Importanza dei simboli in matematica/Importanza dei simboli in matematica

Importanza dei simboli in matematica

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[p. 165 modifica]Lo splendido e altamente suggestivo articolo di Eugenio Rignano, Le forme superiori del ragionamento (in «Scientia», gennaio, febbraio e marzo 1915), mi induce a trattare una questione analoga, cioè la funzione che i simboli hanno in matematica.

I simboli più antichi e oggi più diffusi sono le cifre dell’aritmetica 0, 1, 2, ecc., che noi imparammo verso il 1200 dagli Arabi, e questi dagli Indiani, che le usarono verso l’anno 400.

Il primo vantaggio che si vede nelle cifre è la brevità; i numeri scritti in cifre indo-arabiche sono molto più brevi che gli stessi numeri scritti in tutte lettere in una nostra lingua, e sono anche in generale più brevi degli stessi numeri scritti colle cifre romane I, X, C, M.

Ma un esame ulteriore ci fa vedere che le cifre non sono dei puri simboli stenografici, cioè delle abbreviazioni del linguaggio comune; essi costituiscono una nuova classificazione delle idee. Così se le cifre 1, 2,... 9 corrispondono alle parole «uno, due, ... nove», invece alle parole «dieci, cento» non corrispondono più simboli semplici, ma i simboli composti «10, 100». E il simbolo 0 non ha alcun equivalente nel linguaggio volgare; noi lo leggiamo colla parola araba zero; i Tedeschi e Russi usano la parola latina nullo. Il simbolismo non consiste nella forma dei simboli; gli Europei usano le cifre sotto una forma fissata dopo l’invenzione della stampa, e molto diversa dalla forma delle cifre arabiche; tuttavia giustamente le nostre cifre diconsi indo-arabiche, perchè hanno lo stesso valore delle corrispondenti cifre arabiche.

L’uso delle cifre non solo rende più breve la scrittura, ma essenzialmente rende i calcoli aritmetici più facili, e quindi [p. 166 modifica]rese possibili certi lavori, e permise di ottenere certi risultati, che altrimenti non si potrebbero praticamente ottenere.

Ad esempio, la misura diretta assegnò al numero π, rapporto della circonferenza al diametro, il valore 3. La Bibbia ci informa che Salomone costrusse un vaso di getto di dieci cubiti di diametro e di trenta cubiti di circonferenza (I° libro dei Re, 7, 23); onde π=3.

Archimede, 200 anni prima di Cristo, coll’inscrivere e circoscrivere poligoni alla circonferenza, o meglio col calcolare delle serie di radici quadrate, servendosi delle cifre greche, trovò π a meno di 1/500. La sostituzione delle cifre indiane alle greche permise subito ad Aryabhata, verso il 500, di spingere il calcolo a 4 decimali, e permise ai matematici europei del 1600 di spingere il calcolo fino a 15 e poi a 32 cifre, sempre seguendo il metodo di Archimede. Il progresso ulteriore, cioè il calcolo di 100 cifre, fatto nel 1700, e il calcolo moderno di 700, è dovuto all’introduzione delle serie.

La stessa cosa si può dire per i simboli dell’algebra +, −, ×, =, >, oggi di uso universale. Le equazioni algebriche sono molto più brevi della loro espressione in linguaggio comune; sono più semplici e più chiare, e su esse si può operare e fare dei calcoli. E ciò perchè i simboli algebrici sono simboli che rappresentano delle idee e non delle parole. Ad esempio, il simbolo + si legge più; ma quel simbolo e questa parola non hanno lo stesso valore. Noi diciamo ad esempio «a è più grande di b», e scriviamo in simboli «a > b», senza che alla parola più corrisponda il segno +; e la frase «somma di a con b» è tradotta in simboli con «a + b», benchè la frase non contenga la parola più. Il simbolo + permette di rappresentare ciò che nel linguaggio ordinario si esprime con «più, somma», e anche «addizione, termine, polinomio». Parimenti il segno × rappresenta, senza esserne equivalente, le parole «moltiplicazione, prodotto, fattore, coefficiente». I simboli algebrici sono molto meno numerosi delle parole che essi permettono di rappresentare.

