Visioni sacre e morali/Visione XII

Visione XII

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Visione XI


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VISIONE XII.




LA CRISTIANA APOTEOSI


DI


FRANCESCO I


IMPERATORE DE’ ROMANI


SEMPRE AUGUSTO.




Vago di penetrar perchè Natura
     Non mai d’Arno gli umori appien consumi,
     3E incerto ancor, se del mar l’onda impura
Per sotterranee ghiaje e schiusi dumi
     Feltrata salga alle montagne, e scenda
     6Partita in rivi, ed in perpetui fiumi,
Io l’erta ascesi d’una roccia orrenda,
     Che in mezzo all’Appennine Alpi nevose
     9Le vie Tosche e l’Emilie avvien che fenda;
Ch’ivi scontrando ognor le rigogliose
     Acque scorrenti dall’origin prima
     12Disvelarne credei le fonti ascose.
Stendeasi larga quell’alpestre cima
     In scabri sì, ma rinverditi prati,
     15Benchè ad aspro soggetti indocil clima:

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Questi d’argin informi, e di solcati
     Dorsi, e di gore, e d’ineguali fosse
     18In varie strane fogge eran vergati.
Cento scorgeansi in essi, ove serbosse
     La pioggia, late vasche, altre già vote
     21D’acqua, altre sceme, altre ricolme e grosse.
Di là salii balze più eccelse, e note
     Solo ai rapaci augelli, e trovai boschi,
     24Spelonche e abissi, in cui giaceano immote
Le nevi e ghiacci, o splenda il giorno o infoschi,
     Non mai squagliati, perchè troppo inerte
     27È il sole a riscaldar quegli antri foschi.
Vidi in altre caverne al ciel scoperte
     Grondar le linfe dal pendío condotte
     30Delle inzuppate, e ai raggi terre aperte;
E da più alte selve altre dirotte
     Fonti precipitando in tufi e in greppi
     33Perdersi dentro a fesse rupi e a grotte.
Lassù pur il cammin fra schegge e ceppi
     Rósi, e pomici mai non viste altrove
     36Tentai, nè come il superassi io seppi;
E colà rimirai voragin nove,
     E rappresi entro a quelle, e sciolti umori
     39Del Libic’austro per l’estreme prove,
E campi squallidissimi peggiori
     Di quel ch’Uom finger possa, alberghi solo
     42Di nevi e di gelate acque e d’orrori.
Da tai di tante piogge in erto suolo
     Serbatoi vasti un sovra l’altro stanti,
     45E dal vario del sol girar dal polo,
E dai venti fra lor vario-spiranti,
     E dai vapor, che il sotterraneo foco
     48Alza entro al monte, e striscian fuor grondanti,

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Argomentai, che il misto ordin del loco
     A prestar atto sia continue l’onde
     51Spinte in giù dalla scesa a poco a poco
O fra sterili sassi, o erbose sponde;
     E il fiume tragga sol perenni l’acque
     54Dai montani antri e vasche, e non d’altronde.
La mia ragionatrice Anima giacque
     Sì paga in raffrontar co’ sensi il vero,
     57Che null’altra esplorar cagion le piacque:
Quindi in sì eccelsa vetta il mio pensiero
     Lungi scorrea con la virtù visiva
     60Gli spazj del soggetto ampio Emispero;
Ed ecco su l’opposta Adriaca riva
     Del mar, che Italia ai fianchi suoi riceve,
     63Sospinto in lor dalla corrente riva,
Ecco nube apparì bianca qual neve
     Dal gelido aquilon, che l’umid’ale
     66Spiegò su i venti a par dei venti leve.
Salía verso il meriggio, e ai moti eguale
     Era una luce, che nel centro ardea
     69Cinta da tríonfal lauro non frale.
Dagl’intrecciati rai talor sorgea
     Francesco in essi impresso, e il nome e i raggi
     72Talor confusi il gran fulgor mescea.
Nulla mai parve a me nube, che irraggi
     Con sì placido ardor l’etere chiaro,
     75E negli Spirti in ragionar più saggi
Stupor desti e piacer agli occhi raro;
     Tal che a me fu le nove immagin vere
     78Grato il veder, ma lo spiegarle amaro.
Quando in guisa di tuon, che scoppia e fere,
     Una voce gridò dal sol discesa:
     81Date loco a Francesco, o stelle, o sfere:

