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dell'impero romano cap. lv 69

vata dalle migliaia di pecore e di buoi, che manteneano fra essi una salubre, e costante copia di latte, e di nudrimento animale. Le prime cure del Generale all’abbondanza de’ foraggi volgeansi, e quando le mandrie eran sicure del loro pascolo, que’ coraggiosi guerrieri non sentivano più nè pericolo, nè fatica. La confusione de’ loro campi, ove, sopra un vasto spazio di terreno, sparsi stavano indistintamente gli uomini e il bestiame, gli avrebbe di leggieri avventurati a notturne sorprese, se non avesse guardati i dintorni del campo medesimo la loro cavalleria leggiera, che sempre per esplorare e impedire l’avvicinar del nemico in continuo moto si stava. Dopo avere fatte alcune esperienze sugli usi militari de’ Romani, ammisero fra i proprj attrezzi di guerra la spada, e la lancia, l’elmo del soldato, e l’armadura del cavallo; ma l’arco usato nella Tartaria fu sempre l’arma lor principale. I loro figli e schiavi venivano addestrati fin da’ primi anni al tiro delle frecce, e al governo de’ cavalli; forniti di braccio vigoroso, e d’occhio sicuro, in mezzo a rapidissima corsa sapeano volgersi addietro, ed empir l’aere d’un nembo di dardi. Nè meno formidabili in una battaglia ordinata, o in un agguato, mostravansi terribili, se fuggivano dal nemico, terribili se lo inseguivano. Le prime linee serbavano un’apparenza di ordine; ma spinte avanti dall’impeto delle linee posteriori, scagliavansi con impazienza sull’inimico. Dopo averlo messo in rotta, lo inseguivano a capo chino, e a sciolte briglie, mandando orribili grida: se eglino stessi prendevan la fuga in un istante di terrore o vero, o simulato, l’ardor delle truppe che credeansi vincitrici, venia represso e punito dalle