Vita e morte del Re Riccardo III/Atto primo

Atto primo

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VITA E MORTE

del


RE RICCARDO III





ATTO PRIMO




SCENA I.

Londra — Una strada.

Entra Glocester.

Gloc. Alfine il sole di York ha dissipato l'inverno delle nostre sventure, e ricondotta la stagione dei bei giorni della gloria: tutte le nubi che oscuravano la nostra casa stanno sepolte nel seno profondo dell’oceano. Ora le nostre fronti son cinte con ghirlande vittoriose; le nostre armi mutilate sospese in trofe, monumento delle opere nostre. I tristi sgomentati han dato luogo alla dolce fiducia, il romore delle nostre marcie si è mutato in cantici di piacere e di allegrezza. La guerra dal volto spaventoso ha addolcite le rughe della sua fronte minaccevole, e invece di procedere sui corridori per atterrire i nostri nemici, ella danza con piè leggiero ai suoni lascivi di un flauto. Ma io... che formato non sono per tai ludi, nè fatto per blandire un occhio amoroso; io che fui creato sì deforme, e che manco delle grazie dell'amore, non potrò gustare i diletti che procaccia una bella; io che dalla perfida natura fui privato d’ogni simmetria, e a cui essa malignamente ricusò un volto umano, oggetto d’orrore, mostro venuto al mondo prima del mio tempo, composto in guisa che i cani pure mi latrano dietro, allorchè mi fermo accanto a loro; io in queste lotte effeminate della pace non ho alcuna parte da [p. 224 modifica] compiere, a meno che non isperda il mio tempo nel seguire la mia ombra al sole, e nello scrutare tutta la mia deformità. — Ora perchè rifiutate mi furono le grazie, e il dono di piacere alle belle, fermo ho di recitare la parte del malvagio, e l’odio mio consacro ai frivoli diletti di questo tempo. Ho ordite feroci trame, tesi lacci pericolosi, seminando assurde voci, e spargendo libelli e sogni atti a fu nascere fra mio fratello Clarenza e il re un odio mortale. Se il re Eduardo è leale e giusto, come io sono astuto, falso e traditore, questo giorno deve vedere Clarenza tolto dal mondo per una profezia che dice, che la lettera G sarà mortale agli eredi di questo monarca. — Pensieri, rientrate addentro nella mia anima! Viene Clarenza. (entra Clarenza fra le guardie, e Brakenbury) Fratello, buon giorno: a che accennano gli armati che seguono Vostra Grazia?

Clar. Sua Maestà, tenero della mia salvezza, me li ha dati per condurmi alla Torre.

Gloc. Per qual ragione?

Clar. Perchè il mio nome è Giorgio.

Gloc. Oimè! signore, questa non è colpa vostra: ei dovrebbe di ciò lagnarsi col vostro padrino: ma forse Sua Maestà intende farvi ribattezzare alla Torre. Che fu, Clarenza? Posso io saperlo?

Clar. Sì, Riccardo, quando io pure lo sappia; perchè giuro che fino ad ora lo ignoro; ma da quel che posso divinare ei porse orecchio a profezie e sogni; e tratta a caso una lettera dell’alfabeto, una G, dichiara avergli detto un mago che per la lettera G la sua posterità sarebbe diseredata. E poichè il mio nome comincia per G, ei ne inferisce che si alluda a me. Ecco gli argomenti che spinsero Sua Maestà a farmi imprigionare.

Gloc. Questo accade allorchè gli uomini son retti dalle femmine. — Non è il re che vi manda alla Torre, ma lady Grey, sua sposa, che lo eccita, e lo spinge a tali estremità. Non fu essa e il venerabile lord Antonio Woodville suo fratello che gli fecero mandare in carcere lord Hastings, da cui soltanto oggi è stato ritolto? Noi non siamo sicuri, Clarenza, non siamo sicuri.

Clar. Pel Cielo! io ben credo che alcuno non sia qui sicuro, tranne i parenti della regina, e i messi notturni che vanno e vengono dal re alla sua amica Giovanna Shore. Non conoscete le vili preghiere che lord Hastings le ha fatte per ottenere la sua liberazione? E il lord Ciambellano indirizzando la sua umile prece a questa dea, ha ottenuto ciò che chiedeva.

Gloc. Vo' dirvi una cosa: è che io penso che, se vogliamo mantenerci nella buona grazia del re, il miglior mezzo è di farci [p. 225 modifica]vassalii della sua amica, portandone la divisa. La sua gelosa vedova ìnnoltrata negli anni, e milady Shore, dacchè nostro fratello le ha nobilitate, son fatte potenti protettrici in questa monarchia.

Brak. Chieggo perdono alle Vostre Grazie, ma Sua Maestà mi ha imposto di non permettere ad alcun uomo, qual che ne sia il grado, un colloquio con suo fratello.

Gloc. Sì? ebbene, se piace a Vostra Signorìa, Brakenbury, voi potrete esser terzo in tutto quel che diciamo, perocchè non tramiamo alcun tradimento. Noi stavamo affermando che il re è saggio e virtuoso, e che la nobile regina è nella sua bella età senza gelosia: osservavamo che la moglie di Shore ha un bel piede, labbra vermiglie come le ciliegie, un bell’occhio, una lingua dorata, e che i parenti della regina sono ora graziosi gentiluomini. Che ne dite, signore? Non è tutto ciò vero?

Brak. Milord, non ho nulla in comune con queste cose.

Gloc. Nulla in comune colla Shore? Ti dico, amico, che quegli che avesse qualche cosa in comune con lei, tranne un solo uomo, farebbe bene a vederla in segreto e sola.

Brak. E qual è l’uomo che voi eccettuate, milord?

Gloc. Suo marito, demonio: vorresti tu tradirmi?

Brak. Supplico Vostra Grazia di perdonarmi, e di finire il vostro colloquio col nobile duca.

Clar. Conosciamo il tuo obbligo, Brakenbury, e obbediremo.

Gloc. Noi siamo disprezzati dalla regina, e ci è forza obbedire. Fratello, addio; io vado dal re, e qual che sia l’ufficio che mi vorrete dare, dovessi io chiamare la vedova d’Eduardo1 sorella, tutto farò per affrettare la vostra liberazione. Intanto questa disgrazia crudele d’un fratello m’addolora più di quello che posso esprimere.

Clar. So che ad entrambi dispiace assai.

Gloc. Bene, la vostra prigionia non sarà lunga: io ve ne libererò o verrò al vostro posto: per ora abbiate tolleranza.

Clar. È forza: addio. (esce con Brak. e le guardie)

Gloc. Va, segui la via che più non ricalcherai, credulo e sincero Clarenza! Io ti amo tanto che manderò fra poco la tua anima in Cielo, se il Cielo vorrà accettare un dono della mia mano. Ma chi viene? Il liberato Hastings? (entra Hastings)

Hast. Buon giorno, mio grazioso signore! [p. 226 modifica]

Gloc. E quale lo desidero al mio ottimo ciambellano. Godo di vedervi riposto in libertà. Come sostenne Vostra Grazia la prigionia?

Hast. Con pazienza, nobile lord, come debbono farlo i prigionieri: ma io vivrò per ringraziare coloro che mi avevano fatta perdere la libertà.

Gloc. Senza dubbio, e così farà anche Clarenza, avvegnachè i vostri nemici sono i suoi e prevalso hanno del pari contro voi entrambi.

Hast. È ben tristo che l’aquila stia racchiusa, intantochè vili uccelli da preda compiono in libertà le loro carnificine.

Gloc. Quali novelle del di fuori?

Hast. Nessuna di così cattive come sono le interne: il re è malato, debole e malinconico, e i suoi medici temono assai per la sua vita.