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E levando lo sguardo entro l’accesa
     Lampa immensa del lume, un Angiol vidi,
     84Che con l’argentea piuma al dorso appesa
Mosse; e qual Uom, che in suo poter s’affidi
     Fe’al gran Disco un sol cenno, a quel mostrando
     87L’usata via dell’occidente ai lidi;
E dopo il grave sovruman comando
     Scese; e mentre scendea d’auree fiammelle
     90Per l’etereo sentier l’orme segnando,
Il puro aer, che avea forme sì belle,
     Dintorno replicò il festevol eco:
     93Date loco a Francesco, o sfere, o stelle.
Smarrito, ed abbagliato, e quasi cieco
     Fra il suono e tanta luce esser mi parve,
     96E in meditar la vaga effigie meco
Deluso mi credei da ignote larve;
     Ma più veloce de’ scoccati fili
     99Del lume al fianco mio l’Angel comparve,
E disse: Mira in me de’ sacri umíli
     Vati l’accenditor. Le mie parole,
     102Se tu nol sai, sveglian valor nei vili.
Io pien di Lui, ch’opra in un atto, e vuole,
     Spiro in te fiamme; e già le senti: Io sono
     105L’Angelo Uriele aggirator del sole,
Che del foco immortal parte ti dono,
     Perchè tu spieghi cose alte, di cui
     108Quand’Uom le ammira muto, io ne ragiono.
Tu ai Re d’Austria e d’Etruria in ambedui
     Sceso l’onor del Genitore Augusto
     111Farai palese, e quanto è sommo in lui;
Tal che quella Real Donna, cui giusto
     Duolo squallidi ancor giorni prescrive
     114Presso all’Avel dei lunghi pianti onusto,

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N’esulti omai. Pe’ voti suoi s’ascrive
     Del Consorte la gloria a lei, che in terra
     117Sembra mortal, perchè qui regna e vive:
Ma già il tríonfo illustre a te disserra
     La pompa sua: già il nome alto risuona
     120Dell’Uno e Trino Dio, che in tanta guerra
A chi per lui combatte il vincer dona,
     E in coronar de’ scelti Eroi le chiare
     123Mirabil’opre i doni suoi corona.
Vedi. Io volea l’atto a lui render pare
     Di grazie umíli, e al desir mio restíe
     126Le labbra fúro, e d’ogni voce avare;
Perchè in quel punto irraggiò forte il die,
     E me fuor di me trasse il nuovo obbietto,
     129Che fendea l’urto delle aeree vie.
Sparì la nube; ed ecco un Duce eletto
     A condur la grand’Alma al sommo acquisto,
     132Di splendente lorica ornato il petto,
Che alzava in moto d’ira e pietà misto
     L’insanguinato scudo, ov’era scritto:
     135Io la sant’urna racquistai di Cristo.
E ben Goffredo il Condottier invitto
     Dovea per lui, che dal suo germe scese,
     138Esempio esser e guida al bel tragitto;
Ei, che il Serto Real a sdegno prese
     Di cinger, ove un cerchio aspro di spine
     141Del Re de’ Regi il divin capo offese.
Le Virtù sacre inghirlandate il crine
     D’eterni fior seguían scorta sì prode,
     144Altre in ordin da lungi, altre vicine,
Con tal volo, che par che il tutto annode,
     Benchè in mille diviso, e sia ciascuna
     147A sè specchio, e a Francesco immago e lode.

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Quella, che a sè dintorno i vinti aduna
     Trofei di guerra, e pria vince sè stessa,
     150Cui ragion presta l’armi, e non fortuna,
Dicea: La mia bellica fiamma impressa
     Di Francesco nel cor sì docil crebbe,
     153Ch’essa in lui arse, ei rattemprossi in essa.
Ei fulmin fu su il grande Istro, che bebbe
     L’infedel sangue, e agli spumosi flutti
     156Coi trucidati corpi il colmo accrebbe:
Egli oltre al Ren l’aste e i vessilli tutti
     Spinse dell’ostil campo, e aperse il varco
     159A quei, che in chiuso vallo eran ridutti;
Pur largo a’ pregi altrui, ed a’ suoi parco,
     Dell’opra, onde già cadde il fier nemico,
     162Obbliò i vanti, e sol portonne il carco;
Ed al volgar Uom d’armi, ed all’antico
     Guerrier più chiaro ne’ disagi alterni
     165Duce non men fu che compagno e amico;
Che a lui Valor, Pietà stretti in fraterni
     Vincol s’uníro. Allor tal voce udissi:
     168Degno è il pio Vincitor dei lauri eterni.
Questa, che i sacri serba ordin affissi
     Al comun dritto, e in retta lance appende
     171Premj al giusto, ed affanni al reo prefissi,
Di Francesco narrò fra le vicende
     Varie di sorte or fausta, or infelice
     174Il vigil senno, onde fermezza prende
La provvida ragion esecutrice
     Dell’alme leggi, e fra le regie cure
     177Del nodo socíal guida e nutrice.
Quindi ai Traci nocchieri, ed alle dure
     Numíde genti in util pace aperti
     180I porti, e le Liburne acque secure;

