Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/39

CAPITOLO XXXIX

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Prefazione dell'autore II 40

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CAPITOLO XXXIX

Zenone ed Anastasio, Imperatori d'Oriente. Nascita, educazione, e prime imprese di Teodorico Ostrogoto. Sua invasione e conquista d'Italia. Regno in Italia de' Goti. Stato dell'Occidente. Governo militare e civile. Senatore Boezio. Ultime azioni e morte di Teodorico.

[A. 476-527] Dopo la caduta del Romano Impero in Occidente, gli oscuri nomi, e gl’imperfetti Annali di Zenone, d’Anastasio e di Giustino, che l’un dopo l’altro montarono sul trono di Costantinopoli, debolmente segnano l’intervallo di cinquant’anni fino al memorabile Regno di Giustiniano. Nel medesimo periodo risorse e fiorì l’Italia sotto il governo d’un Re Goto, che avrebbe potuto meritare una statua fra’ migliori e più valorosi degli antichi Romani.

[A. 455-475] Teodorico l’Ostrogoto, ch’era il decimoquarto nella discendenza della stirpe reale degli Amali1, era nato nelle vicinanze di Vienna2 due anni dopo la morte [p. 202 modifica]d’Attila. Una recente vittoria aveva restituito l’indipendenza agli Ostrogoti; ed i tre fratelli Walamiro, Teodemiro e Widimiro, che unitamente governavano quella guerriera Nazione, avevano separatamente stabilito le loro sedi nella fertile, quantunque desolata Provincia della Pannonia. Gli Unni tuttavia minacciavano i ribelli lor sudditi; ma fu rispinto il precipitoso loro attacco dalle sole forze di Walamiro, e giunsero le nuove di tal vittoria al campo lontano del suo fratello in quell’istesso fausto momento, in cui la concubina favorita di Teodemiro gli aveva partorito un figlio ed erede. Teodorico nell’ottavo anno della sua età, fu dal padre con ripugnanza rilasciato pel pubblico interesse come ostaggio d’un’alleanza, che Leone Imperatore di Oriente aveva comprato per un annuo sussidio di trecento libbre d’oro. Fu educato il Reale ostaggio a Costantinopoli con premura ed affetto. S’assuefece il suo corpo a tutti gli esercizi della guerra, si dilatò il suo spirito per l’uso d’una culta conversazione, frequentò le scuole de’ più abili Maestri; ma sdegnò o trascurò le arti della Grecia, e restò sempre tanto ignorante ne’ primi elementi delle lettere, che fu inventato un rozzo istrumento per far la sottoscrizione dell’idiota Re d’Italia3. Giunto al[p. 203 modifica]l’età di diciotto anni, fu restituito a’ desiderj degli Ostrogoti, che l’Imperatore cercava di guadagnare per mezzo della liberalità e della confidenza. Walamiro era morto in battaglia; Widimiro, fratello minore, aveva condotto in Italia e nella Gallia un’armata di Barbari, e tutta la Nazione riconosceva per Re il padre di Teodorico. I feroci di lui sudditi ammirarono la forza e la statura del giovine loro Principe4: ed ei tosto provò loro, che non avea punto degenerato dal valore de’ suoi Antenati. Alla testa di seimila volontari partì segretamente dal campo, andando in cerca di avventure, discese il Danubio fino a Singiduno o Belgrado, ed in breve tornò da suo padre con le spoglie d’un Re Sarmata, ch’egli aveva vinto ed ucciso. Tali trionfi però non producevano altro che gloria, e gl’invincibili Ostrogoti eran ridotti ad un’estrema angustia per mancanza di vesti e di cibo. Di comun consenso dunque risolvettero d’abbandonare i loro accampamenti Pannonici, e d’avanzarsi arditamente verso le temperate e ricche vicinanze della Corte Bizantina, che già manteneva nell’orgoglio e nel lusso tante altre truppe di Goti ad essa confederati. Dopo d’aver provato con alcuni atti d’ostilità ch’essi potevano esser pericolosi nemici, o almeno molesti, gli Ostrogoti venderono ad un alto prezzo la loro riconciliazione e fe- [p. 204 modifica]accettarono un donativo di terre e di denaro; e fu loro confidata la difesa del basso Danubio sotto il comando di Teodorico, il quale dopo la morte di suo padre successe al trono ereditario degli Amali5.

[A. 474-491] Un Eroe, proveniente da una stirpe di Regi, dovea disprezzare quel basso Isauro, che fu investito della porpora Romana senz’alcuna dote di spirito o di corpo, e senz’alcuna prerogativa di nascita Reale, o di sublimi qualità. Mancata la linea di Teodosio, potè in qualche modo giustificarsi la scelta di Pulcheria e del Senato da’ caratteri di Marciano e di Leone; ma quest’ultimo stabilì e disonorò il suo Regno mediante la perfida uccisione d’Aspar e de’ suoi figli, che troppo a rigore esigevano il debito della gratitudine e dell’ubbidienza. L’eredità di Leone e dell’Oriente passò pacificamente nel piccolo di lui nipote, figlio d’Ariadne sua figlia; ed il fortunato Isauro Trascalisseo di lei marito, mutò quel barbaro suono nel Greco nome di Zenone. Dopo la morte del vecchio Leone, s’accostò egli con rispetto non naturale al trono del proprio figlio, umilmente ricevè, come un dono il secondo posto nell’Impero, e tosto eccitò il pubblico sospetto sopra una subitanea ed immatura morte del giovine suo Collega, la vita del quale non poteva più oltre portare in alto la sua ambizione. Ma l’autorità donnesca regolava il suo Palazzo di Costantinopoli, e lo agitavano le femminili passioni: Verina, vedova di Leone, risguardando come suo proprio l’Impero, pro[p. 205 modifica]nunziò una sentenza di deposizione contro l’indegno ed ingrato servo, al quale aveva ella sola dato lo scettro d’Oriente6. Appena risuonò alle orecchie di Zenone il nome di ribellione, ei fuggì precipitosamente nelle montagne d’Isauria, ed il servile Senato concordemente proclamò Basilisco, di lei fratello, già infamato dalla sua spedizione affricana7. Il Regno però dell’usurpatore fu breve e turbolento. Basilisco pretese d’assassinare l’amante della sua sorella, ed ardì d’offendere l’amante della sua moglie, il vano ed insolente Armazio, che in mezzo al lusso asiatico affettava l’abito, il portamento, ed il soprannome d’Achille8. Cospirando fra loro i malcontenti, richiamarono Zenone dall’esilio; furon tradite le armate, la Capitale, e la persona di Basilisco; e tutta la sua famiglia fu condannata alla lunga agonia del freddo e della fame dall’inumano conquistatore, che non aveva coraggio nè di far fronte, nè di perdonare a’ propri nemici. Il superbo spirito di Verina era tuttavia incapace di sommissione, o di riposo. Essa provocò l’inimicizia d’un General favorito, ne abbracciò la causa tosto ch’egli cadde in disgrazia, creò un nuovo Imperatore in Siria ed in Egitto, levò un esercito di settantamila uomini, e continuò sino all’ultimo istante della sua vita in una inutile ribellione, che secondo l’uso di quel tem[p. 206 modifica]po, era stata predetta dagli Eremiti Cristiani, e dai Magi del Paganesimo. Nel tempo che le passioni di Verina affliggevan l’Oriente, Ariadne sua figlia distinguevasi con le femminili virtù della dolcezza e della fedeltà; seguitò questa nell’esilio il proprio marito, e dopo il suo ritorno al trono implorò la clemenza di lui in favor della madre. [A. 491-518] Morto Zenone, Ariadne, figlia, madre e vedova d’Imperatori, diede la mano, ed il titolo Imperiale ad Anastasio, vecchio domestico del Palazzo, che sopravvisse più di ventisette anni al suo innalzamento, e di cui si dimostra il carattere da quest’acclamazione del Popolo: „Regna come hai vissuto9„.

[A. 475-488] Tuttociò, che potea suggerir l’affezione o il timore, fu a larga mano da Zenone profuso al Re degli Ostrogoti, come il posto di Patrizio e di Console, il comando delle truppe Palatine, una statua equestre, un tesoro di più migliaia di libbre d’oro e d’argento, il nome di figlio, e la promessa di una ricca ed onorevole moglie. Finattantochè Teodorico si contentò di servire, sostenne con fedeltà e coraggio la causa del suo benefattore: la rapida marcia di esso contribuì al restauramento di Zenone: e nella seconda ribellione [p. 207 modifica]i Walamiri, come solevan chiamarsi, inseguirono e strinsero i ribelli Asiatici in modo, che procurarono alle truppe Imperiali un’agevol vittoria10. Ma questo fedel servo ad un tratto si mutò in un formidabil nemico, ch’estese le fiamme della guerra da Costantinopoli fino all’Adriatico: furono ridotte in cenere molte floride Città e fu quasi distrutta l’agricoltura della Tracia dalla barbara crudeltà de’ Goti, che tagliavano a’ contadini lor prigionieri la mano destra, con cui guidavan l’aratro11. In tali occasioni toccò a Teodorico l’alto e patente rimprovero d’infedeltà, d’ingratitudine e d’insaziabile avarizia, che non si potrebbe scusare, se non dalla dura necessità della sua situazione. Regnava egli non come Monarca, ma come Ministro di un feroce Popolo, di cui lo spirito non era domato dalla schiavitù, e che non soffriva insulti nè reali, nè immaginari. N’era incurabile povertà, la mentre venivano tosto dissipati i donativi più generosi in un eccessivo lusso, e divenivano sterili i più fertili Stati nelle lor mani; gli Ostrogoti disprezzavano, sebbene invidiassero, i laboriosi Provinciali; e quando [p. 208 modifica]mancava loro la sussistenza, ricorrevano ai soliti espedienti della guerra, e della rapina. Il desiderio di Teodorico (secondo almeno la sua protesta) sarebbe stato quello di menare una vita pacifica, oscura, e sommessa ne’ confini della Scizia; ma la Corte di Bizanzio l’indusse con splendide e fallaci promesse ad attaccare una tribù confederata di Goti, che s’erano impegnati nel partito di Basilisco. Marciò dunque dai suoi quartieri nella Mesia, essendo stato solennemente assicurato, che prima di giungere ad Adrianopoli avrebbe incontrato un abbondante convoio di provvisioni, ed un rinforzo di ottomila cavalli, e di trentamila fanti, mentre le Legioni dell’Asia erano accampate ad Eraclea per secondare le sue operazioni. Furono però sconcertate queste misure dalla reciproca gelosia. All’avanzarsi che fece il figlio di Teodemiro nella Tracia, trovò un’inospita solitudine, ed i Goti, suoi seguaci, con un grave bagaglio di cavalli, di muli, e di carri vennero, per inganno delle loro guide, condotti fra le rupi ed i precipizi del Monte Sondis, dove fu egli assalito dalle armi e dalle invettive di Teodorico, figlio di Triario. Da una vicina eminenza il suo artificioso rivale arringava il campo de’ Walamiri, ed infamava il lor Capitano con gli obbrobriosi nomi di fanciullo, di pazzo, di traditore spergiuro, e di nemico del proprio sangue, e della sua nazione. „Non sapete voi (gridava il figlio di Triario) che la costante politica de’ Romani è quella di distruggere i Goti con le lor proprie spade? Non vedete, che quegli di noi, che in questo non natural combattimento resterà vincitore, sarà esposto, e giustamente invero, all’implacabile loro vendetta? Dove son que’ guerrieri, miei e tuoi propri congiunti, le vedove de’ quali ora [p. 209 modifica]si lagnano, che sacrificarono le loro vite alla tua temeraria ambizione? Dov’è la ricchezza, che avevano i tuoi soldati, quando, partendo dalle native lor case, principiarono ad arruolarsi sotto le tue bandiere? Ciascheduno di essi aveva in quel tempo tre o quattro cavalli; ora ti seguitano a piedi come schiavi pei deserti della Tracia quegli, che tentati furono dalla speranza di misurar l’oro a staio, quei bravi uomini, che son liberi e nobili come tu stesso„. Un linguaggio così adattato all’indole de Goti, eccitò il clamore ed il malcontento; ed il figlio di Teodemiro, temendo di restar solo, fu costretto ad abbracciare i suoi fratelli, e ad imitare l’esempio della perfidia romana12.

