Tragedie, inni sacri e odi/Inni sacri/Appendice
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APPENDICE
IL PRIMO GETTO DEGL’“INNI SACRI„
IL NATALE.
Nel manoscritto v’è, in principio, la data: 13 luglio 1813; in fine, 29 settembre 1813, e tra molti sgorbi e svolazzi: Explicit infeliciter.
Tra le molte strofe rifatte e rifiutate, mi pare che metta conto di riferire solo le quattro che, nel primo getto, tenevan luogo delle due: L’Angel del cielo... e E intorno a lui... Son queste:
Non lunge a veglia stavano Notte scendea disciolto |
LA PASSIONE.
Il Bonghi avverte (I, 177): «È di tutti quello che ha meno strofe rifatte; e più varianti non cancellate dello strofe attuali. — Ha in principio la data: Incipit 3 marzo 1814, però non ne furono scritte che le due prime strofe, e smise; innanzi alla terza, è scritto: Ripreso il giorno 11 luglio, e dopo la strofa terza e quarta, levò mano da capo; innanzi alla quinta è scritto: 1815, ripreso 5 gennajo, e scrisse le strofe quinta, sesta, settima, ottava; innanzi alla nona, è posta la data: 26 settembre; innanzi alla decima, 28 settembre; in ultimo: Explicit ottobre 1815».
LA RISURREZIONE.
In principio è la data: Aprile 1812; in fine: Explicit, 23 giugno. Da correggersi. «Però», osserva il Bonghi (p. 165), «non si vede che lo correggesse; l’inno è stato stampato come qui è scritto, e non v’ha nello stampato se non due soli versi dei quali nello scritto non è traccia».
Ercole Gnecchi, nel vol. Lettere inedite di A. M., 2ª ediz., Milano, Cogliati, 1900, ha pubblicato il facsimile dell’autografo delle prime sei strofe. Codesto brano, trascritto accuratamente dal Manzoni, fu da Giovanni Torti donato «al sig. Ventura». Le strofe 2ª, 3ª, 4ª e 5ª vi sono tali quali furono poi stampate; la 1ª e la 6ª presentano qualche varietà. Eccole:
È risorto: or come tolta Quei che preso, in sasso angusto |
Questa 6ª strofa, che è l’ultima del brano, fu dall’autore stesso cancellata con due linee in croce.
Dalle carte manzoniane, già esaminate dal Bonghi, appare che la strofa 7ª, Ai mirabili Veggenti..., fu più volte tentata.
Voi che a gente ahi troppo sorda |
La gioia dei fanciulli, che ora è accennata nella sola seconda metà
della strofa 13ª, O fratelli, il santo rito..., era prima espressa in un’intera strofa, cui manca il penultimo o l’antipenultimo verso.
Se il fanciullo in tanta festa
A la madre sua gioconda
Chiederà: che gioja è questa?
— È risorto — gli risponda
. . . . . .
Quei che disse un dì: lasciate
I fanciulli a me venir.
LA PENTECOSTE.
Nei manoscritti, il principio si presenta in due forme molto diverse. Innanzi alla prima, che va sino alla decima strofa, è la data: 21 giugno 1817. Il Manzoni l’ha abbandonata, ma non cancellata. Le prime tre strofe son molto tormentate da varianti, e rifatte per intero due volte, prima di lasciarle da parte. Sonavano così (la prima stesura della prima strofa non ha ancora a posto i versi tronchi):
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Seguivano poi tre altre strofe, qua o là variate ma non rifatte. Esse dicono:
4. È face alta su l’onda |
La settima strofa appar ritentata più volte:
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Qual se la madre è lunge, |
E poi ancora tre strofe:
8. Tal, poi che tratto al colle |
9. Ove credenza al vero [al non visto vero]
Non diè [Negò] l’errante [Negò credenza] Didimo1
E fe’ promessa......
Che vana al rischio uscì;
E poi che in nube il videro
Ascendere all’empiro,
Del suo promesso spiro
Ivi attendeano il dì.
[Da omettersi o da rifarsi].
10. Ecco un fragor s'intese
Qual d'improvviso turbine;
Fiamma dal ciel discese
E sovra lor ristè: [Da correggersi].
Sui labbri indotti [Sui rozzi labbri] il vario
Mirabil suono Ei pose,
Da quel parlar [E da quel suon] pensose
Pender le genti Ei fè.