Gloc. Sì; per san Paolo, questa novella è veramente trista. Oh! egli ha fatto una dieta troppo severa, e ha consunta la sua real persona: doloroso è il pensarci. Ma è egli in letto?

Hast. Sì.

Gloc. Andate innanzi, ed io vi seguirò. (Hast. esce) Ei non può vivere, spero; nè deve morire, finchè Giorgio non sia stato spedito in Cielo. Io andrò per irritare vieppiù il suo odio contro Clarenza, con menzogne avvolte fra potenti argomenti; e se non erro su quanto ho immaginato, a Clarenza non rimane un altro giorno di questa luce. Ciò fatto, Iddio disponga del re Eduardo nella sua misericordia, e lasci a me il mondo, perch’io vi compia la mia parte! Allora io sposerò la figlia più giovane di Warwick, sebbene uccisi le abbia lo sposo e il genitore. Perocchè il mezzo più pronto di far ammenda colle fanciulle, è di dar loro un nuovo marito e un nuovo padre; e il posto di questi io terrò non così per amore, come per un’altra idea profonda che non vuol trasandarsi. Ma troppo io corro; Clarenza vive ancora: Eduardo vive e regna; e solo quand’essi saranno scomparsi potrò annoverare i miei trionfi.

(esce)


SCENA II.

La stessa. — Un'altra strada.

Entra un corteo di gentiluomini in gramaglie portanti il feretro del re Enrico VI. Lady Anna è con loro.

An. Deponete, deponete qui quell’onorevole carico (se però l’onore alberga in un cataletto) e lasciatemi per un istante pagare [p. 227 modifica]il tributo delle mie lagrime alla morte prematura del virtuoso Lancastro. — Povera e fredda immagine d’un santo re! Pallide ceneri della casa di Lancastro! Esangui avanzi di quel ceppo reale! Mi sia lecito invocare la tua ombra, ch’io chiamo ad udire i lamenti dell’infelice Anna vedova del tuo Eduardo, del tuo trafitto figlio, pugnalato da quelle stesse mani che ti fecero queste ferite! Mira; in questi fori sanguinosi, per cui la tua anima è fuggita, io verso l’inutile balsamo de’ miei tristi pianti. Oh, maledetta sia la mano che ti aperse queste piaghe! Maledetto il cuore ch’ebbe cuore di fartele! Maledetto il sangue che sparse questo sangue; cadano sulla testa del malvagio abborrìto, che ne rende sì miseri colla tua morte, più calamità che imprecare io non ne possa ai serpi, ai rospi, agli aspidi od ai rettili più velenosi che strisciano su questo globo! Se mai egli ha un figlio, venga esso prima del suo termine in vita, nasca spaventoso e deforme e maledetto, e rinnegato dalla natura deluda la speranza della sua genitrice, e l’atterrisca colla sua vista; se un tal figlio ha, sia esso l’erede delle sciagure del padre suo! Quando poi avesse una sposa, ch’ella divenga per la morte del consorte suo più infelice ch’io nol sia per la perdita del mio giovine sposo e di te! Riprendete ora il vostro sacro peso, e avviatevi a Chertsey per la sepoltura. Quando sarete stanchi riposatevi, e udite i gemiti con cui accompagnerò il corpo del povero Enrico.

(la processione si ripone in via; entra Glocester)

Gloc. Fermatevi voi che portate quel feretro, e deponetelo.

An. Qual nero mago evocò tal demonio per interrompere uffici di una santa pietà?

Gloc. Scellerati, deponete quel cadavere; o, per san Paolo! renderò cadavere chiunque disobbedirà.

Gent. Milord, arretratevi, e lasciatene passare.

Gloc. Infame cane! osi tu resistere a un mio comando? Ritrai quella tua labarda, o, per san Paolo! ti stendo morto a’ mici piedi, e con essi ti schiaccierò per la tua insolenza.

(la bara vien abbassata)

An. Che! voi tremate? voi siete atterriti? Oimè! io non vi biasimo, perchè siete mortali, e gli occhi mortali non possono sopportar la vista del demonio. — Via di qui tu, tremendo ministro d’inferno! Tu avesti potere sopra il suo corpo, ma sulla sua anima non ne hai; perciò va lungi.

Gloc. Amabile santa, in nome della carità non essere sì sdegnosa.

An. Orrendo demone, in nome di Dio! scompari e lasciaci in pace. Tu hai fatto di questa fortunata terra l’inferno tuo, ed [p. 228 modifica]empita l’hai di grida di maledizione e d’ineffabili gemiti. Se diletto provi nel rimirare le inique tue opere, contempla questo testimonio delle tue stragi. Oh signori, mirate! mirate! Le ferite del morto Enrico si riaprono, e versano sangue! Arrossisci, arrossisci, mostro di deformità; perocchè è la tua presenza che fa scaturire quel sangue da quelle fredde e vuote vene, dove più non ne rimane; l’opra tua snaturata e inumana ingenera tal prodigio fuor di natura. Oh Dio, che quel sangue facesti, vendica la sua morte! Terra, che quel sangue hai bevuto, esora la sua carnificina! il Cielo colla sua folgore abbatta l’omicida, o la terra si spalanchi, e vivo l’inghiotta, come tu inghiottisti la vita di questo buon re, che il tuo braccio, retto dall’inferno, ha sgozzato.

Gloc. Signora, voi non conoscete i precetti della carità che comanda il bene per il male, la benedizione per l’offesa.

An. Scellerato, a te è ignota ogni legge divina o umana; e nondimeno non v’è belva tanto feroce, che in qualche modo non senta la pietà.

Gloc. Ma io non ne sento alcuna, e perciò non sono una belva.

An. Maraviglioso che i demoni dichiarino la verità!

Gloc. Più maraviglioso che gli angeli siano così collerici. — Concedetemi, divina gloria del vostro sesso, concedetemi un momento d’udienza, per udire le mie discolpe sui delitti che m’imputate.

An. Lascia piuttosto, flagello contagioso dell’umanità, lascia ch’io abbia il tempo di maledire le tue opere e te.

Gloc. O voi, bella oltre ogni espressione, concedetemi un po’ d’indugio per giustificarmi.

An. Mostro più orrendo che l’uomo non possa immaginarlo, non v’è altra giustificazione per te, che di andare ad appenderti ad un infame palco.

Gloc. Con tale disperazione accuserei me stesso.

An. Ma disperando ti scuseresti in qualche guisa, e faresti degna vendetta di te per le indegne stragi che compi sugli altri.

Gloc. Non dire che fossi io che gli uccidessi.

An. Forse che non son morti? morti essi sono, e per la tua opera infernale.

Gloc. Io non uccisi tuo marito.

An. Dunque egli è anche vivo.

Gloc. No, è morto, ma fu ucciso da Eduardo.

An. Menti; la regina Margherita vide la tua spada fumante del suo sangue, e lei pure avresti ucciso, se i tuoi fratelli non te lo avessero impedito. [p. 229 modifica]

Gloc. Fui incitato dalla sua lingua calunniatrìce, che versava i delitti dei miei fratelli sulla mia anima innocente.

An. Fosti incitato dalla tua mente perversa, che mai non si intrattenne che di stragi: non uccidesti tu questo re?

Gloc. Ciò feci.

An. Ciò facesti, mostro? dunque Dio ancora faccia che tu vada dannato per tale azione! Oh! egli era benigno, mite e virtuoso.

Gloc. Più idoneo quindi a raggiungere il re del Cielo, che ora lo possiede.

An. Egli è in Cielo, dove tu non andrai.

Gloc. Ch’ei mi sappia grado di averlo colà spedito; era formato meglio per quel soggiorno che per la terra.

An. E a te è sconveniente ogni soggiorno, tranne l’inferno.

