Storia di Torino (vol 2)/Libro I/Capo III

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Capo Terzo


Ingrandimenti di Torino dal regno d’Emmanuele Filiberto fino a quelli del re Carlo Alberto, e così dal secolo xvi fino a questi tempi.


Abbiamo veduto che il primo ingrandimento di Torino ebbe luogo verso ponente, quando nella cerchia delle mura furono compresi gli isolati che contengono la chiesa di S. Dalmazzo ed il monastero di Sta Chiara, coi terreni adiacenti, conservando sempre la città la sua antichissima forma rettangolare.

L’epoca nella quale questo primo ingrandimento si sia operaio non è manifesta. Ma tutto concorre a farci credere che ciò avvenisse prima del mille; per cinque e più secoli la cerchia della città rimase la stessa, sebbene crescessero di numero case e chiese ne’ borghi.

Nel secolo xiii la città era divisa in quattro quartieri, che pigliavan nome dalle porte e chiamavansi [p. 35 modifica]di porta Doranea (o del palazzo), di porta Pusterla, di porta Nuova, di porta Marmorea.1

Nel 1600, con editto del 28 novembre, Carlo Emmanuele i partiva similmente la città in quattro quartieri, in ciascun de’ quali destinava una piazza d’armi, dove potessero far capo ed ordinarsi le genti da guerra.

Il primo quartiere stendevasi da porta Castello alla torre del comune ed a quella di S. Michele; la piazza d’arme era avanti al palazzo di città. Perlocchè convien ritenere, che si considerava come linea divisoria la Dora che dava il nome alla strada principale, e dividea la città per lungo in parte settentrionale e parte meridionale. Questo primo quartiere comprendea pertanto la parte nord-est della città.

Il secondo quartiere stendevasi dalla torre del comune e da quelle di S. Michele (piazza delle frutta), fino a porta Susina (quartiere nord-ovest); la piazza d’arme era avanti a S. Dalmazzo.

Il terzo quartiere era da porta Susina fino alla torre di Marignano (allo sbocco della via di S. Francesco); la piazza d’arme era avanti alla chiesa di S. Martiniano (quartiere sud-ovest).

Il quarto quartiere stendeasi dalle torri del comune e di Marignano sino a porta Castello: la piazza d’arme era avanti a S. Tommaso (quartiere sud-est).

Pochi anni dopo il medesimo principe cominciava il secondo ingrandimento della città verso mezzodì. [p. 36 modifica]

Si è già osservato come da quella parte il corso delle mura era alquanto più indentro della linea che segna la strada di Sta Teresa, occupata dai bastioni, e che due porte davano da quel lato l’accesso a Torino, la Marmorea allo sbocco della via di S. Tommaso, la Nova poco oltre S. Martiniano. Carlo Emmanuele ampliò la città da quel lato, e costrusse a qualche distanza dalla città dieci isole nello spazio compreso tra il mercato delle legna e l’isolato della Madonna degli Angeli in elusivamente; e rinchiuse quell’ingrandimento con una zona di cinque bastioni, lasciando in piedi internamente il muro vecchio; oltre alle antiche porte che da quel lato davano l’accesso dalla città vecchia alla città nuova aprì, per mezzo alle isole che s’alzavano al meriggio di piazza Castello, una via ed una porta che si chiamarono via Nova e porta Nova. Tutto questo chiaro apparisce dai documenti, e meglio ancora si vede nelle carte che furono pubblicate nella guerra civile del 1640.2

Poscia, ai tempi della reggente Cristina, si unì, distrutto il muro, la città antica alla nuova mediante la vaghissima piazza di S. Carlo.