[A. 489] La prudenza e fermezza di Teodorico si fece ugualmente conoscere in qualunque stato di fortuna ei si trovasse: o minacciasse Costantinopoli alla testa de’ Goti fra loro confederati, o con un fedel drappello si ritirasse alle montagne e coste marittime dell’Epiro. Finalmente l’accidental morte del figlio di Triario13 [p. 210 modifica]tolse la bilancia, che i Romani erano tanto solleciti di mantenere fra’ Goti: tutta la Nazione riconobbe la suprema potestà degli Amali, e la Corte Bizantina sottoscrisse un ignominioso ed oppressivo trattato14. Il Senato avea già dichiarato, che era necessario scegliere un partito fra i Goti, giacchè lo Stato non era capace di sostenere le forze riunite; per il minimo de’ loro eserciti si richiedeva un sussidio di duemila libbre d’oro, con l’ampia paga di tredicimila uomini15; gl’Isauri, che guardavano non già l’Impero, ma l’Imperatore, oltre il privilegio della rapina, godevano un’annua pensione di cinquemila libbre. La sagacità di Teodorico ben presto conobbe, ch’ei si rendeva odioso ai Romani, e sospetto a’ Barbari; gli venne all’orecchio il popolar mormorìo, che i suoi sudditi erano esposti nelle agghiacciate loro capanne ad intollerabili travagli, mentre il loro Re s’abbandonava al lusso della Grecia; e prevenne la disgustosa alternativa, o di resistere ai Goti come il campion di Zenone, o di condurli alla battaglia come nemico di esso. Teodorico, abbracciando un’impresa degna del suo coraggio e della sua ambizione, parlò all’Imperatore in questi termini. „Quantunque il vostro servo sia mantenuto nell’abbondanza dalla vostra liberalità, porgete graziosamente orecchio a’ desiderj del mio cuore! L’Italia, che avete ereditato da’ vostri Predecessori, e Roma stessa, la capitale e signora del Mondo, presentemente gemono sotto la violenza e l’oppressione del mer[p. 211 modifica]cenario Odoacre. Lasciatemi andare con le nazionali mie truppe contro il Tiranno. Se io perirò, voi resterete libero da un dispendioso e molesto amico. Se poi col divino aiuto riescirò nell’impresa, governerò in vostro nome, ed a gloria vostra il Senato Romano, e quella parte di Repubblica, che mediante le vittoriose mie armi sarà liberata dalla schiavitù„. Fu accettata la proposizione di Teodorico, ed era forse stata suggerita dalla Corte di Bizanzio. Ma sembra, che la forma della commissione, o dell’accordo s’esprimesse con una prudente ambiguità, che potesse poi spiegarsi secondo l’evento; e restò in dubbio, se il Conquistator dell’Italia dovesse regnare come Luogotenente, come Vassallo o come Alleato dell’Imperatore d’Oriente16. La fama tanto del condottiero, quanto della guerra eccitò un ardore universale; s’accrebbero i Walamiri da sciami di Goti, ch’erano già impegnati al servizio dell’Impero, o stabiliti nelle Province di esso; ed ogni audace Barbaro, che aveva sentito parlare della ricchezza e beltà d’Italia, era impaziente di arrivare a possedere, per mezzo delle più pericolose avventure, oggetti così lusinghieri. Si dee risguardar la marcia di Teodorico come l’emigrazione d’un intiero Popolo; si trasportarono tutte le mogli ed i figli de’ Goti, i vecchi lor genitori e gli effetti più preziosi che avessero; e possiam formarci qualche idea del grave bagaglio, che allora seguitò il campo, dalla perdita di [p. 212 modifica]duemila carri, che nella guerra dell’Epiro soffrirono in una sola azione. Traevano i Goti la lor sussistenza dai magazzini di grano, che si macinava dalle loro donne in certi mulini portatili; dal latte e dalla carne de’ loro greggi ed armenti; dal casual prodotto della caccia; e dalle contribuzioni, che imponevano a tutti quelli che ardivano di contendere il passo, o di negar loro un amichevole aiuto. Nonostante queste precauzioni però si trovarono esposti al pericolo, e quasi alle angustie della fame, in una marcia di settecento miglia, intrapresa noi cuore d’un rigido inverno. Dopo la caduta della potenza Romana, la Dacia e la Pannonia non presentavano più il ricco prospetto di popolate Città, di campagne ben coltivate e di comode strade: si rinnovò il regno della barbarie e della desolazione, e le tribù de’ Bulgari, de’ Gepidi e de’ Sarmati, che avevan occupato quella vacante Provincia, furon mosse dalla nativa loro fierezza o dalle sollecitudini d’Odoacre a resistere a’ progressi del suo nemico. In molte oscure, sebben sanguinose battaglie, Teodorico pugnò e vinse, sintantochè superando alla fino coll’abile sua condotta e coraggiosa perseveranza ogni ostacolo, scese dalle alpi Giulie e spiegò le invincibili suo bandiere ne’ confini d’Italia17.

[A. 489-490] Odoacre, non indegno rivale delle sue armi, aveva già occupato il vantaggioso e celebre posto del fiume Sonzio presso le rovine d’Aquileia, essendo alla testa d’un poderoso esercito, i Re18, o Capi del quale [p. 213 modifica]fra loro indipendenti sdegnavano i doveri della subordinazione e gl’indugi della prudenza. Appena Teodorico ebbe concesso un breve riposo e rinfresco alla stanca sua cavalleria, arditamente attaccò le fortificazioni del nemico; e gli Ostrogoti mostrarono maggiore ardore per acquistare le terre d’Italia, che i Mercenari per difenderle; ed il premio della prima vittoria fu il possesso della Provincia Veneta fino alle mura di Verona. Nelle vicinanze di quella città, sulle scoscese rive dell’Adige, gli si oppose un’altra armata di maggior numero, ed in coraggio non inferiore della prima; la battaglia fu più ostinata, ma l’evento ne fu sempre più decisivo; Odoacre fuggì a Ravenna, Teodorico avanzossi verso Milano, e le soggiogate truppe salutarono il loro conquistatore con alte acclamazioni di rispetto e di fedeltà. Ma la lor mancanza o di costanza o di fede tosto l’espose al più imminente pericolo; vari Conti Goti, che con la sua vanguardia s’erano temerariamente affidati ad un disertore furon traditi e distrutti vicino a Faenza mediante un doppio di lui tradimento; Odoacre di nuovo comparve come padrone della Campagna; e l’invasore, fortemente trincerato nel suo campo di Pavia, fu ridotto a sollecitare il soccorso d’una congiunta Nazione cioè de’ Visigoti della Gallia. Nel corso di quest’Istoria potrà saziarsi abbondantemente il più vorace appetito di guerra, nè posso io molto dolermi, che gli oscuri ed imperfetti nostri materiali non mi somministrino una più estesa narrazione delle angustie d’Italia, e del fiero combattimento, che restò finalmente deciso dall’abilità, [p. 214 modifica]dall’esperienza e dal valore del Re de’ Goti. Quando fu per principiar la battaglia di Verona, pertossi alla tenda di sua Madre19 e di sua sorella, e volle che in quel giorno, il più solenne della sua vita, l’adornassero con le ricche vesti ch’esse avevano lavorato con le proprie lor mani. „La nostra gloria, disse egli, è reciproca ed inseparabile. Il Mondo sa, che voi siete la madre di Teodorico, ed a me tocca a provare, che io sono il vero discendente di quegli Eroi dei quali vanto l’origine„. La moglie o concubina di Teodemiro veniva inspirata da quello spirito delle matrone Germane, che stimavano l’onore de’ loro figli molto più della lor sicurezza; e si racconta che in una disperata battaglia, mentre Teodorico medesimo era tratto via dal torrente d’una folla di fuggitivi, andò arditamente loro incontro all’ingresso del campo, e co’ suoi generosi rimproveri gli spinse indietro contro le spade nemiche20.

[A. 493] Teodorico per diritto di conquista regnò dalle Alpi fino all’estremità della Calabria: gli Ambasciatori Vandali gli diedero l’isola della Sicilia come una legittima appendice del suo Regno; e fu accolto come liberatore di Roma dal Senato e dal Popolo, che aveva [p. 215 modifica]chiuso le porte in faccia all’usurpator che fuggiva21. La sola Ravenna, fortificata dall’arte e dalla natura, sostenne un assedio di quasi tre anni; e le audaci sortite d’Odoacre portarono la strage e il disagio nel campo Gotico. Finalmente quell’infelice Monarca, privo di provvisioni e senza speranza d’aiuto, cedè ai lamenti de’ propri sudditi, ed a’ clamori de’ suoi soldati. Si maneggiò un trattato dal Vescovo di Ravenna; gli Ostrogoti furono ammessi nella Città, e sotto la sanzione di un giuramento, ambidue i Re acconsentirono a governare con uguale ed indivisa autorità le Province d’Italia. Può facilmente prevedersi l’evento di tale accordo. Concessi alcuni giorni alle apparenze della gioia e dell’amicizia, Odoacre in mezzo ad un solenne convito fu trucidato dalle proprie mani, o almeno per ordine del suo rivale. Si erano precedentemente prese le opportune, segrete ed efficaci disposizioni per uccidere nell’istesso momento e senz’alcuna resistenza tutti quanti gl’infedeli e rapaci mercenari; e Teodorico fu proclamato Re da’ Goti, col tardo, ripugnante ed ambiguo consenso dell’Imperatore d’Oriente. Secondo le solite formalità s’imputò al soggiogato Tiranno il disegno d’una cospirazione; ma sufficientemente si prova la sua innocenza e la colpa del conquistatore22 dal vantaggioso Trattato, che la forza [p. 216 modifica]non avrebbe sinceramente accordato, nè la debolezza temerariamente rotto. Somministrar possono un’apologia più decente la gelosia del potere, ed i mali della discordia; e si può pronunziare una sentenza meno rigorosa contro un delitto, ch’era necessario per introdurre in Italia un principio di pubblica felicità. L’Autore vivente di questa felicità fu audacemente lodato in faccia da Oratori sacri e profani23; ma l’Istoria (che nel suo tempo era muta ed oscura) non ci ha lasciato alcun giusto quadro de’ fatti, che potrebbero dimostrar le virtù di Teodorico, o de’ difetti che le oscurarono24. Tuttavia sussiste un monumento della sua fama, vale a dire la raccolta delle Lettere pubbliche, composte da Cassiodoro in nome del Re, che ha ottenuto credito maggiore di quello, che intrinsecamente sembri meritare25. Esse presentano le [p. 217 modifica]formalità piuttosto che la sostanza del suo governo; ed in vano si cercherebbero i puri e spontanei sentimenti del Barbaro, in mezzo alla declamazione e dottrina di un Sofista, a’ desiderj d’un Senator Romano, alle formule d’ufizio, ed alle dubbiose espressioni, che in ogni Corte ed in ogni occasione formano il linguaggio d’un discreto Ministro. Con maggior fiducia può appoggiarsi la riputazion di Teodorico sopra un Regno di trentatre anni visibilmente pacifico e prospero, sull’unanime stima de’ suoi contemporanei, e sulla memoria della sua saviezza, giustizia ed umanità, non meno che del suo coraggio, che restò profondamente impresso nelle menti dei Goti, e degl’Italiani.

Il ripartimento delle terre d’Italia, delle quali Teodorico assegnò la terza parte a’ suoi soldati, si cita onorevolmente come l’unica ingiustizia della sua vita. Ed anche quest’atto si può plausibilmente giustificare coll’esempio d’Odoacre, co’ diritti di conquista, col vero interesse degl’Italiani, e col sacro dovere di far sussistere un intiero Popolo, che affidato alle sue promesse erasi trasferito in un lontano Paese26. I Goti sotto il Regno di Teodorico, e nel felice clima d’Italia, tosto s’aumentarono al segno di formare un [p. 218 modifica]formidabil esercito di dugentomila uomini27, e coll’aggiunta ordinaria delle donne e de’ fanciulli si può calcolare a qual numero ascendessero tutte le loro famiglie. Si mascherò l’invasione del territorio di cui doveva già esser vacante una parte, col generoso, ma improprio, nome d’Ospitalità: questi malveduti Ospiti si dispersero irregolarmente per l’Italia e la porzione, che toccò ad ogni Barbaro, corrispondeva alla sua nascita ed al suo posto, al numero del suoi seguaci ed alla rustica ricchezza, che aveva in bestiame ed in ischiavi. Fu ammessa la distinzione fra il nobile ed il plebeo28; ma le terre di ogni uomo libero furono immuni dalle tasse, ed ei godeva l’inestimabil privilegio di non esser soggetto che alle leggi della sua Patria29. La moda o anche la comodità persuase ben presto i conquistatori ad assumer l’abito più elegante de’ nativi d’Italia; ma essi persisterono tuttavia nell’uso della lor lingua materna; e fu applaudito il disprezzo, che avevano per le scuole latine, da Teodorico medesimo, che secondava i lor pregiudizi o piuttosto i suoi propri col dire, che un fanciullo assuefatto a tremare alla sferza del maestro, non avrebbe mai ardito di guardare una spada30. La [p. 219 modifica]miseria potè qualche volta muovere l’indigente Romano a prendere i feroci costumi che appoco appoco si lasciavano dal ricco e lussurioso Barbaro31: ma tali vicendevoli trasformazioni non eran punto promosse dalla politica d’un Monarca, che rendè perpetua la separazione fra gl’Italiani ed i Goti, riservando i primi alle arti della pace, ed i secondi agli esercizi della guerra. Per eseguire questo disegno ei procurò di proteggere gl’industriosi suoi sudditi, e di moderar la violenza senza snervare il valore dei suoi soldati, che dovevan servire alla pubblica difesa. Essi ritenevano le loro terre, e i benefizi come uno stipendio militare; al suono della tromba eran pronti a marciare sotto la condotta de’ loro Ufiziali provinciali; e tutta l’Italia era distribuita in più quartieri d’un medesimo campo ben regolato. Si faceva la guardia del Palazzo e delle Frontiere per elezione o per turno; ed ogni straordinaria fatica veniva ricompensata da un accrescimento di paga, o da donativi arbitrari. Teodorico aveva persuaso i suoi bravi compagni che l’Impero si dee difendere con quelle medesime arti, con le quali s’acquista. Dietro il suo esempio essi procuravano di esser eccellenti nell’uso non solo della lancia e della spada, istromenti delle loro vittorie, ma [p. 220 modifica]anche delle armi da scagliare, ch’essi erano troppo inclinati a trascurare, ed i quotidiani esercizi, e le annue riviste della Cavalleria Gotica somministravano la viva immagine della guerra. Una ferma, quantunque blanda, disciplina li fece abituare alla modestia, all’ubbidienza, ed alla temperanza; ed i Goti impararono a risparmiare il Popolo, a rispettare le Leggi, a non trascurare i doveri della società civile, ed a disapprovare la barbara licenza del combattimento giudiciale e della vendetta privata32.