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E i maligni vapor del tetro inserti
     Aere spirato dalle membra inferme
     183Resi in salubre albergo al danno inerti;
E in numero accresciute, e in prove ferme
     Di nautic’arte le Tirrene prore,
     186E rabbellite le Pisane Terme:
E ai raccolti volumi aggiunto onore
     D’industri ordigni, e a lor per norma e face
     189Scelto de’ colti ingegni il più bel fiore.
E tante d’anni in corto vol fugace
     Geste compiute appien; ch’ei benchè degno
     192Di tríonfar con l’armi amò la pace.
A tai detti suonò di lodi un segno
     Vivo sì, che la terra e il mare empieo:
     195Abbia chi pace amò di pace il regno.
La schiera intanto numerosa feo
     Di sè onorata e risplendente mostra
     198Per l’aria, su cui l’ale ampie batteo;
E qual la Via nel ciel Lattea si mostra
     Gremita d’astri sì, che non divisi
     201Sembran al guardo della terrea chiostra;
Tal quella turba fulgida nei visi,
     Distinti a gaudio ed a bellezza rara,
     204Parea un sol lume agli occhi in essa affisi.
In questa eran color, che nell’amara
     Valle del lagrimar, mentr’ebber vita,
     207Parver di lui cura più scelta e cara.
Ch’altri, cui fu l’esca vital rapita
     Dal nimico vapor all’auree spiche
     210Carco di ruggin di velen vestita,
Dalle pie man di largitate amiche
     Trasser conforto sì, qual se di germi
     213Serbasser folte i mietitor le biche:

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Altri, che nulli aver potéro schermi
     Dallo sterminator nembo, che i colli
     216Fe’ di Volterra ignudi d’erba ed ermi,
Gli occhi per lutto disperato molli
     Cangiáro in fonti di letizia, ch’egli
     219Da povertate e da squallor levolli.
Vergin di gigli adorne anco i capegli
     Facili ai rai dell’ingannevol oro,
     222O al plauso lusinghier de’ vani spegli,
Da lui ridotte al femminil lavoro,
     E chiuse in loco, ove alfin scelta, o forza
     225Ozio spegnesse, e onor serbasse in loro;
Garzon robusti, e vegli in fiacca scorza,
     Che improvviso di morte orror sottragge
     228Da’ smossi tetti, ed a fuggir gli sforza,
Con generosi doni, ed arti sagge
     Racconsolati allor, che il fier tremoto
     231Scosse il gran porto dell’Etrusche piagge.
Dopo questi scorrean l’etere a nuoto
     I Lotaringhi Duci, e d’Austria i Regi
     234Con maestose insegne, e in volto noto,
Che in fama di virtù severa egregi
     I vergati scoprían sovra i trofei
     237Del lor vero valor titoli e fregi;
Or aggiunti allo stuol de’ Semidei,
     Perchè a pugnar vili non fúro, o tardi
     240Nel duro assalto degli affetti rei.
Poi grandi e lucidissimi stendardi
     Sacri all’immago dell’Agnel Divino
     243Apparver ondeggiar folti a’ miei sguardi;
Cui gli Angeli dintorno a capo chino
     Gridavan: Gloria a Lui, che diè le penne
     246All’Uom esule in terra e peregrino.

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Del numero beato ultima venne
     Caritade, e una mano al Duce scelto
     249A tríonfar porse, ed avvinto il tenne,
Mentre con l’altra dalle fibre svelto
     Mostrava un cor da vampe avide preso,
     252Che vivo ancor ardea, benchè divelto.
Salía l’Eroe col manto all’aure steso
     Ricco di Croci inteste a gemme e ad auri,
     255E armato di cangiante usbergo acceso,
Che al vario sol par che s’innostri e inauri,
     E coronato la serena fronte
     258Da raggi, che vestían forme di lauri.
Questa eletta Virtude, a cui fúr conte
     Le pietose di lui magnanim’opre
     261Intente ad alleviar gli oppressi e pronte,
Incominciò: Guardami. Più non copre
     L’eterno mio chiaror la tenebrata
     264Nebbia, che in terra ogni mortal ricopre.
Io tua son, o Francesco; e a te svelata
     Parlo, e quanto oprai teco altrui rammento.
     267Quando arse la fatal stanza serbata
Alla fulminea polve, e in un momento
     Con tuono, che orrendissimo rimbombe,
     270Scoppiáro alto tra il foco, il fumo e il vento
Gli ampj macigni, e le ferrate bombe;
     E breve in tanto lutto era intervallo
     273Per empier di cadaveri le tombe,
Stetti al tuo lato: e sul tremante vallo
     L’intrepida tua voce in tal ruina
     276Sì mossi, che fér ne’ perigli il callo
Quei, che sottrar dovean l’esca vicina
     All’atre fiamme; e vanto fu sol tuo
     279D’Austria salvata la città reína.

