l’istesso sapore delle bietole, havendo così imparato l’arte dalla natura, s’imaginò di fabricare uno instrumento di piombo simile à una campana con il suo lambicco ritorto per coperchio d’una Padella di rame, piena di herba fresca, et collocata sopra un Fornello dove si potesse accendere il fuoco, per mezzo del quale si havesse à convertire il lor vapore in limpidissima acqua.

22 gennaio

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     Sopra le vie del nuovo impero    di Enrico Corradini (1912)


Roma, 24 Febbraio 1912.

La nuda cronaca di ieri e di ier l’altro ha in sè la sua storia e la sua poesia. Nulla è da aggiungere alla nuda cronaca dei due giorni in cui il parlamento ha approvato il decreto per l’annessione della Libia. Fu approvato un decreto? Si discusse di Tripoli e dell’impresa? Si celebrò piuttosto la nuova apoteosi della nazione nella nuova concordia di tutta la patria: del governo col parlamento, del parlamento col paese; nella nuova concordia di tutta la famiglia italiana, consacrata nel sangue de’ figli che combattono in Affrica. Non furono due giorni di discussione, furono due giorni di felicità nazionale, epica, prorompente dall’epica della guerra e della conquista.

La cronaca è breve.

Ier l’altro, quando il ministero con alla testa l’on. Giolitti apparve nell’aula, tutta l’assemblea, tutte le tribune balzarono in piedi e scoppiarono in una acclamazione che durò minuti e minuti. Così la nazione diceva al governo che aveva fatto bene a muover guerra alla Turchia; e il decreto d’annessione era già solennemente approvato, e quanto seguì ier l’altro e ieri, non fu se non la serie di cerimonie che accompagnano un rito.

5 febbraio

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     Le colpe altrui    di Grazia Deledda (1920)

 
Para Zironi, l’ultimo fraticello rimasto fra le rovine del convento di Monte Nieddu, scendeva tranquillo il sentieruolo della foresta, andando a cercarsi da vivere poichè nessuno più pensava a portargliene lassù.

Tutti oramai credevano che gli avanzi del convento fossero stati già diroccati per ordine di uno speculatore che tagliava le foreste di Monte Nieddu: fino a qualche mese prima solo un pastore si ricordava di frate Gerolamo ancora vivo e svelto lassù come la lucertola fra le rovine, e ogni tanto andava ad assistergli la messa e gli recava in dono un vaso di latte cagliato o un pezzo di ricotta avvolto nell’asfodelo; ma negli ultimi tempi anche i pastori erano stati cacciati dalla foresta e la primavera piovosa e ventosa aveva portato la carestia nel convento.

Para Zironi coltivava nel suo orticello patate, cipolle ed altri ortaggi delicati che tremavano e si bucavano ad ogni soffio d’aria: ma l’olio e il pane? Anche San Francesco non aveva mai sdegnato l’olio e il pane.

12 febbraio

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     Per le vie    di Giovanni Verga (1883)

 
IL BASTIONE DI MONFORTE.

Nel vano della finestra s’incorniciano i castagni d’India del viale, verdi sotto l’azzurro immenso — con tutte le tinte verdi della vasta campagna — il verde fresco dei pascoli prima, dove il sole bacia le frondi; più in là l’ombrìa misteriosa dei boschi. Fra i rami che agita il venticello s’intravvede ondeggiante un lembo di cielo, quasi visione di patria lontana. Al muoversi delle foglie le ombre e la luce scorrono e s’inseguono in tutta la distesa frastagliata di verde e di sole come una brezza che vi giunga da orizzonti sconosciuti. E nel folto, invisibili, i passeri garriscono la loro allegra giornata con un fruscìo d’ale fresco e carezzevole anch’esso.

Sotto, nel largo viale, la città arriva ancora col passo affaccendato di qualche viandante, col lento vagabondaggio di una coppia furtiva. Ella va a capo chino, segnando i passi coll’appoggiare cadenzato dell’ombrellino, e l’ondeggiamento carezzevole del vestito attillato, che il sole ricama di bizzarri disegni, mentre l’ombre mobili delle frondi giuocano sul biondo dei capelli e sulla nuca bianca come rapidi baci che la sfiorino tutta. Ed egli le parla gesticolando, acceso della sua parola istessa che gli suona innamorata. A un tratto levano il capo entrambi al sopraggiungere di un legno che va adagio, dondolando come una culla, colle tendine chiuse; e la giovinetta si fa rossa, pensando alla penombra azzurra di quelle tende che addormentò le sue prime ritrosie. Un vecchio che va curvo per la sua strada alza il capo soltanto per vedere se la giornata gli darà il sole.

19 febbraio

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     Rime    di Bianca Laura Saibante (1834)

 
IL MIO RITRATTO

SONETTO

Non hommi bianco il volto e l’alma nera,
     Lettor gentil, nè sotto vario aspetto
     So pinger ciò che nutro o celo in petto,
     Nè villana già sono o menzognera.

Ciò che fuggo il mattin spregio la sera;
     D’ombre vane non pasco l’intelletto;
     Son nemica mortal di rio sospetto;
     Ed ho candido il cor, la fè sincera.

Il conversar mi piace, il giuoco, il riso;
     Non son soverchio allegra, non ritrosa;
     E al retto e saggio oprar ho il cor sol fiso.

Or venga, chiunque vuol, il mio ritratto
     A riguardar, ch'è pur mirabil cosa,
     Com’esso mi assomiglia affatto affatto.

5 marzo

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     Dei delitti e delle pene    di Cesare Beccaria (1780)

 
Gli uomini lasciano per lo più in abbandono i più importanti regolamenti alla giornaliera prudenza, o alla discrezione di quelli, l’interesse de' quali è di opporsi alle più provide leggi che per natura rendono universali i vantaggj, e resistono a quello sforzo, per cui tendono a condensarsi in pochi, riponendo da una parte il colmo della potenza e della felicità, e dall’altra, tutta la debolezza e la miseria: perciò, se non dopo esser passati tramezzo mille errori nelle cose più essenziali alla vita ed alla libertà, dopo una stanchezza di soffrire i mali giunti all’estremo, non s’inducono a rimediare ai disordini che gli opprimono, e a riconoscere le più palpabili verità, le quali appunto sfuggono per la semplicità loro alle menti volgari, non avvezze ad analizzare gli oggetti, ma a riceverne le impressioni tutte di un pezzo, più per tradizione che per esame.