Oggi non si potrebbe concepire un’algebra senza simboli. In realtà, tutte le proposizioni di algebra, che ora si studiano nelle scuole medie, si trovano in Euclide e in Diofanto, senza [p. 167 modifica]simboli. Ivi le parole del linguaggio ordinario hanno assunto un significato tecnico speciale, ed hanno già il valore di simboli fonetici. Così la frase euclidea «la ragione del numero a al numero b» vale esattamente il nostro simbolo ; la parola ragione, in Euclide λόγος, non ha che una lontana origine comune colla parola della lingua volgare, e colla logica che ne deriva.

L’evoluzione del simbolismo algebrico è questa: prima il linguaggio lingaggio lingaggio comune; poi in Euclide un linguaggio tecnico, in cui già si stabilisce una corrispondenza univoca fra parole ed idee; poi l’abbreviazione delle parole del linguaggio tecnico, cominciata verso il 1500, per opera di molti e sotto forme diverse, finchè un sistema di notazioni, quello usato da Newton, prevalse sugli altri.

L’uso dei simboli algebrici permette agli allievi delle scuole medie di risolvere facilmente quei problemi, che solo potevano risolvere le vaste menti di Euclide e di Diofanto, e permise la trattazione di tante nuove questioni algebriche.

Il simbolismo del Calcolo infinitesimale è una continuazione dell’algebrico. Qui la storia è più sicura. Archimede misurò l’area di alcune figure, ricorrendo ad una forma di ragionamento detto «metodo di esaustione». Keplero nel 1605, Cavalieri nel 1639, Wallis nel 1663, ecc., dissero che l’area descritta dall’ordinata di una curva è la somma di tutte le ordinate. Leibniz abbreviò la parola somma nell’iniziale S, che Bernoulli chiamò integrale, e che ora ha la forma di una S allungata.

L’esprimere l’area incognita mediante la somma di infinite ordinate, somma che non è definita, pare esprimere l’oscuro pel più oscuro. Ma in realtà questa somma o integrale ha le proprietà fondamentali della somma ordinaria, il che facilita molto i calcoli. Le ordinate, la cui somma è l’area, sono gli indivisibili di Cavalieri, gli infinitesimi di Leibniz. La maggior parte dei geometri di quel tempo rifiutarono i nuovi metodi; dissero che con essi non si trovavano che risultati noti, e ciò era vero fino ad un certo punto; dissero che i risultati ottenuti si potevano pure trovare coi metodi antichi, e lo [p. 168 modifica]provarono rifacendo le dimostrazioni col linguaggio di Archimede, il che è sempre possibile. Poi si stancarono, e il mondo adottò il nuovo simbolismo, che è molto più comodo.

La Geometria si prestò meno al simbolismo. La Geometria analitica dà veste algebrica alle questioni geometriche. È un metodo di studio, potente in alcune ricerche, ma indiretto e spesso inferiore alla geometria elementare. Molti cercarono un calcolo che operasse direttamente sugli enti geometrici. Herigone nel 1644, Carnot nel 1801, e molti altri, costrussero dei simboli per dire «retta, piano, parallela, perpendicolare, triangolo, quadrato, ecc.» E alcuni di essi sono usati in trattati moderni di geometria elementare. Ma questi sono simboli stenografici rappresentanti parole, e che non si prestarono ad alcun calcolo.

La moderna teoria dei vettori permette di trattare le questioni geometriche con un calcolo diretto simile al calcolo algebrico. L’idea di vettore trovasi, in germe, in Euclide; più chiara in alcuni autori verso il 1800, e nel nostro Bellavitis nel 1832; questi li chiamò segmenti, poichè il segmento della geometria elementare è un ente molto simile al vettore. Ma l’uso con un nuovo significato d’una parola che già ne possiede un altro, è causa di confusioni, tanto più gravi quanto più i due enti sono simili. Hamilton nel 1845 chiamò vettore questo nuovo ente; e in due volumi ne spiegò il calcolo semplicissimo, e lo applicò alle questioni di geometria elementare, analitica, proiettiva, infinitesimale, alla meccanica, all’astronomia, alla fisica matematica, dando nuova forma più semplice a risultati noti, e trovandone dei nuovi. Ma gli studii di Hamilton non passarono sul continente, finchè Maxwell, pure inglese, adottò questo metodo nell’esposizione delle sue teorie sull’elettricità e sul magnetismo.

