Sopra alcune opposizioni fatte alle sue osservazioni intorno alle vipere

Francesco Redi

1670 Indice:Sopra alcune opposizioni fatte alle sue osservazioni intorno alle vipere.djvu Saggi testi scientifici Lettera di Francesco Redi, gentiluomo Aretino sopra alcune opposizioni fatte alle sue osservazioni intorno alle vipere Intestazione 4 marzo 2015 100% Saggi


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L E T T E R A


di


FRANCESCO REDI


ACCADEMICO DELLA CRVSCA


SOPRA


ALCVNE OPPOSIZIONI


fatte

ALLE SVE OSSERVAZIONI
INTORNO ALLE VIPERE

scritta alli signori

ALESSANDRO MORO,

e

ABATE BOVRDELOT

SIG. DI CONDÈ, e di S. Leger.





IN FIRENZE, MDCLXXXV.


Per Piero Matini all’Insegna del Lion d’oro.
Con licenza de’ Superiori.



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M I E I    S I G N O R I.


DD
Alla cortesia delle SS. Vostre mi è pervenuto il Libro intitolato Nouvelles experiences sur la Vipere, compilato dalla Congregazione di quei nobili Virtuosi, che nella casa del Signor Charas, per questo effetto, a’ mesi addietro, si sono radunati. Io l’ho letto più volte con intera soddisfazione, e contentezza dell’animo mio; mentre ho potuto evidentemente comprendere, che quei valentuomini non anno sdegnato con le loro illustri fatiche di confermare la verità di quelle Osservazioni, che intorno alle Vipere ancor’io feci fin nell’anno 1664. Ed in vero, che mi chiamo grandemente obbligato alla loro gentilezza, e confesso di buon cuore, che quanto lustro potrà mai avere quel rozzo, e semplice mio libro, tutto gli sarà cagionato dalle onorevoli testimonianze, [p. 4 modifica]che di lui sono state fatte nella Francia, dove al più sovrano segno fioriscono, e vigorosamente fioriranno sempre tutte le belle scienze, e tutte le belle arti con ammirazione riverente di coloro, che nell’altre parti dell’Europa le professano. Prego le SS. Vostre a farmi il favore di rappresentar questi miei sinceri, e cordiali sentimenti, ed insieme di manifestar l’altissima stima, ch’io faccio di quel libro, l’autorità del quale è in tanta venerazione appresso di me, che avendovi io scorte alcune poche cose direttamente contrarie alle mie esperienze; ho dubitato sovente di me medesimo, e quasi quasi ho creduto di aver sognato, quando le operai, e le scrissi: E sebbene alcuni Litterati miei amici, che furono molte volte presenti a quelle mie operazioni, si ridevano di questo mio credere, e motteggiando, e scherzando meco mi assicuravano, che quell’esperienze non mi erano succedute in sogno; contuttociò senza riguardo veruno ho voluto iterarle, e reiterarle, e con tanta, e così puntual diligenza, che farei gran torto a me, ed alla Verità, se francamente ora non dicessi alle SS. Vostre, che tutte quelle quattro, o cinque mie esperienze, che a cotesti Signori in Francia non son riuscite vere, a me in Italia riescon verissime, ed infallibili; e non riescon vere quelle, che nella Francia sono state fatte, e contrariano le mie. E perchè le SS. Vostre avranno forse curiosità di sapere, quali elle si sieno, ne farò qui vn breve racconto; rendendomi sicuro, che sia per esser grato a tutti gli [p. 5 modifica]amatori del vero, ma particolarmente agli Autori del Libro delle novelle esperienze, i quali da altro non si son mossi a scrivere, che dal solo desiderio, o di confermare, o di trovar la verità di questa materia cotanto curiosa, della quale tanti savi uomini anno scritto.

Nella mia lettera dunque delle Osservazioni intorno alle Vipere indirizzata all’Illustrissimo Signor Lorenzo Magalotti favellando del veleno di quei Serpentelli, e quale ei si sia, ed in che parte del lor corpo si ritrovi, affermai, (come lo affermo ancora) che il veleno viperino non è altro, che un certo liquore giallognolo, che stagna in quelle guaine, che cuoprono i denti maggiori della Vipera; e che questo liquore non solamente è velenoso, quando è schizzato dalla Vipera viva mentre ella morde; ma ancora quando egli è raccolto dalla Vipera morta, e morta di più giorni, purchè egli sia fatto penetrare nelle ferite, e che vi rimanga: E di più soggiunsi, che questo stesso liquore, quando è bevuto, e mandato nello stomaco, non è nè mortifero, nè dannoso. E questa fu la mia opinione, la quale mi fu confermata da infinite esperienze fatte con quella accuratezza maggiore, che poteva essermi conceduta dalla scarsità de’ miei talenti.

Ma gli Autori del libro delle Novelle esperienze scrivono francamente, che quel soprammentovato liquor giallognolo non è velenoso, anzi che egli è vna pura, ed innocentissima saliva. Quindi rinnovando [p. 6 modifica]ma però senza far menzione dell’Autore, l’opinione di Giovan Battista Van Elmont nel Trattato della Potestà de’ Medicamenti affermano per cosa indubitata, vera, ed esperimentata, che la Vipera non ha parte del suo corpo, ne membro, ne umore alcuno abile a potere avvelenare; e che il veleno consiste nella sola immaginazione di essa Vipera irritata, ed incollorita per l’idea della vendetta, che ella si è figurata nella testa, mediante la quale, mossi gli spiriti da un moto violento, sono spinti per i nervi, e per le fibre alla volta delle cavità de’ denti, per le quali cavità son portati essi spiriti ad infettare il sangue dell’animale per l’apertura del morso fatto da essi denti; Ed in somma concludono, che se la Vipera non sia in collera, e non abbia quella immaginazione vendicativa, le sue morsure mai non avvelenano, anzi sono innocentissime, e non apportano danno alcuno a chi ne sia ferito; e son quest’esse le loro parole.

