Sull'autenticità degli aurei di Uranio Antonino
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APPUNTI
di
NUMISMATICA ROMANA
XXXVI.
SULL’AUTENTICITÀ DEGLI AUREI
DI URANIO ANTONINO
1.° Scusi Signore, Ella è il Dottor ***
2.° Precisamente, e certo io ho il piacere di parlare al Cav. Gnecchi di Milano.
1.° Per servirla.
2.° Avevo letto il suo nome sulla lista dei forastieri....
1.° Ed io il suo.
2.° Ed ero sulle sue traccie. Dopo una corrispondenza epistolare di parecchi anni, avevo un vivo desiderio di fare la sua personale conoscenza.
1.° Questo desiderio era condiviso da parte mia e sono felicissimo che il caso ci abbia fatti incontrare a S. Maurizio.
2.° Qui le occupazioni non sono molte nè molto assorbenti, e avremo tutto il tempo di fare qualcheduna di quelle lunghe chiacchierate numismatiche, che non si possono tenere per corrispondenza.
1.° Io sono tutto a sua disposizione e col massimo piacere.
2.° Qualche giorno prima della mia partenza ebbi il fascicolo della Rivista Italiana coll’illustrazione del famoso medaglione di Teoderico, che del resto Ella aveva già avuto la bontà di comunicarmi, e pel quale le rinnovo le mie più vive congratulazioni.
1.° Non può immaginare da quante parti mi vennero per quel pezzo, lettere ammirative, ricerche, offerte splendide....
2.° Ma credo che quel pezzo non uscirà dalla sua collezione.
1.° Oh! no certamente. Finché esisterà la collezione, il medaglione di Teoderico ne resterà la gemma più preziosa e non sarà che quando la mia collezione, seguendo la sorte inevitabile di tutte le collezioni particolari, andrà dispersa... ma non parliamo di malinconie....
2.° Mi racconti piuttosto che cosa ha trovato di nuovo. Ella è tanto fortunata, che credo avrà già pronta qualche altra novità.
1.° Non certamente di quell’importanza. Però nell’ultimo mio giro in Italia, la scorsa primavera, qualche cosa a Roma ho trovato, fra cui alcuni pezzi inediti, che a loro tempo vedranno la luce nella Rivista. Ma mi avvenne a Roma un fatto certamente non comune, quello d’acquistare per false alcune monete decisamente autentiche....
2.° È certo più comune il caso contrario.
1.° Pur troppo; ma il fatto eccezionale non è meno vero. E non è a credere che tali acquisti siano stati fatti presso persone estranee alla numismatica, presso contadini o simili. Tutt’altro. Sono i più intelligenti, che ora sono invasi dalla manìa di trovar tutto falso, e alcuni pezzi, fra cui due denari rarissimi della Repubblica, mi sono stati dati per forza come falsi, mentre io mi ostinavo a dichiararli genuini. E il mio giudizio venne poi suffragato da quanti in seguito li videro, ed ho tutta la convinzione che Ella pure sarà del mio parere, quando mi onorerà di una sua visita a Milano e io avrò il piacere di mostrarle la mia collezione.
2.° Ella deve dunque riconoscenza ai suoi amici di Roma; ma sarebbe interessante conoscere il motivo di questa discrepanza fra il giudizio di Roma e quello degli altri paesi.
1.° Questione d’ambiente. A Roma si sono fatte in questi ultimi anni tante falsificazioni, che ora il sospetto è la regola generale e quei signori non vedono più che attraverso una lente che fa loro parere tutto falso.
2.° Conosco le falsificazioni romane fatte con monete autentiche riconiate. La loro apparizione e la loro invasione è paragonabile a quella delle famose ghiande missili d’Ascoli in piombo antico e pattinato, sulle quali un abile falsificatore aveva impresso delle iscrizioni sedicenti antiche. Ricordo che apparvero pochi anni sono e infestarono tutti i musei, ingannando moltissimi fra i più intelligenti archeologi. Al pari di queste, le falsificazioni romane dei bronzi rari e rarissimi sono fatte con tanta maestria da trarre in inganno chiunque non abbia una pratica affatto speciale.
1.° Le conosco anch’io e ormai la pratica posso dire d’avercela fatta ciò che non potevo dire quando apparvero le prime....
2.° Ella pure s’è lasciata cogliere?
1.° Io pure ho pagato il mio tributo e la mia scuola, fortunatamente però con un pezzo di non eccessiva rarità. E pazienza fosse stato solo questione di quattrini. Io ho fatto di peggio. Quel bronzo falso l’ho anche pubblicato come una variante, e solo quando le Tranquilline, le Plautille, i Britannici mi appresero in seguito di che razza di mistificazione si trattava, ne ebbi forte rimorso e vorrei che mi si presentasse l’occasione di conlessare pubblicamente e di rettificare l’errore.
2.° E di qual moneta si tratta, se è lecito?
1.° Del medio bronzo di Quieto che ho pubblicato in non so quale fascicolo della nostra Rivista1. Era uno dei primi bronzi falsificati col sistema della riconiazione d’una moneta genuina e nessuno può pretendere all’infallibilità, io meno che chiunque altro! Lo potrà osservare sulla tavola, poiché vi è riprodotto, o vedrà l’originale che conservo. L’orlo è eccellente, l’ossidazione pure; ma il campo è troppo liscio e certe mancanze del metallo nelle parti più sporgenti del rilievo lasciano intravvedere troppo bene la riconiazione. Insomma, non e’ è rimedio, quel bronzo è falso.
2.° Il mercato di Roma deve essere infestato da questi bronzi riconiati.
1.° Ed è per questo che, come le dicevo, l’ambiente di Roma è tanto saturo di falsificazioni, che ormai tutto si giudica falso, basta che sia un pezzo raro... Ma del resto non giova inferocire troppo contro le falsificazioni di Roma. Io credo che se a Roma abbiamo dei bronzi, sul mercato europeo abbiamo degli aurei....
2.° So di quali aurei intende parlare. Ne abbiamo discorso già un poco per corrispondenza, e fu l’unico punto di discrepanza numismatica fra di noi.
A tutt’oggi però il mio parere non è modificato e io persisto a credere alla perfetta autenticità del mio Uranio Antonino.... e de’ suoi confratelli.