12 marzo

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     Fatalità    di Ada Negri (1895)

 

Questa notte m’apparve al capezzale
          Una bieca figura.
Ne l’occhio un lampo ed al fianco un pugnale,
Mi ghignò sulla faccia. — Ebbi paura. —
          Disse: “Son la Sventura.„

“Ch’io t’abbandoni, timida fanciulla,
          Non avverrà giammai.
Fra sterpi e fior, sino alla morte e al nulla,
Ti seguirò costante ovunque andrai.„
          — Scostati!... singhiozzai.

Ella ferma rimase a me dappresso.
          Disse: “Lassù sta scritto.
Squallido fior tu sei, fior di cipresso,
Fior di neve, di tomba e di delitto.
          Lassù, lassù sta scritto.„

19 marzo

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     Eva    di Giovanni Verga (1873)

 
Avevo incontrato due volte quella donna — non era più bella di tutte le altre, nè più elegante, ma non somigliava a nessun’altra — nei suoi occhi c’erano sguardi affascinanti, come il corruscare di un’esistenza procellosa ch’era piena di attrattive. — Tutti gli abissi hanno funeste attrazioni, e quelle voragini che divorano la giovinezza, il cuore, l’onore, si maledicono facilmente, ahimè! quando arriva la filosofia dei capelli bianchi. — Era bionda, delicata, alquanto pallida, di quel pallore diafano che lascia scorgere le vene sulle tempie e ai lati del mento come sfumature azzurrine; aveva gli occhi cerulei, grandi, a volte limpidi, quando non saettavano uno di quegli sguardi che riempiono le notti di acri sogni; aveva un sorriso che non si poteva definire — sorriso di vergine in cui lampeggiava l’immagine di un bacio. Ecco che cosa era quella donna, quale si rivelava in un baleno, fuggendovi dinanzi nella sua carrozza come una leggiadra visione, raggiante di giovinezza, di sorriso e di beltà. — In tutta la sua persona c’era qualcosa come una confidenza fatta al vostro orecchio con labbra tiepide e palpitanti, che vi rendeva possibile il sognare le sue carezze, e farci su mille castelli in aria. Non era soltanto una bella donna — certe altezze non attraggono appunto perchè sono inaccessibili. — L’ammirazione che ella destava, assumeva la forma di un desiderio; c’era nei suoi occhi qualche cosa come un sorriso e una promessa, che faceva discendere la dea dal suo cocchio superbo, o piuttosto si metteva accanto a lei, e faceva correre il vostro pensiero alle cortine della sua alcova; e ai viali più ombreggiati del suo giardino.

26 marzo

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     Il marito di Elena    di Giovanni Verga (1914)

 
Camilla picchiò all’uscio, mentre i genitori stavano per andare a letto, e disse:

— Elena è fuggita.

Don Liborio rimase collo stivaletto in mano, sbalordito. Poscia andò ad aprire zoppicando, pallido come un morto.

La figliuola, colla sua voce calma di ragazza clorotica, ripetè tranquillamente:

— L’ho cercata dappertutto. Non c’è più.

Allora la mamma si rizzò a sedere sul letto, e cominciò a strillare: — M’hanno rubata mia figlia! m’hanno rubata mia figlia! — Taci! le disse suo marito. Non gridare così, chè i vicini sentono!

Il pover’uomo, tutto sottosopra, ancora mezzo scalzo, colla camicia che gli si gonfiava al pari di una gobba fra la croce degli straccali, andò ad accendere un’altra candela; ma non ci riusciva, tanto gli tremavano le mani. Poi si misero insieme a cercar per la casa, come se l’Elena stesse giuocando a rimpiatterello.

2 aprile

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  Racconti fantastici

 
I FATALI

Esistono realmente esseri destinati ad esercitare un’influenza sinistra sugli uomini e sulle cose che li circondano? È una verità di cui siamo testimonii ogni giorno, ma che alla nostra ragione freddamente positiva, avvezza a non accettare che i fatti i quali cadono sotto il dominio dei nostri sensi, ripugna sempre di ammettere.

Se noi esaminiamo attentamente tutte le opere nostre, anche le più comuni e le più inconcludenti, vedremo nondimeno non esservene una da cui questa credenza ci abbia distolti, o a compiere la quale non ci abbia in qualche maniera eccitati. Questa superstizione entra in tutti i fatti della nostra vita.

Molti credono schermirsene asserendo per l’appunto non esser ella che una superstizione, e non s’avvedono che fanno così una semplice questione di parole. Ciò non toglierebbe valore a questa credenza, poichè anche la superstizione è una fede.

16 aprile

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     Che cosa hanno fatto i deputati dei vari partiti    di Cesare Battisti (1911)

 
La campagna elettorale da parte dei clericali e dei liberali del Trentino questa volta vien fatta in gran parte in retroscena. Ma non possono astenersi del tutto a venir in pubblico a giustificare quanto hanno fatto e le loro intenzioni per l’avvenire. I socialisti hanno tutto lo interesse a far conoscere quanto ha fatto quanto ha ottenuto e quanto gli fu respinto al loro gruppo di 87 deputati, contro 429 deputati di vari partiti borghesi.

Gli elettori questa volta sono in condizione molto migliore di giudicare in qual senso abbiano da prendere certe promesse di cui anche nel Trentino, i partiti borghesi nella caccia di voti degli elettori di tutte le classi sociali, furono cosi generosi nella primavera del 1907.