La vittoria di Teodorico aveva eccitato un generale allarme fra’ Barbari dell’Occidente. Ma quando videro, ch’ei, soddisfatto della conquista, desiderava la pace, il terrore si mutò in rispetto, ed essi accettarono una potente mediazione, che fu costantemente diretta agli ottimi oggetti di conciliare le lor dissensioni, e d’incivilirne i costumi33. Gli Ambasciatori che giungevano a Ravenna dai più distanti paesi d’Europa, ammiravano la sua saviezza, cortesia e magnificenza34; e se accettava talvolta degli schiavi o delle armi, dei [p. 221 modifica]cavalli bianchi o de’ rari animali, il dono d’un orologio solare, di un orologio ad acqua o di un istromento di musica dimostrava anche a’ Principi della Gallia la superiore abilità ed industria degl’Italiani suoi sudditi. I domestici vincoli35, che contrasse per mezzo della moglie, di due figlie, di una sorella e di una nipote, unirono la famiglia di Teodorico con i Re dei Franchi, de’ Borgognoni, de’ Visigoti, de’ Vandali, e de’ Turingi; e contribuirono a mantener la buon’armonia, o almeno la bilancia della gran Repubblica dell’Occidente36. Egli è difficile seguitare nelle cupe foreste della Germania e della Polonia l’emigrazione degli Eruli, feroce Popolo, che sdegnava l’uso dell’armatura, e condannava le vedove ed i vecchi genitori a non sopravvivere alla perdita de’ loro mariti o alla diminuzione delle lor forze37. Il Re pertanto di questi selvaggi guerrieri domandò l’amicizia di Teodorico, e secondo le barbare cerimonie d’una militare adozione38, fu innalzato al grado di suo figlio. Dalle rive [p. 222 modifica]del Baltico gli Estoni o Livoni portarono i loro doni d’ambra nativa39 a’ piedi d’un Principe, di cui la fama gli aveva mossi a intraprendere un ignoto e pericoloso viaggio di mille cinquecento miglia. Ei mantenne una frequente ed amichevol corrispondenza col paese40, da cui la nazione Gotica trasse l’origine; gl’Italiani si cuoprivano co’ ricchi zibellini41 di Svezia; ed uno de’ Sovrani di essa, dopo una volontaria o forzata rinuncia, trovò un cortese rifugio nel palazzo di Ravenna. Questi aveva regnato sopra una delle tredici numerose Tribù, che coltivavano una piccola parte della grande Isola o Penisola della Scandinavia, a cui si è talvolta applicata l’incerta denominazione di Thule. Era quella settentrional regione abitata o almeno [p. 223 modifica]cognita fino al 68 grado di latitudine, dove gli abitatori del cerchio polare godono e perdono in ogni solstizio d’estate e d’inverno la continua presenza del sole per un ugual periodo di quaranta giorni42. La lunga notte dell’assenza, o morte di esso, era la trista stagione dell’angustia e dell’inquietudine, finattantochè i messaggieri mandati sulle cime delle montagne non annunciavano i primi raggi della luce che tornava, e proclamavano alle sottoposte pianure la festa della sua resurrezione43.

La vita di Teodorico presenta il raro e lodevole esempio d’un Barbaro, che pose la sua spada nel fodero in mezzo all’orgoglio della vittoria e nel vigor dell’età. Consacrò un regno di trentatre anni a’ doveri del Governo civile, e le guerre, nelle quali talvolta si trovò impegnato, presto furono terminate mercè la condotta de’ suoi Generali, la disciplina delle [p. 224 modifica]sue truppe, le armi de’ suoi alleati, ed anche il terror del suo nome. Ridusse sotto un forte e regolar Governo le poco profittevoli regioni della Rezia, del Norico, della Dalmazia e della Pannonia, dalla sorgente del Danubio e dal territorio de’ Bavari44 fino al piccolo regno formato da’ Gepidi sulle rovine del Sirmio. Non poteva la sua prudenza sicuramente affidare il baloardo d’Italia a que’ deboli e turbolenti vicini; e la sua giustizia potea pretender le terre, ch’essi opprimevano, o come una parte del proprio regno, o come un’eredità di suo padre. La grandezza però di un servo, a cui si dava il nome di perfido, perchè era fortunato, risvegliò la gelosia dell’Imperatore Anastasio e s’accese una guerra sulla frontiera della Dacia per la protezione che il Re Goto, nelle vicende delle cose umane, aveva accordato ad uno de’ discendenti d’Attila. Sabiniano, generale illustre pel merito proprio e paterno, s’avanzò alla testa di diecimila Romani; e distribuì alle più feroci fra le Tribù de’ Bulgari le provvisioni e le armi, che empievano una lunga serie di carri. Ma ne’ campi di Margo l’esercito Orientale fu disfatto dalle inferiori forze de’ Goti e degli Unni; restò irreparabilmente distrutto il fiore, ed anche la speranza delle armate romane; e tal era la temperanza, che Teodorico aveva ispirato alle vittoriose sue truppe, che non avendo il lor condottiere dato il segno del saccheggio, le ricche spoglie del nemico [p. 225 modifica]rimasero intatte ai lor piedi45. Esacerbata la Corte Bizantina da questa disgrazia, spedì dugento navi ed ottomila uomini a saccheggiare le coste marittime della Calabria e della Puglia; questi assalirono l’antica città di Taranto, interruppero il commercio e l’agricoltura d’un fertil paese, e se ne tornarono all’Ellesponto altieri della piratica loro vittoria sopra di un Popolo, ch’essi tuttavia pretendevano di risguardar come composto di Romani loro fratelli46. L’attività di Teodorico ne affrettò possibilmente la ritirata; l’Italia fu posta al coperto da una flotta di mille piccoli vascelli47, ch’ei fece costruire con incredibil prestezza, [A. 509] e la costante sua moderazione fu tosto premiata con una solida ed onorevole pace. Esso mantenne con forte mano la bilancia dell’Occidente, finattantochè non fu alla fine rovesciata dall’ambizione [p. 226 modifica]di Clodoveo; e quantunque non potesse assistere il suo temerario ed infelice congiunto, il re de’ Visigoti, salvò i residui della sua famiglia e del suo Popolo e represse i Franchi in mezzo alla vittoriosa loro carriera. Io non voglio prolungare o ripetere48 la narrazione di questi militari avvenimenti, che sono i meno interessanti del regno di Teodorico; e mi contenterò d’aggiungere, ch’ei protesse gli Alemanni49; che severamente gastigò un’incursione de’ Borgognoni, e che la conquista ch’ei fece d’Arles e di Marsiglia, gli aprì una libera comunicazione co’ Visigoti, che lo rispettavano tanto come loro nazional protettore, quanto come tutore del piccolo figlio di Alarico, suo nipote. Con questo rispettabil carattere il Re d’Italia rinnovò la Prefettura Pretoriana delle Gallie, riformò alcuni abusi nel Governo civile della Spagna, ed accettò l’annuo tributo, e l’apparente sommissione del militar Governatore di quella, che saviamente ricusò d’affidare la sua persona al palazzo di Ravenna50. La sovranità Gotica s’era stabilita dalla Sicilia fino al Danubio, da Sirmio o Belgrado fino al Mare Atlantico; ed i Greci stessi hanno confessato, che Teodo[p. 227 modifica]rico regnò sopra la più bella parte dell’Impero Occidentale51. L’unione de’ Goti e de’ Romani avrebbe potuto fissar per de’ secoli la passeggiera felicità dell’Italia, e la reciproca emulazione delle rispettive loro virtù avrebbe potuto appoco appoco formare un nuovo Popolo di sudditi liberi, e d’illuminati soldati, che avesse il primato fra le nazioni. Ma non era serbato pel regno di Teodorico il merito sublime di guidare o di secondare una rivoluzione di questa sorta: gli mancò il talento, o la comodità per esser legislatore52; e mentre fece godere a’ Goti una rozza libertà, servilmente copiò le istruzioni, ed anche gli abusi del sistema politico formato da Costantino e da’ suoi successori. Per un delicato riguardo agli spiranti pregiudizi di Roma, il Barbaro evitò il nome, la porpora ed il diadema degl’Imperatori; ma sotto il titolo ereditario di Re assunse tutta la sostanza e pienezza dell’imperial dignità53. Le sue espressioni verso il trono Orientale erano rispettose ed ambigue; celebrava in pomposo stile l’armonia delle due Repubbliche, applaudiva il suo governo, come la perfetta immagine d’un [p. 228 modifica]solo ed indiviso Impero, e pretendeva sopra i Re della Terra quella stessa preeminenza, ch’ei modestamente accordava alla persona o al posto d’Anastasio. Dichiaravasi ogni anno l’unione dell’Oriente coll’Occidente, mediante l’unanime scelta de’ due Consoli; ma sembra che il Candidato italiano, ch’era nominato da Teodorico, ricevesse una formale conferma dal Sovrano di Costantinopoli54. Il palazzo gotico di Ravenna presentava l’immagine della Corte di Teodosio o di Valentiniano. Vi continuavano sempre ad agire da Ministri di Stato il Prefetto del Pretorio, il Prefetto di Roma, il Questore, il Maestro degli Ufizi co’ Tesorieri pubblici e patrimoniali, le funzioni de’ quali vengon dipinte con vistosi colori dalla rettorica di Cassiodoro. E la subornata amministrazione della giustizia e delle rendite era delegata a sette Consolari, e tre Correttori, ed a cinque Presidenti, che governavano le quindici Regioni d’Italia secondo i principj, e fino con le formalità della Giurisprudenza Romana55. La [p. 229 modifica]violenza de’ Conquistatori veniva abbattuta o delusa dal lento artifizio de’ processi giudiciali; ristringevasi agl’Italiani l’amministrazion civile co’ suoi onori ed emolumenti; ed il Popolo conservò sempre il proprio abito e linguaggio, le sue leggi e costumanze, la sua personal libertà, e due terzi delle proprie terre. L’oggetto d’Augusto era stato quello di nasconder l’introduzione della Monarchia; e la politica di Teodorico fu di mascherare il regno d’un Barbaro56. Se i suoi sudditi talvolta si risvegliaron da questa piacevol visione di un Governo romano, trassero un conforto più sostanziale dal carattere di un Principe Goto, che aveva penetrazione per discernere, e fermezza per procurare il proprio ed il pubblico interesse. Teodorico amava le virtù ch’ei possedeva, ed i talenti de’ quali mancava. Liberio fu promosso all’ufizio di Prefetto del Pretorio per l’incorrotta sua fedeltà nell’infelice causa d’Odoacre. I Ministri di Teodorico, Cassiodoro57 e Boe[p. 230 modifica]zio, hanno fatto riflettere sopra il suo regno s’estendono lo splendore del loro genio, e della loro dottrina. Cassiodoro però più prudente o più fortunato del suo collega conservò la propria riputazione senza perder la grazia reale; e dopo aver passato trent’anni fra gli onori del secolo, godè altrettanto tempo di riposo nella devota e studiosa solitudine di Squillace.