1.° È sempre una cattiva azione l’istillare un dubbio a chi ha la fortuna di possedere la fede, perciò è forse meglio che evitiamo questo argomento. Noi non lo abbiamo toccato per lettera che incidentalmente alcuni anni sono. Se ora ne discorressimo diffusamente, e se io francamente le esponessi il modo di vedere, che me ne sono formato dopo molte e mature riflessioni, temo assai che la sua fede ne rimarrebbe alquanto scossa.
2.° No, anzi, amo parlarne e discuterne colla massima libertà. La verità innanzi tutto. Se c’è un errore, meglio è riconoscerlo, come Ella me ne ha dato l’esempio, che non vivere eternamente nell’illusione. Certo che io non rinuncierò alla mia opinione se non quando il raziocinio mi abbia persuaso a rinunciarvi.
1.° E così dev’essere fra gente che non vuole illudersi. Orbene, colla stessa franchezza con cui le ho confessato il mio errore sul Quieto, io le andrò esponendo le ragioni per cui, a proposito di questi aurei, mi sono nati dei dubbii, dei quali non ho mai potuto liberarmi, e che anzi vanno di giorno in giorno aumentando. E prendiamo la cosa da principio. Onde giudicare dell’autenticità d’un monumento noi abbiamo due fonti cui attingere, la critica storica e il monumento stesso.
2.° Questi sono precisamente i due punti di vista sotto i quali le monete vanno considerate; il primo oggettivo e positivo, il secondo più vago, soggettivo e diremo anzi dipendente dall’impressione individuale.
1.° Ella tiene a premunirsi contro l’esame critico delle monete e contro il mio modo individuale di vedere, ed è giusto; ma l’esame lo faremo insieme e non dispero che alla fine possiamo trovarci d’accordo. Quanto poi alla conoscenza materiale delle monete in questione, tengo a dichiararle, che, per quanto ciò che forma la ragione del mio discorso, mi abbia privato finora e probabilmente mi priverà per sempre, della soddisfazione di possedere nella mia collezione un aureo di Uranio Antonino, ho però avuto fra le mani la maggior parte degli esemplari conosciuti, quelli provenienti dalle vendite d’Amécourt, Belfort, Quelen e qualche altro inviatomi da negozianti. Quasi tutti gli altri poi, e specialmente quelli dei grandi musei, li conosco per le impronte che gentilmente mi furono comunicate, impronte che anzi tengo qui e che osserveremo di mano in mano che ce ne verrà l’occasione.
2.° Ella si è armato di tutto punto per combattere su questo argomento.
1° Venendo a San Maurizio non potevo certo immaginare di trovare un avversario da combattere, né d’avere il piacere di questo colloquio con lei; ma ho portato meco tutto quanto riguarda la curiosa numismatica di Uranio Antonino, coll’intenzione di dedicare qualche giornata di pioggia al coordinamento delle varie annotazioni, che da molto tempo vado prendendo su quest’argomento, che mi perseguita. Tengo qui le impronte dei pezzi che si conservano nei pubblici musei e i cataloghi, in cui vi sono riproduzioni dal vero. Schierando qui il tutto davanti a noi, sarà precisamente come se avessimo qui tutti gli aurei e possiamo osservarli e confrontarli a nostro agio. Quanto a me le assicuro che ogni volta che mi cadono sotto gli occhi, mi si ripete tale e quale l’impressione che ne ebbi la prima volta.
2.° E qual’è questa prima impressione?
1.° È complessa e non buona. E mi spiego. Vedo in primo luogo una serie d’aurei, che dovrebbero essere rarissimi, tutti, meno uno, nello stato della pili perfetta conservazione, e questo non mi piace. Vedo in secondo luogo, apparenti a prima vista, molte ripetizioni di conii, e questo pure non mi piace. Vedo poi anche un certo tipo nelle rappresentazioni e nei caratteri, che si scosta da quelli di tutte le monete che sono abituato a vedere, e questo mi piace ancora meno, perchè non c’è alcuna ragione che le monete rare debbano avere un aspetto differente da quelle comuni.
2.° Credo d’avere una risposta a tutte e tre le osservazioni.
1.° E sarò felice di sentirle, felicissimo poi se le sue ragioni saranno più forti delle mie in modo da obbligarmi a mutar parere, perchè non vorrei essere frainteso, non vorrei cioè che ella credesse a un partito preso da parte mia. Tutt’altro. Io non ci ho alcun interesse né alcun piacere ad esprimere una opinione diversa dalla sua e da quella di molti altri; mia sola intenzione è quella di comunicarle sinceramente, giacché ella lo desidera, i pensieri che passarono per la mia mente riflettendo su questi aurei, i quali del resto non è solo a me che abbiano dato a pensare. Procediamo dunque con ordine. Meno il vecchio pezzo (conservator avg) del Gabinetto di Parigi (Tav. VI, n. 1), il quale dimostra d’essere stato lungamente in circolazione e, pel suo foro, d’essere stato anche portato al collo quale amuleto o appeso quale ornamento sui capelli di qualche bella armena, tutti gli altri sono ruspi, sembrano usciti or ora dalla zecca, e non ebbero mai circolazione. Questo fu il primo fatto che mi insinuò qualche dubbio e parmi ce ne sia anche la ragione.
2.° Eppure monete fior di conio assolutamente genuine ve ne sono e molte.
