Storia di Torino (vol 2)/Libro I/Capo IV
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Capo Quarto
Dalle tante deliziose ville di cui s’ammanta per
lo spazio di cinque miglia all’incirca il colle torinese,
sicchè ne sembra ingemmato, e forma quasi
un’altra città, niuna io penso ne sorgesse nel secolo
xiv, fuor dei rustici casolari de’ vignaiuoli,
niuna memoria avendone potuto rinvenire. E diffatto
a quel tempo, in cui per le continue guerre e depredazioni
non v’era sicurtà fuorchè nei luoghi chiusi,
sarebbe stato follia l’avventurar la persona e la
roba in residenze tanto selvagge, e lontane da ogni
speranza di soccorso.
Ne’ lunghi ozi di pace che ebbe l’Italia fra la guerra Sforzesca e l’impresa di Carlo vili, nel secolo seguente, parmi che si sarà cominciato a murar qualche fabbrica più gentile sul colle torinese. Nel secolo xvi già abbondavano. Una ne comprò nel 1565, affine di fuggire la pestilenza, Filiberto di Pingone co’ danari di Filiberta di Bruello sua moglie, in vai de’ salici; e vi lasciò monumento dell’amor suo coniugale in questa iscrizione, non rara per lo stile, rarissima pel soggetto:
HAEC VINETA MAPALIBVS SVB HISCE | ||
CONVALLEIS DOMINAS OBOSCVLANTVR | ||
HEIC NEC NON PHILIBERTA RVRIS EMPTRIX | ||
NOSTRAS EXCIPIT OSCVLATIONES | ||
PHILIBER | ⎰TVS ⎱TA |
CONJVGES |
PINGONII | ||
CVSIACEN. BARONES | ||
AD MVTVI AMORIS | ||
PERP. MEM.1 |
Nei travagli della pestilenza che pur troppo allora
di frequente si succedeano, continuò il colle
torinese a ricevere i fuggiaschi confidati nell’aria
più salubre, e nel rezzo delle solitarie sue piante.
Cristoforo Pellagnino, lettore di leggi nell’università
di Torino, morì in una di queste ville in settembre
del 1599. Nel 1630 furono le medesime campo di
luttuose scene e di militare licenza; alcuni riparatisi
in fretta alla campagna, dopo d’aver veduto cadere vittima del contagio tutti i loro congiunti,
soli, inosservati infermavano, senza soccorsi morivano.
Altri men fortunati, mentre eran vicini a spirar
l’anima, vedean giungersi addosso una man di
soldati francesi, o spagnuoli, che senza paura e
senza riguardo maltrattandoli e ferendoli togliean
loro lenzuola coltri e materassi, crescendo dolore
al dolor della morte.
Tutte le campagne, tutte le strade che mettono a Torino si vedevano allora coperte di cadaveri di questi crudeli soldati che aveano rubato il veleno degli appestati da loro uccisi perchè si volean difendere, degli altri uccisi dal morbo e depredati; sicchè i beccamorti, scarsi di tempo, più scarsi di carità, li levavano su carrette che si vuotavano nel fiume Po.
« Nella vigna e nel proprio letto del medico Emmanuel Roncino si trovò un cadavero incognito, al quale non restò un minimo segno di carne, ne pelle, ne anco de’ ligamenti degli ossi, i quali però si trovarono aggiustati con l’ordine et disposizione datagli dalla natura, che lasciò molto tempo acciò gli servisse, come di sicura guardia, contra l’accostumato svaligiamento degli Alemanni i quali, entrando et vedendo quell’orrendo spettacolo, subito abbandonavano l’impresa et si ritiravano ».2
Ben si può dire che la pestilenza fece allora l’estremo di sua possa. Per buona sorte quella terribil visita fu visita di congedo, ne Torino l’ha più riveduta.
Nuove delizie sottentrarono allora, secondo Fumana vicenda, a quelli orrori: tra le quali voglionsi ricordare la vigna di Madama Reale, e quella del principe Maurizio di Savoia costrutte l’una e l’altra quasi ad un punto verso il 1650.
