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20 | lettera |
Quod simul evulsum est, sanguis per vtrumque foramen
Emicuit, mistus lernæi tabe veneni.
Ma Filottete fu ferito molto tempo dopo la morte d’Ercole: onde è credibile, che quelle saette avessero perduta grandissima parte della loro velenosità in quella guisa appunto, che la perde, la polvere del liquor giallo viperino; e la perde ancora, invecchiando, quella delle frecce di Macassar; le quali quantunque avvelenino, ed ammazzino, quando altri è ferito con esse, contuttociò non portano mai pregiudicio veruno, se il lor tossico sia inghiottito, e mandato nello stomaco; e n’ho provata l’esperienza in due cani a’ quali diedi a mangiare due pezzi di carne impolverata con la raschiatura di quelle frecce; e l’ho provata eziamdio in molti galletti, a’ quali feci bere acqua, dove lungo tempo erano state infuse, e ben ben rinvenute, lavate, e ripulite quelle medesime frecce.
Tralascio questa lunga digressione, e torno al mio filo principale. Dalle soprariferite esperienze provate, e riprovate molte, e molt’altre volte, potranno le Signorie Vostre facilmente riconoscere, che il veleno delle Vipere Italiane non consiste in un’Idea immaginaria di collera indrizzata alla vendetta; ma ben si in quel liquor giallo, che cova nelle guaine de’ denti maggiori, o maestri; il qual liquore, se dalle guaine si spande accidentalmente per la bocca, e pel palato della Vipera, può render velenosa quella saliva, che imbratta le fauci di