Le avventure di Sherlock Holmes/Le avventure di Sherlock Holmes/I

I

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Le avventure di Sherlock Holmes Le avventure di Sherlock Holmes - II
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I.


Per Sherlock Holmes essa fu sempre la donna, e ben di rado egli la nominava diversamente. Agli occhi suoi essa eclissava, dominava tutto il suo sesso. Non già che avesse provato per Irene Adler alcun sentimento d’amore.

Tutte le emozioni — questa particolarmente — erano estranee al suo animo freddo e compassato, ma sorprendentemente ponderato.

Holmes era una specie di macchina di meraviglioso congegno, fatta per ragionare e per osservar tutto; ma non saprei figurarmelo sotto le spoglie di un innamorato. Ostentava perfino per le cose appassionanti un profondo sdegno, e non le considerava che secondo il punto di vista delle sue osservazioni — trovando molto comodo il servirsene per svelare i motivi delle umane azioni. Ma quanto al permettere a distrazioni di questa specie di disorganizzare le sottili sue ricerche, era per lui cosa inammissibile. In un temperamento quale il suo nulla avrebbe prodotto maggior turbamento quanto una forte [p. 6 modifica]emozione di questo genere; sarebbe stata come una corda spezzata in uno di que’ suoi istrumenti sensibili.

E però non esisteva per lui che una donna sola, e questa donna era la defunta Irene Adler di dubbia fama.

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Dopo il mio matrimonio avevo perduto di vista il mio vecchio amico Sherlock Holmes.

Egli aveva conservato in Baker Street, nel centro di Londra, l’appartamentino en garcon, che per tanto tempo vi avevamo condiviso, e vi rimaneva talvolta delle settimane intere senza uscirne. Indi, di repente, scompariva e qualche giorno dopo la sua partenza i giornali annunciavano ch’egli aveva trovato la soluzione di un nuovo avvenimento misterioso che aveva messo in eboluzione i più sottili agenti della questura d’Inghilterra.


Una sera — era credo, il 20 marzo 1888 — io passava ritornando a casa dinanzi l’abitazione di Holmes. Le sue finestre erano brillantemente illuminate. Alzando il capo vidi, dietro i cortinaggi l’ombra dell’amico mio; egli camminava a capo curvo, colle mani dietro il dorso. Evidentemente si era lanciato ancora nella decifrazione di qualche nuovo problema. E tosto mi assalse il desiderio di rivederlo.

Come sempre, mi accolse amabilmente, senza entusiasmo però, il carattere suo concentrato gli interdiceva ogni effusione. M’invitò a sedermi, mi offri uno di quei zigari verdi che sapeva mi piacevano, e mi versò un bicchierino di cognac.

Poi prese posto vicino al caminetto, incrociò le gambe e guardandomi curiosamente:

— Caro mio, disse, davvero il matrimonio vi conferisce. Ingrassato a vista d’occhio. Perchè non mi comunicaste le vostre velleità matrimoniali?

— Come mai potete sapere che io presi moglie?

— Lo indovino, mio caro Watson, come indovino [p. 7 modifica]— È semplicissimo — ripetè Holmes. [p. 8 modifica]che siete uscito in questi ultimi giorni con un pessimo tempo e come pure indovino che avete una domestica di una grande negligenza.

— Oh! questo è troppo! esclamai. Sì, è vero, fui sorpreso sabato da un temporale, ma mutai d’abiti: e in quanto a Mary Jane, la mia cameriera, sventuratamente è proprio vero, è di una trascuratezza fenomenale! Ma voi mi direte come...

— È cosa molto semplice, riprese Holmes addossandosi al caminetto; è il vostro stivale sinistro che tutto mi rivelò. Esaminatelo; ha nelle suole sei tagliuzzi paralelli e voi non li avete neppur osservati! Quei segni furono fatti dalla domestica che negligentemente levò con un coltello il fango disseccato aderente alla suola. E da ciò la mia duplice deduzione, che siete stato esposto alla pioggia, e che la vostra serva è negligente. E credete mi sarebbe forse difficile — se non vi conoscessi — il capire, alla prima occhiata, quale fosse la vostra professione? Emanate un odore d’iodoformo, l’indice della vostra mano destra è macchiato di nitrato di argento e una ammaccatura sul vostro cappello mi rivela che vi introducete il vostro stetoscopio: come a tali indizii non riconoscere in voi un figlio di Esculapio?