Ces considerations a carte 33. appuyees d’ailleurs sur plusieurs experiences que nous avons faites, & que je rapporteray dans la suite, m’ont portè a donner a ces glandes le nom de salivaires, & a leur attribuer la veritable source de ce suc jaune, contre le quel on a tant declamè, qui a este si mal connu, & qui n’est qu’une pure, & fort innocente salive. J’espere que ceux qui prendront la peine d’examiner soigneusement apres moy ces glandes, & ce suc des gencives ne me refuseront pas leurs suffrages.

E a carte 92. Mais sans nous arrester a des principes si legerement establis, & si mal soutenus, ayant pour nous un [p. 7 modifica]grand nombre d’experiences, sur les quelles nous nous fondons; nous disons ec. Que ce suc jaune n’est, qu’une pure & simple salive, dont nous avons deja marquè l’usage: Et que ce suc ne contribue rien au venin de la morsure; puis qu’etant goustè, & avalè, comme nous l’avons eprouvè plusieurs fois, il ne fait aucun mal ny aux hommes, ny aux bestes, & que mesme estant mis sur des incisions faites dans la chair, les en frottant, & les meslant avec le sang, il ne fait aucun dommage. Nonobstant le sentiment d’une Persone fort esclairee en toutes choses, & sur tout en ce qui concerne la Vipere, qui asseure d’avoir fait, un grand nombre d’experiences, qui se trouvant opposees aux nostres, la haute opinion, que nous avons de la capacitè, & de la sinceritè de cet homme celebre, nous a obligez d’y opporter encore plus d’exactitude, & de nous confirmer par un tresgrand nombre de ces experiences, qui se sont toujours rencontrees semblabes, dans la veritè, que nous soustenons icy, & dont nous rapporterons des preuves evidentes & infaillibles.

E a carte 96. Nous concluons donc, qui l’imaginatian de la Vipere, estant irritee par l’idee de la vengeance qu’elle s’est formee, donne un mouvement aux esprits qui ne se peut exprimir, & les pousse avec violence par les nerfs, & par leurs fibres, vers la cavitè des dents, comme dans un entennoir, & que de la ils sont portez dans le sang de l’animal, par l’ouverture qu’elles luy ont faite, pour y produire tous les affets, dont nous tachons de rendre raison.

E a carte 97. Quoy qu’il en soit, il faut demeurer [p. 8 modifica]d’accord, que cette irritation, dans l’imagination, ou dans les esprits de la Vipere, est la principale cause de l’activitè, de la penetration de son venin, & que sans elle il ne produiroit pas des effets si surprenans que ceux dont nous avons apportè divers exemples.

E a carte 122. Ces experiences, dis-je, prouveront d’un costè, que le suc jaune ne contribue rien au venin, & de l’autre, que ces esprits irritez, aydez des ouvertures, que les grandes dents leur ont preparees, en sont la seule, & la veritable cause.

Questi sentimenti gli confermano con alcune esperienze, le quali tutte consistono in avere stillato qualche quantità di quel liquor giallo nelle ferite d’un piccione, d’un cane, e di alcuni pollastri, senza che ne morissero; ed in aver fatto mordere da una Vipera non irritata, ne incollorita un piccione, senza che questo animale ne ricevesse un minimo danno. Nous fimes aussi une experience [a carte 102.] sur un pigeon, que nous blessasmes sous l’aisle, & a la cuisse en un mesme moment, nous mismes dans chaque playe de ce suc jaune, que nous venions de tirer des gencives de deux Viperes irritees, puis nous rejoignismes la peau, pour bien enfermer ce suc, & nous bendasmes les deux playes, pour eviter qu’il ne sortist. Nous pouvons asseurer, que le pigeon n’en eut aucune incommoditè, & que mesme nous trouvasmes, sur la playe faite a la cuisse une goutte de suc coagulee de forme ronde, & de la mesme couleur, que nous l’y avions mise, & a l’entour, le sang de la playe sechè, & qu’incontinent apres l’une & l’autre playe se secherent, & se guerirent d’elles mesmes.

[p. 9 modifica]Nous avons encore fait l’esperience de ce suc sur un Chat, que nous avions blessè expres a la cuisse, mais il n’en a receu aucun dommage: nous l’avons experimentè tout de mesme, & diverses fois sur des poulets, et sur d’autres pigeons, mais c’a toujours estè avec un pareil succez, et sans qu’ils en receussent aucune incommoditè.

La mesme experience a este faite trois fois en divers temps, et mesme deux fois en un mesme jour, sur un Chien que nous avions blesse a dessein vers le fond de l’oreille, ou il ne pouvoit lecher sa playe, et il n’en eut aucun mal.

Nous pauvons encore ajouter icy une experience de l’effet mortel des esprits irritez sans aucune particiption de suc jaune. Nous fismes mordre plusieurs fois une mesme Vipere sur une tranche de pain, en luy pressant toutes les fois les machoires contre la tranche, et nous le fismes si souvent, que non seulement le suc fut tout epuise, mais que le sang commencoit de sortir des gencives; nous irritasmes en mesme temps la Vipere, et la fismes mordre le pigeon en l’endroit le plus charnu; nous remarquasmes bien, que les effets du venin de la morsure n’alloient pas si promptement, puis que le pigeon ne mourut, qu’ une heure, et demy apres la morsure; mais nous reconnusmes aussi, que les dents de la Vipere estoient comme enduites de la mie du pain a force de l’avoir mordu, et que cela les avoit empechees d’entrer profondement, et qu’ ayant bouchè a demy les pores de la dent, une bonne partie des esprits irritez n’avoit pu passer, en sorte que la mort du pigeon n’avoit pas estè si prompte, mais que pourtant elle estoit [p. 10 modifica]arrivee sans aucune participation du suc jaune, puis qu’ il avoit estè tout espuise.

