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appunti di numismatica romana 437

vetti persuadermi di due cose. In primo luogo, che non sempre il giudizio dei grandi raccoglitori è attendibile; col che non intendo menomamente stabilire una legge generale; ma solo diminuire il numero dei supposti oppositori, mettendone qualcheduno fuori di combattimento. In secondo luogo, che un artista di valore, il quale si dedicasse alla specialità dell’imitazione dell’antico, non è impossibile che possa raggiungere tale perfezione, da trarre in inganno anche persone molto competenti. Non abbiamo visto replicatamente inganni in fatto d’ogni genere d’antichità, comprese le monete?

Ed ora è tempo che veniamo alla conclusione della nostra lunga chiacchierata; ma mi permetta un’ultima rapida e definitiva occhiata a questi curiosissimi aurei, prima d’abbandonarli e due ultime osservazioni. Guardando i dritti, io vi trovo tre tipi di fisionomia, ciascuno dei quali ha ben poco a che fare cogli altri, talché io credo che, senza l’aiuto della leggenda, nessuno oserebbe affermare trattarsi del medesimo personaggio; e ciò è affatto contrario alle tradizioni della monetazione romana, di cui una caratteristica è la fedele e costante conservazione dei tipi, anche nei tempi non migliori per l’arte.

Guardando poi i rovesci, io trovo — ed Ella mi correggerà, se m’inganno: — 1.° Due aurei servilmente imitati (rov. del leone e della quadriga), imitati cioè in modo che, nel primo di essi almeno, come già osservai, è forza ammettere che l’incisore non sapeva quello che si facesse, 2.° un aureo imitato, ma corretto (rov. del cippo) nel quale si vede una più o meno perspicace intelligenza nell’incisore per la correzione introdotta, 3.° un aureo male imitato (rov. della Fortuna colla leggenda FECVNDITAS); 4° finalmente un aureo affatto originale (rov. della pietra conica). — Ora, io dimando, come si spiega questo