Era interesse e dovere del Re’ Goto di coltivare, come protettore della Repubblica, l’affezione del Senato58 e del Popolo. I nobili di Roma erano lusingati dai sonori epiteti e dalle formali proteste di rispetto, che si sarebbero più giustamente applicate al merito ed all’autorità de’ loro maggiori. Il Popolo godeva senza timore o pericolo i tre benefizi d’una Capitale, cioè il buon ordine, l’abbondanza, ed i pubblici divertimenti. La misura stessa del donativo59 dimostra una visibil diminuzione di esso: la Puglia, la Calabria e la Sicilia versavano ancora i loro tributi ne’ granai di Roma; si distribuiva una porzione di pane e di companatico, agl’indigenti cittadini, e stimavasi onorevole qualunque ufizio, che fosse destinato alla cura della loro salute e felicità. I giuochi pubblici, di tal sorta che un ambasciator greco potea decentemente applaudirvi, presentavano una languida e debole copia della magnificenza de’ Cesari: però la musica, la ginnastica e l’arte pantomimica non eran del tutto cadute in oblìo; le fiere dell’Affrica esercitavano tuttavia il coraggio e la destrezza de’ cacciatori; e l’in[p. 231 modifica]dulgente Goto o tollerava pazientemente, o dolcemente frenava le fazioni Azzurra e Verde, le contese delle quali empievano sì spesso il Circo di grida, ed anche di sangue60. Nel settimo anno del pacifico suo regno Teodorico visitò la vecchia capitale del Mondo; il Senato ed il Popolo in una solenne processione avanzossi a salutare il secondo Traiano, il nuovo Valentiniano, ed ei nobilmente sostenne questo carattere, assicurandoli d’un giusto e legittimo Governo61 in un discorso che non ebbe timore di pronunziare in pubblico e di fare incidere in una tavola di rame. In quest’augusta ceremonia Roma fece risplendere un ultimo raggio della decadente sua gloria: ed un Santo, che fu spettatore di quel pomposo spettacolo, potè solo sperare, nella pia sua fantasia, che fosse superato dal celeste splendore della nuova Gerusalemme62. Nella dimora, che vi fece di sei mesi, la fama, la persona, ed il cortese contegno del Re Goto eccitarono l’ammirazion de’ Romani, ed ei contemplò con ugual curiosità e sorpresa i monumenti ch’erano restati dell’antica loro grandezza. Impresse le vestigia di un conquistatore sul colle del Campidoglio, e fran[p. 232 modifica]camente confessò, che ogni giorno mirava con nuova maraviglia il Foro di Traiano e l’alta di lui colonna. Il teatro di Pompeo anche nella sua decadenza compariva quale una gran montagna artificialmente incavata, pulita ed ornata dall’industria umana; ed all’ingrosso calcolò, che vi volle un fiume d’oro per innalzare il colossale anfiteatro di Tito63. Per mezzo di quattordici acquedotti si spargevano acque pure e copiose in ogni parte della città, e fra queste l’acqua Claudia, che aveva la sorgente alla distanza di trentotto miglia nelle montagne Sabine, passava per un dolce, quantunque costante, declivio di solidi archi fino alla sommità del monte Aventino. Le lunghe e spaziose volte, costruite per servire alle Cloache pubbliche, sussistevano dopo dodici secoli nel pristino loro stato; e que’ sotterranei canali si son preferiti a tutte le visibili maraviglie di Roma64. I Re Goti, accusati con tanta ingiustizia della rovina delle antichità, furon solleciti di conservare i monumenti della nazione che [p. 233 modifica]essi avevano soggiogata65. Emanarono degli editti reali per impedire gli abusi, la trascuratezza o le depredazioni de’ cittadini medesimi; e per le riparazioni ordinarie delle mura e degli edifizi pubblici, si destinarono uno sperimentato Architetto, l’annua somma di dugento libbre d’oro, venticinquemila pezzi di materiali, ed il prodotto della dogana del Porto Lucrino. Una simil cura s’estese alle statue di metallo o di marmo, sì degli uomini, che degli animali. S’applaudiva da’ Barbari allo spirito de’ cavalli, che hanno dato al Quirinale un nome moderno66; furono diligentemente restaurati gli Elefanti di bronzo67 della Via sacra; la famosa vitella di Mirone ingannava il bestiame, quando passava pel Foro della Pace68; e fu creato un ufiziale apposta per difendere quelle opere delle arti, che Teodorico risguardava come l’ornamento più nobile del suo Regno.

Seguitando l’esempio degli ultimi Imperatori, Teo[p. 234 modifica]dorico scelse la residenza di Ravenna, dove coltivava con le sue proprie mani un giardino69. Ogni volta ch’era minacciata la pace del suo regno (giacchè questo non fu mai invaso) da’ Barbari, ei trasferiva la sua Corte a Verona70 sulla frontiera settentrionale, e la figura del suo Palazzo, che tuttavia esiste in una medaglia, rappresenta la più antica ed autentica forma d’architettura gotica. Queste due Capitali ugualmente che Pavia, Spoleto, Napoli e le altre città d’Italia, sotto il suo Regno acquistarono le utili e splendide decorazioni di chiese, di acquedotti, di bagni, di portici e di palazzi71. Ma la felicità del suddito con maggior verità si manifestava nell’attivo spettacolo del lavoro e del lusso, nel rapido aumento e nel godimento libero della ricchezza nazionale. Dalle ombre di Tivoli e di Preneste, i Senatori Romani tuttavia nell’inverno si ritiravano al temperato calore ed alle salubri fonti di Baia, e le loro ville, che s’avanzavano sopra solide moli nel Golfo di Napoli, godevano le varie vedute del cielo, della terra e dell’acqua. Dalla parte orientale dell’Adriatico, erasi formata una nuova [p. 235 modifica]Campania nella bella e fertil provincia dell’Istria, la quale comunicava col palazzo di Ravenna, mediante una facil navigazione di cento miglia. Le ricche produzioni della Lucania e delle contigue Province, si portavano alla Fonte Marcilia, dov’era una copiosa fiera ogni anno, consacrata al commercio, all’intemperanza ed alla superstizione. Nella solitudine di Como, che fu animata una volta dal dolce genio di Plinio, un trasparente bacino di sopra sessanta miglia in lunghezza tuttavia rifletteva le rurali dimore, che circondavano il margine del lago Lario, ed una triplice coltivazione di ulivi, di viti e di castagni cuopriva il piacevol pendìo delle colline72. All’ombra della pace risorse l’agricoltura, e si moltiplicarono i coltivatori mediante il riscatto degli schiavi73. Si scavavano con attenzione le miniere di ferro della Dalmazia, ed una d’oro nell’Abruzzo, e le paludi Pontine, come anche quelle di Spoleto, furono asciugate e coltivate da privati speculatori, il lontano premio de’ quali dee dipendere dalla continuazione della pubblica prosperità74. Quando le stagioni eran meno [p. 236 modifica]propizie, le dubbiose precauzioni di fare de’ magazzini di grano, di fissarne il prezzo e di proibirne l’esportazione, dimostravano almeno la buona volontà del Governo; ma la straordinaria abbondanza, che un industrioso Popolo ricavava da un terreno fecondo, era tale che alle volte una pinta di vino si vendeva in Italia per meno di tre farthings (tre quattrini) ed un sacco di grano per circa cinque scellini e sei soldi (o sia sette lire)75. Un paese che aveva tanti valutabili oggetti di commercio, attrasse ben tosto i mercanti da ogni parte, il lucroso traffico de’ quali veniva incoraggiato o protetto dal genio liberale di Teodorico. Fu restaurata ed estesa la libera comunicazione delle Province per terra e per acqua; non si chiudevano mai nè di giorno nè di notte le porte delle Città; ed il detto comune, che una borsa d’oro lasciata in un campo era salva, esprimeva l’interna sicurezza degli abitanti.

La differenza di religione è sempre dannosa, e spesso fatale alla buona armonia fra il Principe ed il Popolo. Il Conquistatore Gotico era stato educato nella professione dell’Arrianismo, e l’Italia era devotamente [p. 237 modifica]attaccata alla Fede Nicena. Ma la persuasione di Teodorico non era infetta di zelo, ed ei piamente aderiva all’eresia de’ suoi Padri, senza stare a bilanciare i sottili argomenti della Metafisica teologica. Soddisfatto della privata tolleranza de’ suoi Arriani Settarj, giustamente si risguardò come il protettore del Culto pubblico, e l’esterna sua reverenza per una superstizione, che disprezzava, può aver nutrito nella sua mente la salutare indifferenza d’un politico o d’un Filosofo. I Cattolici de’ suoi dominj confessarono, forse con ripugnanza, la pace della Chiesa; il loro Clero veniva onorevolmente ricevuto, secondo i gradi della dignità o del merito, nel palazzo di Teodorico; egli stimò la santità di Cesario76 e d’Epifanio77, Vescovi ortodossi d’Arles e di Pavia, quando erano tuttora in vita; e presentò una decente offerta sulla tomba di S. Pietro, senz’alcuna scrupolosa ricerca sopra la fede di quell’Apostolo78. Fu permesso a’ Goti suoi favoriti, e fino alla stessa sua madre di ritenere o d’abbracciar la Fede Atanasiana79, [p. 238 modifica]ed il lungo suo Regno non può somministrar l’esempio neppur d’un Cattolico italiano, che o per elezione o per forza passasse alla religione del Conquistatore80. Il Popolo ed i Barbari stessi erano edificati dalla pompa e dall’ordine del Culto religioso; a’ Magistrati era ingiunto di mantenere le giuste immunità delle persone e delle cose ecclesiastiche; i Vescovi tenevano i loro Sinodi; i Metropolitani esercitavano la loro giurisdizione; e venivano conservati o moderati i privilegi del Santuario secondo lo spirito della Giurisprudenza Romana. Teodorico assunse insieme con la protezione anche la legittima supremazia della Chiesa e la sua costante amministrazione fece risorgere o estese alcune utili prerogative, che si erano trascurate dai deboli Imperatori d’Occidente. Ei non ignorava la dignità e l’importanza del Romano Pontefice, a cui erasi allora appropriato il venerabil nome di Papa. La pace o la turbolenza d’Italia potea dipendere dal carattere d’un Vescovo ricco e popolare, che s’attribuiva un sì vasto dominio tanto in Cielo che in Terra, e che in un numeroso Concilio era stato dichiarato puro da ogni colpa, ed esente [p. 239 modifica]da ogni giudizio81. Allorchè dunque la Cattedra di S. Pietro si disputava tra Simmaco e Lorenzo, essendo egli giudice, i medesimi comparvero al Tribunale d’un Re Arriano, ed esso confermò l’elezione del candidato più degno o più ossequioso. Verso il fine della sua vita, in un momento di gelosia e di sdegno, prevenne la scelta de’ Romani, nominando egli un Papa nel Palazzo di Ravenna. Frenò dolcemente il pericolo e le furiose conquiste d’uno scisma, e diede vigore all’ultimo decreto del Senato per estinguere, s’era possibile, la scandalosa venalità dell’Elezioni Pontificie82.

Io mi sono esteso con piacere sopra la felice condizione dell’Italia; ma non dobbiamo per questo addirittura immaginarci che sotto la conquista de’ Goti si realizzasse l’età dell’oro de’ Poeti, o vi esistesse una razza di uomini senza vizi o miserie. Questo bel prospetto venne talvolta oscurato da qualche nube; potè ingannarsi la saviezza di Teodorico, il suo potere trovar della resistenza, e fu macchiata la cadente età del Monarca dall’odio popolare, e dal sangue Patrizio. Nella prima insolenza della vittoria egli aveva tentato di spogliare tutto il partito d’Odoacre de’ ci[p. 240 modifica]vili e fino de’ naturali diritti della Società83; una tassa, inopportunamente imposta dopo le calamità della guerra, avrebbe distrutto l’agricoltura nascente della Liguria, ed una rigorosa preferenza nella compra del grano, ch’era destinato al pubblico sollievo, aggravar doveva le angustie della Campania. Svanirono, è vero, questi pericolosi progetti mediante la virtù e l’eloquenza d’Epifanio e di Boezio, che alla presenza di Teodorico medesimo difesero con buon esito la causa del Popolo84; ma sebbene l’orecchio Reale fosse aperto alla voce della verità, non posson sempre trovarsi un Santo e un Filosofo all’orecchio de’ Re. Troppo spesso la frode Italiana, e la violenza Gotica s’abusavano dei privilegi del grado, dell’impiego, o del favore, e fu esposta agli occhi del pubblico l’avarizia del nipote del Re, prima per mezzo dell’usurpazione, e poi della restituzion de’ dominj, ch’esso aveva estorto ingiustamente da’ Toscani di lui vicini. Erano stanziati nel cuor dell’Italia dugentomila Barbari, formidabili anche allo stesso loro Signore; sdegnavano essi di soffrire i freni della pace e della disciplina; sempre si sentivano i disordini della loro con[p. 241 modifica]dotta, e sol qualche volta potevano ripararsi; e quando era pericoloso il punire gli eccessi della nativa loro fierezza, bisognava prudentemente dissimularli. Allorchè l’indulgente Teodorico ebbe rimesso i due terzi del tributo Ligure, s’adattò a spiegare la difficoltà della sua situazione, ed a dolersi de’ gravi, quantunque inevitabili pesi, che imponeva a’ suoi sudditi per la propria loro difesa85. Quest’ingrati sudditi non poterono mai cordialmente famigliarizzarsi coll’origine, con la religione, o anche con le virtù del Goto Conquistatore; si erano dimenticate le passate calamità, e la felicità de’ tempi presenti rendeva sempre più forte il sentimento o il sospetto delle ingiurie.