S’erano pronunciati contro gli aggravi del militarismo, contro il rincaro della vita prodotto dal peso eccessivo dei dazi e delle tasse di consumo; hanno protestato contro i metodi del Governo austriaco, contro la politica di conquiste e di minaccie di guerra.

23 aprile

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     Con gli occhi chiusi    di Federigo Tozzi (1919)

 
Usciti dalla trattoria i cuochi e i camerieri, Domenico Rosi, il padrone, rimase a contare in fretta, al lume di una candela che sgocciolava fitto, il denaro della giornata. Gli si strinsero le dita toccando due biglietti da cinquanta lire; e, prima di metterli nel portafogli di cuoio giallo, li guardò un'altra volta, piegati; e soffiò su la fiammella avvicinandocisi con la bocca. Se la candela non si fosse consumata troppo, avrebbe contato anche l'altro denaro nel cassetto della moglie; ma chiuse la porta, dandoci poi una ginocchiata forte per essere sicuro che aveva girato bene la chiave. Di casa stava dall'altra parte della strada, quasi dirimpetto. Ormai erano trent'anni di questa vita; ma ricordava sempre i primi guadagni, e gli piaceva alla fine d'ogni giorno sentire in fondo all'anima la carezza del passato: era come un bell'incasso.

La sua trattoria! Qualche volta, parlandone, batteva su le pareti le mani aperte; per soddisfazione e per vanto.

30 aprile

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     Il Trentino italiano    di Cesare Battisti (1915)

 
Se la storia e la geografia d’Italia fossero un po’ meno ignote a molti Italiani, la causa delle terre irredente non avrebbe oggi bisogno di apostoli e di propagandisti.

Purtroppo vi sono invece dei grandi giornali che nell’anno di grazia 1915 parlano di Trento e Trieste definendole terre d’oltr’Alpe; v’è ancora chi crede che fra Trento e Trieste ci sia tutt’al più un ponte come fra Buda e Pest; vi sono testi scolastici di geografia largamente diffusi in cui si sentenzia che solo gli abitanti delle classi colte nel Trentino si sono conservati per tradizione italiani...

7 maggio

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     La giornada del lócch    di Antonio Curti (1916)

Oh giovinott, nassuu tra i accident
De la tóa mamma, verda de tornà
A fregà giò pattèj, e i sacrament
D’on om che gh’era lì (forsi to pà?)
S’drajaa su on matarass, mezz’indorment;
Giovinott, che a pocch ann t’hann lassaa andà
Sui bastion, poeu sull’uss di raccanatt [acquavitaro],
Sent, sent quanti bèj robb ghòo de insegnatt.

Sì, mi te insegnaròo com’el dêv vèss
Distribuii’l to temp, tant per el dì
Che per la nott; sto temp long sempr’istèss,
Sto temp nojos, che passa mai, se tì,
In mezz ai to gran trusc del fa nagott,
Te pòdet dam a trà, ö giovinott!

14 maggio

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     Milanin Milanon    di Emilio De Marchi (1902)

 
Te scrivi rabbiôs, Carlin, dal mè stanzin depos al campanin de San Vittor di legnamee. Chi de dree l’è trii mes che fann tonina di cà de Milan vècc: e picchen, sbatten giò camin, soree, finester, tôrr e tècc, grondaj, fasend on catanaj in mèzz a on polvereri ch’el par propi sul seri la fin del mond.

Dov’el va el mè Carlin, quel noster Milanin di noster temp, inscì bell e quiètt, coi contrad strett in bissœura, dent e fœura, sul gust d’ona ragnera? Ma sta ragnera la ciappava denter el cœur, te la tegniva lì che pareva squas de morì, se, dininguarda, el destin el te ciamava fœura, on poo lontan, a Lesmo, a Peregall, o magari fina fina... a Barlassina o a Bagg.

4 giugno

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     Facezie    di Poggio Bracciolini (1438-1452), traduzione dal latino di Anonimo (1884)

 
Di un povero nocchiero da Gaeta.

Quelli del popolo di Gaeta vivono quasi tutti sul mare; uno di costoro, il più povero nocchiero del mondo, dopo avere errato per molti luoghi per guadagnare, tornò dopo cinque anni a casa dove aveva lasciata povera masserizia e la moglie giovane. Appena mise piede a terra, corse a veder la sua donna (che disperando intanto che il marito tornasse, con altro uomo viveva.) Entrato in casa e vedendo questa tutta instaurata e ingrandita e abbellita, chiese a sua moglie, come mai quella stamberga, prima tanto brutta, si fosse così mutata. Rispose tosto la moglie, che la era stata la grazia di Dio che dà a tutti gli uomini la ricchezza. “Benediciamo dunque il Signore,” disse l’uomo, “che ci ha fatto così gran beneficio.” Poi, di sopra, vede la stanza da dormire, con un letto piùFonte/commento: normalizzo, è l'unico acuto bello e con tutta la mobilia più elegante di quello che la condizione di sua moglie permettesse; e quando chiese, di dove anche tutto questo fosse venuto, ella gli rispose che anche ciò si dovea alla misericordia di Dio; e ringraziò di nuovo il Signore che così generoso verso di lui si era mostrato.

11 giugno

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     Fontana nettuniana avanti l'anno 1872    di Romedio Callicioli (1885)

S’erge superbo fonte
Dell’arte un bel portento
Nella città di Trento,
Che alletta l’occhio e il cor.

Alza l’ondosa fronte
In su la Piazza grande,
E da più bocche spande
Il cristallino umor.

Onde formar l’altero
E maestoso fonte
Fu sviscerato il monte,
Che chiude la città;

Di quello è mio pensiero
Narrar a parte a parte,
E la struttura e l’arte
Come fu fatto e sta.

18 giugno

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     L'avvenire!?    di Edward Bellamy (1888), traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)

 
Io vidi la luce nella città di Boston nell’anno 1857. «Come,» dirà il lettore, «mille ottocento cinquanta sette!? questo è un errore ridicolo, Ella intende certamente 1957.»

