Correndo all’abisso, cadeste
In grembo1 a un’immensa pietà;
E come l’umor, che nel limo
Errava sotterra smagrito,
Da subita vena rapito,
Che al giorno la strada gli fa,
Si lancia, e seguendo l’amiche
Angustie con ratto gorgoglio,
Si vede d’in cima2 allo scoglio
In lucido sgorgo apparir;
Sorgente già puri, e la vetta3,
Sorgendo, toccaste, dolenti
E forti, a magnanimi intenti
Nutrendo nel pianto l’ardir;
Un timido ossequio non veli4
Le piaghe che il fallo v’impresse5:
Un segno divino sovr’esse
La man, che lo chiuse, lasciò.
Tu sola a Lui fosti ritorno
Ornata dei primo suo dono;
Te sola più su del perdono
L’Amor che può tutto locò;
Te sola dall’angue nemico
Non tocca nè prima, nè poi;
Dall’angue, che appena su noi
L’indegna vittoria compiè6,
Traendo l’obliquo rivolto7,
Rigonfio e tremante, tra l’erba,
Sentì sulla testa superba»
Il peso del puro tuo piè.