Anche quella religiosa tolleranza, che Teodorico ebbe la gloria d’introdurre nel Mondo cristiano, era dispiacevole ed offensiva per l’ortodosso zelo degl’Italiani. Rispettavano essi l’eresia armata de’ Goti, ma il pio loro furore si dirigeva con sicurezza contro i ricchi e non difesi Giudei, che si erano stabiliti a Napoli, a Roma, a Ravenna, a Milano ed a Genova per vantaggio del commercio, e sotto la sanzione delle Leggi86. N’erano insultate le persone, saccheggiati gli averi, e bruciate le sinagoghe dalla furibonda plebaglia di Ravenna e di Roma, infiammata, per quanto sembra, da’ più frivoli o stravaganti pretesti. Un Go[p. 242 modifica]verno, che avesse potuto trascurar tale oltraggio, l’avrebbe certamente meritato. Se ne formava dunque addirittura legalmente un processo; se gli autori del tumulto si fossero confusi nella moltitudine, tutta la Comunità veniva condannata a risarcire il danno; e i bacchettoni ostinati, che ricusavano di contribuirvi, eran frustati pubblicamente per mano del carnefice. Questo semplice atto di giustizia esacerbava il disgusto de’ Cattolici, che applaudivano al merito ed alla pazienza di que’ santi Confessori; trecento pulpiti deploravano la persecuzion della Chiesa, e se per ordine di Teodorico a Verona fu demolita la Cappella di S. Stefano, è probabile, che in quel sacro teatro si facesse qualche miracolo contro il nome e la dignità del medesimo. Il Re d’Italia conobbe al termine di una vita gloriosa, ch’ei s’era concitato l’odio d’un Popolo, di cui aveva tanto assiduamente procurato di promuovere la felicità; e fu inasprito l’animo suo dallo sdegno, dalla gelosia e dall’amarezza d’un amore non corrisposto. S’indusse dunque il Conquistatore gotico a disarmare gl’imbelli nativi d’Italia con proibir loro qualunque arme offensiva, ad eccezione solo di un piccol coltello per gli usi domestici. Il liberatore di Roma fu accusato di cospirare co’ più vili delatori contro le vite de’ Senatori, ch’ei sospettava che avessero una segreta e perfida corrispondenza con la Corte Bizantina87. Dopo la morte d’Anastasio, fu posto il diadema sul capo ad un debole vecchio; ma prese le [p. 243 modifica]redini del Governo Giustiniano di lui nipote, che già meditava l’estirpazione dell’eresia, e la conquista dell’Italia e dell’Affrica. Una rigida legge, che fu promulgata in Costantinopoli, ad oggetto di ridurre gli Arriani, col timor della pena, in grembo alla Chiesa, risvegliò il giusto risentimento di Teodorico, il quale domandò per gli angustiati suoi fratelli d’Oriente quella medesima indulgenza, ch’egli aveva da tanto tempo concessa a’ Cattolici de’ suoi dominj. Un severo di lui comando fece imbarcare il Pontefice Romano con quattro illustri Senatori per un’Ambasceria di cui doveva questi temere ugualmente il buono che il cattivo successo. La singolar venerazione dimostrata al primo Papa che visitò Costantinopoli, fu punita come un delitto dal geloso di lui Monarca; l’artificioso o perentorio rifiuto della Corte Bizantina potè scusare un ugual contegno, e provocarne uno anche più duro; e si preparò in Italia un ordine di proibire, dopo un dato giorno l’esercizio del Culto Cattolico. La bacchettoneria de’ propri sudditi, e de’ suoi nemici trasse il più tollerante de’ Principi sull’orlo della persecuzione; e la vita di Teodorico fu troppo lunga quando arrivò a condannar la virtù di Boezio, e di Simmaco88. [p. 244 modifica]

Il Senatore Boezio89 è l’ultimo dei Romani, che Catone o Tullio avrebber riconosciuto per loro concittadino. Essendo un ricco orfano, ereditò il patrimonio, e gli onori della Famiglia Anicia: nome ambiziosamente preso da’ Re e dagl’Imperatori di quel tempo, ed il nome di Manlio mostrava la sua genuina o favolosa discendenza da una stirpe di Consoli e Dittatori, che aveano rispinti i Galli dal Campidoglio, e sacrificato i loro figli alla disciplina della Repubblica. Nella gioventù di Boezio non erano del tutto abbandonati gli studj di Roma; tuttavia esiste un Virgilio90 corretto della mano di un Console; e la liberalità de’ Goti manteneva i Professori di Gramatica, di Rettorica, e di Giurisprudenza ne’ loro privilegi e stipendi. Ma la scienza, che potea trarre dalla Lingua latina, non era sufficiente a saziare l’ardente sua curiosità; e si dice, che Boezio impiegasse diciotto anni affaticandosi nelle scuole di Atene91, ch’erano sostenute dallo zelo, dalla dottrina e [p. 245 modifica]dalla diligenza di Proclo, e dei suoi Discepoli. Fortunatamente la ragione e la pietà del Romano loro Alunno restarono immuni del contagio del mistero e della magia, che contaminavano i boschetti dell’Accademia; ma egli s’imbevve dello spirito, ed imitò il metodo dei viventi e defunti suoi maestri, che tentavano di conciliare i forti e sottili sentimenti d’Aristotele, con la devota contemplazione e sublime fantasia di Piatone. Dopo il suo ritorno a Roma, ed il suo matrimonio con la figlia del Patrizio Simmaco, suo amico, Boezio continuò in un Palazzo d’avorio e di marmo a coltivare i medesimi studj92. La Chiesa restò edificata dalla profonda sua difesa della Fede ortodossa contro l’eresie Arriana, Eutichiana e Nestoriana; e fu da lui spiegata o esposta la cattolica unità in un formal Trattato mediante l’indifferenza delle tre distinte sebbene consustanziali Persone. Per vantaggio de’ suoi lettori Latini, sottopose il suo genio ad insegnare i primi elementi delle arti e delle scienze della Grecia. L’Instancabile penna del Senator Romano tradusse ed illustrò la Geometria d’Euclide, la musica di Pitagora, l’aritmetica di Nicomaco, la [p. 246 modifica]meccanica d’Archimede, l’astronomia di Tolomeo, la teologia di Platone, e la logica d’Aristotele col commentario di Porfirio, ed ei solo era stimato capace di descriver le maraviglie dell’arte, come un orologio solare, un orologio ad acqua, o una sfera che rappresentasse i moti dei Pianeti. Da queste astruse speculazioni, Boezio s’abbassava, o, per meglio dire, innalzavasi ai doveri sociali della vita pubblica e privata: la sua liberalità sollevava l’indigente; e la sua eloquenza, che dall’adulazione si potè paragonare alla voce di Demostene o di Cicerone, s’esercitava ugualmente nel difender la causa dell’innocenza e dell’umanità. Un merito sì riguardevole fu conosciuto e premiato da un illuminato Principe; la dignità di Boezio si adornò co’ titoli di Console e di Patrizio, e ne furono utilmente impiegati i talenti nell’importante carica di Maestro degli Ufizi. Nonostanti gli uguali diritti dell’Oriente e dell’Occidente, furono due suoi figli, nella tenera lor gioventù, creati Consoli del medesimo anno93. Nel memorabile giorno della loro inaugurazione si portarono essi con solenne pompa dal loro Palazzo nel Foro, in mezzo all’applauso del Senato e del Popolo; ed il lieto lor genitore, dopo aver recitato un’Orazione in lode del suo Real benefattore, distribuì un trionfal donativo ne’ giuochi del Circo. Boezio, prospero nella fama e negli averi, nei [p. 247 modifica]pubblici onori e nelle relazioni private, nella cultura delle scienze e nella coscienza della propria virtù, avrebbe potuto chiamarsi felice, se questo precario epiteto si potesse applicare all’uomo con sicurezza prima ch’ei giunga al fin della sua vita.

Un Filosofo, liberale della sua ricchezza e parco del suo tempo, doveva essere insensibile alle comuni lusinghe dell’ambizione, alla sete dell’oro e degl’impieghi, e può in qualche modo credersi all’asserzione di Boezio, ch’egli aveva con ripugnanza ubbidito al divino Platone, che ad ogni virtuoso Cittadino impone l’obbligo di liberar lo Stato dall’usurpazione del vizio e dell’ignoranza. Quanto alla purità della pubblica sua condotta, se ne rimette alla memoria dei suoi Concittadini. Aveva la sua autorità frenato l’orgoglio e l’oppressione degli Ufiziali regj, ed aveva la sua eloquenza liberato Pauliano da’ cani del Palazzo. Egli aveva sempre compassionato, e spesse volte sollevato le miserie de’ Provinciali, i beni de’ quali erano esausti dalla pubblica e privata rapacità; ed il solo Boezio ebbe il coraggio d’opporsi alla tirannia de’ Barbari, insuperbiti dalla conquista, eccitati dall’avarizia, ed incoraggiati, com’ei si duole, dall’impunità. In queste onorevoli battaglie il suo spirito era superiore alle considerazioni del pericolo, e forse anche della prudenza, e possiamo apprendere dall’esempio di Catone, che un carattere di pura ed inflessibil virtù e il più capace di far lega col pregiudizio, di esser riscaldato dall’entusiasmo, e di confondere le inimicizie private con la pubblica giustizia. Il discepolo di Platone poteva esagerare le debolezze della Natura, e le imperfezioni della Società; e la forma d’un Governo gotico anche la più dolce, e fino lo [p. 248 modifica]stesso peso di fedeltà e di gratitudine, doveva essere insopportabile allo spirito libero d’un Cittadino romano. Ma il favore e la fedeltà di Boezio diminuirono appunto in proporzione della pubblica felicità; e fu aggiunto un indegno collega a dividere, e contrabbilanciare il potere del Maestro degli Ufizi. Negli ultimi oscuri tempi di Teodorico ei sentì con isdegno, ch’era uno schiavo; ma siccome il padrone di lui non aveva potere che sopra la sua vita, resistè senz’armi e senza timore in faccia ad un irato Barbaro, ch’era stato indotto a credere, che la salvezza del Senato fosse incompatibile con la propria. Il Senatore Albino era stato accusato, e già convinto sulla presunzione di sperare, come si diceva, la libertà di Roma. „Se Albino è reo, esclamò l’Oratore, il Senato, ed io stesso siamo tutti colpevoli del medesimo delitto. Se noi siamo innocenti, anche Albino ha diritto alla protezion delle Leggi„. Queste Leggi potevano in vero non punire il nudo e semplice desiderio di un bene, che non potea conseguirsi; ma dovevano esser meno indulgenti per la temeraria confession di Boezio, che s’egli avesse avuto notizia di una cospirazione, non avrebbe mai avuta questa notizia il Tiranno94. L’Avvocato d’Albino fu tosto involto nel pericolo e forse nel delitto del suo cliente; fu posta la loro sottoscrizione (ch’essi negarono come una falsità) all’original documento, che invitava l’Imperatore a liberar l’Italia da’ Goti, e tre testi[p. 249 modifica]di onorevole condizione, ma forse d’infame riputazione, attestarono i proditorj disegni del Patrizio Romano95. Pure se ne dee presumere l’innocenza, giacchè Teodorico lo privò de’ mezzi di giustificarsi, e lo confinò rigorosamente nella torre di Pavia, mentre il Senato, alla distanza di cinquecento miglia, pronunziò la sentenza di confiscazione e di morte contro il più illustre de’ suoi membri. D’ordine de’ Barbari, l’occulta scienza d’un Filosofo fu infamata coi nomi di sacrilegio e di magia96. Un devoto e rispettoso attacco al Senato, dalle tremanti voci de’ Senatori medesimi fu condannato come colpevole; e la loro ingratitudine meritò bene il desiderio o la predizione di Boezio, che dopo di lui non si fosse trovato alcun reo del medesimo delitto97.

[A. 524] Mentre Boezio, carico di catene, ad ogni momento aspettava la sentenza o il colpo di morte, compose [p. 250 modifica]nella torre di Pavia la Consolazione della Filosofia, aureo libro, non indegno della penna di Platone o di Tullio, ma che riceve un merito incomparabile dalla barbarie de’ tempi, e dalla situazione dell’Autore. Quella guida celeste, ch’egli aveva per tanto tempo invocato in Roma ed in Atene, discese allora ad illuminare la sua prigione, a ravvivare il suo coraggio, ed a versare nelle sue ferite il salutare di lei balsamo. Essa gl’insegnò a paragonare la lunga prosperità, da lui goduta, con la sua presente miseria, ed a concepire nuove speranze dall’incostanza della fortuna. La ragione l’avea informato della precaria qualità dei suoi doni; l’esperienza l’avea convinto del reale valore di essi; ei gli avea goduti senza colpa; poteva dunque spogliarsene senza neppure un sospiro, e tranquillamente sdegnar l’impotente malizia de’ suoi nemici, che gli avevan lasciato la felicità, mentre non avevan potuto togliergli la virtù. Dalla terra, Boezio innalzavasi verso il Cielo in cerca del Sommo Bene; esplorava il metafisico laberinto del caso e del destino, della prescienza e della libertà, del tempo e dell’eternità; e generosamente procurava di conciliare i perfetti attributi della Divinità, con gli apparenti disordini del suo fisico e morale Governo. Tali motivi di consolazione, sì ovvj, sì vaghi o sì astrusi, sono inefficaci a vincere i sentimenti della natura umana. Non pertanto la fatica di pensare può divertire il sentimento della disgrazia; ed il Saggio, che può artificiosamente combinare nella medesima opera le diverse ricchezze della Filosofia, della Poesia e dell’Eloquenza, dee già possedere quell’intrepida calma, ch’ei dimostra di cercare. La sospensione, ch’è il peggiore de’ mali, finalmente fu tolta dai ministri di morte, ch’esegui[p. 251 modifica]rono e forse eccederono l'inumano comando di Teodorico. Fu legata una forte corda intorno al capo di Boezio, e stretta con tal forza, che quasi gli saltaron fuori gli occhi dalle lor cavità; e può riguardarsi come una specie di compassione il meno atroce tormento di batterlo con bastoni finnattantochè spirassenota. Ma soppravvisse il suo genio per ispargere un raggio di cognizione sopra i più tenebrosi tempi del Mondo Latino; il più glorioso fra i Re d'Inghilterra tradusse gli scritti del Filosofonota, e l'Imperatore Ottone III collocò in una tomba più onorevole le ossa d'un Santo cattolico, che dagli Arriani suoi persecutori aveva ricevuto l'onore del martirio, e la fama de' miracolinota 98 99 100 [p. 252 modifica]Boezio, nelle ultime sue ore trasse qualche conforto dalla salvezza de’ suoi due figli, della moglie, e del rispettabile Simmaco, suo suocero. Ma fu indiscreto e forse irriverente il duolo di Simmaco: come aveva egli voluto dolersi, così poteva tentare di vendicar la morte d’un amico ingiuriato. Fu dunque tratto in catene da Roma al Palazzo di Ravenna; ed i sospetti di Teodorico non poterono acquietarsi, che col sangue d’un vecchio ed innocente Senatore101.

