La polenta dei Ciusi-Gobj

Tito Bassetti

1858 Indice:De' Bassetti - La polenta dei Ciusi-Gobj.djvu La polenta dei Ciusi-Gobj Intestazione 8 gennaio 2017 100% Da definire


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SULLA


ANTICA MASCHERATA TRENTINA


DETTA


LA POLENTA DEI CIUSI-GOBJ


MEMORIA


DEL CONSIGLIERE COMUNALE


TITO DE’ BASSETTI


SOCIO DI PIÙ ACCADEMIE.






TRENTO

DALLA TIPOGRAFIA MONAUNI

1858.

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Una gran parte di coloro che leggeranno il titolo di questa memoria inarcherà le ciglia, e proseguirà suo cammino giudicando poco meno che rimbambito colui al quale venne il ticchio di pubblicarla. E di fatti, occuparsi di un argomento, che la novella civiltà ha da più anni sommerso nell’onda del Lete, cioè di uno spettacolo popolare stimato come una reliquia delle età barbare ed ignoranti potrebbe sembrare una stoltezza, o per lo meno tempo gettato a coloro che si appagano della superficialità delle cose, o precipitano i loro giudizi sulla prevenzione, o sulla autorità di chi parla avventatamente.

Io mi lusingo, che questo mio tenue lavoro venga accolto favorevolmente da chi esamina, e pensa prima di giudicare, da chi sente la carità del luogo nativo, e rispetta le buone tradizioni de’ nostri padri, ed in particolar modo anche da que’ benemeriti, e zelanti magistrati, che oggi per somma ventura governano questa città. [p. 5 modifica]

Dal titolo posto in fronte si comprende di leggieri, che si tratta di uno spettacolo carnovalesco; ma ciò non è tutto. Si tratta di una festa, che commemora un patrio avvenimento, c la prisca bravura del popolo tridentino. È uno spettacolo, che modificato con savio accorgimento, potrebbe a buon diritto competere con tanti di molte altre città, nelle quali la affluenza de’ forestieri mette in circolazione molto danaro, e favorisce i commerci.

Consultando la storia dell’umanità dobbiamo persuaderci della tendenza innata nell’uomo a qualche spasso. Quindi provenne l’uso de’ pubblici divertimenti, ai quali spesso si attribuiva un merito inestimabile, perchè consacrato da Miti eroici, o religiosi. Nella Grecia p. e. divennero celebri i giuochi Nemei, Pitici, Istimici, e mille altri, ma sopra tutti gli Olimpici. In Roma i baccanali importati dall’Etruria, i ludi Secolari, Agonali, Arvali, Saturnali, Capitolini, Circensi, e moltissimi altri, che si ommettono per brevità. E la stessa Roma cristiana non potè mai del tutto rinunziare agli usi delle feste pagane; la qual cosa dimostra che l’uomo, in qualunque condizione si trovi, ha bisogno dopo lunga fatica della mente, o del corpo di una qualche ricreazione, che equivalga a riposo.

Cotali spettacoli, se ginnastici, aveano la mira di promuovere l’agilità, e la robustezza del corpo, e di addestrare la gioventù agli esercizi guerreschi; tutti poi o più o meno, facevano sentire altamente di se, e della patria. Scopo ultimo, e morale ne era la fratellanza, o l’emulazione nelle virtù, se non vere, almeno propizie alle idee, ed ai bisogni dei popoli; come ce lo dimostra lo stesso rapimento delle Sabine. [p. 6 modifica]

Quali fossero nelle epoche più tenebrose gli spettacoli pubblici, e quando smessi, o surrogati da altri, credo non si possa precisamente affermare. Certo è, che se Roma pagana, e guerriera tripudiava al ruggir dei leoni, ed ai profluvi di sangue umano, l’Italia tutta convertita alla Fede si piaceva nel materializzare i più santi misteri colla sua Festa dei pazzi, e con altre simili scandalose rappresentazioni; mentre frammezzo a tanto insulto del buon senso, e della morale i giovani cittadini dei liberi municipj uscivano in campo aperto a divertire i loro compatriotti coll’utile esercizio dell’armi. Cosicchè si vede, che gli uomini si spinsero sempre avanti l’un dietro all’altro, come le onde marine portando seco nella tomba le insegne caratteristiche della loro epoca, ma sempre lasciando ai posteri un rimansuglio di eredità gentilizia, l’amore a ciò che o commuove il cuore, od esalta la fantasia. Onde non è da maravigliare, se anche i Trentini per tanti secoli si siano compiaciuti della festa dei Ciusi-Gobj.

