L'arte di ferrare i cavalli senza far uso della forza/Sezione I
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Traduzione dal tedesco di Anonimo (1828)
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SEZIONE PRIMA
§ 1.
Dapprima vi furono cavalli irritabili e restii, i quali non volevano assoggettarsi di buon grado ad essere ferrati, che colla pratica di mezzi violenti, per i quali diventavano finalmente non di rado affatto viziati. S’inventarono dappoi diverse macchine per ferrare cavalli così ritrosi, ma non si ottenne alcun vantaggio; giacché nella susseguente ferratura si è dovuto nuovamente far uso della forza, per la quale aumentavasi progressivamente la resistenza di questi animali.
§ 2.
Un così barbaro trattamento aveva per conseguenze danni innumerevoli e per gli uomini e per i cavalli; e questi ultimi venivano in tal modo assai di sovente resi affatto inservibili; come frequenti casi nell’impiego delle macchine per rialzarli lo hanno dimostrato. Crudele e pregiudizievole ne’ suoi effetti per il carattere dei cavalli è parimenti l’uso di diverse altre specie di macchine per ferrarli.
§ 3.
L’esperienza insegna che la naturale timidezza di questo nobile animale va crecendo mediante una ripetuta violenza nel ferrarlo; cosicchè egli perde tutta la confidenza per gli uomini, si ostina in queste ed in altre circostanze, e finalmente diventa diffidente, ed affatto inetto al servizio.
§ 4.
Verosimilmente vi sarà stato chi avrà di già operati fondati esperimenti nello studio della natura del cavallo, per correggere col mezzo di un affabile trattamento i restii e gl’irritabili, e per indurli ad accettare spontaneamente la ferratura: ma siffatte prove non sembrano state continuate con bastante circospezione e perseveranza, giacchè di tali indagini non sonosi generalmente veduti finora risultati felici. L’autore però, in seguito di molti anni di studio e di pratica, si è pienamente convinto che ogni cavallo cattivo, ritroso, irritabile ed affatto viziato (eccettuate le rimonte feroci ed avverse agli uomini, ed i cavalli affetti da furiosa vertigine) può essere ridotto, mediante un opportuno affabile trattamento, nello spazio di 5 sino a 30 minuti, o tutto al più in un’ora, non solamente a lasciarsi ferrare senza mezzi violenti, ma puranche totalmente e stabilmente corretto de’ suoi difetti; rendendosi così superfluo in avvenire ogni mezzo per adoperare la forza. Se codesto metodo fosse stato dapprima in uso, è facile di riconoscere che alcuni cavalli pel servizio della cavalleria avrebbero durato assai più, che molti proprietarj di cavalli d’uso e di lusso avrebbero potuto conservarli più lungamente, e che un gran numero di soldati, maniscalchi e loro ajutanti, non ne avrebbe riportato danno veruno.
§ 5.
A ragione si afferma nelle migliori opere economiche e veterinarie intorno alle razze de’ cavalli, che non vi hanno cavalli cattivi in natura. Se divengono cattivi dipende solamente che noi poco o nulla ci occupiamo di essi nel modo opportuno per riconoscere adeguatamente l’indole loro; quindi ci serviamo piuttosto della frusta e dello sperone per far conoscere la nostra volontà a questo nobile animale, anzichè di un mite trattamento col mezzo della voce e dell’aspetto. In una parola, noi non sappiamo farci intendere dal cavallo. Egli è veramente da maravigliarsi, se i cavalli non sono in generale ancor più ostinati, e non cercano, nella conoscenza della loro forza, di sottrarsi dalla loro schiavitù, quando si considera come questi nobili animali vengono barbaramente, con asprezza e crudelmente trattati; come spesso, e talvolta senza motivo, sono battuti e maltrattati; e come al contrario parlasi a loro di rado in modo da commendarli ed applaudirli, e molto meno vengono ricompensati. Tuttavia gli attenti osservatori hanno conosciuto che il cavallo, come l’elefante ed il cane, possiede una irritabilità di nervi, la quale si potrebbe chiamare sentimento d’onore, onde assaissimo in lui può la lode od il biasimo.