[A. 526] L’umanità sarà disposta ad avvalorare un racconto, che prova la giurisdizione della coscienza, ed il rimorso de’ Re; e la Filosofia non ignora, che alle volte la forza di una disordinata fantasia, e la debolezza di un corpo infermo creano i più orridi spettri. Teodorico, dopo una vita virtuosa e gloriosa, stava per discendere nel sepolcro con vergogna e delitto: era umiliato il suo spirito dal contrasto del passato, e giustamente agitato dagl’invisibili terrori del futuro. Dicesi, che una sera, mentre stava sulla regia mensa la testa d’un grosso pesce102, egli a un tratto esclamò che vedeva la trista faccia di Simmaco, con gli oc[p. 253 modifica]chi spiranti rabbia e vendetta; e con la bocca armata di lunghi acuti denti, che minacciava di divorarlo. Il Monarca si ritirò subito nella sua camera, e mentre stava tremando per un freddo febbrile sotto il peso di più coperte, manifestò con interrotte voci al suo medico Elpidio suo pentimento per le uccisioni di Boezio e di Simmaco103. S’accrebbe la sua malattia, e dopo una dissenteria, che continuò per tre giorni, spirò nel palazzo di Ravenna l’anno trentesimo terzo, ovvero, se vogliamo contare dall’invasione d’Italia, il trentesimo settimo del suo Regno. Vedendo che s’avvicinava il suo fine, divise fra due suoi nipoti i tesori e le Province che possedeva, e fissò il Rodano per comune loro confine104. Fu restituito ad Amalarico il trono di Spagna, e l’Italia con tutte le conquiste degli Ostrogoti ricadde ad Atalarico, il quale non aveva più di dieci anni, ma era amato come l’ultima prole maschile della stirpe degli Amali, mediante il breve matrimonio di Amalasunta, sua madre, con un profugo Reale del medesimo sangue105. In pre[p. 254 modifica]senza del moribondo Monarca, i Capitani goti, ed i Magistrati italiani, vicendevolmente impegnarono la loro fede e lealtà a favore del giovine Principe, e della madre di lui tutrice, e nell’istesso terribil momento ricevettero l’ultimo suo salutare avviso di conservare le Leggi, d’amare il Senato ed il Popolo romano, e di coltivare con decente rispetto l’amicizia dell’Imperatore106. Fu eretto un monumento a Teodorico da Amalasunta, sua figlia, in una cospicua situazione, che dominava la Città di Ravenna, il porto ed il vicino lido. Una cappella di forma circolare del diametro di trenta piedi, era coperta da una cupola d’un solo pezzo di granito: dal centro di questa s’innalzavano quattro colonne, che sostenevano un vaso di porfido contenente il corpo del Re Goto, circondato da statue di bronzo de’ dodici Apostoli107. Si sarebbe potuto permettere che il suo spirito, dopo qualche previa espiazione, si mescolasse co’ Benefattori dell’uman genere, se un Eremita italiano non fosse stato testimone in una visione della dannazione di Teodorico108, l’anima del quale da Ministri della [p. 255 modifica]Divina vendetta fu gettata nel vulcano di Lipari, una delle infiammate bocche del Mondo infernale109.