«Prego di scusare, non è un errore.»

Erano circa le 4 del pomeriggio del 26 Dicembre, un giorno dopo il Natale, nel 1857, non 1957, quando mi soffiò per la prima volta in viso il vento di Boston, il quale, (come posso assicurare al lettore) era tanto penetrante nei tempi più remoti, quanto lo è nel presente anno di grazia, 2000.

Queste indicazioni, specialmente se aggiungo ch’io sono un giovinotto dell’apparente età di trent’anni, sembrano così assurde, che non sarebbe biasimevole chi rifiutasse di leggere ancora una sola parola di ciò che promette essere una pretesa alla sua credulità. Eppure, accerto il lettore, che non intendo ingannarlo, e mi prendo l’impegno di persuaderlo completamente s’egli vuol leggermi un poco ancora. Se con la promessa di giustificare l’accettazione, mi è permesso asserire ch’io so meglio del lettore, quando io sia nato, continuo la mia narrazione.

25 giugno

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     Dal tuo al mio    di Giovanni Verga (1906)

 
In casa Navarra era festa, quella sera. Il povero barone don Raimondo, che arrabattavasi da anni ed anni in mezzo ai debiti e agli altri guai, colla croce di due figlie da marito per giunta, ne dava una, delle figliuole, al figlio unico di don Nunzio Rametta, ch’era entrato nella zolfara dei Navarra senza scarpe ai piedi e col piccone in mano, ed ora aveva denari a palate e si chiamava col don. La ragazza, è vero, s’era fatta tirare pei capelli a dir di sì, non per l’umiliazione di dover scendere sino al figliuolo di un zolfataro e diventare signora Rametta senz’altro, — ahimè, i guai della casa baronale li conosceva anche lei, e il viso rosso se l’era dovuto fare altre volte, quando i creditori venivano a chiedere il fatto loro, gridando e strepitando, e lei doveva dire che il babbo non era in casa — ma pure, alla sua età, ci aveva in capo il suo romanzetto anch’essa, e ne aveva fatto del piangere per strapparsi dal cuore Lucio Santoro, suo cugino, prima di chinare il capo al matrimonio col figlio di Rametta!

2 luglio

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     Dracula    di Bram Stoker (1897), traduzione dall'inglese di Angelo Nessi (1922)

 
Giornale di Jonathan Harker.

(Stenografato.)

3 maggio. — Bistritz.

Lasciato Monaco alle 8.55 di sera, il 1° maggio. Giunto a Vienna l’indomani, di buon mattino. Il treno aveva un’ora di ritardo. Budapest mi parve molto curiosa da quel che potei vederne stando in treno. Fatta una passeggiata breve attraverso la città. Ebbi l’impressione nitidissima di lasciare l’Occidente per entrare nell’Oriente. Il magnifico ponte gettato sul Danubio ricorda la dominazione turca.

Giunto a Klausenberg sul far della notte. Cenato all’Albergo Reale con un pollo alla pàprica, specie di pepe rosso, (pro memoria: ho chiesto la ricetta di questo piatto, per Mina). Il mio cattivo tedesco m’è utilissimo qui, non so come me la caverei altrimenti.

Prima di lasciar Londra, e poichè son chiamato da un nobile di questo paese, ho consultato al British Museum alcuni libri e carte sulla Transilvania.

Il distretto che il conte Dràcula abita confina con tre Stati: la Transilvania, la Moldavia e la Bucovia, in mezzo ai Carpazi, in uno degli angoli più selvaggi e meno conosciuti dell’Europa.

9 luglio

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     Il vampiro    di John Polidori (1819), traduzione dall'inglese di Anonimo (1831)

 
Fra i sollazzi e le avventure che si succedettero in un’invernata di Londra fu ammirato ne’ crocchi più brillanti e distinti di quella metropoli un gentiluomo riguardevole, più per le singolarità del suo carattere che per l’altezza de’ suoi natali. Ei contemplava le gioje de’ suoi simili, come se gli fosse interdetto di partecipare a verun terrestre diletto, e allorché l’amabil sorriso delle belle sembrava fissare la sua attenzione, un suo sguardo bastava a farlo svanire spargendo il terrore in quegl’animi frivoli e spensierati. Coloro che provavano questa sensazione di terrore non potevano riuscire ad indovinarne la cagione: alcuni l’attribuivano al suo sguardo tetro e funereo, che arrestandosi immobile sulla superficie del sembiante l’opprimeva d’un peso mortale, benchè non sembrasse penetrare sino tra le più profonde latebre del cuore. Queste singolarità lo resero celebre e desiderato nelle più cospicue adunanze. Tutti bramavano di vederlo, e coloro che assuefatti a violenti emozioni sentiansi oppressi dal peso della noja, si compiacevano di ritrovare in lui un oggetto capace d’impegnare la loro attenzione.

16 luglio

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     Al parlamento austriaco e al popolo italiano    di Cesare Battisti (1915)

 
LA QUESTIONE UNIVERSITARIA.

Scienza e Nazionalità.

Discorso pronunciato al parlamento di Vienna il 28 ottobre 1911.

Il modo con cui il Governo ed il Parlamento austriaci han trattato la questione universitaria italiana dal 1871, anno in cui fu portata in questa Camera per la prima volta, fino ad oggi, è il documento maggiore dell’insipienza di stato austriaca.

Un postulato dei più semplici, dei più facilmente attuabili, dei più adatti a guadagnar prestigio al Governo stesso, fu in tutti i modi inceppato e si volle che da esso scaturissero gravi complicazioni e questioni internazionali prima di ammetterne l’alta importanza.

Malgrado tutto, dubitiamo assai che anche oggi il problema sia stato posto dal Governo con sincerità e con vera volontà di risolverlo.

È doloroso, è avviliente a constatarsi: gli Stati conquistatori, gli Stati colonizzatori, quando vogliono portare il loro dominio su altri popoli, in terre incivili, ci vanno con la forza, ma nel loro stesso interesse finiscono con l’erigere scuole e far opera di civile elevamento.