Gloc. Avrei un altro luogo, se voleste ascoltarmi.

An. Qualche carcere forse?

Gloc. La stanza in cui vi coricate.

An. I mali tutti della terra abitino nel luogo in cui tu riposi!

Gloc. Così appunto accade, signora, fino a che io non mi giaccia con voi.

An. Questo spero bene.

Gloc. Io ne sono certo. — Ma, gentil Anna, terminiamo questa battaglia di motti ed epigrammi, e veniamo ad un colloquio più grave. — Non è così biasimevole la cagione della intempestiva morte dei due Plantageneti, Enrico ed Eduardo, come biasimevole fu lo strumento che l’attuava?

An. Tu fosti e l’autore e lo strumento della morte loro.

Gloc. La vostra bellezza fu la cagione di quel fatto; la vostra bellezza ch’io veggo in sogno, e che mi farebbe intraprendere l’omicidio di quante persone vivono, se a tal prezzo potessi ottenere il vostro amore.

An. Se ciò credessi, carnefice, ti direi che vorrei squarciarmi colle unghie questo mio volto.

Gloc. Questi occhi non potrebbero sopportare simil guasto; voi non vi danneggiereste, finch’io vi stessi vicino. Come il mondo è ravvivato dal sole, così io lo sono dai vostri occhi, che mi rischiarano e mi dan forza!

An. La nera notte offuschi il tuo giorno, e la morte intenebri la tua vita!

Gloc. Non imprecare a te medesima, vaga creatura; tu sei entrambe queste cose.

An. Così lo fossi, ond’esser vendicata di te.

Gloc. È fuor di natura voler vendetta d’un uomo che ti ama. [p. 230 modifica]

An. Giusto e ragionevole è voler vendetta di chi mi uccise lo sposo.

Gloc. Quegli che te lo tolse te ne offrirà uno migliore.

An. Di migliori non ne vivono sopra la terra.

Gloc. Ma un uomo vive che ti ama più di lui.

An. Chi è esso?

Gloc. Plantageneto.

An. Dunque egli.

Gloc. Il nome è il medesimo, ma questi ha miglior tempra.

An. Dov’è?

Gloc. Qui: (ella gli sputa in viso) perchè mi oltraggi?

An. Vorrei fosse un mortal veleno per amor tuo.

Gloc. Non mai veleno escì da così dolci labbra.

An. Non mai veleno coprì rettile più turpe. Lunge di qui! Tu mi corrompi gli occhi.

Gloc. I tuoi occhi, amabile lady, hanno conturbato i miei.

An. Così fossero basilischi per darti morte!

Gloc. Lo fossero pure, onde morire in una volta sola; perocchè ora essi mi spengono con una uccisione lunga. Quegli occhi tuoi hanno estratto da’ miei lagrime dolorose, e disonorati li hanno con tale puerile debolezza, sebbene la pietà non li avesse mai fatto piangere. No: ho veduto, senza commuovermi, mio padre York ed Eduardo, che amaramente gemevano per la morte del giovine Rutland, trafitto dal barbaro Clifford; ho veduto impavido il vostro bellicoso padre, che lagrimando come un fanciullo mi narrava la tragica storia della morte del suo genitore, e l’interrompeva cento volte per dar sfogo ai suoi singhiozzi, onde tutti i presenti, come arboscelli annaffiati di pioggia, ne avevano molli le guancie; in tutte quelle circostanze funeste i miei occhi restavano asciutti; ma quello che le sventure non potevano, la vostra beltà lo ha potuto. Non mai ho supplicato nè amici, nè nemici: non mai la mia lingua ha potuto imparare una parola adulatrice: ma oggi che la tua bellezza è divenuta oggetto della mia ambizione, il mio superbo cuore s’umilia a pregarti, e costringe la mia lingua alle voci dell’amore. (Anna lo guarda con disprezzo) Non muovere le tue labbra a tanto sdegno; fatte esse furono pei baci, Anna, e non per la collera. Se il tuo cuore amante di vendetta non sa perdonare, mira! io qui ti do questa spada aguzza, che tu potrai immergere in questo fido petto, sprigionandone un’anima che ti adora. Ecco, io lo denudo dinanzi al mortal colpo, e umilmente inginocchiato ti chieggo la morte. (si sempre il petto; ella lo appunta colla spada) Non arrestarti; io uccisi il re Enrico...... ma fu la tua [p. 231 modifica]bellezza che a ciò mi stimolò. Affrettati; fui io che trafissi il giovine Eduardo..... (ella accenna di ferirlo) ma fu il tuo volto celeste che a quell’opera mi spinse. (ella si lascia cader la spada) Riprendi la spada, o se noi vuoi, perdonami.

An. Sorgi, simulatore: sebbene desideri la tua morte, io non vo’ essere il tuo carnefice.

Gloc. Dunque comanda ch’io m’uccida da me, e ti obbedirò.

An. Questo già feci.

Gloc. Fu per collera ma dillo di nuovo, e al tuo detto questa mano, che per amore di te ti privò di uno sposo, per amor tuo ti priverà d’un altro più verace amatore. Complice tu allora diverrai della morte di entrambi.

An. Vorrei poter conoscere il tuo cuore.

Gloc. Esso ti è rivelato dalla mia lingua.

An. Li credo falsi entrambi.

Gloc. Allora alcun uomo non fu mai veritiero.

An. Bene, riponi la tua spada.

Gloc. Dimmi che è fatta la pace.

An. Questo saprai poscia.

Gloc. Ma debbo io vivere in speranza?

An. Tutti gli uomini fanno ciò.

Gloc. Degnatevi fregiarvi di questo anello.

An. Ricevere non è dare. (si mette l’anello)

Gloc. Mira come quell’anello sembra fatto pel tuo dito; in egual modo il tuo seno racchiuda il mio povero cuore. Portali entrambi, perocchè entrambi son tuoi: e se il tuo misero e divoto servo può ottenere un favore dalla tua mano generosa, tu l’avrai reso felice per sempre.

An. Qual è esso?

Gloc. Che vi piaccia di affidare la condotta di questo tristo convoglio a quegli che ha più motivo di adempiere a sì funesto dovere, e che andiate a riposare a Crosby. Allorchè io avrò solennemente fatto sepellire questo nobile re nel monastero di Chertsey, e bagnata la sua tomba colle lagrime del mio pentimento, verrò a raggiungervi coi sentimenti che son dovuti alla vostra virtù. Per molti motivi a me personali, ve ne scongiuro, accordatemi questa grazia.

An. Con tutto il cuore; e son lieta di vedervi pieno di rimorsi e di pentimento. — Tressen e Berckley, accompagnatemi.

Gloc. Ditemi addio.

An. È più che non meritate: ma poichè m’insegnate ad adularvi, immaginate ch’io ve l’abbia detta {{A destra|(esce con Tressen e Berckley) [p. 232 modifica]

Gloc. Riprendete questo cadavere, signori.

Gent. Verso Chertsey, nobile lord?