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Chi non rimembra la partita in duo
     Imperial terra, allor che giù dai monti
     282Precipitato oltue il confin non suo
Spinse il gonfio Danubio i flutti pronti
     A strage, a eccidio, ed allagando i vasti
     285Atrj e le strade, atterrò gli archi e i ponti?
Già su i tetti erti degli alberghi guasti
     Dal fiume invan gli abitator smarriti
     288Chiedean cibo a una vita egra che basti;
Chè nullo de’ nocchieri ancor più arditi
     Fra i gorghi orrendi al dubbio varco opposti
     291Con nave osò tentar gl’infausti liti.
Io teco li tentai. Tu il primo fosti
     Con leve barca a superar gl’impacci
     294Fra il gelo e l’acque avviluppati e posti.
Io ruppi quei, ch’eran ritegni e lacci
     Al facil guado, procellosi venti,
     297Urti dell’onde e de’ sfrenati ghiacci,
E trassi te salvo all’afflitte genti,
     Che avean fra stupor lieto in esse impresso
     300Gli occhi più a te, che all’esca offerta intenti.
Or poichè tu, benchè in augusta messo
     Gloria e poter, fosti pe’ miei consigli
     303Util al mondo assai più che a te stesso;
E poichè quei fra cure aspre e perigli
     Che tu reggesti, e per cui premio attendi,
     306Non fúr sol popol tuo, ma fúr tuoi figli,
Ascendi, ottimo Padre, e seggio prendi
     Nei regni miei. Il Ciel, che allor s’aperse,
     309Lieto rispose: Ottimo Padre, ascendi.
In quel momento il sacro stuol s’immerse
     Del gaudio negli abissi, e un cerchio immenso
     312Di fiammeggianti soli a me s’offerse.

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Curvai a terra le ginocchia, e accenso
     Di cocente desío non mai distolsi
     315Gli occhi dal varcar oltre all’aere denso.
Per invincibil forza un sospir sciolsi
     Dal cor profondo; e in quel sospir la sola
     318Spiegai mia brama. All’Angiol poi mi volsi,
E questa mi sfuggì tronca parola:
     Ah! se.... e lo sguardo lassù fiso io tenni;
     321E l’Angiol mi soggiunse: Alzati, e vola.
Tanto allor leve in un balen divenni,
     E sì rapidamente al Ciel poggiai,
     324Che nulla idea della gran via ritenni.
So che con l’Angel fido io mi trovai
     Nel loco, dove Amor in sè beato
     327Di sè bea l’Alme, e non s’estingue mai.
Già sovrumano avea vigore armato
     Gli occhi miei lassi a sostener l’acuto
     330Colpo dei rai da centri d’or vibrato.
Io vedea sì; ma fuor del pronto ajuto
     Dell’Angiol non salía cognita immago
     333Nel mio intelletto di chiarezza muto.
A me pensoso, e d’appressarmi vago
     Alla Cagion delle cagioni eterna
     336Appresentossi d’adamante un lago,
Oltre cui si scorgea dentro un’interna
     Iride, che cent’iridi produce,
     339Una irraggiata più Sede superna,
E Dio il gran Padre, ov’essa più riluce,
     Su quella assiso, altrui mostrando grave
     342Il volto, ch’era insieme e volto e luce.
Ei col piè, che le nubi ondifer’ave
     Per suolo, i fulmin calpestava e i tuoni
     345Ministri d’ira a chi non l’ama, e pave.

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Alla destra l’Uom-Dio sedea, che i doni
     348Sparsi su noi del prezioso Sangue,
     E le invitte di quel voci e ragioni
Offriva al Padre, e gli scopría l’esangue
     351Lato presso alla Croce, onde in noi scorse
     Il fonte di pietà, che mai non langue.
Fra i due spirato d’essi e ugual, che sorse
     354Pria del tempo e del moto, Amor eterno,
     Foco era tríonfale ovunque corse:
E sotto al suo Divin figlio in materno
     357Atto pieno di grazia e d’umiltate
     La Calcatrice del Serpe d’Inferno
Stava, e splendea fra l’Anime beate,
     360Tanto in beltà maggior, ch’Uom, se Lei vide,
     Pensa, e vinto è il pensier dalla beltate.
Oltre numero poi le sacre guide
     363Dell’uman cor, gli Angeli puri, e l’Alme
     Dal velo sciolte, e a Dio più strette e fide:
Altre di stole ornate, altre di palme,
     366Altre di spine, altre, cui nullo oltraggio
     Annebbiò il fior delle virginee salme.
Dal Padre onnipossente immenso raggio
     369Uscía riverberando al Figlio in volto,
     E da ambi egual fulgore egual passaggio
Fea nel Divino Amor, da cui disciolto
     372Di sante fiamme inestinguibil fiume
     Era dai due, su cui piovea, raccolto,
Formando in tre distinti un solo Nume
     375Con vincol pari eternamente sodo.
     Dal Figlio un suo, che insiem del Padre è lume,
Scendea in ogni Alma con dissimil modo,
     378Mentre di foco Amor la empieva; e il Cielo
     Di gaudio era, d’amor, di gloria un nodo.