1.° E non sarò io certo che lo negherò; ma conviene fare qualche considerazione. Le monete a fior di conio non rappresentano che un tenuissimo per cento nel complesso delle monete che l’antichità ci ha tramandato, il che è naturalissimo e ben facile a comprendersi. Ora essendo, proporzionatamente al numero totale, così scarso quello dei fior di conio, è anche naturale che questi debbano essere estremamente difficili a trovarsi fra le monete rare; ossia, se su cento aurei d’Adriano o d’Antonino Pio se ne trovano dieci a fior di conio, fra gli otto o dieci conosciuti d’un piccolo tiranno sarà assai se se ne potrà trovar una. E c’è poi un altro ragionamento che prova come la proporzione dei fior di conio debba essere assai minore nelle monete dei tiranni che non in quelle dei grandi imperatori. Sotto questi, la zecca di Roma riversava fiumi di monete in tutte le parti dell’impero pel soldo delle truppe, che stavano di presidio nelle provincie o in guerra ai confini. Queste spedizioni di danaro venivano fatte dal pubblico erario e talvolta anche direttamente dalle officine monetarie e quindi con monete nuove di zecca. Alcune di tali spedizioni, messe in salvo sotterra in un momento di panico, costituirono quei tesori, che di quando in quando, venendo in luce, ci forniscono le monete a fior di conio. Ma sotto il regno dei piccoli tiranni, che coniavano le monete in limitatissime proporzioni, non è supponibile che avvenissero simili spedizioni ufficiali, e le loro monete, che vengono trovate isolatamente qua e là, sono per la maggior parte di mediocre o pessima conservazione; esempio i denari di Pescennio, Pacaziano, Driantilla, ecc., i bronzi di Nepoziano e d’Alessandro tiranno e così via. Si tratta di monete che ebbero un corso più o meno lungo, che furono singolarmente perdute o dimenticate o rimaste nel terreno dopo la morte del proprietario, caduto forse su di un campo di battaglia, e in tali circostanze un fior di conio non può essere che una rara eccezione. Ne viene dunque che il caso degli aurei di Uranio Antonino, trovati singolarmente, a parecchi anni di distanza, sempre nel più perfetto stato di conservazione, è un caso unico, che tiene del misterioso.
E questo non è tutto. Al caso unico e strano della conservazione va unito un altro fatto egualmente strano e pure unico, la ripetizione dei conii. Si dice comunemente che non si trovano due monete romane del medesimo conio. Quest’asserto è certamente una esagerazione; ma prendiamolo pure come un modo di dire per esprimere l’immensa quantità di conii diversi che si riscontrano per la stessa moneta e la difficoltà estrema di trovare il medesimo conio ripetuto. Per citarle qualche esempio, nessun conio ripetuto si trova fra i 560 aurei del Gabinetto di Brera, nessuno fra i 1010 della mia collezione, neppure fra i 30 di Domiziano tutti a fior di conio e tutti provenienti da un unico ripostiglio, quello di Szeghedino. Quantunque dodici fra questi portino la medesima testa e la medesima leggenda: DOMITIANVS AVGVSTVS, pure tutti sono prodotti da conii differenti. Dirò di più. Tre anni sono, acquistai in Sicilia un grosso ripostiglio di denari della repubblica. Ebbene, su 148 denari di Pompeo che vi si contenevano, non mi fu dato di trovarne due prodotti dal medesimo conio. Ad onta di ciò è da ammettere che ragionevolmente un conio anche all’epoca romana dovesse servire per un certo numero di monete, e non è impossibile e neppure improbabile trovare dei conii ripetuti Difatti, prendendo ad esame il Catalogo d’Amécourt trovo fra mille aurei tre conii ripetuti e precisamente la testa di M. Aurelio nei due aurei 317 e 318, quella di Commodo nei nn. 354 e 355 e quella di Settimio Severo nei nn. 381 e 382. Ma da questo al caso di Uranio ci corre. Nell’esiguo numero di 15 o 16 esemplari conosciuti, o per essere più precisi, sugli undici soli esemplari di cui io posso giudicare — gli otto dei musei pubblici e tre di collezioni private, — senza accennare alle semplici ripetizioni, abbiamo un rovescio che si ripete ben quattro volte e un dritto che si ripete sei volte! Sul totale dei pezzi le ripetizioni saranno dunque certamente più numerose; ma anche le sole accennate presentano una eccezione così palese, che ha dello strano, per non dire dello stupefacente. Negli aurei d’Uranio Antonino non v’ha quasi conio che non sia ripetuto; non v’ha alcun tipo di rovescio prodotto da due conii diversi, e io sfido chicchessia a citarmi un altro esempio simile. Noi ci troviamo quindi davanti a due casi unici i quali, per la loro concomitanza, si aggravano a vicenda.
2.° Prima di lasciarla proseguire nella sua requisitoria, vorrei rispondere a questi due punti, i quali, se hanno una certa apparenza di gravità, possono cadere davanti ad un’ipotesi differente da quella, che Ella ha fatto; e l’ipotesi è questa. Gli aurei d’Uranio Antonino non furono trovati singolarmente ad uno ad uno nel periodo di diversi anni, ma sono il prodotto di un unico ripostiglio.
1.° E come avvenne allora che il primo — intendo il primo a fior di conio — apparve nel 1843, e gli altri successivamente e interpolatamente fino ad oggi?
2.° La spiegazione è semplicissima. Il ripostiglio cadde nelle mani di astuti speculatori orientali, i quali, onde sostenerne il prezzo, ne posero in commercio uno o due per volta, di mano in mano che si presentava un cliente; e, ammesso questo stratagemma, è ammissibile non solo che parecchi ne siano man mano apparsi; ma altresì che altri possano in seguito apparire. Con questa ipotesi, affatto naturale, di un unico ritrovamento restano appianate tutte le difficoltà, sia riguardo alla loro ottima conservazione, sia riguardo alla ripetizione dei conii, difficoltà, che altrimenti sarebbero davvero poco spiegabili.
1.° Questa è la spiegazione, che mi venne data due anni sono anche dal compianto Sig. Montagu di Londra, che pure ebbi il piacere di conoscere qui in Engadina. Ebbi anche con lui un lungo colloquio su quest’argomento un giorno che fui a trovarlo a Pontresina, ove si trovava colla sua famiglia. Non occorre dire come egli fosse strenuo difensore degli aurei d’Uranio Antonino, di cui possedeva parecchi esemplari, ed io sono il primo a riconoscere la sua grande competenza. Ebbene, alle mie obbiezioni ribattè appunto colla supposizione di un unico ripostiglio. Ma, come risposi allora, rispondo ora a lei: È seriamente ammissibile questa fenomenale pazienza di ritrovatori, che dura per oltre mezzo secolo, e forse non è ancora esaurita? Sarebbe il terzo caso unico e strano da aggiungere ai due primi.
2.° Unico e strano forse si; ma da aggiungere ai primi due no, perchè, ammesso questo, mi pare che gli altri due resterebbero eliminati.
1.° Fino a un certo punto, perchè, accettando anche come Ella vuole, il ripostiglio e l’astuto e paziente ritrovatore, una spiegazione sarebbe pur sempre necessaria per gli altri due fenomeni, tanto più che si tratta d’un tiranno minuscolo, il quale forse non regnò che pochi giorni e del quale non rimase quasi traccia nella storia, al punto da lasciare in parecchi perfino il dubbio se mai sia veramente esistito. Il caso di un ripostiglio in simili condizioni è un caso unico, e i casi unici danno a pensare.