Madama Reale Maria Cristina, riavutasi dai travagli della guerra civile, e dal feroce ed oltraggioso predominio del Richelieu scelse, sopra il colle torinese a breve altezza in faccia al Valentino, un luogo di lieti, felici ed amabili riposi, dove fin dal 1622 ella possedeva una villetta, già ampliata in detto anno colla compra fatta di quella che possedeva lì presso il conte Ludovico Tesauro, lettor primario di leggi nell’università di Torino.3
Meglio rispianato pertanto il poggio onde aver largo spazio ed a fondar la fabbrica e al piantar viali, e peschiere, e labirinti, e giardini, e pergolati, alzò sui disegni del padre Andrea Costaguta, Carmelitano scalzo del convento di Sta Teresa, suo teologo e consigliere, un grandioso edifìcio con tre piani, che, cominciato nell’ autunno del 1648, fu condotto al termine nel 1653.4 Dieci altri anni spesero le arti nello abbellirlo. Avea tre piani; l’inferiore era destinato a stanza de’ cavalieri; il superiore era abitato dalle dame; quel di mezzo o nobile veniva riservato a Madama Reale, e componevasi di dodici camere di bella proporzione, che un gran salone divideva in quattro appartamenti.
Il salone era istoriato degli avvenimenti più notabili della vita di Madama Reale; vedevasi e quando nasceva da Arrigo iv e da Maria de’ Medici, e quando dava la mano a Vittorio Amedeo, principe di Piemonte; e quando era assediata dai principi, e quando faceva pace con essi, e quando resisteva al re suo fratello, o piuttosto al Richelieu a Grenoble, e salvava l’independenza dello Stato, e quando maritava Carlo Emmanuele secondo suo figliuolo a Madama Francesca di Valois che per la sua bellezza e la sua candida innocenza veniva chiamata alla corte di Savoia Colombina d’amore. Ancora quando, ritraendosi dalle cure mondane al silenzio de’ chiostri, passava lunghe ore nel monastero delle madri Carmelitane da lei fondato sulla piazza di S. Carlo. Nelle fasce della vôlta stavano effigiate le armi ed i genii de’ principi è delle principesse viventi della famiglia reale; ed anche delle due principesse maritate al duca di Parma, ed all’Elettor di Baviera. Quella di virili spiriti, e già destinata a Ludovico xiv, esperta al par di qualunque più ammaestralo cavaliero a maneggiar destrieri; questa di vivace ingegno e di maravigliosa bellezza; epperò il genio di lei veniva espresso da una giovanetta vestita di bianco ed azzurro, vaga, sorridente nel volto, sparse le bionde chiome, coronata di rose, portando fra le mani un cuore da cui usciva una fiamma.
Negli appartamenti eransi, secondo il costume di que’ tempi, esercitate non meno l’arte che l’invenzione; imperocchè erano que’ tempi sovranamente poetici, non, come i nostri, freddi, compassati, in cui non v’ha quasi più calore che pel guadagno; tempi in cui una certa lima morale tende a rispianar tutti gli angoli, a toglier tutto ciò che v’ha di risentito e di potente nel carattere, a renderci tutti lisci, lucidi, scorrevoli, uguali, come altrettanti esemplari d’una stessa stampa e d’un medesimo getto. Ma torniamo alla Vigna di Madama Reale.
Una camera era destinata alle piante, e là erano ritratte, secondo i miti Greci tanto leggiadri, tutte le trasformazioni con cui la pietà degli Dei avea temperato il dolore o l’error de’ mortali. Vedevasi la storia del Berecinzio pino, della quercia Dodonea, del moro Celso, dell’Apollineo lauro, e della tremula canna. Ciascun quadro era accompagnato da una moralità espressa in un verso solo. Sotto la favola di Siringa e del dio Pane era scritto:
Un’altra stanza era destinata a rappresentare le delizie
de’ fiori. In mezzo a quelle dipinte morbidezze
levavasi per ogni lato la parola di verità:
Spiegavano in altra camera le loro utili pompe le fruita.
In breve, ogni stanza era consecrata ad una rappresentazione speciale.
Qua vedeansi i giocondi ricreamenti d’ogni maniera di musica, là gli esercizi della caccia e della pesca, ed ogni altro esercizio del corpo o il sibaritico piacer della mensa, e le fonti, e il mare.