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Maravigliando, che senz’ombra e velo
     381Sì eccelse cose a me fosser dischiuse,
     Muto io guardava infra desire e zelo:
Godea, non come Spirto, in cui s’infuse
     384La beata virtù, ma qual Uom lieto
     Per sovrumana idea, che lo confuse:
Quando l’Eroe presso al chiaror secreto
     387Del sommo seggio al pian prostrossi, e stette
     In atto umil di riverenza, e cheto;
E il pio Goffredo, che fra l’altre elette
     390Schiere precorse a lui, la lingua sciolse:
     Mira fra le tue pure Alme dilette,
Dio degli Dei, questa, che il vol disciolse
     393Dal carcer delle vampe affinatrici,
     In cui sua pena e tua pietà l’avvolse.
Questa tra il foco e l’acque, e le infelici
     396Vie della terra, e fra tempeste e scogli
     Fida le tue serbò grazie vittrici.
Tu me scegliesti a lei guida, e tu sciogli
     399Me dal mio voto. Ecco a te l’offro. Ah! schiudi
     Le dive braccia tue, Padre, e l’accogli.
Tremáro allora i Troni e le Virtudi
     402Angeliche; e una voce udii, che disse:
     Viva, e regni con noi. E insegne e scudi
Vidersi, in cui la Mano eterna scrisse
     405Dell’Eroe l’opre, e applauso tal si sparse,
     Qual da mille torrenti un suon che uscisse;
E Caritade in abbracciarlo apparse
     408Più di pria luminosa, e ai dolci amplessi
     Tutto di raggi ei si coperse ed arse.
In quel punto su lui con lampi spessi
     411Rifolgorò il gran Figlio, e Amor dall’alto
     Ignea lingua vibrógli, e fiamma ei fessi;

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E a quel divinizzante e doppio assalto
     414Egli levossi in mezzo al Cielo, e gli occhi
     Drizzò del Padre al sacro trono ed alto,
E prese a dir: Qual piena in me trabocchi
     417Di letizia, tu il sai, buon Padre, e Dio,
     Che all’Uom la infondi, ove tua gloria il tocchi!
Ben s’io rammento quanto il cor soffrío
     420Peregrinando nell’oscura valle,
     Ove al pio guerra move il reo desío,
M’avveggio, che nel più diritto calle
     423La tua Pietà, che a me scorta si mise,
     Mi rivolse al cammin torto le spalle,
E qual tenera madre in dolci guise
     426Divider meco il duro incarco volle,
     E il maggior ne portò, quando il divise.
Or qual merto fu il mio, per cui s’estolle
     429Oltre il più largo vol della mia speme
     Quell’immenso piacer, che in me ribolle
Pago e non sazio, e mi sormonta, e freme
     432Con impeto tranquillo, e assorbe tutte
     Le intense voglie, e le parole insieme;
Se, mentre io vissi, le contrarie lutte
     435Fra l’Alma e il cor, opra di tua Pietade
     Fu averle a sì beato ordin condutte?
Quai poss’io grazie nell’eterna etade
     438Renderti degne? Ah! quelle, ch’io non posso,
     Le renda a te l’immortal tua Bontade.
La Terra e il Ciel perpetuamente mosso
     441Dai sacri a te cantici ed inni allaghe
     D’altr’inni ognor l’aere dai primi scosso;
E al divo Figlio, e al santo Amor con vaghe
     444Laudi offra le preghiere, e adori umíle
     L’ardor di questo, e insiem di quel le piaghe.

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Or se tu fai del tuo benigno stile
     447Mostra e pompa maggior in questo seggio,
     Ove lo stuol, che reggi, è a te simile,
E se impetrar mi lice, un don ti chieggio.
     450In quel, che mi beò, raggio sublime
     Del Figlio eterno apertamente io veggio,
Che di morte un vapor maligno opprime
     453Colei, che in fiamme alterne a me stringesti,
     Che in ambi fúro ultime fiamme e prime.
D’uopo non è ch’io gli atti e i modi onesti
     456Al tuo Divino rammentar richiami
     Pari fra noi, poichè tu stesso festi
Di due un cor sol, ch’arda indiviso, e brami.
     459Se in te laggiù l’amai, tu non mi vieti,
     Che di te pieno in te qui ancora io l’ami:
E ben ella volando ove tu accheti
     462Ogni desir, altra amichevol fede
     Ambo faría concordemente lieti.
Ma quanto amare al Popol suo, cui diede
     465Di Madre più che di Regina i pegni
     Foran queste di morte ultime prede?
Deh! volgi gli occhi a’ suoi confusi Regni
     468Fra i voti e il pianto. Ah! per lor, Padre, spiega
     Di tua Pietade e di tua Grazia i segni.
Ma che vegg’io ? La Vergin Madre piega
     471Le pie ginocchia al Divin Figlio avante?
     Oh atto, che in pregar vince, e non prega!
Tacque; e l’eccelsa Vergine in sembiante
     474Amoroso di Madre, e umíl di Figlia
     Fiso nel Verbo le pupille sante.
Luce e pietà piovea dalle sue ciglia;
     477E il dolce innesto ambe temprando in parte,
     Era gaudio a vederle, e maraviglia.