E a carte 122. La morsure faite par une Vipere, non irritee, dont on tenoit les machoires, & de qui on faisoit enfoncer les dents en les pressant sur le corps d’un pigeon, qui se trouvoit aussi fort accompagnee du suc jaune, & qui neanmoins ne fut suivie d’aucun mauvais accident ec.

A queste esperienze io non posso contrapporre altro, che quelle moltissime, che da me furono fatte nell’anno 1664. e recitate nelle soprammentovate mie Osservazioni intorno alle Vipere, e quelle parimente che scriverò qui appresso, anch’esse da me operate non con desiderio di confermar le prime, ma bensì di venire in chiaro del vero: E, per non avere a replicar più volte alcune cose, dirò prima certe osservazioni generali, che ho fatte nel tempo, nel quale ho maneggiate le Vipere.

La Vipera ammazza più facilmente un colombo, un pollastro, un gallo d’India, uno scoiattolo, un ghiro, ed altri uccelli, ed animaletti piccoli, che un’animale grande, come sarebbe un montone, un daino, un cavallo, un toro, anzi questi più grandi e di pelle dura, moltissime volte non gli ammazza.

Secondo la grandezza dell’animale, e secondo il luogo dove la Vipera ferisce, ne segue la morte più presto, o più tardi, e particolarmente se il luogo ferito abbia la tessitura fitta, o rada di vene, e d’arterie; o se esse vene ed arterie sieno sottili, o grosse.

Se dalla ferita della Vipera sgorga molto sangue, [p. 11 modifica]avviene alcuna volta, che l’animale non solamente non ne muoia, ma che non ne abbia gran male.

Avviene ancora non di rado, che qualche animale ferito dalla Vipera patisca accidenti fierissimi di veleno, che lo riducano vicin’ alla morte, e pure non muoia, anzi guarisca senz’aiuto di medicamento, e per sola operazione della Natura.

Muoiono qualche poco più presto quegli animali che son feriti dalla Vipera, che quegli nelle ferite de’ quali è fatto penetrar con arte quel liquor giallo, che pur con arte fu cavato dalle guaine de’ denti di essa Vipera.

Fa di mestiere usare grand’accuratezza nel far penetrar nelle ferite quel suddetto liquore, perchè, se la ferita è angusta, difficilmente vi penetra, e se è grande, non può far dimeno che non faccia sangue, e col sangue suol tornar in dietro, e spicciar fuori il veleno.

Io aveva dunque una gran provvisione di Vipere venute dal Regno di Napoli, onde nel mese di Maggio di questo presente anno 1670. avendo ferito dieci picciongrossi nelle cosce, gli avvelenai con quel liquor giallo cavato allora allora dalla bocca delle Vipere vive, e tutti que’ piccioni nello spazio chi di un’ora, e chi d’un’e mezza, e chi di due si morirono. Reiterai l’esperienza in dieci pollastrini feriti nella coscia, ed avvenne quello, che era prima avvenuto ne’ picciongrossi.

Feci tagliar’ il capo a dodici Vipere, e quando [p. 12 modifica]que’ capi furon finiti in tutto, e per tutto di morire, ne raccolsi il veleno, e lo feci penetrare nelle ferite, di otto colombi terraiuoli, quali in capo a mezz’ora morirono tutti.

Nel Mese di Giugno, avendo fatt’ ammazzare molt’altre Vipere, e cavato dalle guaine de’ denti, e dal palato ogni umor giallo, e viscoso, che vi fosse, unsi con esso, e impiastrai alcuni fuscelletti di scopa, aguzzi in foggia di piccole saette, e subito con quegli punsi dieci picciongrossi nella parte più carnosa del petto, lasciando fitti, e nascosti nelle piaghe quei fuscelli avvelenati, ed i piccioni non camparono più di due, o di tre ore. Ma, perchè si poteva dubitare se fossero morti per cagione della semplice piaga innasprita dalle continue punture di quegli stecchi, perciò a quattr’altri picciongrossi feci lo stesso giuoco, ma con fuscelli non inzuppati di quel mortifero liquore, e questi ultimi quattro non morirono mai, ancorchè le ferite inciprignissero, e facessero marcia.

Presi otto capi di Vipere troncati sei ore prima, e finiti interamente di morire, e con essi feci morder più volte otto piccioni terraiuoli nella coscia, e non ne campò ne pur’ uno.

Feci tagliar’ il capo a quindici Vipere, e riposi que’ capi in un vaso di vetro ben coperti, e ammassati insieme, acciocchè si mantenessero umidi, e non si seccassero; Dopo quattro giorni ferij con essi capi cinque galletti, e cinque picciongrossi nelle cosce, [p. 13 modifica]e tutti in brev’ora morirono: E lo stesso seguì con altre teste di Vipere, che ammazzate di sei giorni doveano ragionevolmente aver deposta ogni collera, e stizza, ed ogni pensiero di vendetta. E per tor via affatto ogni opposizione, che intorno a ciò si potesse fare non mancherò di riferire alle Signorie Vostre, che verso ’l principio d’Agosto, essendo morte spontaneamente di lor proprio male, o di stento due Vipere, che sole mi eran rimase in una scatola, con esse feci mordere due colombi torraiuoli, che anch’essi come i primi se ne morirono in poco meno di un’ora.

Dirò di più. Io aveva raccolto in un vaso di vetro tutto quanto il liquor velenoso cavato da’ capi di dugencinquanta Vipere, a fine di poterlo in diverse maniere, e con mio comodo esperimentare; ma impedito da molte occupazioni ne trascurai l’adempimento: Laonde quel liquore diventò prima simile ad una colla del color del Carabe, poscia, passati che furono trenta giorni, divenne rasciutto, frangibile, e facile a ridursi in polvere. Fatto che l’ebbi polverizzare, volli accertarmi, se quella polvere messa nelle ferite conservava la stessa potenza di avvelenare; ed in vero che morirono in brev’ora tutti quanti que’ molti galletti, e picciongrossi, e torraiuoli, dentro alle ferite de’ quali, messi qualche quantità di quella polvere.