23 luglio

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     Importanza dei simboli in matematica    di Giuseppe Peano (1915)

 
Lo splendido e altamente suggestivo articolo di Eugenio Rignano, Le forme superiori del ragionamento (in «Scientia», gennaio, febbraio e marzo 1915), mi induce a trattare una questione analoga, cioè la funzione che i simboli hanno in matematica.

I simboli più antichi e oggi più diffusi sono le cifre dell’aritmetica 0, 1, 2, ecc., che noi imparammo verso il 1200 dagli Arabi, e questi dagli Indiani, che le usarono verso l’anno 400.

II primo vantaggio che si vede nelle cifre è la brevità; i numeri scritti in cifre indo-arabiche sono molto più brevi che gli stessi numeri scritti in tutte lettere in una nostra lingua, e sono anche in generale più brevi degli stessi numeri scritti colle cifre romane I, X, C, M.

Ma un esame ulteriore ci fa vedere che le cifre non sono dei puri simboli stenografici, cioè delle abbreviazioni del linguaggio comune; essi costituiscono una nuova classificazione delle idee. Così se le cifre 1, 2,... 9 corrispondono alle parole «uno, due, ... nove», invece alle parole «dieci, cento» non corrispondono più simboli semplici, ma i simboli composti «10, 100». E il simbolo 0 non ha alcun equivalente nel linguaggio volgare; noi lo leggiamo colla parola araba zero; i Tedeschi e Russi usano la parola latina nullo.

30 luglio

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     Il cielo    di Carlo Alestra (1896)

     Nell’armonia profonda e nel silenzio
che scende dalle stelle alte al sereno
scintillare diffuso nella notte,
giallo e remoto dalla Terra, Arturo,
astro meraviglioso nello spazio,
risplende nel distinto angolo nero
che segna da minori astri Boote.
Per gli stellati cieli sempiterni,
esso, nella minore Asia, diletto
all’arabo nabateo che il cammino
tra dumi, sterpi e sconfinate sabbie,
monotono gl’insegna nel deserto;
diriger sembra nel veloce corso,
i sistemi del Cancro tropicali:
e la fulgida sua luce ed enorme
distanza dal tardo vertice d’oro,
ne induce in esso a credere il più grande
astro che la pupilla umana veda.

6 agosto

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     Come ruinare l'autorità    di Lev Tolstoj (1919), traduzione di Anonimo (senza data)

 
Mi sembra che nel momento attuale, sopratutto importa di fare il bene con tranquillità e costanza. Non solamente non bisogna domandare al Governo alcuna autorizzazione, ma è anche essenziale di respingersi ogni suo intervento. La forza del Governo risiede nell’ignoranza del popolo ed il Governo lo sa; così egli sarà sempre un avversario dell’istruzione. È ora che lo riconosciamo. Nulla di più nocevole che permettere al Governo di darsi l’aria di promuovere l’istruzione, mentre in realtà non fa che propagare l’ignoranza. È, infatti, ciò che fanno tutte le istituzioni che si dicono destinate alla istruzione e sono collocate sotto il controllo del Governo: scuole, collegi, università, accademie, i diversi comitati, i vari congressi. Il bene non è il bene e la istruzione non è l’istruzione che ad una condizione sola: essere il bene e l’istruzione complete senza che siano necessariamente conformi alle circolari ministeriali. Ma ciò che io deploro sopratutto, è di vedere delle forze così preziose, così disinteressate, così devote, disperdersi con sì scarso frutto. Io rido talvolta allo spettacolo di quegli uomini che buoni e intelligenti recano la loro energia a lottare contro il Governo sul terreno legale che l’arbitrio del potere ha esso stesso creato.

13 agosto

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     Le avventure di Sherlock Holmes    di Arthur Conan Doyle (1892), traduzione dall'inglese di Anonimo (1895)

 
Per Sherlock Holmes essa fu sempre la donna, e ben di rado egli la nominava diversamente. Agli occhi suoi essa eclissava, dominava tutto il suo sesso. Non già che avesse provato per Irene Adler alcun sentimento d’amore.

Tutte le emozioni — questa particolarmente — erano estranee al suo animo freddo e compassato, ma sorprendentemente ponderato.

Holmes era una specie di macchina di meraviglioso congegno, fatta per ragionare e per osservar tutto; ma non saprei figurarmelo sotto le spoglie di un innamorato. Ostentava perfino per le cose appassionanti un profondo sdegno, e non le considerava che secondo il punto di vista delle sue osservazioni — trovando molto comodo il servirsene per svelare i motivi delle umane azioni. Ma quanto al permettere a distrazioni di questa specie di disorganizzare le sottili sue ricerche, era per lui cosa inammissibile. In un temperamento quale il suo nulla avrebbe prodotto maggior turbamento quanto una forte emozione di questo genere; sarebbe stata come una corda spezzata in uno di que’ suoi istrumenti sensibili.

20 agosto

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     Il vino di Freisa    di Anonimo (1795)

An Piemont a y è d'Autin
     Long, e larg, e senza fin,
     An colina, e ant’i pian,
     Da dè beive sin ai can.
As dà nen an tut la Spagna,
     Ant l’Italia, e ant l’Almagna
     Tante vis da Noi piantà,
     An gran copia sterminà.
Cost pr Noi fa un gran maleur,
     Cha fa pianse sin a ’l cheur,
     Pr rason d’ tanti guai
     Cha succedo, e tanti mai.