[Rifiutato.]
Innanzi alla nuova forma è notato: Ricominciato il 17 aprile 1819; e in fine: 2 ottobre. «Nessun altro inno ha più pentimenti, cancellature, tentativi di questo», scrive il Bonghi, che vi si sofferma. Io mi limiterò a rilevare che, dopo le prime due strofe, che gli fluirono dalla penna come poi le stampò (salvo che, in luogo de’ vv. 3 e 4 della 1ª, aveva da prima scritto:
Custode e testimonio |
il Manzoni ritentò d’incastrare la tenera e cara similitudine, intorno a cui aveva tanto, e sì vanamente, lavorato nella prima stesura (str. 7ª e 8ª); ma anche questa volta dovè abbandonare per disperata l'impresa. Ecco i più notevoli tra i nuovi rimaneggiamenti:
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Con questo cuor [Mesto così] degli undici |
La magnifica strofa: Come la luce rapida... è costata molto lavoro. Da prima il Manzoni scrisse:
Felici turbe, in Solima |
Poi, cercò d’esprimere l’effetto della discesa dello Spirito sui popoli con una similitudine, che ritentata lasciò da ultimo a mezza strada:
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O della colpa immemore |
Poi, finalmente, spuntò la similitudine della luce; che si presentò così:
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E seguitava:
Tal la parola, al fervido |
A mezzo della strofa seguente, Adorator degl’idoli..., ripigliava:
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Che diè la penna all'aquila, |
Dopo il verso Nel suo dolo pensò?..., ripigliava:
Dalle infeconde lagrime |
Te sanguinose invocano |
Dell’avvenir fallace; |
Ma qui gli fallì la lena. Vi scrisse più tardi: Ripreso di nuovo il 26 settembre 1822. Ricopiò la strofa: Perchè baciando i pargoli..., e ad essa fece seguire le altre, di poco variate.
Anche della Pentecoste Ercole Gnecchi, Lettere inedite di A. M., p. 155 ss., ha pubblicato il facsimile d’un autografo, che contiene sedici strofe dell’Inno in una forma assai prossima alla definitiva. Ne trascrivo qui le varianti più notevoli.
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E qui, noll’autografo, è una linea di puntini; e niente altro.
IL NOME DI MARIA.
In principio ha la data: 9 novembre 1812; in fine: 19 aprile 1813. Nel manoscritto, in calce della prima pagina, dov’è la prima strofa (il cui quarto verso suona «D’una cognata annosa»), è la seguente osservazione:
All’ingegno umano pajono belle quelle cose dell’arte che hanno analogia con esso. Le regole sono i modi già trovati e posti in uso per arrivare a questa analogia. Coloro che giudicano secondo le regole, intendono principalmente a scoprire l’analogia dell’opera colle regole, e così l’animo loro preoccupato non può sentire se vi sia quell’altra prima analogia. Questi giudizj sono imperfetti per molte ragioni; e le principali sono: che le regole non comprendono tutte le possibili analogie, e che si può errare nell’applicazione di esse anche buone. Il vocabolo pedantesco pare significhi tali maniere di giudizj. L’Inno sembra avesse da principio quest’altro cominciamento:
Cara è a molti fidanza il patrio suolo
E il dì supremo oltrepassar col grido;
Ma di mille volenti, appena un solo
Vince il cimento infido.
[Ma il voglion mille, e vince appena un solo
L’esperimento infido].
Questa cura superba ardea quei grandi
Per cui fu [Figli di] Roma al imperar nudrita,
Che diero in cambio de la fama i blandi
Ozj e la dolce vita.
E quando, oltre tant’Alpe e tanta in pria
Mal tentata onda, in mille terre dome
[E quando ogni Alpe, ogni tentata in pria
Onda varcata...........]
Più che mai bello risonar s’udia
Di quei prestanti [più degni, valenti] il nome...
. . . . . . . . . . . . . . . .
Qui è scritto Incipit, e quella che poi fu, o rimane, la prima strofa. Dopo la strofa: O Vergine, o Signora..., sèguita quest’altra:
I re fan doni a’ tuoi celubri santi; |
La strofa: In che lande selvagge... fu tentata più volte.
Non è di fior, cred’io, tanto selvaggia
Famiglia omai, che de le pinte foglie [di sue ricche spoglie]
Ornato ancor dell’are tuo non aggia
Le benedette soglie............
