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VITA E MORTE DEL RE RICCARDO III | 236 |
mio cuore fosse di roccia come quello di Eduardo, o che quello di Eduardo fosse molle e affettuoso come il mio. Sono troppo fanciullo, e troppo buono per questo mondo.
Mar. Affrettati ad ire all’inferno per vergogna, e lascia questo mondo, demone corrotto! Colà è il tuo regno.
Riv. Milord di Glocester, nei tempi tristi in cui ne rìmproverate d’essere stati nemici della vostra casa, noi seguitavamo il nostro legittimo re; così con voi faremmo, se nostro re diveniste.
Gloc. Se lo divenissi? Vorrei essere piuttosto un mendico: lungi dal mio cuore tale imagine!
Elis. Voi non potreste mai diminuir tanto in vostra mente il piacere di esser re, ch’io un po’ non ne provi di essere regina.
Mar. Vero è che la regina sente ben poche gioie; perocchè io tale sono e non ne gusto alcuna. Non so più frenarmi. — (avanzandosi) Uditemi, pirati in discordia, che contendete per le spoglie che mi rapiste: chi di voi osa guardarmi senza tremare? Se da sudditi umili non piegate il ginocchio dinanzi a me che son vostra regina, quantunque da voi deposta, almeno io vi veggo rabbrividire come ribelli. — Ah! illustre scellerato, non ti volgere altrove.
Gloc. Strega aggrinzita, che vieni tu a fare dinanzi a me?
Mar. A ripeterti la storia dei tuoi misfatti; questo io far voglio prima che tu ti diparta.
Gloc. Non fosti bandita sotto pena di morte?
Mar. Sì; ma parmi più crudele il bando che la morte, quando essa mi colga in questi luoghi. Tu mi devi uno sposo e un figlio... e tu un regno (a Elis.), e voi tutti obbedienza: il mio dolore e i miei mali vi spettano per diritto, e tutti i piaceri che usurpate sono miei.
Gloc. La maledizione del mio nobile padre ottiene il suo effetto: egli te la diede, allorchè cingesti la sua fronte bellicosa con una corona di carta, e coi tuoi oltraggi facesti sgorgare dai suoi occhi torrenti di lagrime, dandogli poscia, per asciugarsele, una pezzuola intrisa nell’innocente sangue del vago Rutland. Le imprecazioni che nell’amarezza del suo cuore ei pronunziò, son cadute sulla tua testa, ed è Iddio, non noi, che punita ha la tua opera nefanda.
Elis. Cosi Iddio è giusto pei dritti dell’innocente.
Hast. Oh! fu il fatto più atroce uccidere quel fanciullo, il fatto più empio di cui mai si udisse.
Riv. I tiranni stessi ne piansero, allorchè fu loro narrato.