Sessanta novelle popolari montalesi/XLIX

XLIX. La Manetta di morte

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NOVELLA XLIX


La Manetta di morto (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


In una casetta vicino a un bosco ci abitava un omo attempato, che aveva moglie e tre figliole grandi da marito, e per quanto si sa, queste tre ragazze si chiamavano per nome Assunta, Tieresina e Caterina l'ultima; l'omo campellava alla meglio, e ugni volta che gli abbisognava di fare del foco andeva a provvedersi di legna secche nel bosco. Un giorno dunque che lui col su' corbello raunava de' ceppi, deccoti gli vien sopra all'improvviso il padrone, che era un cosaccio com'un Mago e 'nsenza garbo né grazia, e co' una vociaccia terribile gli sbergola: - Oh! birbone, te mi sperperi il mio: te mi sciupini tutto il salvatico. I' sare' capace d'ammazzarti. Dice quel poer'omo impaurito: - Ma, signore, i' ci son sempre vienuto giù di qui e de' malestri nun ce n'ho ma' fatti. I' piglio du' legna secche per riscaldare la mi' moglie e le mi' tre figliole che hanno freddo. - Ah! te ha' tre figliole? - scrama quel mastangone: - E le saranno belle, mi ficuro. Dice l'omo: - Guà! brutte le nun sono. - Bene! - arrisponde il cosaccio. - I' ti perdonerò, e anzi ti lasso libbero di tagliare in nel mi' bosco, ma con patto che te mi dia una delle tu' figliole per mi' moglie. I' son brutto, lo so da mene: da mangiare tavìa e da starsene da signore in casa mia nun me ne manca. Dunque per la tu' figliola, se ha del mitidio, a vienire con meco sarà una sorte macicana. Dice l'omo: - Se loro nun s'appongano, i' nun ci arei accezione. 'Gnamo a casa, si sentirà. Sicché dunque vanno assieme alla casetta dell'omo, che racconta quel che gli è successo e spone la domanda del su' compagno. [ [p. 407 modifica]407] Dapprima le ragazze si trovorno 'mbrogliate nella risposta; gli pareva troppo mostro e sgarbato uno sposo simile: ma a' tempi di carestia e' ci s'accontenta anco del pan di segala, e sentuto che sarebban ite a star bene, doppo essersi consigliate 'n segreto tra di loro, la maggiore, che era l'Assunta, delibberò d'acconsentire, e 'nsomma, dientro la settimana diviense moglie di Tognarone. E' si chiamava accosì quell'omaccio. A male brighe che l'Assunta si trovò 'n casa di Tognarone, lui gli diede assoluta padronanza, con che s'accupassi di tutte le faccende, gli ammannisse da desinare, e tienessi ugni cosa in ordine. Dice: - I' ho per costume di star fora alle volte 'nsino a otto giorni per i mi' 'nteressi. Dunque te abbada al quartieri e serviti di quel che ti garba; te sie' la padrona. Ma però c'è' un comando, e che te m'ubbidisca. In nella dispensa c'è una Manetta di morto, e i' voglio che te la mangi. - Oh! porco, - scrama l'Assunta, - mangiatevela per voi codesta pietanza: a me nun mi nentra 'n bocca. Dice Tognarone: - Eh! se quando i' torno te nun l'ha' mangiata la Manetta di morto, le sono legnate da comunione e po' ti serro per sempre dientro una stanza. A bon intenditor poche parole. E va via. L'Assunta, rimasta sola, era sgomenta; nun sapeva come rimediarla. Lei di trangugiarsi la Manetta di morto nun se la sentiva, e in ugni mo' la paura delle legnate e della prigione la tieneva in gran pensieri. Che fa? Piglia la Manetta, la stritola ben bene nel mortaio e poi la seppellisce in un canto dell'orto, e quando Tognarone riviense a casa gli diede a intendere che se l'era cotta per desinare. Dice Tognarone: - Ma 'gli è propio vero? Te nun le di' le bugie? - No di certo, - arrispose l'Assunta: - che l'ate più trova la Manetta di morto, dientro la dispensa? È segno ch'i' v'ho ubbidito e l'ho mangiata. Dice Tognarone: - Or ora si vederà; - e si mette a girare dappertutto, e 'n quel mentre chiamava: - Manetta, mi' Manetta, addove sie' tu? Manetta, mi' Manetta, addove sie' tu? E quando 'gli arrivò giù nell'orto sente una voce di sotto terra: - Deccomi, padrone. 