E sempre alla scena effigiata, rispondeva un verso: eccone alcuni; non sempre puri dell’umor peccante del secolo, V affettazione, i giochetti di parole:
Concorde amor fa l’armonia dell’alme. |
Qui parla del fonte d’Ippocrene.5
Questa villa ebbe sorte infelice. Nel 1684 Maria Giovanna Battista v’allogò i poveri dello Spedale di carità, i quali vi rimasero qualche anno finche, pel disagio che pativano nella stagione invernale i superiori che vi si dovean recare, furono rimessi in città. Più tardi cadde in mani private,6 ed appena se ne vedono le reliquie.
La villa o vigna (secondochè noi appelliamo siffatte case di campagna) del principe Maurizio fu fondata a breve distanza dalla città sopra un benigno declivio del colle in faccia al ponte di Po. Dice il Grossi esserne stato architetto un Viettoli romano. Il principe ne fe’ dipingere le mura a fresco, effigiandovi fatti di storia antica. E la seguendo il lodevol costume che usava, essendo cardinale a Roma, raccoglieva un fiore d’eletti ingegni in accademiche conversazioni. Chiama vasi qui accademia de’ Solinghi quella che a Roma intitolavasi de’ Desiosi, nè consistevano i suoi esercizi nel recitar sonetti o madrigali, ma in ricerche filosofiche, in dotte disputazioni, in indagini matematiche. Ora si discorreva dell’arte del fortificare, ora del maneggio delle cose di Stato. Ora si fìngeva che uno dei Solinghi tornasse da un’ambasciata, e gli si imponeva di leggere una relazione sulle condizioni del paese da cui tornava. Usanza preziosa stata prima introdotta dai Veneziani.
Infine ogni arte cavalleresca, ogni filosofica disciplina, ed anche la scienza pratica degli statisti trattavasi in quella virtuosa palestra, che si raccoglieva per l’ordinario in un sito appartato del giardino che s’attiene alla vigna di cui parliamo.7
Dopo la morte del principe Maurizio, accaduta nel 1657, con gran lamento di tutti i buoni, e massime degli uomini di lettere,8 Luisa di Savoia, nipote e vedova di lui, lunghi anni abitò questa villa, della quale, assai si piaceva. Chiamavasi allora villa Ludovica; e solo ai tempi d’Anna d’Orleans, moglie di Vittorio Amedeo n, pigliò nome di Vigna della Regina.
La guerra guastò più volte questa e l’altre delizie dell’agro torinese. Ma molte volle ancora fu riparata e restaurata.
L’ampliò fin dal secolo xvii il conte Amedeo di Caslellamonte; nel 1779 ne rinnovò la facciata l’architetto Paolo Antonio Massazza,9 conte di Valdandonna; e dieci anni dopo vi fe’ lavorare l’architetto Moraris a tenore dell’istruzione datagli dal conte Giuseppe Novellone di Scandaluzza.10 La Vigna della Regina è adorna di nobili dipinti del Corradi, di Giuseppe Dallamano e di Gio. Battista Crosato, quegli Modonese, questi Veneziano.11
Il principe Maurizio aveva eziandio edificato verso l’austro una cappella dedicata ai santi Michele, Maurizio e Grato per comodo principalmente de’ villeggianti, come si raccoglie dalla seguente iscrizione che leggesi sul muro che costeggia la strada di Sta Margherita:
D. O. M. SS. MIKAELI MAVRITIO GRATO |
Alia Vigna della Regina fu servita in aprile del 1782 una merenda ai conti del Nord. Ne rammenterei questa futile circostanza, se non volessi soggiungere che la bella e santa principessa di Piemonte, Maria Clotilde, erasi legata di sì tenera amicizia colla moglie di Paolo i, che durante la dimora di quegli illustri ospiti a Torino, stavano insieme il maggiore spazio di tempo che potevano, e quando erano separate si scrivean biglietti caldi d’un raro affetto.12 Questa principessa, seconda moglie del granduca Paolo, era Sofia Dorotea Augusta di Wurtemberg.
Nulla diremo dei tanti palagi e casini privati che incoronano tutti i poggi, che sorgono su lutti i clivi, molti de’ quali nobilitati da belle architetture, ingentiliti dalle arti, e soprattutto alcuni di essi da quel nostro torinese Pietro Olivero, emulo de’ Fiamminghi. Faremo invece breve parola della chiesa de’ Cappuccini del Monte, dell’Eremo de’ Camaldolesi, della Basilica di Superga e delle Vedove nobili. Quel poggio che, dispiccato dalle circostanti colline, tondeggia presso al ponte di Po e chiamasi per antonomasia il Monte fu, nei secoli xiii, xiv e xv, surmontato da una piccola fortezza con torre e bastioni, chiamata Motta o Bastia, che serviva a difendere il passo ed il ponte vicino.