Gloc. No, a Whìte-Friars; aspettatemi colà. (esce il convoglio col feretro) Fa mai donna amoreggiata in tal guisa? Fu mai donna in tal guisa vinta? L’avrò... Ma non la terrò lungamente. Che! Io, che uccisi il suo sposo e suo padre, far la conquista del suo cuore, nell’istante in cui il suo odio era al colmo, in cui la sua bocca e i suoi occhi erano pieni di lagrime e di maledizioni, accanto all’inanime corpo che eccitava la sua vendetta contro di me? In onta del Cielo, della sua coscienza, e di quel feretro..... io, senz’alcun amico che secondasse la mia preghiera, senza altro mezzo che l’inferno, e i miei sguardi simulati, vincerla? È un giuocare l’universo contro il nulla! Ah! ha ella dimenticato già quel valoroso principe Eduardo suo sposo, che pugnalai son tre mesi nel mio furore a Tewksbury? Gentiluomo sì dolce, sì amabile, formato in un istante in cui la natura era vogliosa di prodigare i suoi doni, giovine valente, saggio e di vero sangue reale; tale che il mondo intero non ne potrebbe offrire un simile; e nondimeno ella si degna d’abbassare i suoi occhi sopra di me, che mietei quel bel fiore nella sua primavera, e vedova la resi in solitario e doloroso letto? sopra di me che non ho la metà dei pregi di Eduardo? sopra di me sciancato e sì orrendamente contraffatto?.... Porrei il mio ducato contro lui miserabile soldo, che ho errato sul mio conto fin qui. Sull’anima mia! ella trova, sebben non possa vederlo da me stesso, ch’io sono un cavaliere modellato egregiamente. Ebbene, vo’ comprar specchi e far lavorare sartori, per istudiare i mezzi di adornare la mia persona, e di nascendere i miei difetti: poichè riconciliato sono col mio corpo, sosterrò qualche lieve sagrifizio per alimentare questa mia buona opinione. — Ma incominciamo dal far deporre quel gentiluomo nella sua tomba, e poscia torniamo a sospirare ai piedi della dea. Risplendi, amabile sole, finchè comprato io abbia uno specchio, e fammi vedere la mia ombra al mio fianco.

esce)


SCENA III.

La stessa. — Una stanza nel palazzo regio.

Entrano la regina Elisabetta, lord Rivers e lord Grey.

Riv. Abbiate calma, signora; Sua Maestà ricupererà in breve la salute.

Grey. Il vostro dolore non fa che aggravare il suo male: [p. 233 modifica]perciò, in nome di Dio! siate fidevole, e festeggiatelo con liete parole.

Elis. S’ei fosse morto, che avverrebbe di me?

Grey. Non avreste altro danno che la perdita d'un tale sposo.

Elis. La perdita d’un tale sposo racchiude ogni altra sventura.

Grey. Il Cielo vi ha resa beata con un buon figlio che sarà la vostra consolazione, allorchè il re non vivrà più.

Elis. Ah! egli è fanciullo; e la sua infanzia è posta sotto la tutela di Riccardo Glocester, uomo che non mi ama, come non ama alcuno di voi.

Riv. È dunque decretato ch'ei divenga Protettore?

Elis. Questo fu deciso, sebbene non ancora decretato; ma così avverrà se il re dovesse mancare. (entrano Buckingham e Stanley)

Grey. Ecco i signori di Buckingham e di Stanley.

Buck. Buon giorno a Vostra Real Grazia!

Stan. Dio voglia spandere sulla Vostra Maestà la felicità e la gioia.

Elis. La contessa di Richemond, mio buon lord di Stanley, non farebbe eco al vostro voto. Nondimeno, milord, quantunque ella sia vostra moglie, e non mi ami, siate certo ch’io non vi odio per la sua superba arroganza.

Stan. Vi supplico, signora, o di non prestar fede alle parole calunniatrìci de’ suoi infidi e perfidi accusatori; o, se l’accusa racchiude qualche parte vera, di usare indulgenza alla debolezza di una donna, di cui i mali accrescono l’irritabilità, ma che non ha cuore malvagio.

Elis. Avete veduto il re oggi, milord Stanley.

Stan. Fui ora da lui insieme col duca di Buckingham.

Elis. Quale speranza del suo ristabilimento, signori?

Buck. Buone speranze, milady. Sua Maestà parla con allegria.

Elis. Dio gli conceda la salute! Vi intratteneste di affari?

Buck. Sì, signora: ed egli desidera di pacificare il duca di Glocester coi vostri fratelli, e i vostri fratelli col lord Ciambellano: ei gli ha fatti chiamar tutti dinanzi a sè.

Elis. Desidero che ogni cosa riesca a bene! Ma ciò non accadrà mai. — Temo che la nostra felicità non sia giunta al suo termine. {{A destra|(entrano Glocester, Hastings e Dorset)}

Gloc. Essi mi fanno oltraggio, ed io nol patirò. — Chi sono coloro che osano dire al re ch’io adopero con loro con asprezza, e che non li amo? Per san Paolo! ben poco amano Sua Maestà quelli che riempiono le sue orecchie di simili voci! Perch’io non [p. 234 modifica]so adulare, profferir frasi, sorridere al primo venuto, blandir le persone ingannandole, e perchè ignoro tutte quelle finte cerimonie da francese cortigiano, sarò reputato un essere pericoloso e pieno di fiele? Un uomo non potrà adunque mostrarsi semplice e schietto, scevro di ogni malizia, senza che il suo aperto carattere sia mal veduto e calunniato da questi stolti impudenti, da queste bertuccie di corte?

Grey. A chi dunque, signore, in questa numerosa assemblea, s’indirizza questo discorso?

Gloc. A te che non hai nè virtù, nè onore. Quando ti ho io ingiuriato? quando ti ho io fatto oltraggio? quando mai ne feci ad alcuno di voi altri tutti? La peste vi colga! Sua Maestà, lo conservi Dio più che voi non desiderate, non può starsi un momento senza che andiate a turbarlo colle vostre infami delazioni.

Elis. Fratello Glocester, vi sdegnate fuori di proposito. Il re spontaneamente e senza esservi stato sollecitato da alcuno, avendo presente forse il vostro odio celato, che però trasparisce nella vostra condotta, contro i miei figli, i miei fratelli e me stessa, vi mandò a chiedere per sapere dalla vostra bocca i motivi della vostra avversione, e per distruggerli.

Gloc. Nulla comprendo. — Il mondo è così perverso ch’io veggo spesso un augelletto sollevar la sua preda ad altezze a cui l’aquila stessa non ardirebbe elevarsi. — Dacchè tanti villani son divenuti gentiluomini, molti gentiluomini son fatti villani.

Elis. Su via, fratello Glocester, indoviniamo il vostro pensiero. Voi siete geloso del mio innalzamento, e di quello de’ miei amici; Dio ne conceda la grazia di non aver mai bisogno di voi!

Gloc. Per ora, signora, Dio permette che noi di voi abbiamo bisogno: a cagion vostra mio fratello è imprigionato, io sono in disgrazia, e la nobiltà del regno è negletta; questo accade mentre si fanno ad ogni istante numerose promozioni per nobilitare personaggi che due giorni prima avevano appena di che campare.

Elis. In nome di quegli che mi ha tratta dalla felice mediocrità in cui vivevo, per innalzarmi a queste cime piene di torbidi e d’inquietezze, giuro che non mai ho incitato Sua Maestà contro il duca di Clarenza, e che invece ho difeso questo con ardore. Milord, voi mi fate ingiuria accusandomi contro ogni verità di così vili bassezze.

Gloc. Negherete voi anche d’essere stata cagione dell’imprigionamento di milord Hastings?

Riv. Essa può farlo, signore, perocchè.....

Gloc. Essa può farlo, lord Rivers? E chi nol sa ch’essa lo può? [p. 235 modifica]Essa può far anche più che negarlo: può farvi ottenere mille preferenze, e dir poscia che non vi ha avuto parte, onorando di tali dignità solo il vostro merito. Che non può ella? Ella potrebbe...

Riv. Ebbene, che potrebbe?

Gloc. Potrebbe sposare un re giovane, bello e ben fatto..... e so bene che la vostra avola non avrebbe trovato un così buon partito.