Qual famiglia di fiori in sì selvaggia
Landa a lontano sol tinge le foglie,
Che ornato ancor........
La femminetta nel tuo sen cortese
L’inosservata lagrima accomanda;
ma, scontento, il poeta vi trascrisse sotto l’oraziano (Poet. 149-50): «Et quae Desperat tractata mitescere posse, relinquit». Per buona fortuna, ci si rimise; e rifece:
Tu de la femminetta che ti prega
L’inosservata lagrima raccogli...
E finalmente, in margine, scrisse i due versi come ora si leggono.
Fra lo tante «cosette per rima» che l’abate Gaetano Giudici, consigliere di Governo per il culto e la censura, aveva raccolte, autografe o ricopiate, del suo grande e venerato amico, il Bonghi rinvenne, e pubblicò, i seguenti Versi improvvisati sopra il Nome di Maria. Non sono autografi, ma che sieno del Manzoni lo attesta una nota di mano del Giudici; e, avverte il Bonghi, «se non aggiungono nulla alla gloria poetica del Manzoni, aggiungono qualcosa alla storia genuina del suo animo». Un’altra copia, con qualche leggiera variante, ne ha letta, e gentilmente trascritta per me, la sig.na Lavinia Mazzucchetti, nell’Album di una signora milanese. Vi è annotato: «Versi di Alessandro Manzoni. Versi improvvisati sopra il Nome di Maria, e scritti da Giulietta nello stesso tempo, cioè la sera dopo il nostro arrivo a Brusuglio, 10 settembre 1823». Li riferisco secondo questa lezione, mettendo tra parentesi le varianti della copia Giudici: dove l’ordine della 2ª e 3ª strofetta è invertito.
Santo nome, in fra i mortali
Quale è il nome che ti avanza?
Tu sei nome di speranza,
Tu sei nome di pietà.
Se d’Adamo il pazzo orgoglio
AI Signor ci fa ribelli,
Per te, o Madre, siam fratelli
Di Colui che ci creò.
Per te ancora al Ciel perduto
Nostra mente si solleva;
Tu ci togli al fallo d’Eva,
Tu ci torni al primo onor.
Quando pesa sul cuor mio
L’ingiustizia de’ mortali,
Quando a me verranno i mali,
Il tuo nome invocherò.
Se dei [da] troppi falli miei
Caggio sotto all’empie some [empio seme (!)],
Ripetendo il tuo boìel nome
Io mi sento confortar.
Egli è umìl non men che mondo,
Questo giglio delle valli;
Nè perch’Ella è senza falli
Mai rigetta chi fallì.
Chè ben sa che s’Ella intatta
Tutto corse il tristo esiglio,
È sol grazia del suo Figlio
Che la volle preservar.
Tu se’ gioja ai cuori afflitti,
Tu se’ guida ai passi erranti,
Tu se’ stella ai naviganti,
Tu se’ grazia ai regnator [peccator].
Se la vita è un triste calle
Tutto sparso [ingombro] di ruine,
Questa rosa in fra le spine
Il cammino allegrerà.
Tu conosci i nostri guai:
Per noi dunque il Figliuol prega;
Se ad ogni uom Egli si piega,
Per la Madre che farà?
Non ti chieggo della terra
Le delizie passeggere,
Nè lo scettro del potere,
Nè la febbre degli onor;
Prega Lui che alle nostre alme
Verso il Ciel dia corso [polso] e lena,
E la polvere terrena
Ci dia forza a disprezzar.
Fa che sempre io mi ricordi
Il colpevol viver mio,
Onde alfin, placato e pio,
Lo dimentichi il Signor;
Onde possa, ancor che indegno,
Rimirarlo senza velo,
E udir gli angioli del Cielo
Il tuo nome risuonar.
FRAMMENTO DELL’INNO «L’OGNISSANTI».