Essendosi intanto molto perfezionata l’arte del fortificare, la bastia del ponte di Po parve meno importante e fu prima negletta, e poi infeudata a privati. L’ebbero, nel secolo xvi, i Maletti, e poi gli Scaravelli, dai quali la riebbe, per compra fattane, Carlo Emmanuele i, quando nel 1583, volendo consecrare a Dio quel luogo, fece por mano all’edilìzio della chiesa e del convento sui disegni del Vittozzi. Quel duca teneva, e con ragione, in molta stima l’ordine de’ Cappuccini, e in gran numero sono i conventi di que’ religiosi da lui fondati, o soccorsi in tutto il Piemonte. Anche nel convento del Monte desiderò d’averli; ed essi vi fecero il loro solenne ingresso nel 1590. Nel 1596 il duca die ai Cappuccini del Monte 665 volumi stati del fu vescovo d’Asti Panigarola, di chiara memoria, con altri assai della propria biblioteca, con legge che non potessero essere estratti dal Convento ne trasferiti altrove. La chiesa non potè venir ufficiata prima del 1611, e solo nel 1658, regnando Vittorio Amedeo i, si terminò d’adornarla di marmi, di stucchi e d’altri fregi, che la rendono cospicua sopra tutte le chiese dell’Instituto cappuccinesco, le quali d’ordinario non rilucono se non per nettezza, e per una venusta sebben povera semplicità.13 Qui il tabernacolo è ricco d’agate e di lapislazzuli. La tavola dell’Assunta all’altar maggiore è di Pier Francesco Mazzuchelli detto il Morazzone, egregio coloritore, il cui ingegno era più adattato ai forti che ai gentili argomenti. Fu molto adoperato da Carlo Emmanuele i, che lo creò cavaliere. Il S. Francesco della cappella a mano destra è di Giambattista Crespi detto Cerano, creatura del gran cardinale Federigo Borromeo, pittore e scultore, quel medesimo che rizzò presso Arona la statua colossale di S. Carlo.
Il martirio di S. Maurizio, che si vede nell’opposta cappella, è di Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, pittore mirabile per la freschezza del colorire, ma non sempre corretto nel disegno. Ne’ quattr’angoli recisi della croce greca vedonsi quattro statue di Stefano Maria Clemente statevi allogate nel 1732; sotto alle quali, sui disegni del conte Benedetto Alfieri, s’eressero nel 1745 e 1747 quattro graziosi altarini. Tanto le statue che gli ovali degli altarini rappresentano santi dell’ordine de’ Cappuccini. Gli altari delle due grandi cappelle laterali vennero ornati da due divoti, Lorenzo Georgis e Giovanni Antonio Ferraris, come raccontano due lapidi che vi sono affisse. Nel coro, dietro l’altar maggiore, sono sepolte le viscere del principe Maurizio di Savoia.
In uno stanzino che s’apre a cornu epistolae della cappella di S. Francesco v’è il deposito del venerabile servo di Dio, fra Ignazio da Santià, sacerdote di quest’ordine, di cui s’aspetta la beatificazione. Gran voce di santità egli ebbe e in vita e in morte, e i nostri vecchi i quali l’aveano conosciuto di persona ne parlavano con molto amore, e con molta divozione. Ne vanno attorno molte imagini, e se ne ha la vita stampata.
Nel 1629 le infanti donna Maria e donna Catterina di Savoia, figlie del gran Carlo Emmanuele i, donarono alla Madonna che si venerava nella chiesa del Monte due corone gemmate, colle quali essa e il bambino vennero con gran solennità incoronate da monsignor nunzio Alessandro Castracane, il dì cinque d’agosto. E ciò in presenza di Carlo Emmanuele i, della sua famiglia e di tutta la corte. Queste due sorelle erano l’esempio della corte e l’edificazion di Torino. Neglette le pompe mondane, neglette le regie nozze offerte e trattate, riponevano la loro speranza e la loro consolazione in Dio. Negli ultimi giorni di carnovale, quando gli altri perdevansi nell’eccesso de’ piaceri, esse, ristrettesi in sito appartato, con alcune delle loro dame, aspramente si flagellavano. Una volta passando vicino al loro appartamento Carlo Emmanuele i, con alcuni principali cavalieri, intese il rumor delle percosse, e rivolto a’suoi cortigiani con aria di compunzione disse: Non udite voi la graziosa musica e la delicata armonia che vanno formando le nostre figlie colle loro dame? Nell’anno medesimo, a’ 4 d’ottobre, queste due principesse, desiderose di servir Dio nell’umilia e nel silenzio, pigliarono l’abito del terzo ordine Francescano dalle mani del P. provinciale de’ Cappuccini, fra Paolo Mattia Pergamo d’Asti; la professione differita per varie contrarietà si fece addì 13 dicembre 1635.