Note

  1. Giornandes (de reb. Getic. c. 13, 14 pag. 629, 630 Edit. Grot.) ha tratto l’origine di Teodorico da Gapt, uno degli Ansi o Semidei, che visse verso il tempo di Domiziano. Cassiodoro, ch’è il primo, che celebri la stirpe Reale degli Amali (Var. VIII 5, IX 25, X 2, XI 1) conta il nipote di Teodorico per decimosettimo nella discendenza. Peringsciold (Commentatore Svezzese di Cochloeus. vit. Theodor. pag. 271 Stockholm 1699) s’affatica per combinare questa genealogia con le leggende, o tradizioni della sua patria.
  2. Più esattamente sulle rive del lago Pelso (
  3. In una lastra d’oro s’incisero le prime quattro lettere (ΘΕΟΔ) del suo nome, e quindi postala sulla carta, il Re faceva scorrere la sua penna per le incisioni di quella (Anonym. Valesian. ad calcem Ammiani Marcellin. p. 722). Questo fatto, autenticato dalla testimonianza di Procopio, e almeno de’ Goti contemporanei (Gothic. l. 1 c. 2 p. 311) prevale assai alle vaghe lodi d’Ennodio (Sirmond., Oper. Tom. 1 p. 1596) e di Teofane (Chronograp. p. 112).
  4. Statura est, quae resignet proceritate regnantem (Ennod. p. 1614). Il Vescovo di Pavia (voglio dire quell’Ecclesiastico che desiderava d’esser Vescovo) passa in seguito a celebrar la carnagione, gli occhi, le mani ec. del suo Sovrano.
  5. Descrivono lo Stato degli Ostrogoti, ed i primi anni di Teodorico, Giornandes (c. 52, 56 p. 689, 696) e Malco (Excerpt. Legat. p. 78, 80) che lo chiama erroneamente figlio di Walamiro.
  6. Teofane (p. 111) inserisce nella sua storia una copia delle Sacre lettere di lei alle province: ιστε οτι βασιλεον εμετερον εστι .... και οτι προχειρησαμεθα βασιλεα τρασκαλλισαιον ec. (sapete, che nostro è l’Impero... e che facemmo Trascalisseo Imperatore, ec.):. Tali donnesche pretensioni avrebber fatto stupire gli schiavi de’ primi Cesari.
  7. Cap. XXXVI Tom. VI p. 136.
  8. Suidas Tom. I p. 332, 333 Edit. Kuster.
  9. Le storie contemporanee di Malco, e di Candido si son perdute: ma se ne conservarono alcuni estratti o frammenti presso Fozio (LXXVIII, LXXIX p. 100, 102), presso Costantino Porfirogenito (Excerpt. Legat. p. 78, 97), ed in vari articoli del Lessico di Suida. Quanto a’ regni di Zenone e d’Anastasio la Cronica di Marcellino (Imago Historiae) è originale: e debbo confessare, almeno rispetto agli ultimi tempi, le mie obbligazioni alle vaste ed esatte Collezioni del Tillemont (Hist. des Emp. Tom. VI pag. 472, 652).
  10. In ipsis congressionis tuae foribus cessit invasor, cum profugo per te sceptra redderentur de salute dubitanti. Ennodio poi giunge fino (p. 1596, 1597 Tom. 1 Sirmond.) a trasportare il suo Eroe (forse sopra un dragon volante?) nell’Etiopia, oltre il tropico di cancro. Quel che dicono il Frammento Valesiano (pag. 717), Liberato (Brev. Eutych. c. 25 p. 118), e Teofane (p. 112), è più sobrio e ragionevole.
  11. Viene specialmente imputato questo crudele uso ai Goti Triarj, meno(forse più) barbari, per quanto sembra, de’ Walamiri; ma si accusa il figlio di Teodemiro della rovina di molte Città Romane (Malco, Excerpt. Legat. p. 95).
  12. Giornandes (cap. 56, 57 p. 696) espone i servigi di Teodorico, ne confessa le ricompense, ma dissimula la sua ribellione, di cui ci sono stati conservati questi curiosi ragguagli da Malco (Excerpt. Legat. p. 78, 97). Marcellino, famigliare di Giustiniano, sotto il quarto Consolato del quale (an. 534) compose la sua Cronica (Scaligero Thesaur. tempor. P. II p. 34, 57) scuopre il suo pregiudizio, e la sua passione; in Graeciam debacchantem.... Zenonis munificentia pene pacatus..... beneficiis numquam satiatus, etc.
  13. Nel tempo ch’ei cavalcava nel suo campo, un cavallo indomito lo trasse contro la punta d’una lancia, che stava fissa d’avanti a una tenda o sopra un carro (Marcellin. in Chron.; Evagr. l. III c. 25).
  14. Vedasi Malco (pag. 91) ed Evagrio (l. III c. 35).
  15. Malco (p. 85). In una sol’azione, che fu decisa dall’abilità e disciplina di Sabiniano, Teodorico perdè cinquemila uomini.
  16. Giornandes (c. 57 pag. 696, 697) ha compendiato la grande Istoria di Cassiodoro. Si vedano, si confrontino fra loro, e si concilino insieme Procopio (Gothic. l. 1 c. 1), il Frammento Valesiano (p. 718), Teofane (p. 113) e Marcellino (in Chron.).
  17. La marcia di Teodorico vien esposta ed illustrata da Ennodio (p. 1598, 1602) qualora si riduca la gonfiezza dell’orazione al linguaggio del senso comune.
  18. Tot Reges ec. (Ennod. p. 1602). Dobbiamo quindi arguire quanto fosse moltiplicato e avvilito il titolo di Re, e che i mercenari d’Italia erano i frammenti di molte nazioni e tribù.
  19. Vedi Ennod. pag. 1603. Poichè l’Oratore alla presenza del Re potè mentovare e lodare sua madre, possiam dedurne, che la magnanimità di Teodorico non si offendeva delle volgari taccie di concubina e di bastardo.
  20. Si riporta quest’aneddoto sulla moderna, ma rispettabil autorità del Sigonio (Oper. Tom. I. p. 580. De Occident. Imp. l. XV). Son curiose le sue parole = Volete voi ritornare? = nell’atto di presentare ad essi, e quasi scuoprire l’originale ricetto.
  21. Hist. miscell. l. XV. Storia Rom. da Giano fino al IX secolo, Epitome d’Eutropio, di Paolo Diacono, e di Teofane, che ha pubblicato il Muratori da un MSS. della Libreria Ambrogiana (Script. Rerum Italic. Tom. I. p. 110).
  22. Procop. (Gothic. L. I. c. I). Si dimostra imparziale Scettico: φασι .... δολερω τροπω εκτεινε (dicono.... morì per inganno), Cassiodoro (in Chronic.) ed Ennodio (p. 1604) sono leali e creduli, e la testimonianza del frammento Valesiano (p. 718) può giustificare la loro credenza. Marcellino sputa il veleno d’un suddito greco, periuriis illectus interfectusque est (in Chron).
  23. La sonora e servile orazione d’Ennodio fu pronunziata a Milano o a Ravenna l’anno 507 o 508. (Sirmondo) Tom. I. p. 1615). Due o tre anni dopo l’Oratore fu premiato col Vescovato di Pavia, ch’ei tenne fino alla sua morte seguita nel 521 (Dupin, Bibliot. Eccl. Tom. V. p. 11-14 Vedi Saxii, Onomasticon Tom. II, p. 12.).
  24. I nostri migliori materiali sono alcuni cenni accidentali presso Procopio, ed il Frammento Valesiano, che fu scoperto dal Sirmondo, e pubblicato al fine d’Ammiano Marcellino. È ignoto il nome dell’Autore, e lo stile n’è barbaro: ma ne’ varj fatti che adduce, dimostra la cognizione d’un contemporaneo senz’averne le passioni. Il Presidente di Montesquieu aveva formato il piano d’un’Istoria di Teodorico, che veduto in distanza può sembrare un soggetto ricco ed interessante.
  25. La miglior edizione de’ XII. libri Variar. è quella di Gio. Garrezio (Rotomag. 1679 in Opp. Cassiodor. 2. Vol. in fol.) ma essi meritavano, ed esigevano un editore come il Marchese Scipione Maffei, che pensò di pubblicarli in Verona. La barbara eleganza (come ingegnosamente la chiama il Tiraboschi) non è mai semplice, o raramente chiara.
  26. Procop., Gothic. l. 1. c. l. 1ariar. II. Il Maffei (Verona Illustr. P. I. p. 228) esagera l’ingiustizia de’ Goti, che egli odiava come un nobile Italiano: ed il plebeo Muratori s’umilia sotto la lor oppressione.
  27. Procop., Goth. l. III. c. 4. 21. Ennodio (p. 1612, 1613) descrive l’arte militare, e l’aumento de’ Goti.
  28. Quando Teodorico diede la sua sorella per moglie al Re de’ Vandali, ella partì per l’Affrica con una guardia di mille nobili Goti, ciascheduno de’ quali era seguitato da cinque uomini armati (Procop., Vandalic. l. 1. c. 8). La nobiltà Gotica quanto era brava, doveva essere altrettanto numerosa.
  29. Vedi la ricognizione della libertà Gotica (Var. V. 30).
  30. Procop., Goth. l. 1. c. 2. I fanciulli Romani imparavano il linguaggio de’ Goti (Var. VIII. 21). Non distruggono la lor generale ignoranza l’eccezioni d’Amalasunta, che come donna poteva studiare senza vergogna, o di Teodato, la dottrina del quale provocò lo sdegno e il disprezzo de’ suoi Nazionali.
  31. Era fondato sull’esperienza questo detto di Teodorico: Romanus miser imitatur Gothum; et utilis (dives) Gothus imitatur Romanum. (Vedi il Frammento, e le Note del Valesio, p. 719).
  32. Dalle Lettere di Cassiodoro si rileva il prospetto dello stabilimento militare de’ Goti in Italia. (Var. I. 24, 40 III. 3, 24, 48, IV. 13, 14, V. 26, 27, VIII. 3, 4, 25). E queste Lettere sono illustrate dall’erudito Mascou (Istor. dei Germani l. XI. 40-44. Annotaz. XIV).
  33. Vedasi la chiarezza ed il vigore delle sue negoziazioni presso Ennodio (p. 1607); e Cassiodoro (Var. III. 1, 2, 3, 4, IV. 13, V. 43, 44) espone il vario suo stile di amicizia, di consiglio, di domanda ec.
  34. Fino della tavola (Var. VI. 9) e del Palazzo (VII, 5). L’ammirazione degli stranieri si rappresenta come il motivo più ragionevole di giustificare queste vane spese, e di stimolar la diligenza de’ Ministri, a’ quali eran affidate quelle incombenze.
  35. Vedi le pubbliche e private alleanze del Re Goto coi Borgognoni (Var. I 45, 46), co’ Franchi (II 40), co’ Turingi (IV 1), e co’ Vandali (V 1). Ciascheduna di queste Lettere somministra curiose notizie intorno alla politica, ed a’ costumi de’ Barbari.
  36. Si può vedere il suo sistema politico presso Cassiodoro (Var. IV 1, IX 1), Giornandes (c. 58 p. 698, 699), ed il Frammento Valesiano (p. 720, 721). La pace, l’onorevole pace, era lo scopo costante di Teodorico.
  37. Un Lettore curioso può contemplar gli Eruli di Procopio (Goth. l. II c. 14) ed un lettore paziente si può immergere nell’oscure e minute ricerche del Sig. di Buat (Hist. des Peuples anciens Tom. IX p. 348, 396).
  38. Var. IV 2. Cassiodoro espone lo spirito, e le formalità di questa marziale istituzione; ma sembra, che abbia trasportato solo i sentimenti del Re Goto nel linguaggio della eloquenza Romana.
  39. Cassiodoro, che cita Tacito agli Estoni, ignoranti selvaggi del Baltico (Var. V. 2), descrive l’ambra, per causa della quale i loro lidi sono stati sempre famosi, come la gomma d’un albero indurita dal sole, e purificata e trasportata dall’onde. Analizzata questa singolar sostanza da’ Chimici, somministra un olio vegetabile, ed un acido minerale.
  40. Scanzia, o Thule vien descritta da Giornandes (c. 3 p. 610, 613), e da Procopio (Goth. lib. 2 c. 15). Nè il Goto, nè il Greco Scrittore avevan veduto quel paese: ma avevano ambidue conversato co’ nativi di esso nel loro esilio a Ravenna, o a Costantinopoli.
  41. Sapherinas Pelles. Al tempo di Giornandes questa bella razza di animali abitava la regione di Suethans, la Svezia propriamente detta; ma appoco appoco è stata scacciata nelle parti Orientali della Siberia. Vedi Buffon (Hist. Nat. T. XIII p. 309, 313. Ediz. in quarto); Pennant (Sistema de’ quadrupedi Tom. I p. 322, 328); Gmelin (Hist. gener. des Voyages Tom. XVIII p. 257, 258) e Levesque (Hist. de Russie Tom. V p. 135, 166, 514, 515).
  42. Nel sistema o Romanzo del Bailly (Lettres sur les Sciences et sur l’Atlantide Tom. I p. 249, 256. Tom. II p. 114, 139) la fenice dell’Edda, e l’annua morte e risorgimento d’Adone e d’Osiride sono i simboli allegorici della assenza e del ritorno del Sole nelle regioni Artiche. Questo ingegnoso Scrittore è un degno scolare del gran Buffon: nè riesce facile alla più fredda ragione l’opporsi all’incanto della loro filosofia.
  43. >Αυτη τε Θυλιταιςη μεγηνη των εσρτων ὲστι (E questa è la massima festa per i Tuliti) dice Procopio. Presentemente un rozzo manicheismo (bastevolmente generoso) domina fra’ Samoiedi in Groenlandia, e in Lapponia (Hist. des Voyag. Tom. XVIII p. 508, 509 Tom. XIX p. 105, 106, 527, 528); pure secondo Grozio Samojutae coelum atque astra adorant, numina haud aliis iniquiora (de rebus Belgicis L. IV p. 338 Ediz. in fol.) sentenza, che non isdegnerebbe di riconoscer per sua lo stesso Tacito.
  44. Vedi l’Hist. des Peuples anciens ec. Tom. IX. p. 255, 273, 396, 50l. Il Conte di Buat era ministro di Francia alla Corte di Baviera, allorchè una ingenua curiosità eccitò le sue ricerche sopra le antichità di quel Paese, e tal curiosità fu il germe di dodici rispettabili volumi.
  45. Vedi i Fatti de’ Goti sul Danubio, e nell’Illirico presso Giornandes (c. 58 p. 699), Ennodio (p. 1607, 1610), Marcellino (in Chron. p. 44, 47, 48) e Cassiodoro (in Chron. e Var. III 23, 50. IV 13. VII 4, 24. VIII 9, 10, 11, 2l. 1X 8, 9).
  46. Non posso fare a meno di trascrivere il generoso e classico stile del Conte Marcellino: Romanus Comes Domesticorum, et Rusticus Comes Scholariorum cum centum armatis navibus, totidemque dromonibus, octo millia militum armatorum secum ferentibus ad devastanda Italiae littora processerunt, et usque ad Tarentum antiquissimam Civitatem aggressi sunt; remensoque mari inhonestam victoriam, quam piratico ausu Romanis rapuerunt, Anastasio Caesari reportarant. (in Chron. p. 48). Vedi Var. I 16. II 38.
  47. Vedi gli ordini, e le istruzioni reali (Var. IV 15. V 16, 20). Questi navigli armati dovevano essere anche più piccoli de’ mille vascelli d’Agamennone nell’assedio di Troia.
  48. Vedi Cap. XXXVIII.
  49. Ennodio (p. 1610), e Cassiodoro in nome del Re (Var. II 41) fanno menzione della sua salutar protezione degli Alemanni.
  50. Si espongono i fatti de’ Goti nella Gallia e nella Spagna con qualche oscurità da Cassiodoro (Var. III 32, 38, 41, 43, 44. V 39), da Giornandes (cap. 58 pag. 698, 699) e da Procopio (Goth. l. 1 c. 12). Io non voglio nè discutere, nè conciliare fra loro i lunghi e contraddittori argomenti dell’Abbate Dubos, e del Conte di Buat sopra le guerre della Borgogna.
  51. Teofane p. 113.
  52. Procopio asserisce, che Teodorico ed i successivi Re d’Italia non promulgarono leggi alcune (Goth. l. II c. 6). Ei deve intender però in lingua gotica: perchè tuttavia esiste un editto latino di Teodorico in cento cinquantaquattro articoli.
  53. Si trova incisa l’immagine di Teodorico nelle sue monete; ma i modesti suoi successori si contentarono d’aggiungere il lor proprio nome alla testa dell’Imperatore regnante (Muratori, Antiq. Ital. medii aevi Tom. II Diss. 27 p. 577, 579. Giannone, Istor. Civ. di Napoli Tom. I p.166).
  54. Si rappresenta, l’alleanza dell’Imperatore e del Re d’Italia da Cassiodoro (Var. I l. 1I 12, 3. VI 1), e da Procopio (Goth. l. II c. 6 l. III c. 21), che celebrano la amicizia d’Anastasio con Teodorico; ma il figurato stile di complimento veniva interpretato in un senso molto differente a Costantinopoli ed a Ravenna.
  55. Alle diciassette Province della Notizia Paolo Warnefrido Diacono (De reb. Longobard. l. II c. 14, 22) aggiunse la XVIII dell’Appennino (Muratori, Scriptor. Rer. Italicar. Tom. I p. 431, 433). Ma di queste la Sardegna e la Corsica si possedevano da’ Vandali, e le due Rezie, ugualmente che le Alpi Cozie, pare che fossero abbandonate ad un Governo militare. Giannone ha lavorato (Tom. I p. 172, 178) con patriottica diligenza sopra lo stato delle quattro Province, che ora formano il regno di Napoli.