Il borgo di Po che protendevasi dalla porta del Castello, chiamata negli antichi tempi Fibellona, fin presso al fiume, nello spazio di cent’anni che eran corsi dopo la distruzione fattane dai Francesi erasi rifabbricato più bello di prima. Maria Cristina, [p. 37 modifica]duchessa reggente, fece nel 1639 atterrar varie case per rendere la città più forte da quel lato, minacciata com’era dagli Spagnuoli, ma Carlo Emmanuele ii, figliuolo di lei, principe famoso per magnificenza piucchè regale di concetti, e per gli splendidi edifizii de’ quali arricchì il Piemonte, nel 1669 e negli anni seguenti comprese il borgo di Po nel nuovo giro delle mura e delle fortificazioni, sicchè il castello, che prima era estremo limite della città, ne diventò quasi il centro, come diventò il centro della piazza a cui diede il nome la quale, con uniforme disegno e colla medesima misura, venne fabbricata a levante quale già si vedeva al ponente del castello; il che non potè per altro compirsi che nel 1739, quando per ordine di Carlo Emmanuele iii s’alzò il palagio che comprende le segreterie di Stato e gli Archivi di corte. Ne solo Carlo Emmanuele ii diede cittadinanza a quel borgo, ma ne nobilitò la via principale con uniforme architettura, e con quell’ampio ed alto porticale perpetuo che i forestieri, ora lodando, ora biasimando sempre e’ invidiarono, ma non hanno ancor saputo imitare.

Questa maravigliosa strada del Po non fu terminata se non dopo il 1718.3 Carlo Emmanuele ii aprì ancora la via della Zecca, e di mano in mano sotto al suo regno e nella reggenza di Madama Reale Maria Giovanna Battista, s’andarono fabbricando gli isolati che sono a mezzodì della via di Po fino alla [p. 38 modifica]passeggiata dei ripari, e così la bella piazza Carlina (1678) nella quale si fabbricavano quattro tettoie (halles) in cui si doveano trasportare i mercati, e particolarmente quello del vino che prima era sulla piazza della cittadella. Sei nuovi bastioni ed un mezzo bastione colle loro opere esteriori sorsero a difendere il vasto spazio aggiunto per tal guisa alla città.

Del quarto ingrandimento siamo debitori al re Vittorio Amedeo ii, il quale accrebbe la città di diciotto isolati verso ponente. La linea delle mura correndo dal meriggio a settentrione, tagliava quasi per mezzo l’odierna piazza Paesana. La parte aggiunta dal re Vittorio è quella che forma anche al dì d’oggi il compimento della città da quel lato. A questo ingrandimento lavoravasi nel 1718. Abbattevansi varie case per formare la piazza di porta Susina (piazza Paesana). Nel 1719 erano già formati i due stupendi quartieri all’estremità del nuovo ingrandimento sul disegno del Juvara, e nel 1722 erano totalmente terminati i lavori di quella notevole ampliazione,4 finita la quale, la porta di Susa, che prima era allo sbocco della via Dora Grossa, fu invece aperta al finir di quella che passava innanzi alla nuova chiesa del Carmine.

Con due bastioni ed un mezzo bastione che dalla chiesa della Consolata si protendeano alla cittadella, muniva il re Vittorio Amedeo i il novello ingrandimento. [p. 39 modifica]

Dopo il regno di questo sovrano il perimetro della città non patì variazione fino al regno di Carlo Felice.

La città di Torino, che fu sempre tanto scarsa di pubblici monumenti, poteva per altro mostrare con qualche orgoglio due nobili porte, porta Nuova e porta di Po.

Molto bella, se non di purissimo stile, era per certo la porta Vittoria o Nova, edificata nel 1620 dalla città per segno di pubblica letizia nel matrimonio del principe di Piemonte con Cristina di Francia.

Era di marmo, a bugne, con quattro colonne di ordine jonico scanalate e fasciate; negli intercolunnii, entro apposite nicchie, vedeansi le statue di S. Luigi re di Francia, e del beato Amedeo ix, duca di Savoia.