Queste due sante sorelle, finche rimasero in Torino pareano, orando insieme innanzi all’altare del SS. Sudario, due cherubini avanti all’arca; ma non del solo orare contente provvedeano non meno alla propria che all’altrui santificazione; fondarono il monastero delle Cappuccine, quello delle Convertite, procurarono la riforma de’ Carmelitani di Sta Maria di Piazza caduti in gran fiacchezza di disciplina, infine lunga corona intesseano d’opere buone. Ricoveratesi poi a Biella in ottobre del 1640, onde allontanarsi dal teatro della guerra civile, in una divotissima visita al Santuario d’Oropa, l’infanta Catterina, già fiacca di salute, fu presa dai freddo, onde le si scoperse una gran febbre di cui morì a’ 20 di quel mese in età di 46 anni, con somma edificazione di tutti que’ che la videro e l’udirono. La calca del popolo, dopo il suo passaggio, fu continua e grande attorno al corpo, a tagliare pezzetti dell’abito, a fargli toccar corone, come co’ corpi creduti santi si suole.14 L’infante donna Maria, perduta l’indivisibil compagna, si recò a Nizza e stette alcun tempo col principe Maurizio suo fratello, poi convertita la propria corte in monastero, fu il resto della sua vita quasi un continuo pellegrinaggio, secondochè la santità de’ luoghi o la pia conversazion delle monache la invitava. Fu a Milano, a Pavia, a Loreto, ad Assisi, ma più lungo tempo dimorò a Bologna ed a Roma, ed in quest’ultima città chiuse, con una santa morte, una vita fervorosa, penitente e divota il dì 13 di luglio del 1656. Deposto il corpo provvisoriamente nella chiesa de’ Ss. Apostoli, fu poi trasferito, secondochè essa aveva comandato, in Assisi e nella chiesa di S. Francesco.15
Mentre dimorava in Bologna, le mancò una delle sue monache, che la serviva in ufficio di cameriera, Maddalena Turinetti (di famiglia patrizia torinese, trasferitasi poco dopo ad Orbassano), la quale, imitando le virtù dell’augusta padrona, morì con grande opinione di santità. Anzi lo scrittor della vita della serenissima infante Maria, dice che il cadavere fu accompagnato alla sepoltura da Sua Altezza, che molto la stimava e l’amava; e narra un insigne miracolo, con cui sarebbonsi illustrate le esequie di quella serva di Dio.
Veramente fortunato fu Carlo Emmanuele i e benedetto da Dio nella sua prole, perchè, oltre alle due principesse di cui abbiam parlato che vissero in istato religioso, altre due che andarono a marito, cioè donna Isabella duchessa di Modena, e donna Margarita duchessa di Mantova, furon donne di rara virtù e di somma pietà; e tanta efficacia ebbe la luce degli esempi d’Isabella di Savoia, che il duca Alfonso iii, dopo la morte di lei, lasciato lo scettro, pigliò l’abito de’ Cappuccini, col nome di fra Giovanni Battista, il 13 luglio del 1629.16
L’abate Giovanni Boterò nel suo poema della primavera, parlando di queste principesse, quando ancora fiorivano di prima giovinezza scrive:
Ma che si potrà dir che degno sia
|
Ma tornando al Monte, che ci ha dato causa a così
lunga digressione, noteremo che in quella chiesa fu
sepolto, il 19 di luglio 1667, il famoso conte Filippo
S. Martino d’Agliè, stato lungo tempo principal ministro
e favorito della reggente Cristina. Carcerato
per violenza dal Richelieu, perchè non volle vendersi
alla Francia, perchè disse altamente che era sazio dei regali francesi, perchè ricusò con nobilissima
lettera alti onori offertigli da quel cardinale,
ed impedì la consegna di Monmegliano, chiesta con
alterezza di comando, a nome di Ludovico xiii,
illustrò con questi meriti incontrastabili la sua fama
alquanto, per accuse di diverso genere, intorbidata.
