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16 | lettera |
di quello, che delle saette d’Ercole viene scritto ne’ libri de’ Poeti, ne’ quali si legge, che non solamente elle aveano possanza d’uccidere irreparabilmente con ogni piaga, o piccola, o grande che si fosse, come avvenne al centauro Chirone, ed a Nesso; ma che il sangue di quelle piaghe stesse diventava così pestifero, che toccando qual si sia corpo vivente, l’avvelenava con violenza cotanto spaventevole, che le carni se gli disfacevano addosso; E lo provò Ercole a suo mal grado con quella camicia tinta nel sangue di Nesso; onde il soprammentovato Ovidio.
Victa malis postquam est patientia, reppulit aras
Implevitque suis nemorosam vocibus Oeten
Nec mora letiferam conatur scindere vestem,
Qua trahitur, trahit illa cutem (fœdumque relatu)
Aut hæret membris frustra tentata revelli.
Aut laceros artus, & grandia detegit ossa.
Questa è una favola poetica, e su questa favola, credo, che sia fondato quello, che vien riferito delle frecce di Macassar, delle quali si racconta, che ammazzino un’uomo in quello stesso momento, nel quale egli n’abbia ricevuta qualsivoglia leggierissima piaguzza, e che parimente in una sola mezz’ora riducano le carni del morto così trite, frolle, e corrotte, che elle si stacchino dall’ossa, e caschino a pezzi, spirando un vapore così pestilenzioso, che se arrivi a toccare una ferita semplice, e non avvelenata, l’avveleni mortalmente, e senza riparo. Posso dire alle Signorie Vostre, che avendo io fatte molte espe-