Elis. Milord di Glocester, troppo a lungo ho sopportato i vostri amari rimproveri e le vostre indegne beffe. Pel Cielo! istruirò Sua Maestà dei vili oltraggi che ho dovuto spesso tollerare. Vorrei essere piuttosto serva di un villico, che regina... quand’ìo abbia ad essere così insultata, disprezzata, e in preda agli implacabili vostri crucci. Poca gioia io ben traggo da questo mio stato. (la regina Margherita comparisce a qualche distanza non vista)

Mar. E io supplico Iddio, perchè tal gioia diminuisca sempre! Il tuo onore, il tuo stato, il tuo seggio, a me si dovrebbero.

Gloc. Che! mi minacciate voi di lagnarvi col re? andate a parlargli, e non gli tacete nulla: pensate che quello che vi ho detto lo sosterrò in presenza sua; disprezzo il pericolo di esser mandato alla Torre. È tempo ch’io pure parli: dimenticate sono già quasi tutte le mie fatiche e i miei affanni.

Mar. Odioso demonio! troppo io le rimembro le tue fatiche. Una di esse fu di uccidermi il mio sposo alla Torre, e il mio sventorato figlio Eduardo a Tewksbury.

Gloc. {{Ids|(a Elis.) Prima che voi foste regina, o il vostro sposo re, lo era il suo cavallo di battaglia: io fui Pesterminatore de’ suoi nemici, il prodigo rimuneratore degli amici suoi: per farlo incoronare ho versato il sangue.

Mar. E versato anche ne hai altro più illustre del suo, o del tuo.

Gloc. (sempre a Elis.) Durante quel tempo voi eravate faziosi per la casa di Lancastro; ed anche Rivers lo era. Non fu il vostro sposo Grey ucciso nella battaglia della regina Margherita a Sant’Albano? Lasciate ch’io vi rammenti, se mai lo obbliaste, quello che foste, e quello che siete: lasciate ch’io vi faccia ricordare di quello che fui, e di ciò che sono.

Mar. Uno scellerato omicida fosti, e tale sei ancora.

Gloc. Lo sciagurato Clarenza abbandonò suo padre Warwick, si rese spergiuro per... Gesù glielo perdoni!

Mar. Iddio ne’l punisca!

Gloc. Per sostenere impartito di Eduardo, e per innalzarlo al trono: or qual fu la sua ricompensa? I ceppi. Io vorrei che il [p. 236 modifica]mio cuore fosse di roccia come quello di Eduardo, o che quello di Eduardo fosse molle e affettuoso come il mio. Sono troppo fanciullo, e troppo buono per questo mondo.

Mar. Affrettati ad ire all’inferno per vergogna, e lascia questo mondo, demone corrotto! Colà è il tuo regno.

Riv. Milord di Glocester, nei tempi tristi in cui ne rìmproverate d’essere stati nemici della vostra casa, noi seguitavamo il nostro legittimo re; così con voi faremmo, se nostro re diveniste.

Gloc. Se lo divenissi? Vorrei essere piuttosto un mendico: lungi dal mio cuore tale imagine!

Elis. Voi non potreste mai diminuir tanto in vostra mente il piacere di esser re, ch’io un po’ non ne provi di essere regina.

Mar. Vero è che la regina sente ben poche gioie; perocchè io tale sono e non ne gusto alcuna. Non so più frenarmi. — (avanzandosi) Uditemi, pirati in discordia, che contendete per le spoglie che mi rapiste: chi di voi osa guardarmi senza tremare? Se da sudditi umili non piegate il ginocchio dinanzi a me che son vostra regina, quantunque da voi deposta, almeno io vi veggo rabbrividire come ribelli. — Ah! illustre scellerato, non ti volgere altrove.

Gloc. Strega aggrinzita, che vieni tu a fare dinanzi a me?

Mar. A ripeterti la storia dei tuoi misfatti; questo io far voglio prima che tu ti diparta.

Gloc. Non fosti bandita sotto pena di morte?

Mar. Sì; ma parmi più crudele il bando che la morte, quando essa mi colga in questi luoghi. Tu mi devi uno sposo e un figlio... e tu un regno (a Elis.), e voi tutti obbedienza: il mio dolore e i miei mali vi spettano per diritto, e tutti i piaceri che usurpate sono miei.

Gloc. La maledizione del mio nobile padre ottiene il suo effetto: egli te la diede, allorchè cingesti la sua fronte bellicosa con una corona di carta, e coi tuoi oltraggi facesti sgorgare dai suoi occhi torrenti di lagrime, dandogli poscia, per asciugarsele, una pezzuola intrisa nell’innocente sangue del vago Rutland. Le imprecazioni che nell’amarezza del suo cuore ei pronunziò, son cadute sulla tua testa, ed è Iddio, non noi, che punita ha la tua opera nefanda.

Elis. Cosi Iddio è giusto pei dritti dell’innocente.

Hast. Oh! fu il fatto più atroce uccidere quel fanciullo, il fatto più empio di cui mai si udisse.

Riv. I tiranni stessi ne piansero, allorchè fu loro narrato. [p. 237 modifica]

Dor. Non vì fu alcuno che non presagisse la vendetta.

Buck. Northumberland medesimo, che vì era presente, non seppe rattenere le lagrime.

Mar. Che! eravate tutti sdegnati, prima che io venissi, e in atto di afferrarvi per le gole, ed ora rivolgete tutti i vostri odii contro di me? La fatale maledizione di York prevalse dunque così in Cielo, che la morte di Enrico e quella di Eduardo, che la perdita del loro regno e il mio doloroso bando adeguar non possano l’uccisione di quell’ardito fanciullo? Le maledizioni sanno esse forar le nubi, ed entrare in cielo? Se ciò è, v’entrino anche le mie. — In difetto di guerra il vostro re perisca per le sue libidini, come il nostro perì di morte violenta. Eduardo tuo figlio (a Elis.), che oggi si intitola principe di Galles, in espiazione della morte di Eduardo mio figlio e vero principe, soccomba assassinato in giovinezza! Tu, che sei regina con danno mio che regina ero, possa tu sopravvivere alle tue grandezze, e divenire infelice com’io sono! Possa tu vivere lungamente per piangere la perdita de’ figli tuoi, e vedere un’altra donna adorna delle tue spoglie, com’io oggi ti veggo fregiata delle mie! I contenti tuoi cessino molto tempo prima della tua morte; e dopo lunghi giorni di dolore, riesca tu a morire spogliata dei titoli di sposa e di regina! Rivers e Dorset, voi eravate presenti, e tu pure, Hastings, quando mio figlio fu trucidato dai colpi di molti pugnali. Iddio, ne lo supplico, non lasci ad alcuno di voi vivere il tempo ordinario della natura, e un imprevisto accidente tronchi i vostri giorni.

Gloc. Strega abbonita, non sei tu ancora al termine del tuo infernale scongiuro?

Mar. E te obblierei? Fermati, mostro, tu pure mi devi intendere. Se il Cielo ha in serbo mali sconosciuti, più orrendi di quelli ch’io possa nominare e desiderarti, li ritenga fino a che la misura de’ tuoi misfatti sia colma, e poscia li versi tutti a an tratto sul tuo capo, perturbatore empio della pace di questo tristo mondo! II verme della coscienza s’attacchi alla tua anima, e la corroda senza darti riposo! Sospetta di tradimento i tuoi amici, finchè vivrai, ed ama coloro che trameranno la tua rovina! Non mai il sonno chiuda il tuo occhio, se non perchè qualche larva vendicatrice provar ti faccia tutti gli spasimi dell’inferno! Deforme aborto, mostro distruttore, segnato fin dalla nascita come un rifiuto della natura, e un figlio delle tenebre, tu che disonorasti il seno di tua madre, impura feccia del sangue del padre tuo; scellerato senza nome... [p. 238 modifica]

Gloc. Margherìta.

Mar. Riccardo!

Gloc. Ah?

Mar. Io non ti chiamo.

Gloc. Allora voglimi escusare; perch’io pensai che volessi addirizzare a me tutti quei nomi odiosi.