La militare importanza del sito procurò a quel pacifico recesso non pochi disturbi. Nel 1639, quando il principe Tommaso s’impadronì di Torino, fortificò e trinci ero il Monte.
Ma i Francesi pigliarono quel posto d’assalto, ne valse ai vinti ricoverarsi in chiesa, ne li protesse la tremenda maestà degli altari; perocché appiè di quelli dai crudeli vincitori furono trafitti, lacerati, sgozzati; appiè di quelli, sottentrando al furore dell’ira il furor della libidine, si fece forza all’onestà delle donne.
Nel 1690 Vittorio Amedeo ii, in guerra colla Francia, pose presidio di soldati in quel convento. Nel 1703, fu risoluto per ben due volte ne’ consigli del duca d’abbattere il convento pel comodo che avrebbe potuto dare ai nemici, di fulminare da quella vetta la città colle artiglierie. Ma per buona sorte non si perseverò in quel pensiero.17
Nel 1799 Vukassowich cogli Austro-Russi occupò il Monte, e piantovvi batteria di cannoni e mortai, onde stringere alla resa la città di Torino, tenuta dai Francesi capitanati dal general Fiorella. E dopo non lunga tempesta di quelle bocche da Cuoco, ottenne l’intento.18
Aboliti poi dal governo provvisorio, il 1° settembre del 1802, gli ordini religiosi, gli edifìzi del Monte alienati ad un privato, servirono ad uso di collegio; nel 1816 fu ricomperato, e poi renduto dal governo regio ai Cappuccini, che ne ripigliarono il possesso addì 22 di settembre del 1818.19 Nel 1840 il re Carlo Alberto aggiungeva al convento una nuova fabbrica ad uso d’infermeria, come appare dalla lapide con busto che gli posero i Cappuccini riconoscenti. Questo stesso principe, in luogo delle due corone date dalle infanti Maria e Catterina, ed involate ne’ torbidi della rivoluzione, due altre ne surrogò nel 1844, con cui venne di nuovo incoronato l’antico simulacro di Maria Santissima.
Un voto fatto dal duca Carlo Emmanuele i, nella cruda pestilenza del 1599, die causa alla fondazione dell’Eremo de’ Camaldolesi cominciata due anni dopo. Ne fu ministro principale un uomo di vita venerabile, fra Alessandro de’ marchesi di Ceva, monaco di quella religione.20 Il duca avea ceduto a quel tempo appunto la Bressa ed il Bugey alla Francia in cambio del marchesato di Saluzzo. La Certosa di Pietracastello, cappella dell’ordine supremo dell’Annunziata veniva a trovarsi in dominio straniero. Carlo Emmanuele i elesse in sua vece a tale ufficio l’Eremo camaldolese.
Sopra la porta d’entrata nella clausura leggevasi la seguente iscrizione:
CAROLVS EMANVEL DVX SABAVDIAE INVICTISSIMVS
HANC SACRAM EREMVM CAMALDVL. ANNO
CIↃIↃXCIX POPVLIS EPIDEMIO LABORANTIBVS
VOTO ACCEPTISSIMO ERECTAM ET SOLEMNEM
TORQVATORVM ANNVNTIATAE VIRGINIS AEDEM
PRO AVITA DECLARATAM DOTAVIT DEDICAVIT
La chiesa fabbricata nel 1602 sui disegni dell’architetto
Valperga, venne nel 1780 ristaurata ed
accresciuta di quattro cappelle, e d’un alto campanile
con architettura del conte De Lala di Beinasco;
di modo che gli altari sommarono a sette.
Il gran quadro ovale dell’altar maggiore raffigurante
la Vergine Annunziata era del cavaliere
Beaumont; vedevansi inoltre quattro tavole laterali,
due grandi e due piccole di Pietro Metay, morto a
Lione verso il 1765. L’altare a sinistra entrando
avea un’imagine di S. Romualdo, dipinta da Sebastiano
Ricci e intagliata in rame dal Wagner.
