Dei delitti e delle pene (1780)/Capitolo I
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DEI DELITTI
E
DELLE PENE.
§. I. INTRODUZIONE
Gli uomini lasciano per lo più in abbandono i più importanti regolamenti alla giornaliera prudenza, o alla discrezione di quelli, l’interesse de' quali è di opporsi alle più provide leggi che per natura rendono universali i vantaggj, e resistono a quello sforzo, per cui tendono a condensarsi in pochi, riponendo da una parte il colmo della potenza e della felicità, e dall’altra, tutta la debolezza e la miseria: perciò, se non dopo esser passati tramezzo mille errori nelle cose più essenziali alla vita ed alla libertà, dopo una stanchezza di soffrire i mali giunti all’estremo, non s’inducono a rimediare ai disordini che gli opprimono, e a riconoscere le più palpabili verità, le quali appunto sfuggono per la semplicità loro alle menti volgari, non avvezze ad analizzare gli oggetti, ma a riceverne le impressioni tutte di un pezzo, più per tradizione che per esame.
Apriamo le istorie, e vedremo che le leggi, che pur sono, o dovrebbon’essere patti di uomini liberi, non sono state, per lo più, che lo strumento delle passioni di alcuni pochi, o nate da una fortuita e passeggera necessità; non già dettate da un freddo esaminatore della natura umana, che in un sol punto concentrasse le azioni di una multitudine di uomini, e le considerasse in questo punto di vista: la massima felicità divisa nel maggior numero. Felici sono quelle pochissime nazioni, che non aspettarono che il lento moto delle combinazioni e vicissitudini umane facesse succedere alla estremità de’ mali un avviamento al bene, ma ne accelerarono i passaggi intermedj con buone leggi! e merita la gratitudine degli uomini quel filosofo ch'ebbe il coraggio, dall'oscuro e disprezzato suo gabinetto, di gettare nella moltitudine i primi semi, lungamente infruttuosi, delle utili verità.
Si sono conosciute le vere relazioni fra il sovrano e i sudditi, e fralle diverse nazioni; il commercio si è animato all'aspetto delle verità filosofiche rese comuni colla stampa; e si è accesa fralle nazioni una tacita guerra d’industria, la più umana e la più degna di uomini ragionevoli. Questi sono frutti, che si debbono alla luce di questo secolo. Ma pochissimi hanno esaminata e combattuta la crudeltà delle pene, e l’irregolarità delle procedure criminali, parte di legislazione così principale, e così trascurata in quasi tutta l’Europa; pochissimi, rimontando a' principj generali, annientarono gli errori accumulati di più secoli, frenando almeno, con quella sola forza che hanno le verità conosciute, il troppo libero corso della mal diretta potenza, che ha dato fin’ora un lungo ed autorizzato esempio di fredda atrocità. Eppure i gemiti dei deboli, sacrificati alla crudele ignoranza ed alla ricca indolenza; i barbari tormenti con prodiga e inutile severità multiplicati, per delitti o non provati o chimerici; la squallidezza e gli orrori di una prigione, aumentati dal più crudele carnefice dei miseri, l'incertezza, dovevano scuotere quella sorta di magistrati che guidano le opinioni delle menti umane.
L'immortale Presidente di Montesquieu ha rapidamente scorso su di questa materia. L’indivisibile verità mi ha sforzato a seguire le tracce luminose di questo grand'uomo, ma gli uomini pensatori, pe' quali scrivo, sapranno distinguere i miei passi dai suoi. Me fortunato, se potrò ottenere com'esso i segreti ringraziamenti degli oscuri e pacifici seguaci della ragione, e se potrò inspirare quel dolce fremito, con cui le anime sensibili rispondono a chi sostiene gl’interessi della umanità!
Or l’ordine ci condurrebbe ad esaminare e distinguere tutte le differenti sorti di delitti, e la maniera di punirli, se la variabile natura di essi per le diverse circostanze dei secoli e dei luoghi, non ci obbligasse ad un dettaglio immenso e nojoso. Mi basterà indicare i principj più generali, e gli errori più funesti e comuni, per disingannare sì quelli che per un mal inteso amore di libertà vorrebbono introdurre l’anarchia, come coloro che amerebbero ridurre gli uomini ad una claustrale regolarità.
Ma quali saranno le pene convenienti a questi delitti? La morte è ella una pena veramente utile e necessaria per la sicurezza, e pel buon’ordine della società? La tortura e i tormenti sono eglino giusti, e ottengono eglino il fine che si propongono le leggi? Qual è la miglior maniera di prevenire i delitti? Le medesime pene sono elleno egualmente utili in tutti i tempi? Qual’influenza hanno esse su i costumi?
Questi problemi meritano di essere sciolti con quella precisione geometrica, a cui la nebbia de’ sofismi, la seduttrice eloquenza, ed il timido dubbio non possano resistere. Se io non avessi altro merito, che quello di aver presentato il primo all’Italia, con qualche maggior evidenza, ciò che altre nazioni hanno osato scrivere, e cominciano a praticare, io mi stimerei fortunato: ma se sostenendo i diritti degli uomini, e della invincibile verità, contribuissi a strappar dagli spasimi e dalle angosce della morte qualche vittima sfortunata della tirannia o della ignoranza, ugualmente fatali, le benedizioni e le lacrime di un solo innocente nei trasporti della gioja mi consolerebbero del disprezzo degli uomini.