Accese una sigaretta e proseguì:

— Voi vedete come un altro ciò che vi circonda, ma non osservate. Tutto sta in questo. Voi certo avete contemplato più di mille volte la scala che conduce a questa stanza — vostra un tempo. Scommettiamo che non sapreste indicarmi il numero dei suoi gradini.

— Difatti...

— Però, voi li avete veduti quei gradini? Io ho osservato; vi sono dieciasette gradini. A proposito, poichè sembrate seguire con piacere le mie piccole ricerche e che in due o tre casi già voleste servirmi da confidente — come nella tragedia classica — forse questo v’interesserà. [p. 9 modifica]

E mi porse una lettera.

La carta era alquanto consistente, leggermente colorita in rosa.

— La ricevetti questa sera dalla posta, soggiunse. Prendete, leggetela.

La lettera non portava nè data nè indirizzo; non era firmata:

«Questa sera, alle otto meno un quarto voi riceverete la visita di una persona che desidera consultarvi sopra un soggetto della più alta importanza. I servigi da voi resi recentemente a una famiglia regnante di Europa, dimostrano che siete capace di adempiere le missioni le più delicate. Una simile missione io tengo ad affidarvi. Adunque, vogliate trovarvi in casa vostra questa sera nell’ora sunnominata, e non offendetevi se il vostro visitatore si presenterà mascherato.»

— Oh! si tratta di un grande mistero! esclamai. Che può mai significare tale missione?

— Non potrei ancora nulla dedurre, sarebbe pazzia il pronosticare da questa semplice lettera. Attendiamo; allorchè saremo informati erigeremo le nostre batterie! E voi, che concludete da questa epistola?

Di nuovo esaminai attentamente le scrittura e la carta.

— L’individuo che scrisse ciò, dissi, volendo imitare il modo di procedere del mio amico, l’individuo che qui scrisse, è evidentemente ricco. È questa una carta bellissima... Ma guardate come la sua composizione è bizzarra.

— Bizzarra, diffatti, è la vera parola, interruppe Holmes. Però non è carta inglese. Guardatela presso la luce.

Avendola avvicinata alla lucerna, vi lessi impresse a filagrana, queste lettere enigmatiche: P. G T. E G R.

— Che ne concludete? mi disse il mio camerata. [p. 10 modifica]

— È questo il nome, senza dubbio del fabbricante; forse pare un monogramma.

— No. Il G seguito dal T è l’abbreviazione della parola tedesca — “Gesellschaft” vale a dire Compagnia; qualche cosa come la nostra abbreviazione “Cia”; P naturalmente vuol dire papir “carta.” Quanto alle lettere E G R, un dizionario geografico ci informerà. Eglow, Eglowitz, proseguì egli sfogliando rapidamente un enorme volume che aveva preso sulla sua etagere... Egra... Eccoci... è un piccolo cantuccio della Boemia, una città tedesca, a qualche lega da Carlsbad. È là che mori Wallenstein. Vi sono importanti vetrerie e cartiere... Ebbene, mio caro, è proprio così, ci siamo.

— Questa carta fu fabbricata in Boemia? — chiesi.

— Per l’appunto. E l’autore di questa lettera è un tedesco. Osservate un po’ la costruzione bizzarra di questa frase: “Una simile missione io tengo ad affidarvi”; un Francese o un Russo, non avrebbero mai scritto così. Sono i tedeschi soltanto che in tal modo adoperano i verbi! Più non ci rimane ora a scoprire che ciò che vuole questo tedesco il quale scrive con carta di Boemia e porta una maschera. Eccolo!... se non m’inganno.

Difatti, una vettura si arrestava allora dinanzi la porta; una forte scampanellata echeggiò. Holmes si era avvicinato alla finestra. E zufolando, guardava l’equipaggio del suo visitatore.

— Perdinci! — disse — un bel coupé e dei superbi cavalli a diecimila lire il paio, lo scommetterei!... Watson, caro mio, il nostro incognito è ricco; eccone una nuova prova!...

— Vi lascio — dissi alzandomi.

— No, dottore; restate ove siete. Desidero avervi qui. La cosa promette essere piccante, e sarebbe peccato perdere così bella occasione.

— Ma, il vostro cliente...

— Ah! ciò poco m’importa! Posso del resto, [p. 11 modifica]Esaminai accuratamente la scrittura. [p. 12 modifica]aver bisogno di voi... ed egli pure... Sentite? egli sale. Rimanete, e osservate...