27 agosto

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     La vita, et sito de Zychi, chiamati Ciarcassi, Historia notabile    di Giorgio Interiano (1502)

ZYCHI in lingua vulgare, greca, e latina cosi chiamati, e da Tartari, e Turchi domandati Ciarcassi, & in loro proprio lenguagio appellati Adiga, habitano dal fiume dela Tana su Lasia tuta quel ora maritima, verso el Bosphoro Cimerio, hoge di chiamato vospero, et boca de S. Zohane e bocca de mar de Ciabachi, e de mare di Tana. Antiquitus palude meotide. Inde poi fora la bocca per costa maritima, fin apresso al cavo di Bussi, per Sirocco verso el fiume Phasi, e quivi confinano con Angaxia, cioe parte di Colchide. E tuta lor costiera maritima fra dentro la palude predicta, et fora, po essere da miglia .ccccc. Penetra intra terra per Levante giornate octo, o circa in lo piu largho. Habitano tuto questo paese vicatim senza alcuna terra, o loco murato. Et loro magiore e megliore loco, e una valle mediterranea piccola chiamata Cromuc, meglio situata, et habitata chal resto.

10 settembre

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     Relazione intorno al dagherrotipo    di Macedonio Melloni (1839)

 
Chiarissimi colleghi

In una delle ultime tornate, il sig. Presidente mi consegnava un giornale di Francia contenente una relazione d’Arago su quella maravigliosa scoperta del Dagherre che ha destato, or ora, tanto romore in tutto il mondo incivilito, per mezzo della quale si possono ritrarre a chiaroscuro e conservare stabilmente su certe lamine metalliche, le immagini di paesaggi, di statue, di monumenti, ed altri oggetti immobili, mediante la semplice azione della luce; e di codesta relazione, m’invitava ad offerire un sunto all’Accademia.

La relazione, maestrevolmente scritta come tutte le produzioni del celebre fisico francese, era diretta a suoi colleghi della camera dei Deputati, ed aveva per iscopo d’indurli ad approvare un progetto del Governo che proponeva, dietro le insinuazioni dello stesso Arago, una pensione annua di diecimila franchi da compartirsi tra Dagherre e Niépce figlio del defunto suo collaboratore, a condizione che il processo con cui si ottenevano questi disegni fosse reso di pubblica ragione.

17 settembre

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     Saul    di Vittorio Alfieri (1807)

 
DAVID

Qui freno al corso, a cui tua man mi ha spinto,
Onnipossente Iddio, tu vuoi ch'io ponga?
Io qui starò. — Di Gelboè son questi
I monti, or campo ad Israel, che a fronte
Sta dell'empia Filiste. Ah! potessi oggi
Morte aver qui dall'inimico brando!
Ma, da Saúl deggio aspettarla. Ahi crudo
Sconoscente Saúl! che il campion tuo
Vai perseguendo per caverne e balze,
Senza mai dargli tregua. E David pure
Era già un dì il tuo scudo; in me riposto
Ogni fidanza avevi; ad onor sommo
Tu m’innalzavi; alla tua figlia scelto
Io da te sposo.... Ma, ben cento e cento
Nemiche teste, per maligna dote,
Tu mi chiedevi: e doppia messe appunto
Io ten recava.... Ma Saúl, ben veggio,
Non è in se stesso, or da gran tempo: in preda
Iddio lo lascia a un empio spirto: oh cielo!

24 settembre

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     Le monete attribuite alla zecca dell'antica città di Luceria    di Gennaro Riccio (1846)

I chiarissimi Sestini ed Avellino, seguiti di poi da’ PP. Marchi e Tessieri, dal sommo Borghesi, da’ profondi Raoul-Rochette e Lepsius, dall’illustre Cavedoni, e dal diligente Fiorelli, han contribuito, chi per un lato e chi per un altro, a rilevare dall’abiezione, e dalla quasi assoluta oscurità la numismatica antichissima di Lucera. I vecchi nummofili di questa famosa città capitale della Daunia, i cui primordii si perdono nella oscurità de’ secoli, come vedremo, appena degnaronsi attribuire alla stessa le sole cinque monete, ora aumentate a sette, colla indubitata leggenda LOUCERI. Ma generalizzatosi lo studio della numismatica nell’ultimo trentennio, grazie alle munificenti cure de’ Sovrani europei, che la pace generale accordarono alle lettere e belle arti, ed illimitata protezione di ogni maniera ai cultori di esse, potè nella tranquillità e generoso impulso, fare quei progressi che giammai ebbe raggiunti. Quindi nazionali e stranieri, grandi intelligenze e mediocri ingegni, addironsi, chi per professione, chi per diporto allo studio de’ nummi antichi, e ciascuno contribuì alla massa comune della scienza il proprio tributo dello ingegno, le proprie osservazioni, le proprie sperienze.

1 ottobre

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     Disjecta - Canti del cuore    di Iginio Ugo Tarchetti (1879)

 
L’ELLERA

Virtù d’eterno amore
Nell’ellera si asconde,
     Mai per mutar di verni
Muta color di fronde:
Al freddo sasso avvinti
Gli steli innamorati,
Seco ne’ desiati
Amplessi si confonde:
     Virtù d’eterno amore
Nell’ellera si asconde.
     Virtù d’amore eterna
È nel mio cor celata,
     Nè muta per inganni
L’anima innamorata:
Al freddo amor degli uomini
Di caldo amor sospira,
Nè si lagna o si adira
Di lor freddezza ingrata:
     Virtù d’amore eterna
È nel mio cor celata.

15 ottobre

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     Il tabacco    di Antonio Guadagnoli (1834)

 

Amici andiamo all’Ussero? — A che fare?
Adesso, amico mio, ci vuol giudizio;
Giugno è vicino, e bisogna sgobbare;
Se no, all’Esame... — Eh fatemi il servizio!
S’impara più stando un’oretta là,
Che dodici anni all’università.

Del Diritto Romano appreso a scuola,
Quindici giorni dopo il Dottorato,
Chi si ricorda più d’una parola?
Talun, quando fu Giudice creato,
Non sapea, e me l’ha detto in amicizia,
Neppur che cosa fosse la Giustizia.