Questo così fatto esperimento mi fa dubitare se il veleno di quelle frecce del Re di Macassar nell’Isola di [p. 14 modifica]Celebes, che volgarmente son dette frecce del Bantan nella Giava maggiore, sia un veleno cavato dalla bocca delle Vipere, o di altri serpenti di razza non dissimile alle Vipere, e forse ancora di natura più maligna per cagion del Clima. Non sarei lontano dal crederlo, e potrebbe confermarlo l’aver letto in Plinio, che gli Sciti avvelenavano le loro saette col veleno viperino. Scythæ sagittas tingunt viperina sanie, & humano sanguine: irremidiabile id scelus, mortem illico affert levi tactu, e Plinio lo copiò forse da Aristotile, che nel libro intitolato περὶ θαυμασίων ὰκουσμάτων ne scrisse, press’a poco una manipolazione, la quale non ardirei d’affermare, che fosse la vera, o che vi fossero necessarie tante condizioni, e cautele. E chi sa che ancor le saette d’Ercole, delle quali favoleggiasi essere state macchiate col sangue dell’Idra, non fossero intinte in questa stessa peste delle Vipere? Lo credè Diodoro Siculo allora che scrisse τῆς ἀκίδος τὴν ἐκ τῆς ἐχίδνης ἰὸν ἀνειληφυίας. Ed Ovidio nel nono delle trasformazioni diede all’Idra il nome di Vipera.

Pars quota Lernae serpens eris unus Echidnæ,

e appresso.

— — — — — capit inscius Heros
Induiturque humeris lernae virus Echidnæ

Al che si aggiunga, che Filottete erede dell’arco, e delle saette d’Ercole, mentre andava col Navilio de’ Greci alla guerra Τroiana, si ferì disavvedutamente [come racconta Servio gramatico sopra ’l terzo [p. 15 modifica]dell’Eneide) con una di quelle saette in un piede; onde per l’acerbità della doglia, e pel fetore incomportabile della piaga, fu abbandonato in terra da’ Greci nell’Isola di Stalimene; Quindi è che Sofocle, alludendo forse alla sorta del veleno, con maniera, e con frase poetica ebbe a dire, che Filottete fu lasciato in quell’Isola per essere stato ferito da una Vipera.

Ὦ τέκνον, ὦ παῖ πατρὸς οὗ ᾽ξ ἀχιλλέως
Ὁ δ᾽εἰμ᾽ ἐγώ σοι κεῖνος, ὃν κλύεις ἴσως
Τῶν ἡρακλείων ὄντα δεσπότην ὅπλων,
Ὁ τοῦ ποίαντος παῖς φιλοκτήτης, ὃν οἱ
Δισσοὶ στρατηγοὶ χῲ κεφαλλήνων ἄναξ
Εῤῥιψαν αἰσχρῶς ᾧδ΄ἔρημον, ἀγρίᾳ
Νόσῳ καταφθίνοντα, τῆς δ΄ἀνδροφθόρου
Πληγέντ᾽ ἐχίδνης ἀγρίῳ χαράγματι,

e appresso

— θᾶσσον ἂν τῆς πλεῖστον ἐχθίστης ἐμοὶ
κλύοιμ’ ἐχίδνης, ἥ μ’ ἔθηκεν ᾧδ’ ἄπουν.

Cicerone stesso nel secondo libro delle Tusculane, e nel libro del Fato, e molti altri Scrittori parimente seguitarono a dire, che Filottete fu morso dalla Vipera, e tutti insieme per avventura ebbero l’occhio non solo a questo luogo di Sofocle, ma ancora a quello, che prima disse Omero nel Sedicesimo dell’Iliade.

E sebbene contro quella lieve stiracchiata, e frivola conghiettura mi si potrebbe rammentare, che il veleno viperino è una piacevolezza in paragone [p. 16 modifica]di quello, che delle saette d’Ercole viene scritto ne’ libri de’ Poeti, ne’ quali si legge, che non solamente elle aveano possanza d’uccidere irreparabilmente con ogni piaga, o piccola, o grande che si fosse, come avvenne al centauro Chirone, ed a Nesso; ma che il sangue di quelle piaghe stesse diventava così pestifero, che toccando qual si sia corpo vivente, l’avvelenava con violenza cotanto spaventevole, che le carni se gli disfacevano addosso; E lo provò Ercole a suo mal grado con quella camicia tinta nel sangue di Nesso; onde il soprammentovato Ovidio.

Victa malis postquam est patientia, reppulit aras
Implevitque suis nemorosam vocibus Oeten
Nec mora letiferam conatur scindere vestem,
Qua trahitur, trahit illa cutem (fœdumque relatu)
Aut hæret membris frustra tentata revelli.
Aut laceros artus, & grandia detegit ossa.