Oggi i vettori sono noti, almeno di nome, a tutti i matematici, e usati da molti, senza essere finora inclusi nei programmi ufficiali. Ora avvenne che varii autori si permisero di modificare le notazioni, di introdurre nuovi simboli non necessarii, di dare il nome di vettore ad altri enti simili ma non identici, riproducendo l’ambiguità che Hamilton aveva eliminata. Non parlo di quelli che attribuiscono ai vettori delle [p. 169 modifica]proprietà contraddittorie, che rendono impossibile ogni calcolo. Ne originò una confusione tale che l’illustre matematico Laisant pose recentemente nel periodico «L’Enseignement mathématique» di Ginevra, la questione Cosa è un vettore?.

Questa arruffata matassa fu dipanata dai prof. Burali-Forti e Marcolongo, in alcuni articoli pubblicati nei «Rendiconti» di Palermo. Risultò che le notazioni non si possono prendere ad arbitrio, ma debbono soddisfare a leggi definite. I suddetti professori, in unione ai prof. Boggio, Bottasso ed altri, hanno cominciato la pubblicazione d’una serie di volumi, ove sono trattate le principali applicazioni dei vettori. Sicchè i più bei libri su questa teoria, che una volta erano stampati in Inghilterra, ora sono pubblicati in Italia.

Che cosa è un vettore? Il vettore non è un segmento cui si aggiungano delle proprietà. Il vettore non si può definire colla geometria elementare, cioè non si può scrivere un’eguaglianza il cui primo membro sia la parola vettore, e il secondo membro sia un gruppo di parole della geometria elementare. Il vettore risulta da un segmento, o meglio da una coppia di punti, astraendo da alcune proprietà. Si può definire l’eguaglianza dei vettori.

Essendo A, B, C, D dei punti, la scrittura A — B = C — D significa che i segmenti AB e CD sono di egual lunghezza, sono paralleli, e diretti nello stesso senso; cioè che ABDC sono vertici consecutivi di un parallelogrammo; o in altre parole, che il punto medio di AD coincide col punto medio di BC; o anche in altre forme. Il vettore A — B è l’insieme delle proprietà comuni a tutti i vettori C — D eguali ad A — B. In conseguenza si parlerà della somma di due vettori; ma non si parlerà dell’origine d’un vettore, della retta che lo contiene, di vettori adiacenti, ecc., perchè sostituendo ad un vettore un suo eguale, l’origine può cambiare.

La teoria dei vettori non presuppone nessuna cognizione di geometria analitica, e nemmeno di geometria elementare. Il prof. Andreoni la usa nella scuola industriale di Reggio Calabria, per spiegare la geometria; e si potrebbe benissimo spiegare in una scuola media.

Il simbolismo della logica matematica, o calcolo logico, o algebra della logica, fu l’ultimo a comparire; ma già nel [p. 170 modifica]suo attuale sviluppo si dimostra in nulla inferiore ai precedenti dell’aritmetica, dell’algebra, della geometria.

In qualunque libro di matematica sonvi termini, o simboli, che rappresentano idee di algebra o di geometria. I termini rimanenti, circa un migliaio, rappresentano idee di logica. La logica matematica classifica le idee di logica che si presentano nei libri di matematica, le rappresenta con simboli, ne studia le proprietà, o regole del calcolo logico. Sicchè tutto il libro risulta espresso in simboli, di matematica e di logica.1

Il primo vantaggio che si vede nei simboli di logica, è la brevità che essi producono. Così il mio Formulario contiene trattazioni complete di aritmetica, di algebra, di geometria, di calcolo infinitesimale, definizioni, teoremi e dimostrazioni, il tutto in un piccolo volume, molto inferiore ai volumi che contengono le stesse cose espresse col linguaggio comune.

Poi si vede che, mentre le parole del linguaggio comune, che esprimono relazioni logiche, sono un migliaio, i simboli di logica matematica, che esprimono le stesse idee, sono una decina, tante quante le cifre arabiche. E ciò in pratica, poichè il prof. Padoa, nel libro citato, ha ridotto il numero dei simboli teoricamente necessarii a soli 3. Così risulta che i simboli ideografici sono molto meno numerosi delle parole che permettono di esprimere; quindi non c’è la corrispondenza univoca fra simboli e parole; quei simboli non sono abbreviazioni di parole, ma rappresentano delle idee.

Ma l’utilità principale dei simboli di logica si è che essi facilitano il ragionamento.

Tutti coloro che usarono il simbolismo logico ne attestarono la sua utilità.