Mar. Sì, così volli; ma non attendevo risposta. Oh! lasciami finire la mia imprecazione.

Gloc. Finita l’ho, pronunziando il nome di Margherita.

Elis. Così tutte le vostre maledizioni ricadono su di voi.

Mar. Misera regina, vano simulacro delle mie grandezze! perchè blandisci tu quest’odioso ragno la di cui tela avvelenata ti avvolge da tutte le parti? Stolta, stolta! tu arroti il pugnale che deve sgozzarti! Giorno verrà che vorrai implorare il mia soccorso per maledire con maggior efficacia questo infausto rospo.

Hast. Profetessa menzognera, poni un termine alle tue pazze parole, per tema di ridurre agli estremi la nostra pazienza.

Mar. Obbrobrio su di voi tutti! stancata voi avete la mia.

Riv. Se vi fosse resa giustizia, apprendereste il vostro dovere.

Mar. Per rendermi giustizia, conviene rendermi i vostri omaggi; insegnarmi ad esser vostra regina, e insegnare a voi di essermi sudditi. Ora fatemi giustizia, e imparate ad obbedirmi.

Dor. Non contendete con lei, ch’ella è demente.

Mar. Taci, folle marchese: la tua nobiltà di cui si fresco è il diploma è moneta sconosciuta che appena comincia ad essere in corso. Oh! se la tua vergine nobiltà potesse comprendere cosa sia perdere il proprio grado e cadere nella miseria 1 Coloro che stanno sulle cime non precipitano che per scosse violenti; ma se precipitano vanno in brani.

Gloc. Il consiglio è buono; apprendetelo, apprendetelo, marchese.

Dor. Esso concerne voi, milord, al pari di me.

Gloc. Sì, e molto più; ma io fui generato sì alto che il nostro nido posto sulla cima del cedro sfida i venti e disprezza il sole.

Mar. E offusca il sole pur anco: oimè! oimè! testimonio ne è il figlio mio che ora giace fra le tenebre della morte: il figlio mio il cui splendore invidiasti, e che estinguesti in una eterna notte. La vostra casa eresse il suo nido nel seno della nostra! Oh Dio! che lo vedesti, non tollerarlo; alla tua elevazione giungesti spargendo sangue, possa tu precipitarne fra altri flotti di sangue. [p. 239 modifica]

Buck. Cessate, cessate per vergogna, se non per carità.

Mar. Non mi parlate nè di carità nè di vergogna. Voi foste meco senza carità e senza vergogna: mi toglieste tutte le mie speranze. La mia carità è l’oltraggio, la vita la mia vergogna; e possa nella mia vergogna viver sempre la rabbia del mia dolore!

Buck. Basta, basta.

Mar. O nobile Buckingham, vo’ baciare la tua mano in segno di unione e di amicizia con te. Così la felicità segua te e la tua illustre casa! Le tue vesti non son tinte del sangue dei nostri, e tu non sei compreso nelle mie maledizioni.

Buck. No, nè alcuno di quelli che qui stanno vi è: le maledizioni spirano uscendo dalla bocca che le ha esalate per l’aere.

Mar. Io non so astenermi dal credere che esse s’innalzino fino al cielo, e che vi vadano a risvegliare l’Eterno, e la sua vendetta. Oh! Buckingham, diffida di questo perfido mastino, (accennando a Gloc.) allorchè esso accarezza morde, e il veleno del suo morso è mortale. Non immischiarti con lui in alcuna cosa; da lui ti guarda; il delitto, la morte e l’inferno hanno impresso sul suo volto il marchio dei reprobi; tutti i loro ministri camminano su i suoi passi.

Gloc. Che dice ella, milord di Buckingham?

Buck. Nulla che attiri la mia attenzione, mio grazioso lord.

Mar. Che! mi schernisci tu pel mio gentile consiglio, e blandisci il demone da cui ti esorto a stare in guardia? Oh! te ne rammenterai un giorno in cui il tuo cuore si spezzerà d’amarezza, in cui dirai che la povera Margherita avea predetto il vero. Vivete tutti schiavi del suo odio, com’egli del vostro, e ognuno di voi sia soggetto a quello di Dio. r

Hast. I miei capelli si rizzano udendo le sue imprecazioni.

Riv. Ed i miei pure; stupisco com’ella sia in libertà.

Gloc. Io non so biasimarla: per la santa Madre di Dio! ella ha sofferto troppo, e mi pento del male che le ho fatto.

Elis. Io mai non gliene feci, che almeno sappia.

Gloc. Voi avete nondimeno la prima parte delle sue maledizioni. Io fui troppo ardente nel servir qualcuno che ora mi obblia: e Clarenza in vero ne è ben ricompensato! Eccolo chiuso in una muda, dove viene impinguato per premio delle sue fatiche. Dio voglia perdonare a coloro che son cagione di tale ingiustizia!

Riv. Virtuosa e cristiana è la conclusione, pregando per coloro che ne han fatto male. [p. 240 modifica]

Gloc. Così sempre faccio, e savio reputo l’uso: (a parte) perocchè se avessi imprecato ora avrei imprecato contro di me.

(entra Catesby)

Cates. Signora, Sua Maestà chiede di voi... e dimanda Vostra Grazia... e voi miei nobili lòrdi.

Elis. Vengo, Catesby; signori, volete accompagnarmi?

Riv. Seguiremo i passi di Vostra Maestà.

(escono tutti tranne Gloc.)

Gloc. Io avvento l’oltraggio, e sono il primo a lagnarmene: tutte le malvagità che in segreto ordisco cadono per opera mia sugli altri. Clarenza che ho fatto porre in carcere compiango dinanzi a molti stolti, quali sono Stanley, Hastings e Buckingham; e dico loro che è la regina e la sua famiglia che inveleniscono il re contro il duca mio fratello; cosa della quale sono così convinti, che mi eccitano a vendicarmi di Rivers, di Vaughan e di Grey; ma io rispondo loro sospirando con un passo della Scrittura e dico che Dio c’impone di fare il bene pel male. È così che cuopro la mia scelleratezza col manto di quell’antica e strana morale, tolta dai libri sacri, e un santo sembro, mentre son da più di un demonio! Ma silenzio; ecco i miei ministri. — (entrano due sgherri) Ebbene, miei arditi e valorosi compagni, siete parati a finir quel negozio?

Sgh. Parati, milord, e veniamo a cercar un ordine che ne autorizzi a penetrare fino ai luoghi in cui egli è.

Gloc. A ciò pensai, ed ecco velo: (gli dà un foglio) quando avrete compita l’opera correte a Crasby: ma siate rapidi nell’esecuzione e non abbiate alcuna pietà. Non vi soffermate per udirlo parlare: perocchè Clarenza è eloquente, e potrebbe forse risvegliare ne’ vostri cuori un po’ d’interesse.

Sgh. No, no, milord, non ci perderemo in ciancie; i grandi parlatori non valgon nulla al momento dell’opere. Siate sicuro che muoveremo le braccia, e non la lingua.

Gloc. I vostri occhi spargono folgori quando i pazzi piangono. Davvero mi piacete. Correte all’impresa e compitela in un momento.

Sgh. Così faremo, mio nobile lord.

(escono)


SCENA IV.

Una stanza nella Torre.

Entrano Clarenza e Brakenbury.

Brak. Perchè Vostra Grazia è oggi tanto mesta?

Clar. Oh! ho passato una trista notte così piena di tremendi [p. 241 modifica]sogni e di spaventose larve, che, quanto è vero cbe son buon cristiano, non ne vorrei avere un’altra simile, quando pur fosse per ottenere una lunga seguenza di giorni fortunati. Come tremende furono quelle ore!