2.° Altro è dare a pensare, altro è essere una prova assoluta per negare ciò che altri ammette.
1.° Ed io sono ben lontano dal considerarlo tale. Non bisogna dimenticare che noi siamo sempre in quei primi argomenti, che abbiamo classificati per soggettivi, i quali, presi singolarmente ad uno ad uno, non hanno certamente gran forza; ma tutti insieme ne acquistano assai quando vengono riuniti. E questi argomenti non li abbiamo ancora esauriti. Ci rimane il tipo. Osservando una tavola di questi cataloghi, in cui fra le altre monete, è riprodotto un aureo d’Uranio, mi colpisce sempre a prima vista la differenza di tipo che questo presenta in confronto agli altri aurei contemporanei, e prendiamo pure largamente i contemporanei, da Elagabalo a Filippo, abbracciando tutta l’epoca, in cui, a seconda delle diverse opinioni, può essere caduto il regno effimero d’Uranio.
2.° Ma è il tipo siriaco.
1.° Questo è ciò che si afferma. Il tipo lo si classifica per siriaco. Ma quale fondamento ha quest’affermazione? A me invece, per quanto l’osservi — qui, lo sappiamo, siamo ancora nel campo soggettivo — si presenta come un tipo affatto speciale, di cui non trovo riscontro in nessun’altra moneta. Lasciamo da parte il vecchio aureo del Gabinetto di Parigi CONSERVATOR AVG, il quale potrebbe essere confuso con un Caracalla oppure con un Elagabalo barbaro o siriaco, come le piace, — e fors’anche lo sarà, come lo stesso Eckhel ha dubitato; — ma di grazia, dove troviamo noi altre monete siriache, le quali presentino il tipo di quelle d’Uranio? Io davvero non ne ho mai vedute. Nei caratteri delle monete d’Uranio io vedo bensì uno sforzo d’imitazione; ma, per quanta buona volontà ci metta, non riesco a vederci il così detto tipo siriaco, tanto più che il tipo non è unico ma vario, come ora vedremo. E quello che dico dei caratteri, lo potrei ripetere delle rappresentazioni. Per conto mio, attraverso allo sforzo dell’imitazione dell’antico, veggo trasparire in modo troppo evidente il moderno! Il ritratto stesso di Uranio ha qualche cosa che non armonizza colle teste romane, sia pure dei tiranni, e mi ricordo che un mio amico, assolutamente profano alla numismatica, scorrendo un giorno le tavole del Catalogo Quelen, e additandomi appunto il n. 1517, mi disse: " ma questa sembra una testa inglese e non romana „! Osservi, Signor Dottore, questa Fortuna, questa quadriga, le pajono di modellatura antica? A me no certamente....
Ma noi qui ci innoltriamo più che mai negli apprezzamenti individuali, i quali possono aver peso fino a un certo punto. Tronchiamo dunque la questione del tipo, che del resto ci ritornerà naturalmente, e veniamo alla questione storica.
Negli aurei d’Uranio noi troviamo due imitazioni evidentissime — qui non è più questione d’apprezzamento personale, ma di fatto. — Imitazione delle monete d’Elagabalo (di cui qualche rovescio, come quello del leone e la leggenda: P M TR P XVIII COS III P P, è ripetuto così servilmente, da dover conchiudere che chi lo copiava non ne comprendeva il significato) e imitazione pure servilissima d’una moneta di Filippo, col cippo e la leggenda: SAECVLARES AVGG. Ora l’importante è determinare quale sia l’epoca da assegnarsi al regno di Uranio Antonino.
2.° Uranio visse certamente dalla fine del regno d’Elagabalo al principio di quello di Severo Alessandro, come lo provano i pochi documenti storici che ci sono rimasti e più di tutti il rescritto di quest’ultimo imperatore. Anche il Cohen ammette quest’epoca, adducendo che il tipo delle sue monete è quello delle monete siriache d’Elagabalo, tipo, che durò ancora un paio d’anni dopo la sua morte. Il Feuardent pure, coll’autorità che bene gli compete, nella seconda edizione del Cohen, conferma pienamente quanto il suo predecessore aveva asserito.
1.° Ed io sono completamente del suo parere, come penso lo siano i più; ma badi bene che questa affermazione è molto grave da parte sua per le inevitabili conseguenze che trae seco, tutte sfavorevoli alla sua tesi.
2.° Mi pare di indovinare a che cosa Ella vuole alludere; ma credo aver anche pronta la difesa.
1.° Il Lenormant nel 1843, occupandosi nella Revue Française dell’aureo, allora apparso, col rovescio della pietra conica, ora al Museo Britannico, (Tav. VI, n. 7) sostenne appunto che l’epoca di Uranio Antonino fosse al principio dei regno d’Alessandro, vale a dire verso il 222 dell’era nostra, e tale fu l’opinione comunemente accettata, finché nel 1886 il Froehner, all’apparire dell’aureo con SAECVLARES AVGG, (Tav. VI, n. 6) provò che l’epoca di Uranio va invece portata al regno di Filippo; ciò che, data la moneta, non era molto difficile, anzi veniva di necessaria conseguenza.
2° Ed ecco l’errore!
1° Come l’errore? Chi non volesse ammettere che l’aureo in questione è una imitazione delle monete di Filippo e precisamente di un suo denaro, (giova notare anche questa circostanza), non potrebbe che fare la supposizione contraria, ossia che fosse stato Filippo l’imitatore; ciò che sarebbe a mio credere assurdo per più di un motivo. Che un tiranno imiti le monete di un potente imperatore è cosa naturale e ovvia; ma il caso inverso, chi vorrebbe assumersi di spiegarlo? E poi, se la moneta è perfettamente logica, coniata da Filippo o meglio dai Filippi padre e figlio imperatori associati, nell’occasione delle feste millennarie di Roma, non avrebbe alcun significato nella supposizione che l’inventore fosse stato il tiranno Uranio. Rimarrebbe un nonsenso e sarebbe affatto inesplicabile.
2.° E se invece ci fosse un modo assai naturale da spiegare questo non-senso inesplicabile?....
1.° Sono curiosissimo di sentire questa spiegazione, che davvero non so neppure intravvedere.