'Gli era la Manetta tutta d'un pezzo siccome avanti. Tognarone nun fece tanti dicorsi; agguanta un randello e 'nsenza misericordia la picchiò a refe nero l'Assunta, e poi mezzo ammazzata la prendette pe' [408] ca [p. 408 modifica]pelli e strasciconi la portò in una stanzaccia buia e ce la chiuse a catenaccio. Il giorno doppo, quasimente nun gli fusse successo nulla, Tognarone va dalle sorelle dell'Assunta. Appena quelle lo veddano: - Come sta l'Assunta? Dice Tognarone: - Bene bene! Lei gradirebbe la compagnia della mezzana per aitarla un po' e nun restar sola quand'i' vo fora. Che volete vienire, Tieresina? - Perché no? - arrispose la Tieresina, e ammannito un fagotto di panni se n'andiede con Tognarone. Domanda la Tieresina arriva che fu a casa: - Addov'è l'Assunta? Tognarone fa una mutria da assassini e a denti serrati dice: - L'Assunta i' l'ho gastigata per aermi disubbidito, e te nun essere ardita a ricercarne. I' t'ho preso 'n scambio di lei e che te abbi giudizio, se ti garba la vita iscerta. Qui nun ci manca nulla, e chi sta sottoposto pole stare sicuro che i' nun gli do noia. La Tieresina rimanette male a questo brutto discorso di Tognarone, ma oramai nun c'era da ritornare addietro e bisognò che ci stridessi; sicché non ripricò e si mettiede a fare le su' faccende. Doppo diversi giorni dice Tognarone: - I' ho per costume di star fora alle volte 'nsino a una settimana. Dunque te sie' padrona spotica e abbadami al quartieri. Ma però c'è un comando, e che te ubbidisca. Dientro alla dispensa e' c'è una Manetta di morto e i' 'ntendo che te la mangi. Scrama la Tieresina: - Oh! porco lezzone, 'gnorante sconsagrato, birbone venduto! M'ate condutto qui per una simile 'nfamità? Io per mene nun la mangio davvero codesta pietanza. - E se te nun la mangi, - disse Tognarone, - te finirai come quell'altra. Legnate a morte, e po' butta per sempre in una stanza. Dunque pensa a' casi tua, e alla rivista. E se n'andiede. La Tieresina, poera figliola, nun sapeva che versi si pigliare 'n tra lo schifo d'aversi a mettere dientro lo stombaco la Manetta di morto e la paura di buscarne 'nsenza misericordia. Pensa e ripensa, finalmente la spezzettò sul taglieri la Manetta, e doppo la seppellì sotto l'acquaio di cucina, e quando riviense Tognarone gli diede a intendere a faccia fresca che lei l'aveva ubbidito. Tognarone però, malizioso, dice: - Che sia propio vero? Già te le bugie nun le sa' dire. - Che! - arrispose la Tieresina: - e poi, che ce l'avete ritrova la Manetta nella [ [p. 409 modifica]409] dispensa? È segno che me la sono 'ngollata per contentarvi. - Ora si vederà, - dice Tognarone, e principia a girar per casa barbottando: - Manetta, mi' Manetta, addove sie' tu? Manetta, mi' Manetta, addove sie' tu? - e a male brighe che lui s'avvicinò all'acquaio, la Manetta subbito e' bocia: - Deccomi, padrone. Gli era lei tutta d'un pezzo come per l'avanti. Guà! e' finì al solito: con un randello Tognarone la macolò tanto la Tieresina, che lei parse morta distesa per le terre, e allora quel birbone la tracinò pe' capelli nella medesima stanza addov'era l'Assunta e ci mettiede 'l catenaccio. Daccapo il giorno doppo Tognarone con un viso ridente si presenta alla casa delle tre sorelle, e quando la Caterina lo vedde di lontano, subbito gli si fece 'ncontro a domandargli le nove dell'Assunta e della Tieresina. Dice Tognarone: - Eh! le stanno bene: ma ènno dimolto acciaccinate, perché vanno alla festa. Anzi loro gradirebbano la vostra compagnia per aitarle e poi per ispassarsi assieme. Se volete vienire, e' m'hanno