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il primo getto | 339 |
Ed ecco i versi:
A Lui che nell’erba del campo |
La signora Colet riferì la conversazione avuta col poeta, o pubblicò, insieme con la bella lettera manzoniana, questo leggiadro frammento, nella sua opera, così genorosamente inspirata da simpatia per la causa della nostra indipendenza e unità, e così calda d’ammirazione pel sommo poeta del nostro Risorgimento, L’Italie des Italiens (Paris, Dentu, 1862; vol. I, p. 365-76). Li ripubblicarono poi: A. Stoppani, I primi anni di A. Manzoni, Milano, 1874, p. 243-5; R. Bonghi, Opere ined. o rare, I, 201-3; G. Sforza, Epistolario di A. Manzoni, Milano, 1883, II, 233. — Per le molte inesattezze in cui calde la Colet, cfr. S. S[tampa], A. Manzoni, la sua famiglia, i suoi amici, Milano, 1889, v. IT, p. 289 ss. — Una lettera del Manzoni al D’Azeglio, in cui gli presenta la scrittrice, è tra quelle pubblicate da E. Gnecchi, p. 115.
Il Bonghi annotò: «Quale fosse il titolo dell’Inno cui questi versi appartengono, non è detto da lui; ma un suo amico, che ne ricorda un’altra strofa, crede che così queste trascritte dal Manzoni, come quella tenuta a mente da lui; appartengano ad un inno a’ Santi. Che sarebbe quello che nell’autografo degl’Inni ha titolo Ognissanti, ma di cui ivi non esistono se non i motti latini, che vi sarebbero stati scritti per epigrafe ». Non per epigrafe; da essi invece il poeta pare si proponesse di prender le mosse. Eccoli:
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La strofa che fu tenuta a mente dall’amico del Manzoni, che era forse il Bonghi stesso o il Rosmini (cfr. D’Ovidio, Rimpianti, Palermo,