Mario Pieri, rapito alla scienza nel fiore della sua attività nel 1913, adottò i simboli di logica in una serie di Memorie, [p. 171 modifica]relative ai principii della Geometria projettiva, e pubblicate dal 1895 in poi. Di massima importanza è il suo lavoro: Della geometria elementare come sistema ipotetico deduttivo. Le prime definizioni che si incontrano nei comuni trattati di geometria, le definizioni di punto, di linea, di retta, di superficie, ecc., non soddisfano un logico. Il dire che «la linea è una lunghezza senza larghezza» è esprimere l’ignota idea di linea per due idee più ignote lunghezza e larghezza. Il Pieri pervenne ad analizzare e classificare le idee di geometria, e tutte le definì in funzione di due idee primitive: punto e distanza di due punti2.

La più grande opera tutta scritta in simboli ideografici, è: A. N. Whitehead and B. Russell, Principia Mathematica.3 Gli Autori, nella prefazione, spiegano l’utilità, anzi necessità, del simbolismo. Essi dicono di essere stati obbligati ad usare i simboli, a preferenza delle parole, poichè le idee nel loro libro usate sono più astratte di quelle considerate nel linguaggio ordinario; e quindi non sonvi parole che abbiano il valore [p. 172 modifica]esatto dei simboli. Anzi le idee astratte e semplici considerate nel loro lavoro mancano di espressione nel linguaggio comune, che rappresenta più facilmente idee complesse. Perciò il simbolismo è più chiaro; permette di costruire serie di ragionamenti quando l’immaginazione sarebbe interamente inabile a sostenere sè stessa senza aiuto simbolico. Ecc. Quest’opera tratta i principii dell’analisi e della geometria, la teoria degli insiemi di punti, gli infiniti, infinitesimi e limiti, e tutte le questioni più difficili e controverse della matematica.4

La logica matematica, utile nei ragionamenti matematici (ed in questo solo senso io ne feci uso), interessa pure la filosofia. Louis Couturat, morto per una disgrazia all’inizio della guerra del 1914, scrisse importanti e numerosi articoli nella «Revue de métaphysique et de morale» ed in opuscoli e libri separati.

Si riconobbe che parecchie forme di sillogismo considerate in logica scolastica mancano d’una condizione. Che le regole per le definizioni date nei trattati di logica scolastica, non si applicano alle definizioni matematiche; e che viceversa queste soddisfanno ad altre regole che non si trovano nei comuni trattati di logica. Lo stesso avviene per le regole delle dimostrazioni matematiche, le quali non si possono ridurre al sillogismo della logica classica, ma bensì assumono altre forme, completamente classificate. [p. 173 modifica]

Bisogna dunque distinguere fra opere e opere di «logica matematica». Se giuste sono le critiche di Eugenio Rignano contro coloro che considerano la logica matematica quale scienza a sè, i cui lavori, è verissimo, sono spesso poco proficui; invece più non lo sarebbero all’indirizzo di coloro, quali quelli da me citati, che considerano la logica matematica come uno strumento utile per risolvere questioni matematiche resistenti ai metodi comuni. Del resto è quanto riconosce il Rignano stesso là dove afferma lo scopo completamente raggiunto e l’utilità del nostro Formulario. Che con un simile strumento simbolico nuovo si siano ottenuti risultati nuovi, risulta dalle dichiarazioni concordi degli autori che ne fecero uso. E che questi risultati nuovi siano importanti, risulta dal fatto che i lavori fatti col simbolismo logico furono letti, citati da numerosi autori, e servirono come base a nuove ricerche.


Torino, Università.