Brak. Quali furono i vostri sogni, milord? vogliate dirmeli.

Clar. Mi pareva d’esser fuggito dalla Torre, e d’essermi imbarcato per cercare un asilo in Borgogna, avendo in mia compagnia il mio fratello Glocester. Egli era venuto a cercarmi nella mia stanza perchè insieme passeggiassimo sulla tolda della nave, da cui gettavamo i nostri sguardi sull’Inghilterra, ricordandoci le rivoluzioni che provate abbiamo per le guerre di York e di Lancastro. Ho creduto veder Glocester in atto di cadere, ed io lo volli ritenere; ma egli mi diede un colpo che mi fece precipitare in mezzo alle onde. Oh Dio! da quello che sentii, come doloroso dev’essere l’annegarsi! Qual romore spaventoso di acque fischianti nelle orecchie! Sotto quante forme orribili la morte si presentò a’ miei occhi! Io immaginavo di veder gli orrori di mille naufragi; di migliaia d’uomini divorati dai pesci; poi vedevo verghe d’oro, àncore enormi, mucchi di perle, pietre preziose, vaghissimi gioielli seminati qua e là in fondo ai mari. Alcuni, empiendo i cranii di miseri annegati, scintillavano per le occhiaie, e, rischiarando coi loro fuochi le profondità dell’abisso, parevano insultare alle scarne ossa sparse sulla sabbia.

Brak. Ma potevate voi fra gli orrori della morte aver agio di contemplare quei segreti tesori?

Clar. In sogno l’avevo. E molte volte mi sforzavo di esalare l’anima: ma sempre i flutti gelosi me ne impedivano, e chiudevano ogni uscita per cui giunger potesse negl’immensi spazi dell’aere: i flutti respingevano l’anima mia nel mezzo del mio corpo affannoso, che scoppiava quasi pe’ suoi sforzi onde spirarla fra l’onde.

Brak. Nè mai vi risvegliaste, durante si cruda agonia?

Clar. Oh! no: il mio sogno s’è protratto al di là della mia vita, e fu allora che cominciarono i più gravi tormenti della mia anima! Mi parve di passare il triste fiume con l’odioso nocchiero, di cui i poeti han tanto parlato, e d’entrar nel regno della notte eterna. La prima ombra che incontrò la mia anima, straniera in quei luoghi, fu quella del mio nobile suocero, dell’illustre Warwick, che ad alta voce mi gridò: qual supplizio abbastanza grande potrà aver l’inferno per punire lo spergiuro Clarenza? Ciò detto scomparve. Vidi poscia un’altr’ombra, che mi sembrò un angelo dalla lucida chioma, sebbene intrìso nel sangue, e ch’io udii gridare: Clarenza è giunto; il traditore, l'incostante, lo [p. 242 modifica]spergiuro Clarenza che m’ha pugnalato nei campi di Tewsbury; afferratelo, furie, trascinatelo ai vostri martori! A queste parole mi son veduto circondato da una legione di spettri orrìbili, che mandavano alle mie orecchie grida sì spaventose, che a quel remore mi destai tutto tremante, e lungo tempo ancor dopo non sapevo convincermi che non fossi all’inferno, così terribile era rimpressìone lasciatami da quel sogno.

Brak. Niuno stupore, milord, ch’esso v’abbia atterrito! Atterrito io ne son rimasto al solo racconto.

Clar. Oh Brakenbury! io ho commesso opere che mi pesano sull’anima, per amore di Eduardo; e vedi com’egli me ne ricompensai Mio Dio! se le mie profonde preghiere non possono placarti, e vendetta vuoi de’ miei misfatti, sfoga la tua collera sopra di me solo, e risparmia la mia innocente moglie e i miei poveri figli! Pregoti, gentil custode, stammi vicino: la mia anima è oppressa, e volentieri m’addormirei.

Brak. Così farò, milord; Dio conceda a Vostra Grazia un buon riposo! (Clarenza s’addormenta sopra una sedia) Il dolore scombuia la mente e le ore del riposo. Esso fa della notte giorno e del giorno notte. La gloria dei principi si restringe a vani titoli a pompe esteriori, con gravi crucci intemi; e spesso per strane fantasie provano una moltitudine di dolori veri e di pene cocenti; fra i loro titoli pomposi e un nome oscuro non è altra differenza che il vano rombo della fama. (entrano i due Sgherri)Sgh. Olà! Chi è là?

Brak. Che vuoi? come venisti fin qui?

Sgh. Vorrei parlare con Clarenza, e venni qui coi piedi.

Brak. Che! così breve?

Sgh. Oh signore! meglio esser breve che fastidioso. Mostragli il nostro mandato, e non rispondergli più. (un foglio è consegnato a Brak, che lo legge) Brak. Ho ordine di rimettere il nobile duca fra le vostre mani. Non discuterò tal comando, perchè voglio conservarmi innocente. Eccovi le chiavi; quello che là siede è il duca addormentato: io andrò dal re per significargli in qual modo ho rassegnato a voi il mio ufficio.

Sgh. Fatelo, signore; è un atto di prudenza; addio.

(esce Brak.)

Sgh. Ebbene, lo uccideremo addormentato!

Sgh. No; ei direbbe, svegliandosi, che l’abbiamo ucciso da vili. [p. 243 modifica]

Sgh. Svegliandosi? Pazzo! ei non si syeglierà fino al gran dì del giudizio.

Sgh. Ebbene, dirà allora che lo abbiamo ucciso menti’«dormiya.

Sgh L’impressione dì questa parola Giudizio ha fatto nascere in me una specie di ribrezzo.

Sgh. Che! temi tu?

Sgh. Non d’ucciderlo, avendo mandato per ciò; ma d’essere dannato per averlo ucciso; da cui alcun garante non ci difenderà.

Sgh. Credevo fossi risoluto.

Sgh. Lo sono di lasciarlo vivere.

Sgh. Tornerò da Glocester per avvertirlo.

Sgh. No, te ne prego, fermati un poco: io spero che questo mio pietoso umore cangerà: ei non suo, durarmi più del tempo che un uomo porrebbe a contar dall’uno al venti.

Sgh. Ebbene, come stai ora?

Sgh. In fede, alcuni residui di coscienza si fanno tuttavia sentire.

Sgh. Pensa alla ricompensa allorchè l’opera sarà compiuta.

Sgh. Su, ch’ei muoia; avevo dimenticato la ricompensa.

Sgh. Dov’è la tua coscienza ora?

Sgh. Nella borsa del duca di Glocester.

Sgh. Così, allorchè egli aprirà la sua borsa per dame il guidone che ci aspetta, la tua coscienza fuggirà.

Sgh. Non vale; lascia che vada; vi son pochi o nessuno che abbiano in cale tale ospite.

Sgh. Ma s’ella tornasse a te?

Sgh. Non mi fermerei a contender seco; è cosa pericolosa, e che rende l’uomo codardo; un uomo non può rubare ch’essa non l’accusi; nè può giurare ch’essa noi rimbrotti; nè può giàcersi colla moglie del suo vicino ch’essa noi tradisca, è una specie di spirito timido che arrossisce ad ogni istante, e si ribella nel petto; che suscita mille ostacoli ai vostri disegni: ella mi fece restituire una volta un gruppo d’oro che avevo a caso trovato: riduce alla mendicità colui che l’ascolta, quindi è bandita da tutte le ville e le città, come nemico pernicioso; ed ogni uomo che vuol viver bene si sforza di separarsi da lei, non fidando che in se stesso.

Sgh. Pel Cielo! eccola ora alle mie orecchie, e mi vorrebbe indurre a non uccidere il duca.

Sgh. Racchiudi il diavolo nel tuo cuore, e non ascoltarla essa s’insinuerebbe in te per farti sospirare. [p. 244 modifica]

Sgh. Oh! io son forte, nè essa vincerà.

