conviene fare qualche considerazione. Le monete a fior di conio non rappresentano che un tenuissimo per cento nel complesso delle monete che l’antichità ci ha tramandato, il che è naturalissimo e ben facile a comprendersi. Ora essendo, proporzionatamente al numero totale, così scarso quello dei fior di conio, è anche naturale che questi debbano essere estremamente difficili a trovarsi fra le monete rare; ossia, se su cento aurei d’Adriano o d’Antonino Pio se ne trovano dieci a fior di conio, fra gli otto o dieci conosciuti d’un piccolo tiranno sarà assai se se ne potrà trovar una. E c’è poi un altro ragionamento che prova come la proporzione dei fior di conio debba essere assai minore nelle monete dei tiranni che non in quelle dei grandi imperatori. Sotto questi, la zecca di Roma riversava fiumi di monete in tutte le parti dell’impero pel soldo delle truppe, che stavano di presidio nelle provincie o in guerra ai confini. Queste spedizioni di danaro venivano fatte dal pubblico erario e talvolta anche direttamente dalle officine monetarie e quindi con monete nuove di zecca. Alcune di tali spedizioni, messe in salvo sotterra in un momento di panico, costituirono quei tesori, che di quando in quando, venendo in luce, ci forniscono le monete a fior di conio. Ma sotto il regno dei piccoli tiranni, che coniavano le monete in limitatissime proporzioni, non è supponibile che avvenissero simili spedizioni ufficiali, e le loro monete, che vengono trovate isolatamente qua e là, sono per la maggior parte di mediocre o pessima conservazione; esempio i denari di Pescennio, Pacaziano, Driantilla, ecc., i bronzi di Nepoziano e d’Alessandro tiranno e così via. Si tratta di monete che ebbero un corso più o meno lungo, che furono singolarmente perdute o dimenticate o rimaste nel terreno dopo la morte del proprietario, caduto forse