§ 6.
Non si sostenne a torto che quegli a cui non riuscì l’addestramento di un cavallo giovine e non viziato, non ha saputo per lo più giudicare dell’indole sua e trattarlo convenientemente. O egli non sapeva conoscere se il cavallo era atto all’uso a cui la natura lo ha destinato, o non ha considerata la forza e l’età del medesimo, o finalmente non usò il modo con che vuol essere trattato. L’opporsi ne fu la conseguenza: un intollerante ed aspro trattamento venne dippoi; l’ostinazione dell’animale si accrebbe; ed in vece d’intendersi vicendevolmente si pongono il cavallo ed il cavallerizzo in un aperta lotta l’uno contro l’altro; nella quale l’ultimo di rado ne è il vincitore, e l’addestramento del primo non corrisponde il più delle volte allo scopo del servizio, rendendosi anzi di sovente il cavallo stesso affatto inservibile.
§ 7.
Col mezzo dell’esperienza io mi sono pienamente convinto che non vi hanno cavalli cattivi in natura, ma che divengono cattivi quando cadono in mani inesperte; come pur troppo frequentemente accade. Ordinariamente i cavalli di rimonta ed altri vengono affidati per l’istruzione a tali individui, i quali abbisognerebbero essi stessi di essere dapprima instrutti, ed a cui manca affatto la cognizione e la idoneità di occuparsi convenientemente di cavalli e di farsi da essi chiaramente intendere; ciò che rendesi assolutamente indispensabile.
§ 8.
Egli è consentaneo alla natura dell’istruzione, che chi deve ammaestrare gli altri, deve altresì saper farsi chiaramente intendere; e ciò è altrettanto più necessario nell’addestramento di un animale irragionevole.
Quando l’istruttore stesso sa poco, o non ha il dono di farsi intendere chiaramente da’ suoi alunni, manca allora lo scopo della educazione; e col mezzo di aspri trattamenti, soprattutto intempestivamente, non si fa che rendere il male peggiore. Così è dei cavalli che vengono ammaestrati da persone disadatte, le quali non sanno occuparsi di questo nobile animale, e lo rendono viziato mediante battiture ed altre sevizie.
§ 9.
Io parlo per esperienza; giacchè non solamente ho osservato, durante una lunga serie d’anni, i modi sconvenevoli con che trattasi ordinariamente il cavallo, e si procede all’istruzione del medesimo, ma ho parimenti dimostrato evidentemente col mio metodo, desunto da un lungo studio della natura de’ cavalli e dal trovarmi continuamente in mezzo a loro, che quelli i quali in conseguenza di cattivi trattamenti erano già da 10 fino a 15 anni affatto viziati, sono stati in brevissimo tempo, mediante l’applicazione del metodo stesso, ripristinati stabilmente nella naturale loro bontà.
§ 10.
Che non mi sia quasi mai servito di mezzi violenti, risulta da tutto ciò ch’io ho finora annunciato: nello stesso modo dimostrerò puranche ulteriormente che ho saputo perfettamente farmi intendere in ogni occasione dal cavallo, mediante la voce, lo sguardo e l’aspetto; e che sono così riuscito mai sempre nel mio intento.
§ 11.