Sul frontone cimato dell’armi ducali di Savoia, declinante a guisa di cartoccio ai due lati, ed accostato dagli scudi accollati degli augusti sposi leggeasi la seguente iscrizione:


CAROLO EMANVELl SAR. DVCI
QVOD LIBERTATE ARMIS VINMCATA
PACE BELLO PARTA SECVRITATE PVBLICV
VICTORIS AMEDEI F. ET CHRISTIANAE
CHRISTIANISS. CONIVGIO FIRMATA
IN EORVM AUVENTV
NOVAM VRBEM INSTITVERIT ET
ANTIQVAM ILLVSTRARIT
S. P. Q. T. A. MDCXX.


[p. 40 modifica]Accenna, come vediamo, l’iscrizione all’ingrandimento della città operato da Carlo Emmanuele i dal lato di mezzodì; e rammenta ancora il perpetuo combatter che fece per Ja propria indipendenza e per la libertà d’Italia contra gli Spagnuoli che l’occupavano, e contra i Francesi che voleano occuparla: dominazioni ambedue, ma più la spagnuola, non solo ingrate, ma fatali alla povera Italia, la quale avendo senno e forza, se avesse maggior unita e rinnovasse le virtù antiche da regger sé e gli altri, fu pur troppe volte costretta a lasciarsi suggere, e governare o sgovernare dagli stranieri.

La porta Nuova, chiamata allora Vittoria in onor dello sposo, imaginata in occasione di quell’ingresso, fu in sulle prime fatta di tele dipinte; ma tre anni dopo, con celerità di cui si rinnovò rade volte l’esempio, sorgea marmorea, secondo i disegni del conte Carlo Castellamonte. Più magnifica, ma di stile assai più licenzioso, era la porta di Po, d’ordine dorico, a forma d’un segmento di circolo con due angoli sporgenti e sei colonne. Sur un dado in cima alla medesima levavasi la statua di un guerriero, forse di S. Maurizio, colla bandiera di Savoia; allato a quello, sull’attico, il Po e la Dora versavano dall’urna la dovizia delle loro acque; e sui canti rizzavansi le statue di Pallade e di Mercurio, emblemi delle scienze e del commercio. Era disegno del P. Guarino Guarini Teatino. Vi si leggeva la [p. 41 modifica]seguente iscrizione:


AMBITVM VRBIS
AD ERIDANI RIPAS AMPLIOBEM
CAROLVS EMANVEL II
DVM VITAM ET REGNVM CLAVDERET INCOHAVIT
MARIA IOANNA BAPTISTA
DVM FILIVS BEGNO ADOLESCERET AVXIT
VICTOR AMEDEVS
DVM REGNVM INIRET ABSOLVIT
AETERNO TRIVM PRINCIPVM BENEFICIO
AETERNVM MONVMENTVM GRATA CIVITAS POSVIT
ANNO MDCLXXX.


È questa una delle migliori iscrizioni del Tesauro, perchè meno infetta di seicentismo; sebbene si scosti dalla elegante semplicità dello stile lapidario il principio e il fine. Ma il vero stile delle iscrizioni non si conosceva punto, primachè Morcelli coll’alto giudicio e col profondo studio de’ classici ne apprendesse l’arte e la rivelasse al pubblico; nel qual tempo il nostro Giuseppe Vernazza, uomo di copiosa e scelta dottrina, già ne aveva, per un certo sentimento del vero bello, indovinato il magistero.

La porta Palazzo aperta da Vittorio Amedeo ii, era stata eziandio ornata di marmi. La più meschina di tutte era la porta di Susa.

I Francesi, che occuparono Torino dal 1801 al 1814, smantellarono la città e ne distrusser le porte, lasciando solamente in piedi l’alto bastione [p. 42 modifica]che sostiene il giardino del re, ed il baluardo che circonda la città da levante a mezzodì, convertito ora in giardino pubblico.