Questa è una favola poetica, e su questa favola, credo, che sia fondato quello, che vien riferito delle frecce di Macassar, delle quali si racconta, che ammazzino un’uomo in quello stesso momento, nel quale egli n’abbia ricevuta qualsivoglia leggierissima piaguzza, e che parimente in una sola mezz’ora riducano le carni del morto così trite, frolle, e corrotte, che elle si stacchino dall’ossa, e caschino a pezzi, spirando un vapore così pestilenzioso, che se arrivi a toccare una ferita semplice, e non avvelenata, l’avveleni mortalmente, e senza riparo. Posso dire alle Signorie Vostre, che avendo io fatte molte esperienze [p. 17 modifica] con quelle frecce indiane, non l’ho trovate in Toscana di natura tanto perfida, e tanto violenta, come vien detto. I cani, che con esse ho feriti, altri sono spirati in sei ore, altri in sette, altri in dodici, ed altri in ventiquattro; e le loro carni non si son putrefatte, ne son cascate a pezzi; ne il lor sangue, ne il lor vapore ha cagionata mai la morte ad altri animali impiagati: Anzi ho osservato soventemente, che, a voler che quelle frecce ammazzino, non basta, che facciano un semplice taglio nella carne; ma fa di mestiere, che rimangano per qualche tempo fitte, e nascoste nella ferita (il che avviene ancora alla polvere del liquor giallo delle Vipere) e perciò quei Barbari fabbricano di legno le punte delle loro frecce, le impiastrano di veleno, e poscia le congegnano sull’asta in modo tale, che avendo ferito, rimangano esse punte nella piaga, ogni qual volta, o si rompa l’asta, o se ne voglia trar fuori dalla mano di chi che sia, come addivenne sotto Gerusalemme a Goffredo, ed a Ruberto Sign. di Fiandra, di cui il grandissimo Epico Toscano.


Sospingeva il monton, quando è percosso
Al Sig. de’ Fiamminghi il lato manco,
Si che travia s’allenta, e vuol poi trarne
Lo strale, e resta il ferro entro la carne.


È necessario dunque, che rimangano quelle frecce per qualche tempo dentro alla carne, a voler ch’elle ammazzino; onde non so come il volgo vada sognandosi di poter avvelenar le lame delle spade. So bene [p. 18 modifica]che col liquor giallo delle Vipere, e con altre cose, che son credute velenose, ho talvolta leggiermente imbrattato le lancette da cavar sangue, e con esse ho punta, e tagliata la vena di qualche animale, e non n’è mai succeduta la morte. Si guardino gli uomini, che vivono in sospetto, dalle taste, e dagli stuelli de’ Chirurghi, perchè dalle lancette, e da’ ferri loro avvelenati è cosa troppo difficile, che sia cagionata la morte.

Quindi tengo forse per favola, ancorchè il caso sia diverso, che la vecchia Parisatide Regina de’ Persiani potesse, come lo scrivono, far’avvelenar la sua Nuora dal Trinciante, o dallo Scalco, il quale da una sola banda avea avvelenato il coltello, e con esso avendo trinciato un’uccelletto, diede a mangiare alla giovane Regina quella parte di esso uccello, che era stata toccata dalla banda del coltello avvelenato, e con l’altra parte il buon’uomo ne fece la salva. De’ veleni, che col solo, e momentaneo toccamento, con la vicinanza privino di vita, io non ne ho mai veduti, quantunque si racconti, che alle volte sieno state avvelenate, con effetti mortiferi, le staffe, le selle de’ cavalli, e le seggiole da sedere. Lo lascio credere a chi lo vuole, che quanto a me non me ne sento; E se un moderno Autore racconta per vero il seguente prodigioso avvenimento di certi serpenti, che nascono ne’ paesi Orientali, ne lascio appresso di lui la verità della fede; Gia che, dice egli, ho fatta menzione de’ serpenti, giudico bene raccontar qui uno [p. 19 modifica]de’ loro più prodigiosi effetti. Se per sorte accade, che questi serpenti passino sopra i panni, o sopra le camice, quando si asciugano al Sole, suol nascere nelle reni di coloro, che si servono di quei panni, certi serpenti, che crescendo a poco a poco, cingono tutto il corpo, e quando la coda arriva ad unirsi con la testa, la morte è allora inevitabile; onde per isfuggirla gli vanno mortificando con rasoi, e con lancette, acciocchè non crescano.

Mentovai di sopra tre personaggi, che furono feriti dalle saette d’Ercole, cioè Nesso, Chitone, e Filottete. I primi due morirono quasi subito, ed il terzo, dopo lunga malattia, scampò dalla morte: Se dovessi apportar la cagione di questa differenza, o storica, o favolosa che sia, direi, che Nesso, e Chirone morirono, perchè furono impiagati, nel tempo che Ercole vivea, con gli strali da lui avvelenati di fresco, oltrechè Nesso fu passato fuor fuora per lo petto, come disse Ovidio.

Iamque tenens ripam missos cum tolleret arcus,
Coniugis agnovit vocem, Nessoque paranti
Fallere depositam, quo te fiducia, clamat,
Vana pedum violente rapit? tibi Nesse biformis
Dicimus, exaudi, nec res intercipe nostras,
Si te nulla mei reverentia movit; at orbes,
Concubitus veritas poterant inbibere, paterni
Haud tamen effugies quamvis ope fidis equina:
Vulnere non pedibus te consequar, ultima dicta
Re probat, et missa fugientia terga sagitta
Trajicit, extabat ferrum de pectore aduncum.

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Quod simul evulsum est, sanguis per vtrumque foramen
Emicuit, mistus lernæi tabe veneni.

Ma Filottete fu ferito molto tempo dopo la morte d’Ercole: onde è credibile, che quelle saette avessero perduta grandissima parte della loro velenosità in quella guisa appunto, che la perde, la polvere del liquor giallo viperino; e la perde ancora, invecchiando, quella delle frecce di Macassar; le quali quantunque avvelenino, ed ammazzino, quando altri è ferito con esse, contuttociò non portano mai pregiudicio veruno, se il lor tossico sia inghiottito, e mandato nello stomaco; e n’ho provata l’esperienza in due cani a’ quali diedi a mangiare due pezzi di carne impolverata con la raschiatura di quelle frecce; e l’ho provata eziamdio in molti galletti, a’ quali feci bere acqua, dove lungo tempo erano state infuse, e ben ben rinvenute, lavate, e ripulite quelle medesime frecce.

