Mirtilla/Prologo
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PROLOGO
VENERE, E AMORE.
Di ritrovarti; hor dì per qual cagione
Ti partisti di grembo à la tua madre?
Amo.Io certo mi godea dolce riposo
Nel tuo bel sen là sù nel terzo Cielo,
E lieto mi vivea, poi che nel mondo
Lasciato havea foco leggiadro, e santo,
Acciò fusse il mio bene à l’human seme,
A le fiere, a gl’augelli, a i boschi, e a l’onde
Compartito, e diffuso; e mentre intento
Aspettava portarne immensa lode,
In ricompensa da i mortali udij
Dei forsennati amanti;
E le querele, e i pianti.
E perche l’importune, e meste voci
Non turbassero più l’orecchie mie,
Discesi in terra ad acquetar le loro
Vane, e torbide menti.
Ven.O caro figlio,
Ond’avvien, che mai sempre alte querele
S’odono contra te? ti chiama ogn’uno
Tiranno, micidiale, empio, e fallace;
Dicon, che sei di sdegno, e di furore,
Di crudeltà, di doglia, è di vergogna
Sola radice; e che da te sospetti
Nascono; ingiurie, tradimenti, guerre,
Frodi, ribellioni, inganni, e morti.
Sento ancor dir, per tua vergogna, e scorno,
Che per te furon miseri, e dolenti
Di Piramo, e di Tisbe i caldi amori;
E che restossi il notator d’Abido
Preda del mare, e l’infelice Amante
Di Sesto per seguirlo a morte corse.
Soggiungon ch’Alcione, e che Ceice
Miseri per te pure uscir di vita:
E che per te la Greca Donna afflitto
Lasciò ’l suo sposo, ond’arse Troia antica;
E che Filli dolente, havendo in vano
Demofonte aspettato, al fin, di speme
Priva, col laccio uscì di vita; e peggio
Dicono ancor, che per te sol s’accese
L’incestuoso, & isfrenato ardore
Di Mirra verso ’l Padre: e le fraterne
Fiamme infame di Bibli, e di Canace;
E che fu sol per te cruda Medea:
E che Scilla troncasse al proprio padre
Il biondo crin fatale, e che Pasife
Per te sol partorì l’orrendo Mostro,
Che fu del ventre suo vergogna, e peso;
Et Hercole, che già resse le stelle,
Sostenne la conocchia, e torse il fuso:
E più dirci; ma l’honestà mi chiude
La bocca, onde mi taccio, e di Tereo,
E di Semiramis, e di tant’altri
Infami, e dishonesti avvenimenti.
Amo.Sappi diletta madre,
Ch’oscuro velo ingombra sì le menti
De i miseri mortali,
Che di tanti lor mali
Non veggon la cagion, nè miran come
Non Amor, ma furor è che gli offende,
E mentre son da te stato lontano,
Sconosciuto tra lor per isgravarmi
Di queste farse accuse hò dimorato;
E quel malvagio, che di me prendendo
La forma, ogn’hor gli inganna
Ho discoperto loro,
Havendo ardire il temerario, & empio
Di farsi anch’egli figlio
Di Venere, e di Marte,
Quasi il Ciel producesse un sì rio germe
Nacque il bugiardo di lascivia, e d’otio
E di vani pensieri
Fu poi nudrito: egli si finge Amore
Per ingannar le genti, e d’arco s’arma
E di faretra, e non so come l’ali
S’è pur formate, e vola, e in ogni cosa
Mente la mia figura; se non ch’io
Hò gl’occhi, e veggio; e se ben egli ha gl’occhi,
Non ha l’uso de gl’occhi, e in tutto è cieco.
E per tutt’ove il mio celeste foco,
E ’l mio Nettare spargo, il rio sottentra,
E con larve mentite,
Vi mesce il suo veleno, e in dishoneste
Tempre il strugge, e promettendo lunga
Pace, e conforto, gli invaghise prima
Di piacer falso, e poi ch’al suo volere
Gli hà tratti, fra timor, sempre, e fra speme
Gli tiene involti, e di dolor gli pasce,
Poi disperati gli conduce a morte.
Questi è quel crudo di pietà nimico,
Vago sempre di lagrime, e che sempre
Del mal si gode, ov’io del ben mi pasco,
Egli dubbiosa gioia, e dolor certo
Apporta; ed io le mie dolcezze dono
E vere, e certe, e di soave ambrosia
Pasco l’anime in somma io sono Amore,
Et egli un cieco error, che la ragione
Uccide, e lascia al cieco senso il freno.