2.° Gli aurei d’Uranio sono certamente contemporanei a quelli d’Alessandro, come oramai tutti ammettono. Difatti furono trovati frammisti ad aurei d’Elagabalo e d’Alessandro stesso. 11 Froehner s’è ingannato riportandolo al regno di Filippo, pel rovescio del cippo, il quale invece, nell’aureo d’Uranio, è destinato a consacrare un’èra de’ suoi augusti antenati, perchè è noto che Uranio pretendeva discendere dalla grande e celebre famiglia degli Antonini, di cui aveva assunto il nome.
1.° Ecco una spiegazione, che, confesso, mi riesce affatto nuova e inaspettata.... ma, mi scusi. Dottore, non altrettanto persuasiva. O noi ammettiamo l’autenticità della moneta e sto col Froehner, e glie ne dirò ora i motivi; o la riteniamo apocrifa....
2.° Ah! no. Io la ritengo perfettamente autentica, ma sentirò volentieri per quali ragioni non trova la mia spiegazione ammissibile.
1.° Prima di tutto l’ipotesi di feste secolari a proposito di una più o meno ipotetica discendenza, e celebrate da un piccolo tiranno, che avrà avuto ben altro da pensare per mantenere il suo effimero potere, è un po’ forte; ma non voglio fare inutili difficoltà. La cosa, per quanto poco probabile, non è assolutamente impossibile e, siccome sono certamente avvenuti tanti fatti che noi ignoriamo, nulla osta a che se ne possa ammettere uno di più.
Ma è la moneta stessa che ci offre i dati più sicuri e più indiscutibili per affermare che essa — autentica o no — non può essere che l’imitazione di una di Filippo e precisamente di un suo denaro. Osservi l’impronta (Tav. VI, n. 6). Se a caso vergine, e non sapendo di che si tratta, le capitasse sott’occhio questo rovescio, osservandolo superficialmente, senza far attenzione al cambiamento del COS III in COS I, potrebbe ella ritenerla d’altri che di Filippo? No certamente, nè lei, nè nessuno che abbia appena un pochino di pratica di monete romane, perchè questo è precisamente il cippo così noto e così caratteristico delle monete di Filippo, questo è lo stile, questo.....
2.° Ma c’è la differenza nell’iscrizione del cippo, che pure vuol dire qualche cosa.
1.° Sì, il COS III di Filippo venne mutato in COS I, ciò che per me forma una nuova aggravante. L’incisore delle monete d’Uranio, che non si è peritato a riprodurre tale e quale la leggenda TR P XVIII dell’aureo d’Elagabalo, avrebbe forse fatto meglio, a conservare anche il COS III di Filippo, piuttosto che correggerlo con una forma così inusitata, che dà a pensare per sè stessa. La forma COS I non poteva certo venirgli ispirata naturalmente; ma dimostra all’evidenza che è una correzione male ideata del COS III. Lascio la questione se Uranio si fosse fatto nominare console o meno. Io propenderei pel no, altri potrebbe credere di sì; ma, prescindendo dal fatto, su quale altra moneta vediamo noi scritto COS I in luogo del semplice COS?
2.° È vero che questa forma è affatto inusitata; ma giova tener presente che la moneta è barbara o almeno semi-barbara, e non possiamo attenerci strettamente alle regole generali. Ma, se mi permette un’osservazione, signor cavaliere, mi pare che ella continui a considerare l’aureo come posteriore a Filippo, mentre ciò non è ancora dimostrato...
1.° Per me la cosa è tanto evidente che non potevo prescinderne. Ma ella ha ragione. Prendiamolo qual’è per se stesso, lasciamo la questione del COS I e osserviamo la leggenda circolare. È nello spirito e nella lettera di questa che sta la prova principale contro l’aureo incriminato. Come si spiega che, abbandonando i famosi tipi siriaci — i quali però si conservano al dritto — nel rovescio di quest’aureo si adottino i caratteri così tipici dei denari di Filippo? E si noti dei denari, perchè questi caratteri non si trovano mai sugli aurei. È solo per l’argento e pel bronzo, che questi caratteri vengono introdotti sotto il suo regno, mentre erano affatto sconosciuti prima, o solo accennati, se vogliamo, sotto Gordiano III. — Osservi ancora bene una volta il complesso di questo famoso rovescio, il tipo della rappresentazione e quello della leggenda, lo stile, i caratteri e mi dica sinceramente se si può ritenere che non sia una imitazione di Filippo. Negarlo sarebbe negare la luce del sole. E, dato questo, a quale conclusione si arriverebbe? Si arriverebbe a dover ammettere non solo ciò che abbiamo trovato assurdo, cioè che l’imperatore Filippo avesse imitato servilmente la moneta d’un tiranno, adottandone il tipo per le numerosissime monete ricordanti una delle circostanze più solenni del suo regno, il millennario di Roma; ma, peggio ancora, bisognerebbe accettare anche l’altro assurdo, che il tiranno avesse inventati lui, divinandoli 25 anni prima, i caratteri che dovevano poi essere addottati da Filippo. E poi, perchè mai il tiranno avrebbe scritto SAECVLARES AVGG al plurale come scriveva Filippo, regnando associato col figlio?
2.° Quest’ultima osservazione la ritengo affatto secondaria, il plurale AVGG potendo riferirsi a SAECVLARES ossia: LVDI SAECVLARES AVGVSTI, come forse deve leggersi anche sulle monete dei Filippi; ma una digressione filologica ci allontanerebbe forse troppo dal nostro argomento. Mi permetta quindi di sorvolarvi, preoccupato, come sono, dalla prima osservazione da lei fatta, la quale è certamente della più alta gravità, anzi forma il punto capitale della questione. E qui bisogna confessare che non è questione di giudizio subbiettivo e d’opinione personale. Non si può a meno di riconoscere i caratteri di Filippo sul rovescio di questo aureo, e veramente non vedo come uscire dal dilemma da lei posto, tanto che sarei quasi tentato di concedere che l’aureo fu veramente imitato da Filippo.