Tralascio questa lunga digressione, e torno al mio filo principale. Dalle soprariferite esperienze provate, e riprovate molte, e molt’altre volte, potranno le Signorie Vostre facilmente riconoscere, che il veleno delle Vipere Italiane non consiste in un’Idea immaginaria di collera indrizzata alla vendetta; ma ben si in quel liquor giallo, che cova nelle guaine de’ denti maggiori, o maestri; il qual liquore, se dalle guaine si spande accidentalmente per la bocca, e pel palato della Vipera, può render velenosa quella saliva, che imbratta le fauci di [p. 21 modifica]essa Vipera. Il perchè stimerei profittevole, che i dottissimi Autori del libro delle novelle esperienze Franzesi facessero nuove osservazioni. E se le trovassero conformi a quelle, che anno stampate, e veramente contrarie alle mie; allora potremmo dire concordemente di aver rinvenuta una verità stata infino ad ora occulta, cioè, che il veleno delle Vipere Franzesi consista in un’idea immaginaria di collera diretta alla vendetta, e quello delle Vipere d’Italia abbia il suo seggio in quel liquor giallo da me tante volte mentovato. Ma se pel contrario l’esperienze fatte in Francia non continuassero a verificarsi; allora si potrebbe affermare, che tanto le Vipere Franzesi, quanto le Italiane sono della stessa natura, e che anno lo stesso veleno conforme infin l'anno 1632. lo affermò francamente un’Autore Franzese chiamato Luigi della Grive nel suo Antiparallelo delle Vipere Romane, e dell'erbe Candiotte stampato in Lione; e conforme eziamdio sembra che per avventura lo credesse il celebre Poeta Franzese Ronsardo, nella sua Odelette a Ian Nicot de Nimes, la quale Odelette è una Traduzione di quella Ode di Anacreonte, che comincia Φύσις κέρατα ταύροις.

La nature à donnè descornes aus Toreaus,
  Et la crampe du piè pour armes aus chevaus,
  Aus poissons le nouer, et aus aigles l'adresse
  De bien voler par l'aer, aus lievres la vitesse
  Aus serpents le venin, qui recellent dedens
  Les peaus de leur gencive.

[p. 22 modifica]Or se veramente in Italia il veleno viperino consiste in quel liquor giallo, non sarà menzogna l’affermare, che se la Vipera, mordendo, avesse consumato tutto quello, che stagna nelle guaine de’ denti, e tutto quello eziamdio, che dalle parti circonvicine potesse essere somministrato, non sarebbe, dico, menzogna l’affermare, che l’altre susseguenti morsure non sarebbono mortali; ed io l’affermai molt’anni sono, e di nuovo costantemente lo confermo, ancorchè sia negato da i sopraccitati Autori, i quali vogliono nel loro Libro delle Novelle Esperienze, che una Vipera sola irritata, ed incollorita sia valevole, a poter uccidere quanti, e quanti animali ella fosse mai per mordere, fondandosi in una esperienza mediante la quale con una sola Vipera fecero mordere, e morire cinque piccioni: Nous esperons que parmy (a carte 122.) plusieurs experiences, celles des cinq pigeons mordus l’un apres l’autre, par une mesme Vipere irritee toutes les fois, et dont le dernier mordu mourut le premier, lors que la Vipere estoit plus irritee, et qu’elle estoit plus epuisee de son suc jaune ec.

Io credo la verità del fatto, ma per confermarlo, avrei voluto, che quei Signori avessero continuato a far mordere molti altri piccioni, e molti altri animali diversi, e di diverse grandezze con la stessa Vipera, che avea morti quei cinque colombi, per vedere se veramente quel collerico, e stizzoso veleno era dotato d’infinita possanza, come ho cercato di far io per chiarirmene: Imperocchè sul principio di Maggio [p. 23 modifica] scelsi una Vipera femmina delle più grosse, e rigogliose, e le feci mordere nella coscia destra a un per uno dieci pollastri, de’ quali, il primo, il secondo, ed il terzo morirono quasi subito: il quarto parve solamente che stesse di malavoglia: ed il quinto, e gli altri tutti non solamente non morirono, ma non ebbero male alcuno: E pure ogni volta, che la Vipera mordeva, se le dava grandissima occasione d’incollorirsi a suo dispetto, e d’infuriarsi.

Nel Mese di Giugno replicai l’esperienza con cinque anitre domestiche fatte mordere da una sola Vipera; dalla quale feci mordere, immediatamente dopo, tre piccioni torraiuoli: La prima anitra ferita morì in tre ore, la seconda in cinque; ma l’altre non morirono. Egli è ben vero, che morì il primo piccion torraiuolo, ma non già gli altri due ultimi. Di dodici picciongrossi una volta ne morirono solamente quattro; ma il giorno seguente di dodici altri ne morirono fino in sei. Di cinque conigli ne rimasero morti tre; e di tre agnelli i due ultimi la scamparono, essendo morto il primo dieci ore dopo, che fu morso.

Sarei troppo noioso alle Signorie Vostre se tutte quante l’altre simili prove raccontar volessi; onde farò passaggio a rammentare, che avendo io scritto nelle mie Osservazioni, che quel liquor giallo non era mandato alle guaine de’ denti dalla vescica del fiele, messi allora in considerazione, se per avventura poteva sgorgarvi per alcuni condotti salivali, [p. 24 modifica]che mettessero capo in quelle; il che tanto più pareva credibile, quanto che in tutte le Vipere sotto il fondo di quelle guaine io aveva trovato sempre due glandule, le quali da veruno, ch’io sapessi, non erano state osservate, o descritte. Sovra di che gli Autori delle novelle esperienze affermano, che tali glandule da me nominate eglino non l’anno mai potute vedere; ma che in lor vece ne anno trovate due altre, le quali appellano salivali, e scrivono di esse in così fatti sensi a carte 29. I’ay cru d’abord, a l’imitation de Monsieur Redi, qu’il y pouvoit avoir en la Vipere des vaisseaux salivaires, comme on en a trouve depuis quelque temps en l’homme, et en plusieurs animaux: de sorte qu’ apres plusieurs recherches, faites avec affez d’attachement, et de patience, dans plusieurs testes de Viperes; I’ay enfin descouvert des glandes, propres a former, et a envoyer ce suc aux gencives: Et apres en estre bien persuadè, je les ay montrees a quelques-uns de ces savans Medecins, qui s’estoient assemblez chez moy l’annee derniere. Ces Messieurs ont voulu s’en esclaircir eux-mesmes, et apres avoir bien examinè les parties que je leur montrois, ils les ont non seulement trouvees veritables, mais ils, y ont encore veu de petits vaisseaux en plus grand nombre qu’ils ne m’avoient paru, dont les uns, qui sont des arteres, et des veines passent au dessus des glandes, et les autres, qui sont des vaisseaux limphatiques coulent au dessous. De sorte qu ils ont jugè, que je pouvois hardiment poser pour certaines, et descrire ces glandes, que je nomme salivaires, et qu’ils ont reconnues avec moy; [p. 25 modifica]bien que Monsieur Redi n’eut osè en parler affirmativement, parce que il ne les avoit pas descourvertes, et qu’elles n’ayent estè descrites par aucun Autheur de leur connoissance, ny de la mienne.