Prima di farne la descrizione mi sembra opportuno ragionare della sua origine. Le cronache, e le tradizioni la fanno rimontare ad un fatto successo sotto il Regno de’ Goti. V’è chi la vuole dei tempi di Eccelin da Romano, quando i Trentini ne scossero il giogo con indicibil coraggio. Ma non sarebbe fuor di luogo il crederla dei tempi etruschi. Della quale ipotesi esporrò la ragione.

Considerando, che i popolari spettacoli erano una passione generale di tutte le antiche città, o borgate soggette all’Etruria, e siccome anche noi senza dubbio eravamo progenie di quel gran popolo, così non sarebbe lontano da ogni probabilità, che lo spettacolo in discorso sia derivato da costì. [p. 7 modifica]

Vorrei che gli eruditi mi spiegassero l’etimologia dei due vocaboli del nostro dialetto Ciusi, e Gobj. Se essi pensino, che per Gobj si debbano intendere uomini colla gobba. Certo allora la persona che li rappresenta dovrebbe portarne una posticcia. Ma questo non si usò mai; dunque la parola de’ Gobj non può significare un uomo gibboso. Non si potrebbe nemmeno ammettere la supposizione, che ai trentini, i quali appunto devono essere figurati sotto quella maschera, si fosse dato dagli avversari quel nome per antonomasia, e per beffa; perchè quella deformità non fu mai esclusiva, e propria di questo paese, anzi per l’addietro molto più rara ed eccezionale, dunque la voce Gobj non può derivare da individuo gobbo.

Se la voce Ciusi equivale a Chiusi, cioè rinserrati, posti in luogo non libero, sarebbe una antitesi, sarebbe una ironia il dir chiusi a quelli che rappresentano il partito di chi sta in campo aperto, come indicherò in seguito. La differenza poi che passa da Ciusi a Chiusi deriva certamente dal nostro dialetto, che sopprime l’h preceduta dal c; per esempio a chiesa diciamo ciesa, a chiave, ciave, e così via. È dunque necessario battere ad altre porte per avere la spiegazione di questi due nomi.

Sappiamo che Clusium, ora Chiusi, è città antichissima etrusca. Sappiamo che Gabium, o Gabio fu città del Lazio, dove gli etruschi estesero il loro dominio. Sappiamo che nei dialetti non è raro lo scambio, o la soppressione di vocaboli, e di consonanti, come p. e. i Fiorentini di Camaldoli a soldo dicono soido, ed i Pisani sordo; egualmente in altri paesi, la lettera a si pronuncia o; in altri la mutano in e, e così via. [p. 8 modifica]

Qualche sottile ingegno stimerà improbabile la mia ipotesi sui Chiusi per la differenza con Clusium. È bene perciò ricordargli, che le mutazioni di pronunzia, e le alterazioni dei vocaboli datano per lo meno dal tempo in cui la lingua latina si è trasformata in volgare; onde i nostri Ciusi, ovvero Chiusi, saranno stati Clusi; e qual meraviglia se dopo tanti secoli anche i Gabj si saranno convertiti in Gobj? E chi può sapere se gli antichi Reti non usassero di pronunziare la a come un o?

Potrebbe anche il vocabolo chiusi essere sincope di schiusi o di esclusi, come vediamo tuttora la nostra più idiota plebe aggiungere invece la s quando nella lingua pura questa aggiunta darebbe significato opposto; come in esempio scoverta per coverta, aggettivo di scoverzer (scoprire), e che per essa esprime coprire.

In somma di pro, e di contra vi ci sarebbe materia da stancare i lettori, e perciò in tanto pelago di congetture lascio che la bussola degli archeologi discuopra la verità, non occupandomi qui che della tradizione più accreditata.

Quando il gran Re Teodorico volle si ricostruissero le mura di Trento, ingiunse agli abitanti delle altre città sorelle di concorrere alla esecuzione dell’opera, fra le quali anche a Feltre. Si narra, che in un anno di carestia i Feltrini rapissero le nostre vettovaglie, per cui nacque aspra contesa, anzi una guerra combattuta con varia fortuna, finchè prevalse il valore de’ nostri, e quei di Feltre furono respinti. Vuolsi che a perpetua ricordanza di tale successo, sia stata poscia immaginata questa annuale guerra carnovalesca, che ora descriveremo.