1.° Accetto volontieri la concessione, quantunque non esplicita, e che per me è inevitabile; ma concessione chiama concessione. Ammesso che l’aureo sia stato coniato non prima dell’anno 248, non sarà pili possibile mantenere l’epoca d’Uranio al tempo d’Alessandro; ma sarà necessario, contro ogni testimonianza storica e contro ogni raziocinio, seguire il Froehner, e trasportarla a quella di Filippo. E allora come spiegheremo le riproduzioni di monete di predecessori morti da un quarto di secolo? e come spiegheremo il persistere sugli altri aurei di Uranio e sul dritto di questo stesso del famoso tipo siriaco fino a quest’epoca, simultaneamente col tipo di Filippo al rovescio, mentre, come ella ricordò, il Cohen e il Feuardent accordano a quel tipo la durata di soli due anni oltre il regno d’Elagabalo? La mi creda, caro Dottore, andiamo in uno di quei gineprai, da cui non si esce più.
2.° A meno d’ammettere....
1.° Che questi famosi aurei....
2.° Siano una mistificazione!
1.° Ecco la parola. Tale è a un dipresso la mia idea, quando si faccia un’eccezione pel pezzo più infelice di conservazione, quello del Gabinetto di Parigi, e forse una seconda per quello scomparso nel 1831 e che ora non possiamo più giudicare, non esistendone alcuna impronta.
2.° Eppure non siamo ancora a questo punto. Dopo le ragioni addotte, e, non potendo persuadermi a mutare per comodo d’una moneta l’epoca ragionevolmente assegnata ad Uranio Antonino, io mi sentirei forse disposto a un sacrificio parziale, ma non al totale. Non vedendo più modo di difenderlo, sacrificherei l’aureo SAECVLARES AVGG.
1.° Badi che il sacrificio parziale equivale al totale. Rifletta bene prima di darmi l’arma in mano.
2.° Il rovescio SAECVLARES AVGG è assodato, pei motivi da lei indicati, che non può essere se non una imitazione di Filippo, e quindi è impossibile che sia stato coniato al tempo d’Uranio. La sconcordanza paleografica tra il dritto e il rovescio è troppo palese, non ha riscontro in nessun’altra moneta e non ha modo d’essere giustificata. Facendo anzi io stesso qui una osservazione che a lei forse è sfuggita, gli A di questo rovescio non solo sono imitati da quelli di Filippo, ma ne sono l’esagerazione e direi quasi la caricatura, mentre nessunissimo accenno a questo tipo troviamo negli A del dritto; e per colmo di stranezza il tipo siriaco è conservato nella R dello stesso rovescio. Se a ciò aggiungiamo anche la forma irregolare dell’iscrizione del cippo, ne abbiamo d’avanzo perchè l’aureo sia condannato. E per parte mia lo condanno e lo dichiaro francamente.
1.° Ed ecco ora le tristi conseguenze di tale condanna. Il dritto di quest’aureo, che si ripete nei due esemplari conosciuti, ossia in quello di Berlino (Tav. VI, n. 6) e in quello della collezione già Belfort, è prodotto dall’identico conio dell’altro col rovescio FECVNDITAS (Tav. VI, n. 2) del Museo di Parigi, dell’altro col leone (Tav. VI, n. 4) pure del Museo di Parigi e ancora dell’altro colla quadriga (Tav. VI, n. 5) del Museo di Berlino. Se tale associazione non basta, osservi come il rovescio FECVNDITAS che nel n. 2 ha questo dritto, è lo stesso che nel n. 8, ossia nell’esemplare del Museo Britannico, corrisponde ad un dritto differente, mentre in altro esemplare che una volta mi venne trasmesso in esame da un negoziante, e che ora non so più dove sia andato a finire — forse nella collezione del Signor Dottore?.., — vi corrisponde il dritto dei numeri 3 e 7. Così tutti i pezzi dei pubblici musei e delle private collezioni, ossia tutti gli aurei conosciuti, restano fra loro così collegati e concatenati che, se uno cade, cadono tutti.
2.° Ma dunque è un’ecatombe!
1.° Me ne spiace, ma così è. Tolta una pietra, tutto l’edificio crolla. E da qui vede l’importanza della ripetizione dei conii, di questo fatto nuovo nella numismatica romana.
2.° Pur troppo mi persuado che ragioni a dubitare ve ne sono e molto forti....
1.° Giacché ora abbiamo, come si dice, sbarazzato il terreno, mi permetta di fare per un dippiù anche qualche osservazione generale sul modo e sulla progressione dell’apparire di questi aurei sul mercato. Eckhel nel 1797 non conosce che l’unico esemplare del Gabinetto di Francia, il quale è ancora l’unico descritto nel 1827 da Mionnet, quello col rovescio FECVNDITAS, che fu distrutto nel 1831; ma che, malgrado ciò, doveva diventare fecondo in seguito. Lenormant nel 1843 descrive il secondo (primo di quelli a fior di conio) CONSERVATOR AVG colla pietra conica, della collezione Dupré. Cohen nel 1860 non descrive che i due precedenti, avvertendo che non si conoscono che questi due esemplari. Il secondo è quello di Dupré passato alla coll. Wigan di Londra. Del primo era venuto in luce un altro esemplare (primo dei diversi a f. d. e. col rovescio FECVNDITAS) acquistato dal Museo Britannico (Tav. VI, n. 8). Feuardent nella seconda edizione del Cohen ne dà quattro, aggiungendovi quello della pietra conica (Tav. VI n. 7) e quello della Minerva (Tav. VI n. 3). Froehner nel 1886 ne dà cinque con quello famoso del cippo; nel 1893 il Gabinetto di Parigi acquista il sesto col leone (Tav. VI, n. 4) pubblicato da Blanchet nella Revue Française e finalmente nel corrente 1895 lo stesso Blanchet ancora nella Revue française ne descrive un ultimo col rovescio FORT REDVIX . Sono dunque sette i tipi attualmente conosciuti e gli esemplari, da un conto che faccio approssimativamente, dovrebbero essere una quindicina o poco più, di cui la metà sta nei pubblici Musei di Londra, Parigi e Berlino, l’altra metà presso privati.