E a carte 32. Quant aux petites glandes que Monsieur Redi a remarquees au fond des vesicules qui contiennent ce suc, je puis dire que je les ay cherchees avec une grande exactitude, et que j’y ay bien trouve des apparences de glandes, mais que les ayant ouvertes, je n’y ay veu que de petites dents, qui y estoient ensermees, et qui sont du nombre de celles que j’ay nommees dents d’attente, sans y avoir rien remarquè de glanduleux, ny qui approchat de la forme, de la substance, ny des qualitez des glandes, que je vien de descrire et c.

Io non mi maraviglio ne poco, ne punto, che questi Scrittori non abbiano scoperte le glandule da me nominate, quando ne sono andati in traccia dentro le guaine de’ denti, e nel loro fondo; imperocchè non è stato mai da me pronunziato, che elle si ritrovino colà dentro: Ho ben detto ch’elle son situate sotto il fondo di quelle guaine, ed in buona lingua Toscana altro vale nel fondo, altro sotto ’l fondo. E perciò quando le anno cercate colà dove ho detto, ch’elle si trovano, le anno facilmente scoperte, e son quelle stesse, che descrivono, ne altre glandule di considerazione si scorgono ne’ capi delle Vipere. Ne io poteva mai scrivere che fossero collocate nel fondo delle guaine, se mi era immaginato, che il liquor giallo sgorgasse in esse guaine dopo aver corso [p. 26 modifica]per i condotti salivali, che pur m’immaginava potessero aver’ origine, o connessione con quelle due glandule da me vedute, le quali perciò bisognava, che necessariamente fossero in sito un poco lontanetto dalle guaine, e non nel fondo di esse: Se poi queste glandule abbiano questo ufizio, e quest’uso, non è ora di mia intenzione il farne motto. Sia però com’esser si voglia; è cosa troppo lieve per favellarne più oltre. E confesso alle Signorie Vostre, che le pericolose esperienze intorno alle Vipere mi son venute in tanto fastidio, ed in tanta abbominazione, che ho fermamente deliberato di non voler mai più impacciarmene; se però non me ne movesse tentazione un desiderio nuovamente natomi nell’animo di voler conoscere per mezzo delle prove, se il sale volatile viperino, con manifattura chimica preparato, e condotto, abbia quella sicura, ed infallibile possanza di sanar le morsure della Vipera, come affermano cotesti Scrittori: Conciossiecosachè io son d’un genio così fatto, che se prima non ho esperimento chiaro delle cose, non soglio porvi molta speranza; ancorchè non le dispregi mai temerariamente per false: Anzi, perchè desidererei, che fossero vere, però mi metto a tentarne l’esperienza, ne ad una sola, o a poche altre più m’acqueto, ma voglio vederne molte, e molte, e sempre temo di me medesimo, e sempre dubito s’io possa essermi ingannato, come sovente m’è succeduto, quando d’una sola, e precipitosamente fatta esperienza mi son voluto fidare [p. 27 modifica]. E vaglia il vero, che nel Mese di Luglio poco mancò, ch’io stesso non m’ingannassi da per me nel cimento d’un’esperienza, la quale ora son per raccontare alle Signorie Vostre, e terminar poscia il tedio, che loro porto con questa mia lettera.

Avendo letto nel libro delle novelle Esperienze, che la testa d’una Vipera mangiata da un’animale ferito da un’altra Vipera, lo guarisce certamente, e gli salva la vita; parendomi una cosa utile, bella, e maravigliosa, ebbi bramosia di farne la prova per poterla affermare con sicurezza, non ostante, che cotesti Valentuomini ne avessero fatte le seguenti due esperienze. Nous voulusmes a carte 105. en mesme temps verifier si la Vipere estant mangèe par un animal qu’elle auroit mordu auparavane, il seroit guery de cette morsure; nous fismes griller legerement une teste de Vipere, qui estoit accompagnee d’environ un travers de doigt de col, nouvelment separez du corps, et nous fismes mordre par trois fois un chien a l’oreille par une Vipere bien irritee, en sorte que le sang sortoit de toutes les trois morsures: nous luy jettasmes d’abord la teste, et le col, qui venoient d’estre grillez, et qui estoient encore chauds: le chien qui estoit affamè, et qui n’avoit pu si tost sentir les effets des trois morsures, saisit incontinent la teste, la fit craquer entre ses dents, et l’avala: apres quoy, nous attendismes bien long— temps, pour savoir si les trois morsures l’emporteroient sur la teste, et sur le col qu’il avoit mangez; mais le chien en sut quitte pour quelque lividitè, et pour une [p. 28 modifica]petite enflure qu’il eut a l’endroit des morsures, mais qui disparurent peu a peu dans trois, ou quatre jours.