Ven.O trascuratamente de mortali,
Che quel furor, che non hà fine, ò modo,
Credono Amore. e dovrian pure almeno
Scorger i tuoi seguaci,
Che sono Verità, Prudenza, e Fede,
Timor, Honor, vero contento, e Pace,
Honestate, e fermezza,
Con sicura speranza,
Saggio, e santo piacere d’honesto foco,
Che con la face d’Himeneo s’accende;
Ma i suoi abominevoli seguaci
Sono errori, furori, odij, disdegni,
Rabbia, fraude, menzogna,
Pazzia, sfrenato ardire,
Disperatione, inganno, e guerra, e morte.
Egli, se ben hà l’ali, a terra vola,
Nè mai si leva, e mancan le sue forze
Allhor, che manca la mortal bellezza.
Ma tu con l’ali tue al Cielo porti
I tuoi seguaci, e ’l tempo à le tue forze
Non può far danno, nè la morte istessa;
Poi che non ami tu beltà caduca;
Ma celeste, e divina e che bisogna
Ragionar più de la disuguaglianza,
Che tra voi è? dirolla in un sol detto.
Tu solo sei la vita in questa vita
D’ogni cosa creata, egli la Morte.
Ma godo, poi che fatto hai lor palese,
Quai le tue forze sien, qual tu ti sia:
Acciò che da quì innanzi Amore, Amore
Sempre sia detto, e non s’attribuisca
Quello à te, che il furor pazzo, ed errante
Tra i mortali produce, Amor si lodi
Come vero custode de le genti,
E donator di gioia, e di piacere.
Amo.Tu sai mia genitrice, che fu sempre
Mia legge, e mio costume
Di non lasciar perire
I miei fidi seguaci,
Et anco di punire
Gli alteri spreggiator de le mie forze,
Hor sappi ch’io tornando
A rivedere il Cielo,
Ritenni alquanto in questa parte di volo:
Dove con gran dolore, e meraviglia,
E bestemmiar, e dispreggiar sentimmi
Da un superbo Pastor nomato Tirsi,
E da una Ninfa, che si chiama Ardelia.
Hor quì m’arresto per punirli, e quando
Saran contra di me più contumaci,
E men se ’l crederan, farò pentirli
Di lor temerità. tu cara madre
Meco trattienti in queste selve intanto,
Che segua al mio voler conforme effetto,
Quì staremo invisibil tra loro,
E quando sarà tempo, il duro core
Pungerò lor con questo aurato strale;
Onde l’un’arda, e non ritrovi loco
Per amor di Mirtilla, e l’altra avvampi
Per sua pena maggior di se medesima.
Ven.Sei tu forse sdegnato
Contra questi insensati,
Che non si sono avvisti
Del poter de gli Dei?
Vuoi forse far di loro aspra vendetta?
Amo.Saria contrario effetto a l’esser mio,
Quand’io, che sono Amore, odiassi amando,
E volessi vendetta, che sol l’odio
Mio nemico desia, non si conviene
A me, che sono Amore,
A sdegno dar loco, che sovente
Estingue il mio gran foco.
Ven.Che fia dunque di loro amato figlio?
Amo.Dopo che Tirsi havrà compreso à pieno
Il mio valore, e non havrà più speme
Di fruir di Mirtilla, che d’Uranio
Innamorata ogn’altro odia, e disprezza,
Lascerò, che ’l furor l’induca ad atto
Di voler con la morte uscir di doglia:
Ma perche finalmente non consento
Ne l’altrui morte, levarò la forza
Al mio nemico, e piegherò Mirtilla
A le sue voglie, e farò, che non ami
Uranio, che lei fugge, per seguire
Ardelia, laqual voglio, che d’Uranio,
Spento il proprio suo amor, divenghi sposa:
Farò poscia, che Igilio,
Volendo incrudelir contro se stesso,
Desti pur questo mezo nel bel seno
Di Filli alta pietade; ond’ella in tutto
Uranio lasci, & a lui sol si doni.
E Coridon sarà sempre felice
Con la sua Nisa, poi che miei devoti
Furon mai sempre; e così sodisfatto
A le divine leggi
Havrò del mio gran Regno.
Ven.Così dunque facciam diletto figlio,
E diportianci in queste quì d’intorno
Selve vicine, fin che tempo fia
D’essequir quanto brami.
Amo.O madre mia, se queste meraviglie
Saranno udite poi da qualche sciocco
Saran credute favole; e nel vero
Saran pur vere cose
Perche non san quel, che sa fare il Cielo,
E che ’l far che sì tosto
Divenga amante un cor disamorato,
E che un’altra invaghisca di se stessa,
Miracoli non sono a i sommi Dei,
Che pon far ciò che vogliono.
Ven. Si figlio.