Ora, fino al principio del nostro secolo, le collezioni pubbliche e i raccoglitori privati, si accontentavano delle conservazioni comuni o anche delle cattive per le grandi rarità.... nulla di più naturale e di più ragionevole. Fu solo dopo il primo quarto del secolo che sorsero i grandi raccoglitori, amanti delle grandi rarità, ma più ancora, anzi sopratutto, delle splendide conservazioni. Alle conservazioni eccezionali si sacrificò tutto il resto; un pezzo anche rarissimo non era ammesso per poco che la conservazione lasciasse a desiderare. Trascurandosi il lato storico e scientifico d’una collezione, non si voleva che il bello per la vista e si ebbero così delle collezioni limitate ai pezzi d’oro. Fu allora che nel periodo di pochi anni, vennero in luce gli aurei fiammanti di Uranio Antonino, insieme ad altri nomi della più grande rarità, e ne vennero in numero sufficiente da accontentare i desiderii di tutti quelli che erano in grado di saziare le brame dei venditori. Volete un Uranio Antonino? Nulla di più facile; questione di prezzo.
Ora tutto ciò potrebbe essere un caso, una fortuita combinazione; ma bisogna pure convenire che quando molti casi eccezionali si accumulano è anche naturale e giustificato un certo dubbio; e per parte mia, prontissimo sempre a ricredermi, quando mi venissero opposte ragioni più forti delle mie, confesso che ho un gran timore che noi ci troviamo di fronte a un nuovo Becker più abile dell’antico, o abile quanto l’antico in ragione dei tempi, il quale esercita la sua turpe industria, infestando le migliori collezioni del mondo, come già le aveva infestate il suo predecessore; e noi siamo vittima di una colossale mistificazione, forse non limitata agli aurei d’Uranio Antonino.... Può darsi che il mio pessimismo sia eccessivo, può darsi ch’io m’inganni e me l’auguro sinceramente; ma per ora non posso liberarmi dall’incubo che verrà un giorno in cui la luce si farà e molti saranno allora i disillusi....
2.° Ma pure il giudizio di tanti collezionisti e di tanti numismatici non ha un gran peso? Io stavo quasi per aderire completamente alle sue idee; ma quando penso che tanti illustri raccoglitori hanno idee diametralmente opposte e riposano in piena buona fede sugli aurei pagati tanto profumatamente....
1.° Certo questo è uno dei principali argomenti per cui ho sempre tenuto per me solo, od ho comunicato confidenzialmente a qualche amico i miei dubbi. Il mio scetticismo sembra a me stesso peccare d’un poco di presunzione, perchè decisamente ci sono numismatici di primissimo ordine, di nome e d’autorità ben superiore alla mia, che giudicano gli aurei indubbiamente autentici. Ma con tutto ciò non credo di trovarmi in così completa opposizione con tutti come ella sembra supporre. Fra i numismatici che conosco, ve ne sono parecchi che da tempo sono fortemente preoccupati e dubbiosi, che si trovano impensieriti dal successivo apparire di questi aurei in proporzioni e in circostanze inquietanti, come dalle molteplici difficoltà che offre la numismatica di questo famoso Uranio; ma che, interpellati, esitano, si nascondono nel mistero, temono di compromettersi pronunciando un giudizio, ed anzi raccomandano prudenza e riserva come su di un argomento scottante, che è meglio non toccare. Ne conosco invece altri più espliciti e franchi, i quali, se non hanno mai parlato in argomento, gli è che l’occasione è loro mancata, e le potrei citare il nome autorevolissimo di un ben noto collettore e numismatico con cui sono da lungo tempo in corrispondenza su quest’argomento, il quale, come mi scriveva ancora questi ultimi giorni, condivide completamente le mie idee.
Quanto ai grandi raccoglitori, aggiungerò che, se fra questi vi hanno delle capacità superiori e delle autorità indiscutibili, ve n’ha certamente anche qualcuno, che, pari alla manìa di possedere pezzi di esimia rarità e ai mezzi di procurarseli, non ha l’intelligenza o la pratica per giudicare dell’autenticità.
Avevo tale convinzione fino da 8 o 10 anni fa e una volta volli cavarmi il capriccio di farne la prova, scegliendo appunto le monete d’Uranio, che fino d’allora non m’ispiravano fiducia. Da un incisore di Milano feci allestire due conii. Su di uno feci incidere una testa di Uranio Antonino, togliendola da un’impronta che tenevo; ma volgendola a destra invece che a sinistra e, pel rovescio, onde il pezzo fosse affatto inedito, feci copiare un denaro di Filippo con FIDES MILITVM. Con un grano d’oro del peso voluto feci coniare da un fabbro la moneta mediante un colpo di martello ed ebbi così un aureo della più indubbia falsità, e, aggiungerò anche, di una falsità abbastanza facilmente riconoscibile, come primo lavoro di un incisore abituato a far conii di medaglie moderne, e digiuno d’ogni cognizione numismatica. Difatti quanti lo videro lo giudicarono falso a prima vista, come non dubito lo giudicherà ella pure solo a osservarne l’impronta.
2.° Mi pare difatti che anche dalla semplice impronta lo si possa giudicare.... e condannare. Ciò poi che salta all’occhio addirittura è la differenza dei caratteri tra il diritto e il rovescio.
1.° Tale e quale come l’abbiamo testè riconosciuta e deplorata nell’aureo del cippo.... quantunque là ella abbia avuto un po’ più di difficoltà a persuadersene Ma per carità non rientriamo nel merito della questione.
2.° Sentiamo piuttosto la fine del suo racconto.
1.° La fine è presto detta. L’aureo, qual’era e quale ella lo vede, io lo mandai ad uno di quei grandi raccoglitori, la cui collezione, se allora non era illustrata dal nome del famoso tiranno, conteneva però altre rarità di primo ordine, richiedendolo del suo parere. Mi rispose con queste testuali parole, che traduco in italiano, perchè dicendo il peccato, intendo tacere il peccatore, e non vorrei che la lingua originale fosse un lontano indizio: " Il suo Uranio è importantissimo e, quanto a me, non ho il minimo dubbio sulla sua autenticità. „
2.° Davvero ella ebbe questa risposta?
1.° Parola d’onore. E dopo questo fatto io dovetti persuadermi di due cose. In primo luogo, che non sempre il giudizio dei grandi raccoglitori è attendibile; col che non intendo menomamente stabilire una legge generale; ma solo diminuire il numero dei supposti oppositori, mettendone qualcheduno fuori di combattimento. In secondo luogo, che un artista di valore, il quale si dedicasse alla specialità dell’imitazione dell’antico, non è impossibile che possa raggiungere tale perfezione, da trarre in inganno anche persone molto competenti. Non abbiamo visto replicatamente inganni in fatto d’ogni genere d’antichità, comprese le monete?