Sgh. Quest’è parlar da valoroso, e rispettare la propria riputazione. Vieni, ci vogliam porre all’opera?

Sgh. Dagli un colpo sulla testa col pomo della tua spada, e quindi gittalo in quel tino di malvagia ch’è nell’altra stanza.

Sgh. Ottima ideal far di lui una vivanda!

Sgh. Zitto, ei si desta.

Sgh. Dàgli.

Sgh. No, vogliam parlar seco.

Clar. (svegliandosi) Dove sei, custode? Porgimi una tazza di vino.

Sgh. Voi n’avrete in breve, milord, in copia.

Clar. In nome di Dio! chi sei tu?

Sgh. Un uomo, come vedete.

Clar. Ma non, com’io, di sangue regio?

Sgh. Nè voi siete schietto come noi.

Clar. La tua voce è un tuono: ma i tuoi sguardi sono miei.

Sgh. La mia voce è ora quella del re, i miei sguardi sono miei.

Clar. Come oscure e sinistre rimbombano le tue parole! I vostri occhi mi minacciano: perchè siete sì pallidi? Chi vi mandò qui? Perchè veniste?

Tutti due gli Sgh. Per, per, per.....

Clar. Per uccidermi?

Tutti due gli Sgh. Sì, sì.

Clar. Appena avete il cuore di dirmelo, perciò non avrete il cuore di farlo. In che, miei amici, v’ho offesi?

Sgh. Non avete offeso noi, ma il re.

Clar. Farò la pace con esso.

Sgh. Non mai, milord; apparecchiatevi a morire.

Clar. Siete voi dunque scelti fra la folla degli uomini per uccider gl’innocenti? Qual’è la mia colpa? Dove son le prove che mi stian contro? Quali indizi han formata la convinzione del mio giudice severo? Chi pronunziò l’amara sentenza della morte del povero Clarenza? Prima ch’io sia convinto per forza di leggi, villana cosa è minacciarmi la morte. Io vi comando, in nome della speranza che ponete nel paradiso, pel caro sangue che Cristo versò pei nostri indegni peccati, di dipartirvi senza farmi oltraggio. L’opera che imprendete vi farebbe dannati.

Sgh. Ciò che facciamo, lo facciamo per comando avutone.

Sgh. E quegli che ci ha comandato è il nostro re.

Clar. Ciechi vassalli! Il gran Re dei re vi ha comandato nelle [p. 245 modifica]tavole della sua legge di non uccidere. Disprezzerete voi il suo editto per obbedire a quello dell’uomo? Badate; perocchè la vendetta sta in sua mano, ed ei la lancia sulla testa di coloro che violano la sua legge.

Sgh. Ebbene, è Esso che lancia su di te la sua vendetta, per punirti di esserti reso colpevole di uno spergiuro e di un omicidio: tu avevi giurato di combattere per la casa di Lancastro.

Sgh. E da traditore al nome di Dio, rompesti quel giuramento, e colla tua spada iniqua uccidesti il figliuolo del tuo sovrano.

Sgh. Che giurato avevi di amare e di difendere.

Sgh. Or come puoi tu minacciarne della legge terribile di Dio, dopo che tu l’hai così manomessa?

Clar. Oimè! per amore di chi commisi io quel misfatto? Per Eduardo, per mio fratello, ed ei non può mandarvi per ciò ad uccidermi; perocchè di quel delitto è reo al pari di me. Se Dio vuol vendetta, ei la farà pubblica: non togliete tal dritto al suo braccio onnipossente: ei non abbisogna di mezzi oscuri e di processi obliqui per toglier dal mondo coloro che l’hanno offeso.

Sgh. Chi dunque ti commise di farti suo sanguinoso ministro, allorchè quel vago rampollo, quel prode Plantageneto, quell’amabile fanciullo fu ucciso da te?

Clar. Il mio amore per mio fratello, l’inferno e la mia rabbia.

Sgh. Il nostro amore per tuo fratello, il nostro dovere e il tuo fallo ci fecero venir qui per ucciderti.

Clar. Se amate mio fratello non odiate me; io fratello gli sono e molto lo amo. Se mossi siete dalla promessa di un gran dono, escite ed io vi manderò da mio fratello Glocester, che vi ricompenserà meglio per la mia vita, che Eduardo noi possa fare per la notizia della mia morte.

Sgh. Errate, vostro fratello Glocester vi abborre.

Clar. Ah no! egli mi ama, e mi tien caro: andate da lui per me.

Tutti due gli Sgh. Sì, così faremo.

Clar. Ditegli che quando il nostro regio padre York benedì i suoi tre figli col suo vittorioso braccio, e ne raccomandò ardentemente di amarci, ei non previde queste nostre discordie: dite a Glocester che a ciò pensi, e lo vedrete piangere.

Sgh. Sì, come il coccodrillo; così ei ne insegnò di lagrimare.

Clar. Oh! nol calunniate, perocchè egli è gentile.

Sgh. Come la brina sulla messe. — Venite, voi v’ingannate, è esso che ne manda per uccidervi.

Clar. Non può essere; perocchè ei dolorava la mia fortuna, [p. 246 modifica]e stringendomi fra le sue braccia mi giurava, in mezzo ai singulti, che si sarebbe adoperato per la mia liberazione.

Sgh. E così fa, liberandovi da questa terra per mandarvi a godere le gioie del Cielo.

Sgh. Fate pace con Dio, perocchè dovete morire, milord.

Clar. Tu hai senso di pietà per consigliarmi a far pace con Dio, e nondimeno sei così cieco sugli interessi della tua anima, dà porti in guerra con lui, assassinandomi? Ah! amici, pensate che quegli che vi mandò a compiere questo misfatto vi aborrirà per averlo commesso.

Sgh. Che dobbiamo fare?

Clar. Pentirvi e salvare le vostre anime.

Sgh. Pentirci sarebbe da codardi e da femmine.

Clar. Non pentirsi è bestiale, selvaggio, diabolico! Chi di voi, se fosse figlio d’un re privo di libertà com’io se vedesse due masnadieri come voi siete, venirne a lui per ucciderlo, non supplicherebbe per la sua vita?... Amico, io intravedo qualche pietà ne’ tuoi sguardi. Ah! se il tuo occhio non è adulatore, poniti al mio fianco, e supplica per me, come supplicheresti se fossi nella mia trista condizione. Qual mendico non compatirà alle preghiere di un principe?

Sgh. Esaminate la vostra coscienza, milord.

Sgh. Prendi questo colpo e quest’altro ancora. (trafiggendolo) Se ciò non basta, io ti annegherò in un tino di malvagia, che è qui poco distante. (esce trascinando il cadavere)

Sgh. Sanguinosa opera disperatamente commessa! Come volentieri, a simiglianza di Pilato, vorrei lavarmi le mani da questo atroce e colpevole omicidio. (rientra il primo Sgh.)

Sgh. Ebbene? Che vuol dire che non mi aiuti? Pel Cielo, il duca saprà come sei stato lento.

Sgh. Vorrei ch’ei potesse sapere che ho salvato suo fratello! Va a ricever la tua mercede, e digli quel ch’io ti dico: io mi pento amaramente che il duca sia stato ucciso. (esce)

Sgh. Questo io non faccio; va, codardo. — Io nasconderò quel cadavere in qualche luogo, fino che il duca dia gli ordini per la sua sepoltura. Avuta la mercede, di qui partirò, perocchè questo fatto spargerà rumore, e sarebbe imprudente che io mi soffermassi. (esce)



Note

  1. Così chiamata per disprezzo, avvegnachè prima di sposare Eduardo (come si è veduto nel precedente Dramma), fosse vedova di lord Grey.