Nella cappella del Rosario vedevansi dodici bei paesi, in cui erano effigiati altrettanti eremiti nelle loro solitudini, dipinti da Vittorio Amedeo Cignaroli nel 1753.21
Tutte le scolture in legno erano opere di Stefano Maria Clemente. Nel refettorio, un gran quadro che rappresentava la cena di Cristo con gli Apostoli era stato dipinto da Baldassarre Maltheus d’Anversa, scolaro del Rubens, che la dipinse nel 1657.22
La sagrestia era ornata d’armadii di legno di noce, squisitamente intagliati dal padre D. Carlo Amedeo Botto, torinese, monaco eremita Camaldolese, con ovali dipinti dal Cignaroli. Dai fratelli Pozzi erano state dipinte le vôlte così della chiesa come della sagrestia. In una camera attigua alla medesima splendeano i blasoni de’ sovrani e dei cavalieri dell’Annunziata defunti. Gli stemmi del gran mastro e de’ cavalieri viventi vedeansi in fondo alla chiesa sopra la porta.
L’Eremo possedeva una ricca biblioteca ed una galleria ornata di copiosi intagli de’ migliori artisti antichi e moderni.
Una cappella sotterranea, il cui ingresso era ornato di due colonne di marmo nero, conteneva i depositi de’ cavalieri.
Nel giardino miravansi regolarmente disposte le celle degli eremiti in numero di ventuna. Ciascuno avea una comoda abitazione composta di due camere coll’oratorio, ed un orticello.
Il sacro Eremo di Torino, ridotto dopo la rivoluzione ad usi profani, è ora una proprietà privata. In sua vece fu dichiarata cappella dell’ordine supremo dell’Annunziata la Certosa di Collegno.
Sulla Basilica di Superga, come su monumento conosciutissimo, non mi dilungherò molto. Fu, come abbiam veduto, conseguenza di un voto fatto da Vittorio Amedeo ii, ne’ primi giorni di settembre del 1706, quando si trattava di liberar Torino dall’assedio, di salvar lo Stato dall’imminente ruina. Sorge maestosa con mirabili proporzioni sulla più alta cima del colle torinese; è disegno del celebre abate cav. don Filippo Juvara Messinese. Fu cominciata nel 1715, aperta nel 1731, e costò più di tre milioni di lire antiche. I tre altari principali sono ornati di bassi rilievi in marmo; quello dell’altar maggiore, che allude alla liberazione di Torino per intercession della Vergine, è del cav. Bernardino Cametti Romano, oriondo di Gattinara, che lo scolpì nel 1733; quello della Natività, all’altare a destra di chi entra, è dello stesso Cametti. L’Annunziata a sinistra è del Cornacchini. Nelle due prime cappelle ai due lati dell’ingresso, sono due tavole dipinte da Sebastiano Ricci da Belluno. Nell’una si raffigura S. Morizio, nell’altra S. Ludovico re di Francia che mostra la corona di spine al popolo.
Le tombe reali sono state costrutte per ordine di Vittorio Amedeo iii, e si terminarono nel 1778, sebbene fin dal 1732 la Basilica di Superga fosse destinata a sepolcro de’ principi, di cui vi si recavano i corpi. Diffatti, il corpo di Vittorio Amedeo ii fu depositato prima nel coro d’inverno, poi collocato in un mausoleo erettogli nella cappella della Madonna, donde fu rimosso e trasferito ne’ sotterranei la mattina del 25 febbraio 1773, per dar luogo a quello di Carlo Emmanuele iii,23 che vi rimase finche furono condotti a termine i regii sepolcri. I due mausolei di Vittorio Amedeo ii e di Carlo Emmanuele iii, sono disegno dell’architetto Martinez. Le statue sono di mano d’Ignazio e di Filippo, fratelli Collini. Nel mausoleo di mezzo, innanzi all’altare, si ripone il cadavere dell’ultimo re defunto. Ora vi giace Vittorio Emmanuele, perchè il re Carlo Felice, come non avea voluto vivendo occupare il palazzo del fratello, così non volle occuparne la tomba, e scelse a luogo de’ suoi perenni riposi la cappella di Belley in Altacomba. La pia regina vedova Maria Cristina fondò pur anche in questa cappella sotterranea un anniversario perpetuo pel defunto sovrano suo consorte, e ne rende memoria un’apposita iscrizione.