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Ella con voce, che al parlar comparte
     480Pellegrina vivezza e insiem virtute,
     E sorpassa ogni fina Angelic’arte,
Disse: Dammi Teresa. Erano mute
     483Tutte le lingue in Ciel, quando altra voce
     Dal trono, ond’esce ognor grazia e salute,
S’udì: Teresa è tua. Brillò la Croce
     486Accanto al Figlio di splendor novello,
     E la Vergin ne involse. Allor veloce
Apparve un vago d’Angeli drappello,
     489Cui dato in cura è l’ampio suol, che bagna
     L’Istro ai marmorei ancor ponti rubello.
Questi vider in Dio, che gli accompagna
     492Col sacro lume ovunque spieghin l’ali
     D’Austria il fausto Destino e di Lamagna
Nella serbata ad esse Madre. Eguali
     495Quindi rendean le grazie al dono, e accensi
     Di caldo amor pe’ miseri mortali
I cantici intessean tra fumi densi;
     498E maestade e gloria al trono divo
     L’ondeggiante accrescea nube d’incensi.
Mentre iteravan questi il canto vivo,
     501Ad Uríele io dissi: O fra le squadre
     Eteree Duce, spiega a me, che privo
Di saper calco invan vie sì leggiadre,
     504Perchè l’Eroe l’inferma Donna Augusta
     Vide nel Figlio, ed era in faccia al Padre?
E l’Angelo rispose: Alta vetusta
     507Fin dai secoli eterni immensa Mente,
     Contezza avea di sè perfetta e giusta,
Ed era il suo conoscersi un possente
     510Effondimcnto della sua sostanza,
     Che in diffondersi sempre a sè presente

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La vera generò sua somiglianza
     513L’interior suo Verbo, unica, grande,
     E coeterna al Genitor sembianza.
In questo eguale a Lui Figlio, che spande
     516Il suo, e paterno lume, il Padre mira
     Sè stesso, e le sue tante ed ammirande
Bellezze, la cui vista immenso spira
     519Gaudio, e l’essere suo contempla pieno
     D’infinito poter, che in lui s’aggira,
Ed il celeste, e insiem l’ordin terreno
     522Delle create cose, e quanto puossi
     Da un Padre oprar onnipossente appieno.
Da lor Divinitade amabil mossi,
     525Ambo il divino Amor spiran, che pari
     Ad ambo in pari eternità svelossi.
E ben retta ragion vuol che dispari
     528Numero in un sol Dio Trino apparisca.
     Un, che somma è bontade, i beni rari
Dell’esser suo giust’è, che altrui largisca,
     531Un Altro, che gli accolga, e il Terzo poi,
     Che in perpetuo d’Amor nodo gli unisca,
Quell’una in pria serbando, e ognor dappoi
     534Sola Divinitade a Tre comune.
     Quindi il Padre alle scelte Alme, ed a’ suoi
Angeli, in cui la sua gloria s’adune,
     537S’appressa, e rende in ammirabil guisa
     La vista lor d’ogni atra nebbia immune;
E loro unendo il Figlio, in cui s’affisa
     540Sè stesso nel veder, forz’è in quel punto
     Della Diva Uníon stretta e indivisa,
Che sia il Verbo di Dio sì all’Uom congiunto,
     543Che l’Uom con atto fiso e pensi e vegga
     Simile in gloria a quel del Verbo appunto;

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E lo spirato Amor santo lo elegga
     546Suo nido eterno, e i teneri sospiri
     Dell’Uom divinizzato esalti e regga.
Or se dubbio non v’ha, che il Padre miri
     549Sè medesmo nel Verbo, e quanto chiude
     In sè la Terra e il Ciel negli ampi giri,
Ne avvien, che l’Alme d’ogni colpa ignude,
     552E al Verbo avvinte, in lui fisando il ciglio
     Scorgano il Padre, e in esse ancor virtude
Si desti di veder nel basso esiglio
     555Lo stato uman; chè i tanti e varj obbietti
     Sicura via di rimirarli è il Figlio.
Gli Angelici m’avean sublimi detti
     558Rallumata così la mente incerta
     Fra il misto di pensier moto e d’affetti,
Ch’io mi pascea di tanta luce offerta,
     561Scemando in parte il bujo, che coprimmi
     Per la profonda in Dio Tríade certa;
Quando l’orecchio e il cor questa ferimmi
     564D’un gran Coro armonía, che in dolce foggia
     Altra immago a mirar il varco aprimmi:
Chi è Costei, che dal deserto poggia
     567Coronata di gigli, e in sovrumane
     Fiamme avvampando al divo Amor s’appoggia?
Poi subito cangiossi il canto. Oh vane
     570Speranze frali acerbamente mozze
     Nel fiorir loro, e spente! oh menti umane
Gli alti decreti in penetrar sì rozze!
     573Tu altrui serbata invano or vieni intatta
     Del sacro Agnello alle beate nozze:
Tu da’ tuoi Regni al sommo Empiro tratta,
     576D’altra di rai corona orni le chiome,
     Che dal tempo non mai ti fia sottratta.