  56. Vedi l’Istoria Gotica di Procopio (lib. I c. I lib. II c. 6), l’Epistole di Cassiodoro (passim, ma specialmente i libri V e VI che contengono le formole o Patenti degli Ufizi), e la Storia Civile del Giannone (Tom. I lib. II, III). I Conti Gotici per altro, ch’ei pone in ogni città d’Italia, si distruggono dal Maffei (Verona illustrata P. I lib. 8 p. 227), giacchè quelli di Siracusa e di Napoli (Var. VI 22, 23) appartengono a commissioni speciali e temporanee.
  57. Furono l’uno dopo l’altro impiegati al servizio di Teodorico due Italiani, che avevano il nome di Cassiodoro, il padre (Var. I 24, 40) ed il figlio (IX 24, 25). Il figlio era nato l’anno 479. Le varie Lettere, ch’egli scrisse come Questore, come Maestro degli Ufizi, e come Prefetto del Pretorio, dall’anno 509 al 539 e visse da monaco circa trent’anni (Tiraboschi, Stor. della Lett. Ital. T. III p. 7, 24. Fabricio, Bibliot. Lat. med. aev. Tom. I p. 357, 358. Edit. Mansi).
  58. Vedi il suo riguardo pel Senato presso Cochleo (Vit. Theod. VIII p. 72, 80).
  59. Non maggiore di 120,000 modj, o quattromila sacca (Anon. Valesian. p. 721 e Var. I 35. VI 18. XI 5, 39).
  60. Si veda il riguardo e l’indulgenza ch’ebbe per gli spettacoli del Circo, del Teatro e dell’Anfiteatro, nella Cronica e nell’Epistole di Cassiodoro (Var. I 20, 27, 30, 31, 32. III 51. IV 51 illustrate dall’annotaz. 14 dell’Istoria di Mascou), che ha tentato di spargere su questa materia una ostentata, quantunque piacevol erudizione.
  61. Anon. Vales. p. 721. Mario Aventicense in Chron. Nella bilancia del merito pubblico e personale, il Conquistatore Gotico è per lo meno tanto superiore a Valentiniano, quanto può sembrare inferior di Traiano.
  62. Vit. Fulgentii in Baron., Annal. Eccl. A. D. 500 n. 10.
  63. Cassiodoro descrive col pomposo suo stile il Foro di Traiano (Var. VII 6), il Teatro il Marcello (IV 51) e l’Anfiteatro di Tito (V 42), e le sue descrizioni non sono indegne dell’attenzion del Lettore. L’Ab. Barthelemy computa, che, secondo i prezzi moderni, l’opera in mattoni e la struttura del Colosseo costerebbe ora venti milioni di lire di Francia (Mem. de l’Academie des inscript. Tom. 28 p. 585, 586). Che piccola parte di quella stupenda fabbrica!
  64. Intorno agli Acquedotti, ed alle Cloache vedi Strabone (l. V p. 360), Plinio (Hist. Nat. XXXVI 24), Cassiodoro (Var. III 30, 31 VI 6), Procopio (Got. l. I c. 9), e Nardini (Roma antica p. 514, 522). È tuttora un problema, come tali opere si potessero eseguire da un Re di Roma.
  65. Quanto alla cura, che si presero i Goti delle fabbriche e delle statue, vedi Cassiodoro (Var. I 21, 25. II 34. IV 30. VII 6, 13, 15) ed il Frammento Valesiano (pag. 721).
  66. Var. VII 15. Questi cavalli di Montecavallo da Alessandria erano stati trasportati a’ Bagni di Costantino (Nardini pag. 188). Se ne disprezza la scultura dall’Abbate Dubos (Reflex. sur la Poesie et sur la Peinture Tom. I sect. 39) e s’ammira dal Winckelmann (Hist. de l’Art Tom. II pag. 159).
  67. Var. X 10. Essi erano probabilmente un frammento di qualche carro trionfale (Cuper, de Elephant. II. 10).
  68. Procopio (Goth. l. IV c. 21) riporta una sciocca storia della Vacca di Mirone, che vien celebrata dal falso spirito di trentasei epigrammi greci (Antholog. l. IV p. 302, 306. Edit. Hen. Steph. Auson., Epigramm. 58, 68).
  69. Vedi un Epigramma d’Ennodio (II 3 p. 1893, 1894) sopra questo giardino ed il real giardiniere.
  70. Si prova la sua affezione per quella città dall’epiteto di Verona tua, e dalla leggenda dell’Eroe. Sotto il nome barbaro di Dietrich di Berna (Peringsciold, ad Cochloeum p. 840) il Maffei lo segue con intelligenza e piacere nel suo paese nativo (l. IX p. 230, 236).
  71. Vedi Maffei (Verona illustr. P. I p. 231, 232, 308 ec.). Egli attribuisce l’architettura gotica, come la corruzione della lingua, della scrittura ec. non a’ Barbari, ma agli Italiani medesimi: si confrontino i suoi sentimenti con quelli del Tiraboschi (Tom. III p. 61).
  72. Nell’Epistole di Cassiodoro vagamente si dipingono le ville, il clima, e le vedute di Baia (Var. IX 6. Vedi Cluver., Ital. antiqu. l. IV c. 2 p. 1119 ec.) d’Istria (Var. XII 22, 26), e di Como (Var. XI 14 paragonata con le due Ville di Plinio IX 7).
  73. In Liguria numerosa Agricolarum progenies (Ennod. 1678, 1679, 1680). S. Epifanio di Pavia redimè, per mezzo di preghiere o di riscatto, 6,000 schiavi da’ Borgognoni di Lione o di Savoia. Tali azioni sono memorabili più dei miracoli.
  74. L’economia politica di Teodorico (Vedi l’Anon. Vales. n. 721 e Cassiodoro in Chron.) può distintamente ridursi a’ seguenti capi: miniere di ferro (Var. III 23) e d’oro (IX 3): paludi Pontine (II 32, 33): di Spoleto (II 21): grano (I 34. X 27, 28. XI 11, 12): commercio (VI 7. VII 9, 23): fiera di Leucotoe o di S. Cipriano in Lucania (VIII 33) abbondanza (XII 4) cursus, o la pubblica posta (I 29. II 3l. 1V 47. V 5. VI 6. VII 33): la strada Flaminia (XII 18).
  75. LX. Modii tritici in solidum ipsius tempore fuerunt, et vinum XXX amphoras in solidum (Fragm. Vales.). Dai granai si distribuiva il grano a XV o XXV modj per soldo d’oro, ed il prezzo era sempre moderato.
  76. Vedi la vita di S. Cesario presso il Baronio (A. D. 508. n. 12, 13, 14). Il Re gli regalò 300 soldi d’oro, ed un piatto d’argento, che pesava 60 libbre.
  77. Ennodio in vit. S. Epiphan. nelle opere del Sirmondo Tom. I p. 1672, 1690. Teodorico sparse importanti favori sopra di questo Vescovo, ch’egli adoperava come Consigliere in tempo di pace e di guerra.
  78. Devotissimus ac si Catholicus (Anon. Vales. p. 720); la sua offerta però non fu maggiore di due candelieri (cerostrata) d’argento, del peso di settante libbre, molto inferiore all’oro e alle gemme di Costantinopoli o di Francia (Anastas. in vit. Pontif. in Houmisda p. 34 Edit. Paris).
  79. Il tollerante sistema del suo regno (Ennod. p. 1612; Anon. Vales. p. 719. Procop., Goth. l. I. c. 1, l. II c. 6) può studiarsi nell’Epistole di Cassiodoro sotto i seguenti articoli; Vescovi (Var. I 9. VIII 15, 24. XI 23); Immunità (I 26. II 29, 30); Terre della Chiesa (IV 17, 20); Santuari (II 1l. 1II 47); Argenteria della Chiesa (XII 20), Disciplina (IV 44): che provano, ch’esso era nel tempo stesso Capo della Chiesa e dello Stato.
  80. Possiam rigettare una sciocca novella d’aver egli decapitato un Diacono cattolico, che s’era fatto Arriano (Theodor. Lector. n. 17). Perchè Teodorico è soprannominato Afer? da Vafer? (Vales. ad loc.) debole congettura!
  81. Ennodio p. 1621, 1622, 1636, 1638. Il suo libello fu (synodaliter) approvato, e registrato da un Concilio Romano (Baron. an. 503 n. 6. Franc. Pagi in Breviar. Pontif. Rom. Tom. I p. 242).
  82. Vedi Cassiodoro (Var. VIII 15. IX 15, 16), Anastasio (in Symmacho p. 31) e l’annotazione XVII di Mascovio. Il Baronio, il Pagi, e la maggior parte de’ Dottori Cattolici confessano con meste querele questa Gotica usurpazione.
  83. Ei li privò = licentia testandi =, e si attristò tutta l’Italia = lamentabili Justitio = Io vorrei persuadermi, che queste pene si fossero stabilite contro i ribelli, che avevano violato il loro giuramento di fedeltà, ma la testimonianza d’Ennodio (p. 1675, 1678) è sommamente grave per la circostanza ch’ei visse e morì sotto il regno di Teodorico.
  84. Ennodio in vit. Epiphan. p. 1689, 1690. Boet., De Consolat. Philos. l. 1 pros. IV p. 45, 46, 47. Si rispettino, ma si pesino le passioni del Santo e del Senatore: e si confermino o si diminuiscano le loro querele, facendo uso de’ vari cenni di Cassiodoro (Var. II 8. IV 36. VIII 5).
  85. Immanium expensarum pondus.... pro ipsorum salute etc. Queste però non sono che pure parole.
  86. Si trovavano degli Ebrei a Napoli (Procopio, Goth. l. 1 c. 8), a Geneva (Var. II 28. IV 33), a Milano (V 57), a Roma (IV 43): vedi anche Basnagio, Hist. des Juifs, Tom. VIII c. 7 p. 254.
  87. Rex avidus communis exitii etc. Boeth. l. 1 p. 59. Rex dolum Romanis tendebat (Anon. Vales. p. 723) queste son parole assai dure, ch’esprimono le passioni degl’Italiani, e temo anche quelle di Teodorico medesimo.
  88. Ho procurato di trarre una ragionevole narrazione dagli oscuri, brevi ed incerti cenni dal frammento Valesiano (p. 722, 723, 724), di Teofane (p. 245), d’Anastasio (in Joanne p. 35) e dell’Istoria miscella (p. 103 Edit. Muratori). Una tenue compressione e parafrasi delle loro parole non è una violenza. Vedasi anche il Muratori (Annali di Italia. Tom. IV p, 471, 478) con gli Annali, ed il Compendio (Tom. I 259, 263) de’ due Pagi, Zio e Nipote.
  89. Le Clerc ha fatto una vita critica e filosofica di Anicio Manlio Severino Boezio (Bibl. Chois. Tom. XVI p. 168, 275) e posson consultarsi con vantaggio tanto il Tiraboschi (Tom. III), quanto il Fabricio (Bibliot. Latin.). Si può fissare la data della sua nascita verso l’anno 470, e la sua morte nel 524 in una età non molto avanzata (Consol. Phil. Metrica I p. 5).
  90. Intorno all’età ed al valore di questo manoscritto, che ora è nella Libreria Medicea di Firenze, Vedi Cenotaphia Pisana (p. 430, 447) del Card. Noris.
  91. Gli studj di Boezio in Atene son dubbiosi (Baronio an. 510 n. 3 che cita un Trattato spurio De Disciplina scholarum), e senza dubbio il termine di diciotto anni è troppo lungo: ma il puro fatto d’una visita, ch’ei fece ad Atene, si giustifica da più prove, tratte da lui medesimo (Bruker Hist. Crit. Philos. Tom. III p. 524, 527) e da un’espressione, quantunque vaga ed ambigua, di Cassiodoro suo amico (Var. I 45) Longe positas Athenas introisti.
  92. Bibliothecae comptos ebore ac vitro parietes etc. (Consol. Phil. l. 1 Pros. V p. 74). L’Epistole d’Ennodio (VI 6. VII 13. VIII 1, 31, 37, 40) e Cassiodoro (Var. I 39. IV 6. IX 21) somministrano molte prove dell’alta riputazione, ch’ei godeva a’ suoi tempi. È vero, che il Vescovo di Pavia ebbe bisogno di comprare da lui una vecchia casa in Milano, e poterono presentarsi ed accettarsi delle lodi per parte del pagamento di essa.
  93. Il Pagi, il Muratori ec. convengono, che Boezio medesimo fu Console, nell’anno 510, i due suoi figli nel 522, e nel 487 forse suo padre. Il desiderio d’attribuire al Filosofo l’ultimo di questi Consolati ha resa dubbiosa la cronologia della sua vita. Ne’ propri onori, nelle sue Parentele, nei Figli egli celebra la sua propria felicità la felicità passata. (p. 109, 110).
  94. Si ego scissem, tu nescisses. Boezio (L. 1 Pros. 5 pag. 53) adotta questa risposta di Giulio Cano, di cui la morte filosofica è descritta da Seneca (De tranquillit. animi, c. 14).
  95. S’espongono i caratteri de’ due suoi delatori, Basilio ed Opilio, non molto per essi onorevolmente nelle Lettere di Cassiodoro (Var. II 10, 1l. 1V 22. V 4l. 1III 16) che fa menzione ancora di Decorato (V 31) indegno Collega di Boezio (L. III Pros. 4 p. 193).
  96. Si fece un rigoroso processo intorno al delitto di magia (Var. IV 22, 23.IX 18) e fu creduto, che molti negromanti fossero fuggiti rendendo pazzi i loro custodi: in vece di pazzi leggerei piuttosto ubbriachi.
  97. Boezio aveva composto la propria apologia (p. 53), forse più interessante della sua Consolazione. Ma bisogna, che ci contentiamo d’un prospetto generale de’ suoi onori, principj, persecuzione ec. (L. I Pros. IV p. 42, 62) che si può confrontare con le brevi ed importanti parole del Frammento Valesiano (p. 723). Uno scrittore anonimo (Sinner Catalog. M. S. Bibliot. Bern. Tom. I p. 287) l’accusa francamente d’un onorevole e patriottico tradimento.
  98. L'esecuzione fu fatta in agro Calventiano (a Calvenzano fra Marignano e Pavia) Anon. Vales. p. 723 per ordine d'Eusebio Conte di Ticino o di Pavia. Il luogo della sua prigionia si chiama Battistero: edifizio e nome proprio delle Chiese Cattedrali; ed una perpetua tradizione l'attribuisce alla Chiesa di Pavia. Nell'anno 1584 tuttavia sussisteva la torre di Boezio, e se ne conserva ancora la pianta. (Tiraboschi Tom. III p. 47, 48).
  99. Vedi la Biografia Britannica, Alfredo, Tom. I p. 80 II Ediz. L'opera è più onorevole ancora, se fu eseguita sotto l'occhio illuminato d'Alfredo dagli estranei e domestici suoi Dottori. Intorno alla fama di Boezio nel medio Evo, si consulti Brucker (Hist. Crit. Philos. Tom. III p. 565, 566).
  100. L'Iscrizione posta sul nuovo di lui sepolcro, fu fatta dal precettore di Ottone III, il dotto Papa Silvestro II, il quale, come Boezio medesimo, era il profondo chiamato mago dall'ignoranza di que' tempi. Il Martire cattolico aveva portato per un considerabile tratto di strada la propria testa delle sue mani (Baron. an. 526 n. 17, 18). Ad una simil novella disse una volta una Signora a di mia conoscenza = La distance n'y fait rien: il n'y a que le primier pas qui coute.]
    1. La Signora Du Deffand, in occasione del miracolo di S. Dionigi.
  101. Boezio applaudisce alle virtù del suo suocero (L. I Pros. 4 p. 118). Procopio (Goth. L. I c. 1), il Frammento Valesiano (p. 724), e l’Istoria miscella (L. XV p. 105) son d’accordo nel lodare la sublime innocenza, o santità di Simmaco: e, nell’opinione dell’Autore della leggenda, il delitto della sua morte fu uguale a quello della carcerazione d’un Papa.
  102. Nell’immaginosa eloquenza di Cassiodoro la varietà del pesce di mare e di fiume è una prova d’esteso dominio; e sulla tavola di Teodorico trovavansi quelli del Reno, di Sicilia, e del Danubio (Var. XII 14). Il mostruoso Rombo di Domiziano (Giovenal. Sat. III 39) era stato preso nei lidi dell’Adriatico.
  103. Procop. Goth. l. 1 c. 1. Ma ci avrebbe dovuto dire, se aveva saputo questo curioso aneddoto dalla fama comune, oppure dalla bocca del Medico Reale.
  104. Procop. Goth. l. 1 c. 1, 2, 12, 13. Questa divisione fu ordinata da Teodorico, quantunque non s’eseguisse che dopo la sua morte: Regni haereditatem superstes reliquit (Isidor. Chron. p. 721 Edit. Grot.).
  105. Berimondo, ch’era il terzo nella discendenza d’Ermanrico Re degli Ostrogoti, s’era ritirato nella Spagna, dove ei visse e morì nell’oscurità (Giornand. c. 33 p. 202 Ediz. Murator.). Vedansi la scoperta, le nozze, e la morte del suo nipote Eutarico (Iv. c. 58 p. 220). I suoi giuochi Romani poterono renderlo popolare (Cassiodor. in Chron.), ma Eutarico era asper in religione (Anon. Vales. p. 722, 723).
  106. Vedi i consigli di Teodorico, e le proteste del suo successore, presso Procopio (Goth. l. 1 c. 1, 2), Giornandes (c. 59 p. 220, 221) e Cassiodoro (Var. VIII 1, 7). Queste lettere formano il trionfo della sua eloquenza ministeriale.
  107. Anon. Vales. p. 724. Agnell. de Vit. Pontif. Ravenn. ap. Muratori Script. Rer. Italic. Tom. II P. I p. 67. Alberti Descriz. d’Italia p. 311.
  108. Si riferisce questa Leggenda da Gregorio I (Dial. IV 30) e s’approva dal Baronio (An. 526 n. 29): e tanto il Pontefice quanto il Cardinale sono Dottori gravi, sufficienti a stabilire un’opinione probabile.
  109. Teodorico medesimo, o piuttosto Cassiodoro, aveva descritto in tragiche frasi i Vulcani di Lipari (Cluver. Sicilia p. 406, 410), e del Vesuvio (IV 50).