Nel grandioso fabbricato attiguo v’è un’accademia ecclesiastica, in cui distinti ecclesiastici d’ogni diocesi dello Stato attendono a perfezionarsi nelle scienze teologiche e morali e nei doveri del sacerdozio.
In un sito poco discosto dal Monte de’ Cappuccini, dov’era la villa delle nobile famiglia Giajone, madama Felicita di Savoia, figlia del re Carlo Emmanuele iii, cominciò nel 1787 un edifizio destinato al ricovero delle vedove nobili o di civil condizione, sul disegno dell’architetto Faletti, e ciò sull’istanza e coi consigli del suo confessore il padre Giambattista Canaveri, dell’Oratorio di Torino, che fu vescovo di Biella e poi di Vercelli. La fabbrica signoreggia un recinto di 45 giornate destinate ai passeggi ed alla ricreazione delle convittrici.
Una iscrizione rammenta il benefìcio e la benefattrice così:
MARIA FELICITA A SABAVDIA
REGVM FILIA SOROR AMITA
REGIVM HVNC VIDVARVM CONVICTVM
MIRA PROVIDENTIA EXCITAT
SVMMA AVCTORITATE TVETVR
Questa principessa morì a Roma nel 1802, e fu
sepolta nella chiesa de’ Ss. Apostoli.
Note
- ↑ [p. 72 modifica]Arrêt de la R. Chambre des comptes, concernant les armoiries de la maison de Pingon, pag. 50.
- ↑ [p. 72 modifica]Fiocchetto, Trattato della peste di Torino, 121.
- ↑ [p. 72 modifica]Instromento del 3 d’ottobre 1622. Nell’Archivio camerale.
- ↑ [p. 72 modifica]Conto della fabbrica della vigna di Madama Reale. Archivio camerale.
- ↑ [p. 72 modifica]Delitie della vigna di Madama Reale Cristina di Francia.
- ↑ [p. 72 modifica]Ora appartiene all’avvocato Prever. Per giudicare di quello che era, si vegga la stampa nel Theatrum statuum ducis Sabaudiae, e si legga l’opera da noi già citata: Delitie della vigna di Madama Reale.
- ↑ [p. 72 modifica]Vallauri, Delle società letterarie del Piemonte, 96.
- ↑ [p. 72 modifica]V il Cilindro, orazione panegirica del Tesauro. — Staffetta del dolore inviata all’universo nella morte del serenissimo principe Maurizio di Savoia. — Torino, Riscontro della dottrina ippocratica col tumulo del serenissimo principe Maurizio di Savoia.
- ↑ [p. 72 modifica]Grossi, Corografia del territorio di Torino, vol. ii, 142.
- ↑ [p. 72 modifica]Autore del libro intitolato: L’arco antico di Susa.
- ↑ [p. 72 modifica]Derossi, Nuova guida della città di Torino, 1781.
- ↑ [p. 72 modifica]Gariel, Description de la reception des comtes du Nord à Turin.
- ↑ [p. 72 modifica]La chiesa del Monte fu consecrata il 22 d’ottobre 1656, in presenza della celebre regina Cristina di Svezia.
- ↑ [p. 73 modifica]Arpio, Vita dell’infanta Catterina di Savoia.
- ↑ [p. 73 modifica]Alessio, Vita della serenissima infanta Maria di Savoia. Questa principessa, di vaghi sembianti, per una strana particolarità ebbe i capelli di color cinericcio.
- ↑ [p. 73 modifica]Le infante Isabella e Margarita di Savoia portarono, vivendo, il cordone di S.Francesco, e morte, vollero essere seppellite in quell’abito.
- ↑ [p. 73 modifica]Arnaud, Storia del monte dei Cappuccini.
- ↑ [p. 73 modifica]Botta, Storia d’Italia.
- ↑ [p. 73 modifica]Arnaud, loc. cit.
- ↑ [p. 73 modifica]Morto nel 1612 in odore di santità.
- ↑ [p. 73 modifica]Grossi, Corografia del territorio di Torino,
- ↑ [p. 73 modifica]Non fu mai pittor di corte, come dice il Ticozzi; anzi questa tavola era l’unica opera che di lui si conoscesse in Piemonte.
- ↑ [p. 73 modifica]Libro dei cerimoniali degli arcivescovi di Torino, ms. dell’Archivio arcivescovile.