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Io già chiedea di sì bell’Alma il nome,
     579Quando l’Eroe pien di giojoso affanno
     Esclamò lieto: Ah Figlia! e donde? e come?...
Oimè! qui sparve il Cielo; e all’igneo scanno,
     582Ove il sol regge, ascese l’Angiol ratto,
     Lasciando me fra il desiderio e il danno.
Caldo impeto m’avea scossa ad un tratto
     585L’Anima sì, che ambe le braccia io stesi
     Larghe, quasi ale di volar in atto;
Ma rattemprati poi gli spirti accesi
     588Dallo traportator desío, m’accorsi,
     Che là, donde levommi Uriele, io scesi:
E mentre del tríonfo aureo, ch’io scorsi,
     591In mente ravvolgea gli obbietti vivi,
     Voce che risonò sentii disciorsi
Nova dal sol: Quel che vedesti, scrivi.

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ANNOTAZIONI

ALLA DUODECIMA VISIONE.




P. 234.                                              Io sono
L’Angelo Uriele aggirator del sole, ec.

La Chiesa Cattolica non riconosce, e non invoca coi loro nomi salvo se i tre, San Michele, San Gabriele e San Raffaele, poichè questi tre soltanto sono espressamente nominati nei libri canonici delle Sacre Scritture, come in Daniele e in Tobia. Dell’Angelo Uriele, di cui parla l’Autore, si fa menzione nel IV Libro di Esdra, il quale non è ammesso tra i libri canonici; pur nondimeno ha la sua autorità, sebbene non infallibile. L’ufficio, che ivi fa con Esdra, non è molto differente da quello, che in questa sua Visione gli accomoda l’Autore, a cui come Poeta non dovrebbe imputarsi a difetto il valersi d’un Angiolo di tal nome, nè a mancamento di rispetto ai Concilj, ed alla più comune opinione de’ Padri, che rifiutarono questo nome, perchè da niuna delle canoniche Scritture ad Angiolo attribuito. Confacevolmente al nome d’Uriele, che significa Iddio mia luce, l’Autore lo finge l’Intelligenza assistente al sole; e per questa assistenza gli assegna la podestà di accendere e risvegliare i Poeti; imitando l’antica Pagana Mitologia, che a Febo consegnò la condotta del carro del sole, e insieme il conobbe per capo delle Muse e per Nume de’ Poeti.

Ivi. Tu ai Re d’Austria e d’Etruria ec.

L’Augustissimo Imperatore Giuseppe II, che nell’età sua giovanile per la somma vigilanza agli affari dell’Impero, per la sua pietà e maturo senno, e pel regolamento [p. 251 modifica]e disciplina militare è degno d’essere paragonato non solamente ai primi eroi de’ tempi nostri, ma altresì ai più gloriosi degli antichi.

E l’Altezza Reale di Pietro-Leopoldo Gran Duca di Toscana, perfetto imitatore di tutte le virtù dell’Augustissimo Imperatore suo Fratello, con le quali a tutta l’Italia si è reso un oggetto di giustissima ammirazione; e tutte le Nazioni di essa chiamano concordemente la Toscana fortunatissima, perchè Iddio le abbia conceduto un Principe, che in tutte le sue operazioni è raro e mirabile.

P. 234. Tal che quella Real Donna ec.

L’Augustissima Imperadrice Maria Teresa, che del suo dolore per la morte dell’Imperatore suo Consorte diede segni manifestissimi, quanto l’umanità permetteva, senza offendere la conformità ai divini voleri.

P. 235. ......che dal suo germe scese, ec.

Si può dire non pienamente ancora deciso, se la presente Famiglia di Lorena possa fra’ suoi antenati inchiudere Goffredo Re di Gerusalemme. In questa ambiguità è stato lecito all’Autore il tenersi all’opinione, che più favorisce il suo argomento.

P. 236. Quella, che a sè dintorno i vinti aduna ec.

La virtù della vera Fortezza, che consiste nel vincere prima se stesso e poi gli altri, accenna la battaglia di Cornia contro i Turchi, vinta da S. M. I., e le imprese contro ai Collegati dell’Imperador Carlo VII, che costrinse a passare il Reno, espugnato che ebbe Lintz, liberata Praga, e purgata da’ nemici la Boemia.

Ivi. Questa, che i sacri serba ec.

La Giustizia accompagnata dalla retta Politica del Governo. Essa, come azioni da lei insinuate e dirette, addita la Pace, che conchiuse l’Imperatore Francesco [p. 252 modifica]col Gran-Signore e le Africane Potenze; il grande Spedal di Firenze, che rese più salubre; la Marina e il Commercio di Toscana, che accrebbe, e le Scuole di Nautica, che v’instituì; i Bagni di Pisa, che ornò, e più comodi fece; le Biblioteche Toscane, che arricchì di strumenti e di macchine per la fisica e sperimentale filosofia, e provvide di professori con annuali stipendj.