Nous fismes encore mordre par trois fois un autre chien au mesme endroit, et sans avoir fait griller la teste de la mesme Vipere, qui l’avoit mordu, nous la luy jettasmes, esperant qu’il la mangeroit, parce qu’il y avoit plusieurs heures, qu’il n’avoit mangè; mais le chien en eut aversion, et n’y voulut point toucher: Sur cela nous nous avisasmes d’ecraser la teste dans un mortier, et de la luy faire avaler par force, comme nous fismes, et de luy bien frotter les morsures avec du sang de la mesme Vipere; apres quoy nous en attendismes le succez, qui fut que cette teste crue, et ecrasee, aydee si on veut du sang de la Vipere, appliquè sur la morsure avoit produit les mesmes effets que la precedente, qui avoit estè legerement grillet, puisque le chien en fut quitte pour les mesmes incommoditez, que le precedent, et qu’apres cela il se trouva tout aussi sain, que s’il n’eut jamais estè mordu.

Si ces deux experiences eussent estè faites avant que le Gentil-homme estranger eut estè murdu de la Vipere, nous eussions estè beaucoup moins en peine de son salut. et c.

E poco prima aveano scritto; Nous avons esprouvè qu’ayant fait mordre a l’endroit le plus espais de l’oreille par vne Vipere bien irrittee, un jeune chat fort maigre, qui venoit de manger les oeufs, la matrice, et tous les intestins d’une Vipere, la morsure n’eut presque point, d’offet, et il ne parut qu’une fort petite enflure, et une fort petite lividitè a la partie, ou il avoit este mordù.

E a carte 138. C’est une chose tres-asseuree, que la [p. 29 modifica]teste de la Vipere, grillee, et avallee, guerit sa morsure; une partie du corps, le coeur, et le foye peuvent faire la mesme chose: la raison, et l’experience nous l’ont confirmè, c’est pourquoy dans une occasion pressante, on s’en peut tres-utilement servir.

E a carte 140. Nous croyons seulement, que le foye avallè, est capable de guerir la morsure de la Vipere; de mesme que le coeur, la chair, et les autres parties, dont nous ayons parlè, et qu’il peut beaucoup faciliter l’accouchement des femmes, de mesme que le foye des Anguilles.

Mi misi dunque all’opera ad imitazione di cotesti Signori, e avendo dato a mangiare una testa di Vipera mezza cotta ad un cagnaccio da pagliaio, lo feci immantinente ferire da un’altra Vipera nell’orecchia destra, ma il cane non morì, ne mi parve che avesse altro male, che lo stare sdrajato, grullo, e malinconico per lo spazio di quattr’, o cinqu’ore; Replicai perappunto la stessa sperienza in un’altro cane, il quale dopo aver inghiottito per forza un capo di Vipera crudo, e acciaccato nel mortaio, non diede contrassegno di gran Veleno, ed ebbene pochissimo, e quasi verun disagio; Laonde io stava già per noverare questa esperienza tra le cose provate, e riuscite vere, quando natomi un dubbio mi necessitò a far mordere nelle orecchie due altri cagnacci, i quali ancorchè non avessero mangiato il contravveleno del capo viperino, contuttociò non vollero morire. Il perchè augumentandomisi il sospetto, messo, che ebbi un capo di vipera crudo, [p. 30 modifica]e leggiermente infranto, nel gozzo d’un galletto, gli feci azzannar la coscia sinistra da una Vipera, e subito stramazzò in terra, e morì in poco più d’un ottavo d’ora: Quindi, crescendo maggiormente il sospetto, sulle dieci ore della mattina, feci mangiare ad un cappone due teste di Vipera pur crude, e poscia sulle dodici proccurai, che ne inghiottisse due altre, e senza metter tempo in mezzo lo feci mordere una sol volta nella coscia da una Vipera, ed il cappone se ne morì prestissimo, senz’aver trovato rimedio di guarire nell’alessifarmaco di quelle quattro teste. Il giorno seguente preparai a due cagnuoli un saporito manicaretto di capi di Vipere leggiermente lessati, ma non lo vollero mangiare, e fu di mestiere farlo inghiottir loro per forza; poco dopo il cane più piccolo fu morso nella coscia vicino all’anguinaglia, ed il maggiore nella lingua, e tutti a due si morirono. Si morirono nella stessa maniera otto pollastri, due gatti giovani, due leprottini, e sei colombi torraiuoli feriti anch’essi, dalle Vipere, e medicati non solamente con le loro teste, e crude, e cotte, ma bagnati nel luogo delle ferite col sangue viperino. E mi sovviene, che que’ sei colombi torraiuoli non gli feci mordere dalle Vipere vive, ma dalle teste delle Vipere morte e morte due giorni avanti. In oltre durai tre giorni continui ad imbeccare due colombi simili con carne viperina, ne altro lor diedi a bere, che la bollitura di esse carni, e pure non poterono campar la morte quando furono [p. 31 modifica]da una Vipera feriti. Quindi è che mi conviene essere inclinato a credere, che in Toscana le carni viperine non portino aiuto, ne medicinal provvedimento, per lo meno apparente, a quegli animali, che dalle Vipere sono stati morsi. Me ne rimetto però alla dottrina, esperienza, ed autorità di cotesti nobilissimi ingegni, a’ quali sommetto volentierissimo questo, ed ogni altro mio pensiero, e co’ quali non vorrò mai essere in controversia. Imperocchè temerei, che m’intervenisse quello, che soleva dir di Catone, Marco Tullio, cioè, che non gli dava men fastidio il rispondere all’autorità di Catone, che a’ suoi fortissimi argomenti. Del resto io prego caldamente le Signorie Vostre, che non guardino alla rozzezza di questa mia lettera, dalla quale conosceranno, che ho scritto più occupato, che ozioso; ma solamente pongan mente alla purità del vero, che senza passione alcuna ho preteso di raccontare.


I L    F I N E.