La fazione dei Chiusi o Ciusi rappresenta i Feltrini, il di cui vestimento ricorda gli antichi reziarii, ed alcune [p. 9 modifica]figure de’ vasi etruschi. Esso è di tela inquartata a due colori, l’una gialla, e l’altra rossa, bardellata di biòccoli o neri, o verdi. La maschera è sporgente a ceffo quasi cagnesco, o porcino fermata sotto il cappuccio. La fazione trentina è quella de’ Gobj, i quali indossano giubba contadinesca, hanno maschera con volto umano sormontata da folto e lungo penecchio di canapa, che ricopre la testa, ed il collo a foggia della pelle di leone. I fianchi sono stretti da forte matassa di refe. Tutte due le fazioni hanno un capo coronato che domandano il Re. I Gobj sono accompagnati da un individuo in abito femminile, che custodisce il pajuolo, e la mestola per la famosa polenta, che egli deve cuocere nell’ora del combattimento. Quest’uomo - femmina porta il nome di Strozzera, idiotismo nostro che vuol dir guattera, alla quale di solito incombono i più bassi uffici della cucina e di casa, quale sarebbe lo strozzare il pollame, o di averne cura, siccome strozziere chiamavasi chi governava, e custodiva i falconi nel medio Evo.

Il numero de’ combattenti non è limitato, ma non può essere meno di 150 a 200 per ben figurare. Questo giuoco si faceva annualmente il giovedì grasso, e l’ultimo martedì del carnovale, nell’un giorno sotto la Residenza principesca, nell’altro in Piazza grande del Duomo. Immenso popolo vi assisteva spettatore dai palchi, e dalle fenestre, formando l’anima, l’ornamento, e la maggiore bellezza di questo spettacolo, come lo è sempre di tutti. Durante il carnovale i due partiti percorrevano insieme confusi le contrade a suon di piffari e di tamburri, e quantunque nell’ultimo secolo non fossero che rozzi popolani, pure giovavano a mantenere viva la presenza del [p. 10 modifica]tempo carnovalesco, ed a rompere i lunghi intervalli di un nojoso silenzio, che senza di loro avrebbe durato per lo meno sino ai penultimi suoi giorni.

Questo giuoco è eminentemente ginnastico inquantochè domanda il soccorso di una gran forza muscolare, principalmente nelle reni e nelle braccia, e consiste in una guerra d’assedio da un canto, e di difesa dall’altro accompagnata da una tattica tutta speciale. Scopo primario è la conquista del tridentino palladio raffigurato nel biondo, od aureo cibo, e dal perderlo, o dal salvarlo dipende la vittoria, o lo scorno.

I Gobj formano un cerchio di contraffaccia, cioè rivolti all’infuori si tengono congiunti l’uno all’altro collo stringere la matassa che serve a cadauno di cinto, e così impediscono l’accesso ai Chiusi nell’interno della piazza. Dovendo essi formare una catena continua rotonda, hanno segnata con segature sul terreno la periferia da conservarsi.

Il Re sta nel centro sorvegliando gli attacchi, e le sorprese, ed impedendo il furto inaspettato, che qualche rara volta accade, se uno de’ Chiusi ha la destrezza, e la fortuna di saltar la catena, e di impunemente risaltarla colla polenta.

Il Re dei Chiusi comanda gli assalti, incoraggia ed accenna dove meglio è il rompere ora quà ora là quella cerchia; rotta la quale è più facile il trionfo. Il Chiuso incrociate le proprie mani fa delle braccia un anello sporgente, e provoca l’avversario a fare altrettanto colle sue, allora entrambi si agguantano, entrambi si sforzano di trarre a se l’inimico, ma siccome la energia del Chiuso isolato non basta a vincere la resistenza del Gobo, perchè unito alla catena vivente, così esso ha pronto dietro di [p. 11 modifica]se un manipolo di ausiliari, dei quali i due primi lo avvinghiano a due braccia collegate fra loro, e così di seguito crescendo a scala il numero degli assistenti egualmente congiunti si compone, una massa triangolare compatta da poter vincere la resistenza della catena, o equilibrarla. I due che immediatamente lottano fanno sforzi erculei: l’uno si ostina, l’altro non cede; si urla da tutte le parti: ma il primo, che si sente venir meno la forza nelle mani, si arrende, e resta divelto. Si rinnovano gli attacchi, e le difese fino al termine stabilito per la guerra. I prigionieri si scambiano dopo aver loro fatto subire la umiliazione di essere acculattati. Tutte due le fazioni sono soggette al sindacato di giudici, ossia padrini per i casi di violata disciplina, o legge di guerra, e prima di entrare in azione, sono visitati sotto panni per assicurarsi che non abbiano celata qualche arma offensiva.

A questo faticoso esercizio nei secoli precorsi partecipano anche i nobili, ed i più onorati cittadini, ed è ben naturale che allora, anche la più eletta parte del gentil sesso desiderasse d’intervenirvi in qualità di spettatrice, come le Matrone romane agli anfiteatri, ed ai circhi; o dirò meglio come le dame, e le regine ai tornei nel medio evo, e come tutto di la vivace castigliana assiste alle sanguinose caccie dei tori ansiosa di ammirare nell’uomo del suo cuore i prodigi della agilità, e del coraggio.