22 ottobre

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     Il terremoto del 1832 nello stato ecclesiastico    di Anonimo (1832)

Quando l’occhio di ogni straniero era rivolto sul nostro suolo per vedere il risultamento delle nostre interne controversie ingenerate da reciprochi sbagli, l’autore della natura destò i frenetici di ogni partito, e fece tremare la terra. Cosa più miserabile e insieme più superba di quante sono nel mondo, dirò ad ogn’uomo con Plinio, vieni meco a meditare il luttuoso quadro del Terremoto, che sul principio dell’anno secondo del settimo lustro del secolo xix, venne a premere fieramente due delle più vaghe provincie degli Stati romani. Io intendo in questa patetica meditazione di meco condurre gli antichi e i moderni filosofi. «L’opinione, ch’è un vano, leggero, crudo ed imperfetto giudizio delle cose, è incostante, incerta, ingannevole, pericolosa guida. Ella è madre di tutti i mali, di tutte le confusioni, di tutt’i disordini: da essa procedono tutte le passioni e tutt’i torbidi: ella si fa scorta del folle, come la ragione del savio»... Posta da banda l’opinione professata da ognuno, perchè è certo che gli uomini sono tormentati dalle opinioni, che hanno delle cose, non dalle cose stesse, guardiamo con attenzione le rovine del memorabil disastro, e quinci discendiamo, seppur ci aggrada, a qualche rapida riflessione.

29 ottobre

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     Meditazioni sulla economia politica con annotazioni    di Pietro Verri (1771)

 
Quelle società di uomini che non conoscono altri bisogni che i fisici, hanno e debbono avere poco o nessun commercio reciprocamente. Contento l’uomo, allevato in quella società, di avere assicurata la vita dalle insidie degli animali, dalla fame, dalla sete, e dalle stagioni, non può nemmeno sospettare, che lontano dal suo suolo nativo vegeti qualche cosa, da cui possa trarne utilità. Perciò le nazioni, che noi chiamiamo selvagge, non hanno commercio fra di esse, se non nella necessità di qualche carestia, o disastro qualunque che le obblighi a ricorrere ai vicini, dai quali o con qualche difficile concambio, o per mera umanità, o coll’aperta forza trasportano il necessario mancante. Non si dà nell’uomo moto alcuno senza un bisogno, nè un bisogno senza una idea, e queste sono ne’ popoli isolati e selvaggi limitatissime.

5 novembre

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     Il Dante popolare    di Dante Alighieri (1870), traduzione dall'italiano di Domenico Jaccarino (1870)

 

A meza strata de la vita mia
Io mme trovai ntra na boscaglia scura,
Ch'avea sperduta la deritta via.

Ah! quanto a dì comm'era è cosa addura
Sta voscaglia sarvaggia, e aspra, e forte,
Che mme torna a la mente la paura!

È tanto amara che pò dirse morte;
Ma lo bene pe dì che nce trovaje,
Dirraggio cose che non songo storte.

Non saccio manco dì comme passaje,
Tanto comm'a stonato m'addormette,
Quanno la vera strata io llà lassaje.

12 novembre

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     Paradossi    di Arturo Insinga (1924)

  1. Amo l’ombra perchè rende il volto più soave, lo sguardo più profondo, le linee più pure.
  2. La tristezza insegna a tacere, la gioia a cantare: l’una è contemplazione, l’altra azione.
  3. È sempre pericoloso far del bene: il male non richiede nessun coraggio.
  4. L’onestà è una vergine nuda: perché arrossire guardandola?
  5. Gli eccessi d’ogni natura creano la vecchiaia; la continenza origina la moralità e, con essa, il carattere e la perenne giovinezza. Quanti vecchi di otto e quanti giovani di ottant’anni.
  6. La forza è in relazione alla perdita della propria innocenza.
  7. Il fanciullo è ragionatore molto tempo prima di essere ragionevole.
  8. L’amore, le rivoluzioni, le cose inverosimili: è allora che l’uomo diventa poeta, oratore, eroe.
  9. Nella donna, ch’è di estrema sensibilità, l’atto precede sempre il giudizio; qualche cosa di santo e d’ispirato vive nel suo acume istantaneo: gioia e castigo, a un tempo, del suo antivedere.

19 novembre

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     Manifesto del Governo della Repubblica di San Marco    di Daniele Manin (1848)

 
Soldati Italiani!

La guerra della indipendenza, alla quale avete consacrato il vostro sangue, è ora entrata in una fase per noi disastrosa. Forse unico rifugio alla libertà italiana sono queste lagune, e Venezia debbe ad ogni costo custodire il fuoco sacro.

Valorosi! Nel nome d’Italia, per la quale avete combattuto e volete combattere, vi scongiuro a non scemare di lena nella difesa di questo santo asilo della nostra nazionalità. Il momento è solenne: trattasi della vita politica di un popolo intero, i cui destini pender possono da quest’ultimo propugnacolo.

Militi quanti siete, che da oltre Po, da oltre Mincio, da oltre Ticino qui siete venuti pel trionfo della causa comune, pensate, che, salvando Venezia, salverete i più preziosi diritti delle vostre terre native. Le vostre famiglie benediranno ai tanti sacrificii che vi siete imposti: l’Europa ammirata premierà la generosa vostra perseveranza; e nel giorno che Italia potrà dirsi redenta, erigerà fra i tanti monumenti, che qui stanno, del valore e della gloria dei nostri padri, un altro monumento, su cui starà scritto: I militi Italiani difendendo Venezia hanno salvata la indipendenza d’Italia.

Dal Governo. Venezia, 12 agosto 1848.

26 novembre

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     Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799    di Vincenzo Cuoco (1801)

 
Io imprendo a scriver la storia di una rivoluzione che dovea formare la felicitá di una nazione, e che intanto ha prodotta la sua ruina. Si vedrá in meno di un anno un gran regno rovesciato, mentre minacciava conquistar tutta l’Italia; un’armata di ottantamila uomini battuta, dissipata, distrutta da un pugno di soldati; un re debole, consigliato da ministri vili, abbandonare i suoi Stati senza verun pericolo; la libertá nascere e stabilirsi quando meno si sperava; il fato istesso combattere per la buona causa, e gli errori degli uomini distruggere l’opera del fato e far risorgere dal seno della libertá un nuovo dispotismo e piú feroce. Le grandi rivoluzioni politiche occupano nella storia dell’uomo quel luogo istesso che tengono i fenomeni straordinari nella storia della natura. Per molti secoli le generazioni si succedono tranquillamente come i giorni dell’anno: esse non hanno che i nomi diversi, e chi ne conosce una le conosce tutte.