La signora Louise Colet — un singolare tipo di poligrafa e di giornalista errante costei, sulla quale è ora da vedere il vol., forse eccessivamente schernevole, di J. De Mestral Combremont, La belle madame Colet, une déesse des Romantiques, Paris, 1913 (cfr. anche P. Croci, Le peripezie di una Musa, nel «Corriere della Sera», 19 febbr. 1910; e nello stesso giornale, 8 genn. 1912, V. Cian, A. Manzoni intervistato; e nella «Perseveranza», 15 e 23 agosto 1913, R. Calzini, La commedia d’una poetessa romantica) — , essendo venuta a Milano sulla fine del 1859, presentò al Manzoni una copia del suo opuscoletto Le poëme de la femme: I.er récit; la paysanne (Paris, Perrotin, 1853, pp. 32). Vi scrisse sul frontispizio: «Hommage de respect et d’admiration a monsieur Alexandre Manzoni. Louise Colet». Il poeta,rivedendola nel gennaio successivo, le disse: «Voi sentite profondamente la natura. Ho trovato nel vostro poema della donna, e particolarmente nella Paysanne, dei passi che mo l’hanno fatto capire. C’è in quel poemetto un paragone, tra le anime le cui virtù rimangono nascoste, e certi paesaggi montani le cui bellezze son dischiuse soltanto allo sguardo di Dio, che mi ha specialmente colpito; perchè io pure ho fatto un avvicinamento dello stesso genere, in una poesia che non ho poi pubblicata»,
I versi della signora Colet, cui il Manzoni alludeva, son questi (p. 16):
«Pour le désert la nature a des fêtes,
Des lieux choisis que l’homme n’a point vus,
Sur les hauts monts des floraisons secrètes,
De gais sentiers, des lacs, des bois touffus.
Fraîcheur des eaux, aménité des mousses,
Senteurs montant de la terre au ciel bleu,
Combien ainsi vous devez être douces,
Vous déveilant, vierges, à l’oeil de Dieu!
Dans vos splendeurs la cité vous ignore;
Le voyageur ne parle pas de vous.
Mais Dieu vous voit; votre beauté l’adore,
Et vous plaisez è son regard jaloux.
Il est ainsi des âmes inconnues,
Dont les vertus fleurissent en secret;
Tout le parfum de ces urnes élues
Se perd en Dieu comme un encens discret:
Leur sacrifice est offert en silence;
Leur dévouement découle calme et fort,
Leur héroïsme attend sa récompense
Du saint repos que leur promet la mort.
Souffrir l’affront sans qu’aucun bras nous venge,
Subir la faim avec sérénité,
Être martyr sans espoir de louange,
Et s’ignorer dans sa sublimité!
Ames du pauvre, incessantes offrandes
Versant en Dieu vos naïves douceurs,
C’est là, c’est là ce qui vous fait si grandes,
Vous que le Christ doit élire pour soeurs!
Qualche giorno più tardi, il 2 febbraio, la sig.ª Colet pubblicò nella Perseveranza una sua ode al Manzoni; in cui erano queste strofe (cfr. ScheriLLo, Visconti Venosta minore, nella «Lettura» del maggio 1915, p. 405):
Italie, ô terre immortelle! |
De tes destins vivant présage. |
La poetessa mandò la sua ode al poeta, annunziandogli che essa era per lasciare Milano. Il Manzoni le diresse allora la lettera seguente:
«Madame, des vers comme ceux que vous avez eu la bonté de m’envoyer, et la bonté encore plus grande de m’adresser, m’auraient, dans un autre temps, donné l’envie irrésistible, quoique audacieuse, d’y répondre par d’autres vers; mais à présent il ne me reste plus pour la poésie que la faculté de la goûter: je dis cette poésie qui, sortant du coeur, passe par une imagination brillante et féconde. Et puisque, sur ce sujet, vous pourriez ne pas entendre à demi-mot, je suis forcé d’ajouter que c’est de votre poésie que j’entends parler. Je dois encore ajouter quo j’aurais pout-être exprimé ce sentiment d’un coeur plus libre, avant de connaître les louanges qu’une indulgenco excessive vous a dictées, et contre lesquelles je proteste du fond de ma conscience.
Vous trouverez pourtant des vers, madame, en tournant la page; car je ne puis résister à la tentation de vous transcrire ceux dont j’ai eu l’honneur de vous parler, et dans lesquels j’ai eu lo bonheur de me rencontrer avee vous.
C’était dans un hymne commencé trop tard, et que j’ai laissé inachevé, sitôt que je me suis aperçu que ce n’était plus la poésie qui venait me chercher, mais moi qui m’essoufflais à courir après elle. J’y voulais répondre à ceux qui demandent quel mérite on peut trouver aux vertus, stériles pour la société, des pieux solitaires. Ce n’est que dans les deux dernières strophes que vous trouverez, je l’espère, madame, quelques-unes de vos pensées et de vos images, quoique moins vives; je transcris aussi les deux premiòres, pour l’intelligence de l’ensemble».