Ma i tempi mutarono; e la nostra fiacchezza signorile, frutto infelice di mutate abitudini domestiche, cedette l’onor dell’agone alla ancor maschia vigoria dei rustici, e dei popolani; nel che si spiega la ragione per la quale al presente una tal mascherata sia rimasta un desiderio [p. 12 modifica]più della plebe, che delle classi civili, e perciò appunto sia stata dismessa. Peccato!... È forse divenuto meno patrio, meno reale il suo merito? Non ha forse diritto anche il basso volgo a qualche onesto divertimento? Le sue mani non si prestano a comodo, o a beneficio di tutti gli ordini sociali? I sudori del campagnolo non sono rugiada che feconda la terra che tutti indistintamente ci nutre? Devono forse i trentini rinunziare ad ogni memoria dell’antico valore? Qual buona ragione si potrà addurre per lasciarla soppressa? Forse i pericoli di qualche infortunio, di qualche sconciatura. Ebbene: allora i governanti in generale dovrebbero inibire quasi tutti questi spettacoli, ovvero far come a Siena, dove i fantini prima di correre il pallio devono ricevere i Sagramenti; fatto quasi incredibile, ma vero. Nò. Panem et Circenses gridava il popolo romano, ed i Cesari lo contentavano, perchè sapevano, che chi si solazza non pensa al malfare.

Il celebre giuoco del Ponte a Pisa fu istituito in onore di Cinzica Sismondi immortale salvatrice della sua patria, e quantunque per la qualità del finto combattimento fosse soggetto a molti pericoli, pure sino al principio di questo secolo fu il più grandioso e rinnomato spettacolo dell’Italia, che da ogni parte, e sin d’oltre i mari attirava curiosi, e danaro in gran copia, La festa della Porchetta, a Bologna, il Reggisole di Pavia, la Rua di Vicenza, i Carrocci, le corse pubbliche di tante altre città della Penisola, sono tutti spettacoli che richiamano gente, promuovono l’industria, e la circolazione del numerario. In fine che diremo della bella nostra vicina la città di Vitruvio col suo Venerdì gnoccolare? Mi si dica [p. 13 modifica]spassionatamente quale distanza di merito ci corra da una terrina di gnocchi ad una ben condita polenta? Ambedue al primo nominarle ci daranno una idea volgare, burlesca, prosaica. Ma fatte simbolo di virtù cittadine la nostra immaginazione le converte in giojelli del più alto prezzo.

Accortissimamente i Veronesi diedero, non sono molt’anni, alla loro festa un aspetto più sfarzoso, e attraente di prima, cosicchè godono il beneficio di una maggiore affluenza di forestieri. Sarebbe tempo oramai che anche i trentini seguissero il loro esempio col dare alla propria una più illudente forma per soddisfare in modo migliore alle esigenze della nostra età, e per non rimanere al di sotto del proprio grado nemmeno in questo particolare, come già si vede che non sono, o che non amano di esserlo nelle altre pubbliche istituzioni, ed opere di utilità e di lusso.

Ora chiuderò questa mia disadorna descrizione col ricordare a’ miei concittadini, che per la attivazione della strada ferrata quasi tutti i vantaggi che la città ritraeva dalle fermate de’ forestieri, e dalle provviste d’ogni sorta di merci, che qui facevano gli abitanti di quasi tutto il Circolo, andranno perduti negli anni venturi, e forse per sempre. In conseguenza diventerà assoluto bisogno l’occuparsi seriamente a trovare onesti mezzi di compensazione; quali oltre l’introduzione di nuovi, e grandi rami industriali, le pubbliche solennità, e gli spettacoli. La nostra Fiera di S. Vigilio co’ suoi bellissimi fuochi d’artificio, e con una buon’opera in musica chiamerà ancora forestieri; anzi la opportunità delle ferrovie potrà invogliare maggiormente ad intervenirvi chi [p. 14 modifica]per la spesa, o per le distanze si sarebbe astenuto. Ma questa non sarà mai sufficiente ad equilibrare i discapiti di tutto il rimanente dell’anno. Si pensi dunque a rinnovare, a variare, ad accrescere divertimenti, che richiamino di tratto in tratto buon numero di spettatori; come p. e. esposizioni agronomiche, concorsi industriali, premj, tornate accademiche, regate, corse, giuochi ricchi di pallone, ed altro; ma non si dimentichi fra questi giammai l’antica mascherata patria della polenta, degna d’essere portata in avvenire a livello dei principali divertimenti di altre città.