Ma i lavori di spianamento vennero continuati ed ultimati sotto al regno di Vittorio Emmanuele, il che permise di formare tutto all’intorno del perimetro della città i larghi ed ombrosi viali che sono, non meno che i portici, una prerogativa della sola Torino. Furono essi viali formati nel 1818. Già prima gli olmi annosi della cittadella, dei doppi viali del Valentino, e dei ripari di porta Nuova accomodavano di liete ombre e di galanti memorie i passeggianti.5

Nè men salutare nei grandi caldi era, ed è la meridiana passeggiata sotto agli alti castagni d’India del giardino del re, o la vespertina sotto alle basse volte fronzute del viale dei platani piantato dai Francesi, che da porta Nuova scende al fiume Po.

Ma già l’abbondanza del popolo facendo rincarar le pigioni, mostrava la necessità di nuovi ingrandimenti. Rotta l’importuna cerchia delle fortificazioni, nulla più vietava i novelli aumenti; onde Vittorio Emmanuele, con editto del 19 di febbraio 1819, concedette varii privilegi a chi pigliasse a fabbricar case attorno ad una gran piazza che dovea congiungere la città al ponte di Po, ed al tempio che il Corpo Decurionale avea fatto voto di costrurre al di là d’esso ponte in memoria del fausto ritorno del re.

La soverchia vastità del piano ne difficultò [p. 43 modifica]l’esecuzione, onde ai tempi del re Carlo Felice si vuol riferire il quinto ingrandimento della città. Modificati allora i progetti, sorse, quasi per incanto, la maestosa piazza Vittorio Emmanuele, sorse al di là del fiume sull’altissimo suo basamento la rotonda dedicata alla gran Madre di Dio; a mezzodì s’aggiunsero i due ultimi isolati della via di porta Nuova, si formò la piazza Carlo Felice, e si cominciarono gli isolali che fronteggiano verso mezzodì il viale de’ platani.

La sesta ampliazione di Torino onora il regno di Carlo Alberto. Quella nuova città che pigliò nome di Borgo Nuovo, movendo da porta Nuova segue l’andamento de’ pubblici giardini, e allargandosi fino al Po va a ricongiungersi cogli isolati della piazza Vittorio Emmanuele.

Già lo spazio che è tra il viale de’ platani ed il viale più meridionale del Valentino comincia a popolarsi di case. Bentosto al di là di quello spazio s’alzerà lo stupendo edilizio del nuovo spedai militare, e la Chiesa di S. Salvano, ed il Castello Beale del Valentino faranno corpo colla città, che comincierà a meritar veramente, anche per questo rispetto della material estensione, l’antico suo nome d’Augusta.

Son rari ancora i monumenti pubblici. Non torri, non obelischi, non fontane. Ma anche a questo provvederà, ne siam certi, la munificenza del Re.

Note

  1. [p. 48 modifica]Archivio del capitolo della metropolitana di Torino.
  2. [p. 48 modifica]Vedi l’editto 12 agosto 1621, nel Borelli.
  3. [p. 48 modifica]In una patente di quell’anno, di nomina di cantoniere in favore di Lorenzo Franchino, sta scritto: Essendo ormai terminata la costruzione de’ portici nella gran contrada di Po, ecc.
  4. [p. 48 modifica]V. i registri degli Ordinati.
  5. [p. 48 modifica]I viali che dalle vie di S.ta Teresa e del Gambero vanno alla cittadella, si piantarono nel 1724 e nel 1725; quelli che da casa Cossato procedono verso l’austro, nel 1729; quelli di S. Salvano e del Valentino, nel 1730. I varii rondeaux, a porta Nuova, nel 1755, sui disegni dell’architetto Feroggio (Ordinali della città). Nell’anno 1711 si è dato principio alla strada Reale di Rivoli, colla assistenza del conte Francesco Malliano, vicario di politica e pulizia; e nel 1712 fu terminata. In quest’ultimo anno si è cominciata la nuova fabbrica del castello di Rivoli, rovinato nelle precedute guerre. Memoria delle cose rimarcabili dall’anno 1710 in avvenire. MS. dell’Archivio della città di Torino.