Lo straniero, saliva la scala con passo grave, si era arrestato sulla soglia; picchiò due volte imperiosamente.

— Entrate! — gridò Holmes.

E la porta, girando sopra sè stessa, lasciò passare un uomo mascherato, di portamento altero. Alto sei piedi, indossava un’ampia pelliccia di panno marron, e ornata di astrakan alle maniche e al collo.

Dalle spalle gli scendeva un mantello, bleu cupo, foderato di seta rossa e trattenuto soltanto da un enorme agrafe di turchesi. Teneva in mano un feltro molle. Alti stivali guerniti di pelliccia completavano quel sontuoso abbigliamento un po’ bizzarro.

— Riceveste la mia lettera? — disse con accento tedesco molto pronunciato. — Vi avevo annunciato la mia visita....

— Difatti, signore. Vi prego di sedere — disse Holmes avvicinando un seggiolone. — Vi presento l’amico mio e collega Watson che suole assistermi nei miei studii. Ma.... a chi ho l’onore di parlare?

— Al conte Von Kramm, gentiluomo boemo. Questo signore, voi dite, è vostro amico... posso quindi calcolare sull’assoluta sua segretezza. La cosa che qui mi conduce è della più alta importanza e preferirei intrattenervene solo, se...

Come mi alzavo per uscire, Holmes mi trattenne per la mano e mi costrinse a risedermi.

— Non temete — disse — potete dire dinanzi al mio amico tutto quanto vorrete.

— Bene — rispose il conte stringendosi nelle spalle. — Signori, debbo anzitutto chiedervi la vostra parola di nulla rivelare prima di due anni su quanto sono per dirvi.

Dietro un cenno affermativo da parte nostra, il conte proseguì: [p. 13 modifica]Lo sconosciuto entrò. [p. 14 modifica]

— L’augusto personaggio che per mezzo mio a voi si rivolge desidera vedermi conservare l’incognito, e vi confesserò che il titolo sotto il quale mi sono presentato a voi non è il mio.

— Lo sapevo — interruppe Holmes semplicemente.

— La situazione è delicata; l’onore d’una delle più antiche case reali d’Europa è in giuoco, e la menoma imprudenza potrebbe provocare uno scandalo disgustoso. Qui si tratta del nome della famiglia d’Ormstein, erede legittima del trono di Boemia.

— Io pure lo sapevo — mormorò l’amico mio, sprofondandosi sul suo seggiolone cogli occhi socchiusi, tutto a’ suoi pensieri.

Lo sconosciuto pareva considerare con alquanta sorpresa il volto impassibile di colui che gli era stato descritto come uno degli uomini più energici e più chiaroveggenti d’Europa. Holmes, ora lo scrutava alla sua volta.

— Se Vostra Maestà — disse a un tratto — degnasse espormi lo scopo della sua visita...

A tali parole, lo sconosciuto si alzò bruscamente, a gran passi, in preda a viva agitazione, percorse la stanza. Poi, violentemente si strappò la maschera e la gettò ai piedi di Holmes.

— Ebbene, sì, avete ragione — esclamò — perchè dissimulare più a lungo?

— Difatti, perchè? — riprese Holmes. — Appena apriste la bocca, riconobbi in voi Sua Maestà Guglielmo Gottreich Sigismondo von Ormstein, granduca di Cassel-Felstein, re di Boemia...

— Comprenderete — rispose il principe risedendosi — comprenderete, dico, che non avrei tentato io stesso questa impresa presso di voi, se la gravità stessa della situazione non mi vi avesse costretto. Eccovi brevemente i fatti. Or son circa cinque anni, durante un viaggio a Varsavia, feci conoscenza con una avventuriera di vaglia, Irene Adler. Questo nome non vi è però forse sconosciuto... [p. 15 modifica]Gettò violentemente la maschera ai piedi di Holmes. [p. 16 modifica]

— Dottore — mormorò Holmes — abbiate la bontà di consultare le mie annotazioni.

Da molti anni, l’amico mio aveva l’abitudine di raccogliere giorno per giorno tutti i documenti, che concernevano uomini e avvenimenti importanti, che egli accuratamente classificava. Possedeva di ogni personalità, di ogni questione, plichi completi.

In pochi minuti io aveva trovato la biografia di Irene Adler, schizzata tra quella di un rabbino e quella di un ufficiale di marina celebre per un lavoro sulla fauna dell’Oceano Pacifico.