P. 237. La schiera intanto numerosa feo ec.

Finge l’Autore accompagnato il Trionfo dell’Imperadore al Cielo da que’ medesimi, che egli vivendo beneficò e soccorse, cioè: la Toscana, che in tempo di carestia provvide di grani co’ suoi tesori; la gente Volterrana, che sovvenne dalle grandini desolata: la Casa del Rifugio in Livorno da lui animata e approvata; e Livorno stesso da’ tremuoti scosso ed oppresso, generosamente ajutato.

P. 238. I Lotaringhi Duci, e d’Austria i Regi ec.

Molti di numero, e insigni per pietà e singolari per valore furono i Principi di queste due Sovrane Famiglie, che decorarono i loro secoli, esaltarono i loro dominj, e di tutta Europa furono il primo onore.

P. 239. Del numero beato ultima venne ec.

Come la regina di tutte le Virtù ne chiude la mostra la Carità, e le grandi prove dinota, che S. M. I. dell’animosa carità sua seppe dare, e tra esse l’incendio del Magazzino della polvere, accesosi fortuitamente in Vienna vicino alle mine cariche de’ bastioni, spento per opera dell’intrepido Imperadore, che fu il primo a passar su le mine, e a fermarsi sul tremante baluardo per incoraggiare i Granatieri; e vi si tenne sino a fuoco estinto del tutto; e così pure la maravigliosa intrapresa di passare il primo sopra di fragil barca il Danubio a traverso di altissima piena e di grossi e spezzati ghiacci, per portar vitto e soccorso all’innondato Borgo di Leopoldstadt. [p. 253 modifica]

P. 241. Appresentossi d’adamante un lago, ec.

Cioè un lago trasparente come diamante, in quella guisa che come vetro trasparente e a cristallo simigliante era il mare vitreo, che si stendeva davanti al trono di Dio, veduto da San Giovanni nell’Apocalisse (cap. IV v. 6): et in conspectu sedis tamquam mare vitreum simile crystallo.

Ivi. Oltre cui si scorgea ec.

Non diversa cosa vide l’Apostolo San Giovanni nel luogo sopraccitato: Et iris erat in circuitu sedis, v. 3; e presso a poco la stessa il Profeta Ezechiele nella sua Prima Visione (cap. I v. 27 e 28).

Ivi. Il volto, ch’era insieme e volto e luce.

L’idea è tolta da Daniele (cap. VII v. 10): Fluvius igneus rapidusque egrediebatur a facie ejus.

Ivi. Ei col piè, che le nubi ondifer’ ave ec.

La grande immagine viene dall’Apocalisse (cap. IV v. 5): Et de throno procedebant fulgura et voces et tonitrua.

P. 243. Qual da mille torrenti un suon che uscisse; ec.

Suono e voce di molt’acque dissero Ezechiele (cap. I v. 24 e cap. XLIII v. 2), e l’Evangelista Giovanni nell’Apocalisse (cap. I v. 15, cap. XIV v. 2, e cap. XIX v. 6), quando esprimer vollero un grande e straordinario o suono o voce.

P. 245. Che di morte un vapor ec.

Il vajuolo, che fece temer moltissimo della vita di Sua Maestà, Imperatrice Maria Teresa, e tenne a lungo in estrema ansietà, e tormentoso sbigottimento i tanti [p. 254 modifica]Regni e Provincie sue suddite, che la desideravano viva, e tutti ancora i Paesi non sudditi suoi, dove s’ami la clemenza, e la giustizia si stimi, e si ammiri una virtù perfetta.

P. 246. Questi vider in Dio ec.

Che gli Angioli anche qui in terra non lascino di vedere Dio coll’essergli interamente, e per contemplazione presenti, è così certo, come lo è, che sono in ogni momento beati; e la divina Visione è dessa che li bea, come insegnò San Gregorio, Moral. lib. II cap. II.

P. 248. Chi è Costei, che dal deserto poggia ec.

L’A. R. dell’Arciduchessa Maria-Giuseppa, morta nel tempo, in cui dovea stringersi in matrimonio con Sua Maestà il Re di Napoli dopo la guarigione dell’Augustissima Imperadrice Maria Teresa. Fu detto, che prima di morire vedendo l’Augusta Madre addolorata, la consolasse con le seguenti parole: «Già Vostra Maestà mi perdea per sempre, s’io andava Regina di Napoli; è meglio ch’ella mi perda perchè io vada in Paradiso». Quante virtù troverà in esse chi ben le consideri!

P. 249.                     Quel che vedesti, scrivi.

Simile comando ebbe l’Evangelista Giovanni, Apocalisse cap. I v. 11: Quod vides, scribe.