L’attento indagatore può giornalmente convincersi come innopportuno e nocivo sia il consueto trattamento de’ cavalli nel ferrarli. Il cavallo pauroso, irritabile, pigro, indocile, impetuoso, viene condotto ordinariamente nel modo medesimo, senza riguardo al suo carattere; ed il più delle volte anche con cattivi modi, nella fucina, la quale gli fu forse altrevolte luogo di tortura, ed in cui è legato indifferentemente colla corda della cavezza. Se l’animale trovisi o no su di un piano orizzontale, rimanga o no appoggiato con tutti e quattro i piedi, è lo stesso per il soldato comune, per il palafreniere, per il maniscalco od il suo ajutante. I primi afferrano troppo sollecitamente il piede, senza la menoma cognizione del modo con che devono collocarsi rapporto al cavallo, e molto meno come devono rialzarlo, e contenersi nella ferratura medesima. Egli è tutt’uno per essi se impugnano il piede al garetto od in un altro luogo; se lo tirano lateralmente od in addietro; se lo comprimono o no; se lo rialzano troppo o poco. Se il piede rialzato è tenuto soverchiamente in tale posizione, come accade d’ordinario, e si forma in questa parte il granchio, il cavallo intraprende, come è naturale, a far resistenza. L’incollerito palafreniere ed il maniscalco sono ordinariamente a questa renitenza dell’animale appunto men disposti a trattarlo con amorevolezza, e per mancanza di cognizioni, con intelligenza; e col mezzo delle loro sevizie rendono il cavallo più diffidente e ricalcitrante. Da ciò non rimane che un passo alla tortura di minor grado, come per esempio: tenerlo in varj modi alle orecchie, e colla morsa. Indi viene il mezzo di stramazzarlo al suolo, di appenderlo; e l’uso infine delle diverse macchine coercitive esistenti per ferrare. La fisica del cavallo sotto ad un tale trattamento soffre più o meno; ed il più delle volte è reso innanzi tempo inetto ad ogni servizio. Il cavallo del soldato vien tosto riformato; le spese di compra e di mantenimento vanno perdute, non che le fatiche d addestramento; quello del privato, a cui sarebbe talvolta utilissimo per ogni altro rapporto, è, non di rado per codesto vizio, e con perdita considerabile, posto in non cale.
§ 12.
Non parrebbe quasi necessario di dimostrare i danni che risultano al servizio della cavalleria in campagna, quando sianvi in essa molti cavalli, che non si lasciano ferrare spontaneamente. Se uno di questi perde un ferro durante la marcia, e non si ha nè tempo nè occasione da adoperare mezzi violenti, è duopo ch’egli cammini un intiera giornata, talvolta sopra di una strada dura e sassosa; l’ugna si corrode totalmente, ed il cavallo divien zoppo. Causando ciò un detrimento all’ugna medesima non si può più nè ferrarlo nè condurlo più oltre, ma è duopo lasciarlo in addietro sulla strada. A misura che l’esercito si avvicina al nemico, e che i movimenti divengono più concitati e solleciti, vien meno necessariamente puranche l’attenzione verso i cavalli, e la cura nel governarli; ed il numero di quelli ammalati aumenta ancor più di giorno in giorno per mancanza di ferrature. Siccome non si può pensare in campo, e generalmente nelle marcie innanzi al nemico, all’applicazione de’ mezzi violenti sino allora usitati, così codesti cavalli ritrosi vengono repressi con forza mediante un numero d’individui, e legati sovente con corde minute. Queste ultime hanno per conseguenza di corrodere e ferire il pasturale; dal che ne risulta l’andar zoppiconi, e l’inettitudine per alcun tempo al servizio. Prima che il cavallo sia guarito nasce il bisogno di ferrarlo nuovamente; e l’uso degli stessi mezzi di violenza riproduce lo stesso danno. Avviene così che alcuni di essi rimangono inetti quasi durante l’intiera Campagna; siccome può confermarlo per propria esperienza chiunque abbia servito in Cavalleria.
§ 13.
L’autore si lusinga che mediante l’uso del metodo da lui accennato, non solamente si renderanno superflue tutte le macchine per ferrare i cavalli e per appenderli, ma che cesserà puranche ogni lotta coi medesimi; e non avranno più luogo in conseguenza que’ danni che sono finora risultati a questi animali ed agli uomini. È cosa manifesta altresì, che mediante l’allontanamento di questi mali ne deriverà un ragguardevole vantaggio per l’umanità in generale, e per lo Stato in particolare; e che chiunque avendo a che fare con cavalli vorrà penetrarsi dello spirito dell’indicato sistema, occuparsi egli stesso dell’esecuzione, e non desistere finchè sia certo della riuscita, avrà sempre un esito efficacissimo; il quale non può mai fallire dietro reiterate prove.