3 dicembre

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     L'arte di ferrare i cavalli senza far uso della forza    di Konstantin Balassa (XIX secolo), traduzione dal tedesco di Anonimo (1828)

§ 1.

Dapprima vi furono cavalli irritabili e restii, i quali non volevano assoggettarsi di buon grado ad essere ferrati, che colla pratica di mezzi violenti, per i quali diventavano finalmente non di rado affatto viziati. S’inventarono dappoi diverse macchine per ferrare cavalli così ritrosi, ma non si ottenne alcun vantaggio; giacché nella susseguente ferratura si è dovuto nuovamente far uso della forza, per la quale aumentavasi progressivamente la resistenza di questi animali.

§ 2.

Un così barbaro trattamento aveva per conseguenze danni innumerevoli e per gli uomini e per i cavalli; e questi ultimi venivano in tal modo assai di sovente resi affatto inservibili; come frequenti casi nell’impiego delle macchine per rialzarli lo hanno dimostrato. Crudele e pregiudizievole ne’ suoi effetti per il carattere dei cavalli è parimenti l’uso di diverse altre specie di macchine per ferrarli.

10 dicembre

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     La polenta dei Ciusi-Gobj    di Tito Bassetti (1858)

 
Una gran parte di coloro che leggeranno il titolo di questa memoria inarcherà le ciglia, e proseguirà suo cammino giudicando poco meno che rimbambito colui al quale venne il ticchio di pubblicarla. E di fatti, occuparsi di un argomento, che la novella civiltà ha da più anni sommerso nell’onda del Lete, cioè di uno spettacolo popolare stimato come una reliquia delle età barbare ed ignoranti potrebbe sembrare una stoltezza, o per lo meno tempo gettato a coloro che si appagano della superficialità delle cose, o precipitano i loro giudizi sulla prevenzione, o sulla autorità di chi parla avventatamente. Io mi lusingo, che questo mio tenue lavoro venga accolto favorevolmente da chi esamina, e pensa prima di giudicare, da chi sente la carità del luogo nativo, e rispetta le buone tradizioni de’ nostri padri, ed in particolar modo anche da que’ benemeriti, e zelanti magistrati, che oggi per somma ventura governano questa città.

17 dicembre

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     Discorsi, e lettere    di Bianca Laura Saibante (1781)

 
DISCORSO

Intorno agli esercizj delle Antiche Donne.

Ogni uomo, valorosi Consocj miei, parla secondo il suo linguaggio; imperciocchè dal sommo Facitore varie tra gli uomini furono distribuite le fortune, nè v’ha luogo alcuno a dubitare, che fecondo lo stato, in cui ciascheduno si ritrova, quasi tenuto non sia di favellare, poichè altrimenti facendo, un assurdo verrebbe a commettere; ed eccovene una piccola dimostrazione. Il pecorajo rozzo abitatore d’alpestri monti, se ragionar egli volesse innanzi a voi tutti degli affari politici d’una Città, ovvero il Ministro nutrito all’ombra, e fra il lusso delle Corti, di pecore, e di mandre a far parole si mettesse, che non direste voi contro questi due differenti uomini, i quali non senza ridicolo pensamento a trattar si ponessero di ciò, che a loro per niun modo non si converrebbe? Quanto dunque di biasimo degni sono coloro, i quali a trattar si pongono di cose a loro non aspettanti, altrettanto sarà se non di lode, almeno di compatimento meritevole colui, il quale s’ingegna di favellare di quelle cose, che suo vero cibo pur sono.

24 dicembre

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     Racconti fantastici    di Jules Verne (1874), traduzione dal francese di Anonimo (senza data)

 
UN CAPRICCIO DEL DOTTOR OX.

Se sopra una carta delle Fiandre, antica o moderna, cercate la piccola città di Quiquendone, è probabile che non ce la troverete. Quiquendone è essa dunque una città scomparsa? No. Una città di là da venire? Nemmeno. Esiste a dispetto della geografia da otto o novecento anni. Conta anzi due mila trecento novantatre anime, concedendo un’anima ad ogni abitante. È posta a tredici chilometri e mezzo a nord-est d’Audenarde ed a quindici chilometri ed un quarto al sud-est di Bruges nel bel mezzo della Fiandra. Il Vaar, piccolo affluente della Schelda, passa sopra i suoi tre ponti coperti tuttavia d’un’antica tettoia del Medio Evo, come a Tournay. Vi si ammira un vecchio castello, la cui prima pietra fu posta nel 1197 da Baudouin, futuro imperatore di Costantinopoli, ed un palazzo comunale a piccole finestre gotiche, coronato di merlature, cui domina un campanile a torricelle alto trecento cinquantasette piedi sul livello del suolo.

31 dicembre

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     Mirtilla    di Isabella Andreini (1602)

 

Venere
Pur m’è stato concesso amato figlio
Di ritrovarti; hor dì per qual cagione
Ti partisti di grembo à la tua madre?
Amore
Io certo mi godea dolce riposo
Nel tuo bel sen là sù nel terzo Cielo,
E lieto mi vivea, poi che nel mondo
Lasciato havea foco leggiadro, e santo,
Acciò fusse il mio bene à l’human seme,
A le fiere, a gl’augelli, a i boschi, e a l’onde
Compartito, e diffuso; e mentre intento
Aspettava portarne immensa lode,
In ricompensa da i mortali udij
Dei forsennati amanti;
E le querele, e i pianti.
E perche l’importune, e meste voci
Non turbassero più l’orecchie mie,
Discesi in terra ad acquetar le loro
Vane, e torbide menti.