— Leggiamo — disse Holmes. — Irene Adler nata a New-York nel 1858; voce di contralto, hum! alla Scala.... prima donna all’Opera di Varsavia.... Sì, è questa.... Abbandona la scena e si ritira a Londra... Ci siamo! Vostra Maestà a quanto posso vedere, si lasciò avvincere dai vezzi dell’ammagliatrice e scrisse senza dubbio talune lettere compromettenti che S. M. desidera farsi restituire... Pardon se sono indiscreto: esisterebbe un matrimonio segreto, o semplicemente una promessa scritta?...

— No, nulla.

— Allora, più non comprendo. Se questa persona, per scopo di vendetta vuol pubblicare quelle lettere, in qual modo ne dimostrerà l’autenticità?

— Ma... dallo scritto! dallo stemma della carta! E dal mio sigillo stoltamente apposto sotto ogni viglietto? E le mie fotografie?

— Questo nulla conta. La scrittura potreste dire, fu abilmente imitata, la carta mi fu portata via, il sigillo copiato, le fotografie comperate! Nulla di più semplice!

— Sì, ma.... su talune fotografie siamo uniti, ella ed io....

— Oh! la cosa si complica! L’imprudenza fu grande.

— Sì, era pazzo quel giorno; non era ancora che Kron-prinz, e tanto giovane! [p. 17 modifica]

— Bisogna riaverlo ad ogni costo, quel ritratto, comperarlo, carpirlo se occorre.

— Oh! tutto fu tentato! invano! Ella non vuol cederlo per nulla al mondo: le feci offrire delle somme considerevoli; per tre volte si tentò rapirglielo; due volte dei malfattori pagati le hanno spogliata la casa: un giorno perfino le feci rubare i suoi bauli mentre essa viaggiava; nulla abbiamo trovato, neppure il menomo indizio... nessun ritratto... nulla!...

— Il problema diventa interessante, disse Holmes, con un sorriso.

— Interessante per voi, forse, interruppe aspramente il principe; ma per me la cosa è seria, perchè Irene Adler vuole semplicemente disonorarmi, spezzare il mio avvenire.

— Disonorarvi?

— Sì, sono in procinto di ammogliarmi. Sono fidanzato a Clotilde Lothma di Saxe-Dalsbourg, seconda figlia del re di Scandinavia. Vi son noti i principii di quella famiglia!... La principessa stessa è di un’austerità estrema, e il menomo dubbio, il menomo sospetto sul mio passato trascinerebbe a una rottura immediata...

— Che vuole dunque fare Irene?

— Mi minaccia di mandar loro quella fotografia. E lo farà, potete esserne certo. Voi non la conoscete. È la più bella delle donne con una volontà degna dell’uomo più risoluto. Piuttosto che vedermi sposare un’altra donna, non retrocederà dinanzi a nessun tentativo... a nessuno!

— Siete sicuro che ancora ella non l’abbia inviato?

— Ne sono sicuro. Mi scrisse che lo farebbe il giorno in cui verrebbe proclamato pubblicamente il fidanzamento; ora questo avverrà lunedì...

— Lunedì? Tutto va bene allora; noi abbiamo tre giorni interi innanzi a noi, esclamò Holmes alzandosi. A proposito, Vostra Maestà conta rimanere a Londra qualche tempo ancora? [p. 18 modifica]

— Sì. Sono disceso al Langham Hôtel, sotto il nome di conte Von Kramm.

— Va bene, vi scriverò. Ora in quanto si riferisce alle spese?...

— Vi lascio carta bianca. Darei volontieri la più bella delle mie provincie per riavere quel maledetto ritratto.

Il re si tolse dalla cintura una pesante borsa di cuoio, e gettandola sul tavolo:

— Ecco 500 lire sterline in oro, disse, e il doppio in banknotes. Serviranno per le prime spese.

Holmes strappò un foglietto del suo carnet, vi fece la ricevuta e la porse al principe.

— L’indirizzo della signorina? chiese.

— Briony Lodge, Viale Serpentine Saint John’s vvood.

— Una parola ancora. Che formato ha la fotografia?

— Formato album.

— Benissimo, disse Holmes scarabocchiando in fretta sul margine del suo carnet alcune indicazioni mentre il re lasciava l’appartamento. Watson, egli soggiunse, appena udimmo che la vettura reale scompariva fra la notte: Buona sera, a domani venite a trovarmi qui alle 3: avrò piacere d’intrattenermi con voi su quest’affare.