Ed ora è tempo che veniamo alla conclusione della nostra lunga chiacchierata; ma mi permetta un’ultima rapida e definitiva occhiata a questi curiosissimi aurei, prima d’abbandonarli e due ultime osservazioni. Guardando i dritti, io vi trovo tre tipi di fisionomia, ciascuno dei quali ha ben poco a che fare cogli altri, talché io credo che, senza l’aiuto della leggenda, nessuno oserebbe affermare trattarsi del medesimo personaggio; e ciò è affatto contrario alle tradizioni della monetazione romana, di cui una caratteristica è la fedele e costante conservazione dei tipi, anche nei tempi non migliori per l’arte.
Guardando poi i rovesci, io trovo — ed Ella mi correggerà, se m’inganno: — 1.° Due aurei servilmente imitati (rov. del leone e della quadriga), imitati cioè in modo che, nel primo di essi almeno, come già osservai, è forza ammettere che l’incisore non sapeva quello che si facesse, 2.° un aureo imitato, ma corretto (rov. del cippo) nel quale si vede una più o meno perspicace intelligenza nell’incisore per la correzione introdotta, 3.° un aureo male imitato (rov. della Fortuna colla leggenda FECVNDITAS); 4° finalmente un aureo affatto originale (rov. della pietra conica). — Ora, io dimando, come si spiega questo guazzabuglio? O il tiranno trovava necessario di imitare gli aurei imperiali per dar corso ai proprii, e come ne potè coniare di originali? O credeva di poterne fare di originali, e allora perchè imitare gli altri? E perchè imitarli talora troppo ingenuamente e talora con un’astuzia peggiore dell’ingenuità? Né si potrà invocare una diversità d’epoca. Quand’anche non vi ostasse il brevissimo regno d’Uranio Antonino, vi osterebbe sempre quella malaugurata ripetizione di dritti, la quale e là per dimostrare che tutti furono coniati contemporaneamente.
E qui, facendo punto, lascio alla sua sagacità di venire alla conclusione.
2° Esito a dichiararlo, e lo dico a malincore; ma la mia fede è molto scossa. Rifletterò e, presentandomisi qualche ragione da opporre, gliela comunicherò.
1.° E mi farà grandissimo piacere. Io l’ascolterò sempre ben volentieri, augurandomi una conversione.
2° Ma frattanto perchè non esprime pubblicamente queste sue idee? Non sarebbe bene che se ne discutesse nei periodici numismatici? Dalla discussione viene la luce.
1.° Che vuole? Di discussione pur troppo se ne fa assai poca nei nostri periodici, e poi vi sono certe questioni delicate, che nessuno osa affrontare, ed una è precisamente quella che riguarda l’autenticità delle monete.
2.° E per quale ragione?
1.° È il timore di irritare e di inimicarsi chi le possiede? E il timore di commettere una indiscrezione, oppure un errore di giudizio, e di pregiudicare con una calunnia involontaria il valore d’un oggetto, che forma l’onore di una collezione? O infine il timore d’essere tacciati di presunzione, andando contro il parere d’altri, che hanno maggior autorità di voi? Sono tutti questi motivi insieme, che riducono al silenzio chi avrebbe in animo di esporre un’opinione in contraddizione con quella universalmente o da molti accettata.
2.° Questi timori mi sembrano poco giustificati e poco ragionevoli. E del resto crederei assai più onorevole l’affrontarli parlando che non il sottostarvi tacendo.
1.° Un vecchio adagio francese insegna che " pas toute vérité est bonne à dire. „
2° Ed è precisamente all’ombra di questo adagio male interpretato, che i timidi si attengono al silenzio. Io non penso però che siano queste le verità cui l’adagio intende alludere, e credo invece che ogni riguardo personale debba cedere davanti alla franchezza d’un’opinione, qualunque essa sia. Infine non si tratta che di esprimere lealmente un modo di vedere, che altri può combattere. Non è questione di fede, ma di ragionamento, e ogni ragionamento può sempre esser vinto da un altro più forte. E sempre bene che la verità si faccia avanti, e, fra chi si sforza di far la luce e chi la teme, non esito a schierarmi fra i primi.
1.° Nessuno più nemico di me dei sottintesi e dei malintesi, e lo posso assicurare in tutta sincerità che la franchezza, che finora non ho avuto il coraggio di usare cogli altri, l’ho sempre desiderata per me stesso. M’è occorso pochi anni sono di provare un vero dispiacere perchè altri, per un falso timore di ipotetica suscettibilità da parte mia, si è fatto un dovere di non esprimere un suo parere a mio riguardo, o d’esprimerlo solo a mezza bocca e in modo molto indiretto. Mio fratello ed io avevamo pubblicato alcune curiosissime monete mediovali provenienti da un ripostiglio. Ci fu un dotto numismatico, assai competente, che dubitò dell’autenticità di quelle monete. Comunicò confidenzialmente il suo dubbio a qualche amico, ma gli mancò il coraggio di dirlo apertamente a noi, e noi non lo si seppe che moito tempo dopo. Francamente avremmo preferito assai una discussione aperta, che ci avrebbe dato modo di difendere colle prove più evidenti quanto avevamo asserito...
2.° E dopo tali dichiarazioni come non trova giusto di seguire il precetto evangelico, facendo agli altri quello che vorrebbe fatto a lei stessa?
1.° Ma crede Ella che tutti gli altri la penseranno come la penso io? Non tutti hanno il medesimo modo di vedere le cose, e io non vorrei offendere la suscettibilità d’alcuno.
2.° Le sue osservazioni sono riuscite quasi.... dico quasi, perchè mi voglio riservare di rifletterci ancora, a persuadere me, che ho sempre avuto un’opinione diametralmente contraria. Bisogna che abbiano qualche fondamento, e in ogni modo parmi che meritino di essere ponderate da chi s’interessa alla materia, per essere accettate o combattute, hifine io credo che dalla discussione non può venire che un bene. Io la incoraggio moltissimo a rendere pubbliche le sue osservazioni, anzi vorrei che me lo promettesse.
1.° Ebbene, se è per farle piacere, io glielo prometto.
S. Maurizio, Engadina, 25 Luglio 1895.
Francesco Gnecchi.
Note
- ↑ Rivista Italiana di Numismatica. Anno II, 1889: " Appunti di Numismatica Romana „, n. 147 e tav. VIII, n. 21.