Note

  1. Gli autori che usano i simboli di logica, sogliono spiegarli nella prima pagina dei loro lavori. La «Rivista di matematica», da me edita, tomo 7, pagine 3-5, contiene l’elenco di 67 lavori relativi alla logica matematica dal 1889 al 1900; e il Formulario matematico, da me pubblicato, edizione 5ª, pag. xiv-xv, contiene l’elenco di 62 lavori dal 1900 al 1908. Altri comparvero dopo. Fra essi merita speciale menzione l’Algebra der Logik di Schröder, che contiene una ricchissima bibliografia, specialmente dei lavori più antichi.
    Il lettore che desidera avere più ampie cognizioni su questo soggetto, può consultare: C. Burali-Forti, Logica matematica, Milano, Manuali Hoepli, 1894, e il libro più recente, e al corrente dei nuovi risultati: A. Padoa, La logique déductive dans sa dernière phase de développement, Extrait de «Revue de métaphysique et de morale», Paris, 1912.
  2. I risultati cui pervenne il Pieri costituiscono un’epoca nello studio dei principii della Geometria. B. Russell, dell’Università di Cambridge, nel suo libro The principles of Mathematics, 1903, dice del lavoro del Pieri «This is the best work on the present subject». E tutti coloro che in seguito trattarono dei principii della Geometria, si servirono ampiamente del lavoro del Pieri, e diedero dei giudizii equivalenti a quello riportato dal Russell. Citerò Bocher, nel «Bulletin of the American mathematical Society», 1904, pag. 115, Wilson, nello stesso periodico, 1904, pag. 74; Huntington, nelle «Transactions» della stessa società, in una serie di Memorie dal 1902 in poi, Veblen nello stesso periodico, 1904. Ecc., ecc.
    Il Pieri in altri lavori, espose anche i risultati cui pervenne, senza far uso di simboli. Ma sempre volle affermare che Egli li ottenne servendosi dei simboli della logica matematica. Vedasi ad esempio la sua comunicazione al Congresso internazionale di filosofia, Parigi, 1900 col titolo La Géométrie comme système purement logique, specialmente a pag. 381.
    E, incaricato del discorso inaugurale per l’anno 1906-07 nella R. Università di Catania, il Pieri scelse come tema Uno sguardo al nuovo indirizzo logico-matematico delle scienze deduttive. Il discorso è stampato nell’«Annuario» di quella Università, ed è una limpida esposizione di questo grande movimento scientifico, fatta in modo accessibile al pubblico non matematico, che ivi può farsi rapidamente un’idea chiara della questione.
    In quel periodo di tempo una schiera di illustri matematici italiani lavorò nello stesso indirizzo. Sicchè nel 1900, L. Couturat, mentre dichiara che «l’école italienne avait atteint des résultats merveilleux de rigueur et de subtilité», era ancora incerto «si l’on devait les attribuer à l’utilitè du symbolisme logique on à la pénétration des savants qui le manient»; ma nel 1905 afferma senza esitare, «que c’est l’instrument indispensable pour rejoindre la pureté logique des concepts, et la rigueur déductive des raisonnements».
  3. Cambridge, University Press, Vol. 1.°, 1910, pag. 666; Vol. 2.°, 1912, pagine 772; Vol. 3.°. 1913. pag. 491.
  4. Fra gli Autori di altre opere importanti di logica matematica ci limitiamo a rammentare i seguenti:
    Il prof. Huntington dell’Università di Cambridge in America, il quale, nella serie di scritti pubblicati nelle «Transactions of the American Math. Society», a partire dal 1902, analizzò le idee di grandezza, di numero reale, dei gruppi di sostituzioni, ecc., usando ivi parte il simbolismo logico, e dichiara servirsi dei lavori dei prof. Burali-Forti, Padoa, Couturat, Amodeo. Il prof. Moore dell’Università di Chicago, il quale ha applicato il simbolismo della logica matematica a studiare il nuovo problema delle equazioni integro-differenziali, in una comunicazione nel 4° congresso matematico internazionale di Roma nel 1908, e poi nel libro Introduction to a Form of general Analysis, 1910. Lo stesso metodo fu applicato dalla Dottoressa Maria Gramegna, vittima del terremoto di Avezzano nel gennaio di quest’anno, nello scritto Serie di equazioni differenziali lineari, pubblicato in «Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino», 13 marzo 1910.
    Menzionerò ancora i lavori del prof. Cipolla dell’Università di Catania, relativi alle congruenze, pubblicati nella «Rivista di Matematica». E il libro tanto apprezzato: G. Pagliero, Applicationes de calculo infinitesimale, Torino, Paravia, 1907, tutti scritti in simboli. E nel campo didattico, i varii trattati di Aritmetica e di Algebra, del prof. Catania, in Catania, ove non si fa uso di simboli, ma vi si applicano i risultati della logica matematica, e così ne risulta un’esposizione chiara, semplice e rigorosa; le quali qualità sono generalmente unite. È grazie ai collaboratori prof. Castellano, Vacca, Vailati ed altri, che il Formulario matematico pervenne allo stato attuale.