. . . . . . .. . . . . . . . Ed ecco i versi:
A Lui che nell’erba del campo |
La signora Colet riferì la conversazione avuta col poeta, o pubblicò, insieme con la bella lettera manzoniana, questo leggiadro frammento, nella sua opera, così genorosamente inspirata da simpatia per la causa della nostra indipendenza e unità, e così calda d’ammirazione pel sommo poeta del nostro Risorgimento, L’Italie des Italiens (Paris, Dentu, 1862; vol. I, p. 365-76). Li ripubblicarono poi: A. Stoppani, I primi anni di A. Manzoni, Milano, 1874, p. 243-5; R. Bonghi, Opere ined. o rare, I, 201-3; G. Sforza, Epistolario di A. Manzoni, Milano, 1883, II, 233. — Per le molte inesattezze in cui calde la Colet, cfr. S. S[tampa], A. Manzoni, la sua famiglia, i suoi amici, Milano, 1889, v. IT, p. 289 ss. — Una lettera del Manzoni al D’Azeglio, in cui gli presenta la scrittrice, è tra quelle pubblicate da E. Gnecchi, p. 115.
Il Bonghi annotò: «Quale fosse il titolo dell’Inno cui questi versi appartengono, non è detto da lui; ma un suo amico, che ne ricorda un’altra strofa, crede che così queste trascritte dal Manzoni, come quella tenuta a mente da lui; appartengano ad un inno a’ Santi. Che sarebbe quello che nell’autografo degl’Inni ha titolo Ognissanti, ma di cui ivi non esistono se non i motti latini, che vi sarebbero stati scritti per epigrafe ». Non per epigrafe; da essi invece il poeta pare si proponesse di prender le mosse. Eccoli:
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La strofa che fu tenuta a mente dall’amico del Manzoni, che era forse il Bonghi stesso o il Rosmini (cfr. D’Ovidio, Rimpianti, Palermo, Sandron, 1903, p. 69) o più verosimilmente il Rossari (cfr. Irene Comotti, Luigi Rossari; lettere familiari inedite, Milano, 1910, p. 38 e 182-83), suona così:
Tu sola a Lui festi ritorno |
Essa è, come si vede, una nuova invocazione alla Vergine.
Recentemente (nel 1914), nel tesoretto di Carte Manzoniane dal Pio Istituto milanese pei Figli della Provvidenza ereditato dal figliastro del Manzoni, Stefano Stampa, è stato rinvenuto un assai più lungo frammento di quest’Inno. Ce n’è una trascrizione di mano del Manzoni, con alcune varianti marginali e due cancellature, o quattro di mano della seconda moglie di lui, madre dello Stampa. Su una di queste ultime è annotato: «Copia scritta da Teresa Borri Stampa Manzoni per il mio Stefano» (la sintassi zoppica; ciò che avviene spesso nello lettere di donna Teresa!); su di un’altra: «I versi seguenti saranno tenuti da Peppino e da Giovannino, miei fratelli, saranno tenuti da loro, dico per loro soli soli, o con grande cura che non gli sieno presi, nè sorpresi. Teresa Manzoni Borri Stampa»; e sotto: «Questi versi seguenti furono fatti di A. Manzoni a Lesa, nel 1847». Su di un foglio volante sono ancora trascritti strofette e frammenti di strofe dell’Inno, con la postilla: «Questi versi furono da me Terosa scritti a Lesa, dietro il dettato da (sic) Alessandro che le diceva a mente, ma che non li rammentava interamente. Lesa, 8bre 1857 a sera, presente Stefano e Rossari». L’Inno è pur ricopiato in parto in un fascicoletto, che contieno dell’altro, ed è intestato: Versi inediti di Alessandro Manzoni.
Nella trascrizione di mano del poeta, ch’è quella a cui ci atteniamo, manca il titolo; nelle altre c’è: L’Ognissanti. In tutte manca il principio: cominciano con una serie di puntini. Ma in un fogiio volante di mano di donna Teresa, contenente la «Copia d’un foglio di prove che Alessandro fece», c’è forse, tra alcune Varianti, l’abbozzo d’una o di più strofette che dovrebbero precedere quelle messe in bella copia. Dicono:
E voi che per balze romite
Note
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