Altri, che nulli aver potéro schermi
Dallo sterminator nembo, che i colli 216Fe’ di Volterra ignudi d’erba ed ermi,
Gli occhi per lutto disperato molli
Cangiáro in fonti di letizia, ch’egli 219Da povertate e da squallor levolli.
Vergin di gigli adorne anco i capegli
Facili ai rai dell’ingannevol oro, 222O al plauso lusinghier de’ vani spegli,
Da lui ridotte al femminil lavoro,
E chiuse in loco, ove alfin scelta, o forza 225Ozio spegnesse, e onor serbasse in loro;
Garzon robusti, e vegli in fiacca scorza,
Che improvviso di morte orror sottragge 228Da’ smossi tetti, ed a fuggir gli sforza,
Con generosi doni, ed arti sagge
Racconsolati allor, che il fier tremoto 231Scosse il gran porto dell’Etrusche piagge.
Dopo questi scorrean l’etere a nuoto
I Lotaringhi Duci, e d’Austria i Regi 234Con maestose insegne, e in volto noto,
Che in fama di virtù severa egregi
I vergati scoprían sovra i trofei 237Del lor vero valor titoli e fregi;
Or aggiunti allo stuol de’ Semidei,
Perchè a pugnar vili non fúro, o tardi 240Nel duro assalto degli affetti rei.
Poi grandi e lucidissimi stendardi
Sacri all’immago dell’Agnel Divino 243Apparver ondeggiar folti a’ miei sguardi;
Cui gli Angeli dintorno a capo chino
Gridavan: Gloria a Lui, che diè le penne 246All’Uom esule in terra e peregrino.