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duodecima 239

Del numero beato ultima venne
     Caritade, e una mano al Duce scelto
     249A trionfar porse, ed avvinto il tenne,
Mentre con l’altra dalle fibre svelto
     Mostrava un cor da vampe avide preso,
     252Che vivo ancor ardea, benché divelto.
Salìa l’Eroe col manto all’aure steso
     Ricco di Croci inteste a gemme e ad auri,
     255E armato di cangiante usbergo acceso,
Che al vario sol par che s’innostri e inauri,
     E coronato la serena fronte
     258Da raggi, che vestìan forme di lauri.
Questa eletta Virtude, a cui fùr conte
     Le pietose di lui magnanim’opre
     261Intente ad alleviar gli oppressi e pronte,
Incominciò: Guardami. Più non copre
     L’eterno mio chiaror la tenebrata
     264Nebbia, che in terra ogni mortal ricopre.
Io tua son, o Francesco; e a te svelata
     Parlo, e quanto oprai teco altrui rammento.
     267Quando arse la fatal stanza serbata
Alla fulminea polve, e in mi momento
     Con tuono, che orrendissimo rimbombe,
     270Scoppiàro alto tra il foco, il famo e il vento
Gli ampj macigni, e le ferrate bombe;
     E breve in tanto lutto era intervallo
     273Per empier di cadaveri le tombe,
Stetti al tuo lato: e sul tremante vallo
     L’intrepida tua voce in tal ruina
     276Sì mossi, che fér ne’ perigli il callo
Quei, che sottrar dovean l’esca vicina
     All’ atre fiamme; e vanto fu sol tuo
     279D’Austria salvata la città reìna.