mando a posta per pigliarvi. La Caterina, che era più furba, dimolto persuasa del discorso di Tognarone la nun fu; ma per nun gli dare sospetto di nulla arrispose: - A lassare i mi' vecchi soli mi rincresce; in ugni mo', se loro nun hanno accezione, i' son contenta dello 'nvito. Insomma si trovorno d'accordo, e la Caterina col fagotto de' su' panni andette via con Tognarone e nun si fermorno per insino a casa, e quando nentrati, disse la Caterina: - Addove sono le mi' sorelle? - Le tu' sorelle c'ènno e nun c'ènno, - arrisponde Tognarone con un grugnaccio malandrino. Scrama la Caterina: - Che vole dire un simile 'ndovinello! Dice Tognarone: - E' vole dire che loro si portorno tuttaddua dimolto male, con gran disubbidienza, e ch'i' l'ho legnate a morte e butte in una stanzaccia a sbasire. E la listessa sorte ti toccherà anco a te, se ti girassi operare di tu' capriccio. Alla Caterina gli mancò poco che num gli viensano le convulsioni a quella nova; ma si fece forza per nun si tradire, perché subbito pensò che era più meglio infingersi, e accosì forse avere un bel pan di ricatto; sicché la disse: - Avete fatto bene, Tognarone, a gastigarle le mi' sorelle; e vo' nun vi dubitate, che di me nun poterete lamentarvi. Comandate pure, ch'i' son pronta a ubbidirvi 'n tutto e per [410] tutto. [p. 410 modifica]Brava, la mi' Caterina! - sbergola Tognarone: - accosì mi garbi. Ora te ha' da sapere, ch'i' ho per costume di star fora magari otto giorni per i mi' 'nteressi: te siei padrona spotica, ma soggiornami 'l quartieri, e poi dientro la dispensa c'è una Manetta di morto, e i' vo' che te la mangi al tu' desinare. Dunque addio, e alla rivista. E se n'andiede al solito. 'Gli era istata 'n sull'undici unce la Caterina di saltargli addosso e sgraffiarlo Tognarone, quando lei sentette quel brutto comando; ma con l'idea di scoprire tutte le su' birbonate e fargliela pagar cara, non gli arrispose, e a male brighe che lui fu nuscito, lei pigliò la Manetta, la mettiede in una pentola a bollire, e lì foco 'nsenza discrizione giorno e notte, sicché la Manetta, bolli bolli, finì con distruggersi per l'affatto, che nun ce ne rimané nemmanco l'ombra; e po' la buttò nel logo il fondigliolo; e in nel mumento che Tognarone riviense a casa e' gli disse d'averlo ubbidito, quel mammalucco bisognò bene che lo credessi, perché gli fu inutile di girellare dappertutto e chiamare, come quell'altre volte: "Manetta, mi' Manetta, addove sie' tu?" nun gli arrispose nimo; la Manetta era strutta e svaporita. - Brava, brava, la mi' Caterina! - isbergolava Tognarone, che nun s'era avvisto della billèra. - Oh! a tene sì, che ti vo' bene! Tene sie' stata propio fedele e una bona ricompensa te la meriti. Decco qui: i' t'affido la chiave del mi' armadio segreto, e dientro c'ènno tesori d'ugni sorta, e anco l'unguento per rinsanichire le piaghe e far rinvivire i morti. Tienla custodita e quel che t'abbisogna servitene a tu' piacimento. Infrattanto i' ti lasso, perché i' ho dell'altre faccende da sbrigare. Addio, la mi' Caterina. Pòrtati sempre accosì, che nun te n'averai a pentirtene. Addio, sai? A male brighe rimasta sola la Caterina volse scoprire la stanza in dove Tognarone aveva serrato le su' sorelle maggiori; e cerca e ricerca, finalmente 'n fondo a un àndito buio vedde un uscio con un catenaccio, e accostato l'orecchio sentette dietro degli ugnolìi: "Ohi! ohi!" come di persone che pativano. Coraggiosa la Caterina tira 'l catenaccio e apre, e lì stese 'n sul solaio trova l'Assunta e la Tieresina tutt'ammaccate e sanguinenti, e che parevano quasimente all'ultimo fiato. Lei subbito le piglia a una per volta e se le porta a birigino 'n [ [p. 411 modifica]411] cambera sul letto, e poi con quell'unguento dell'armadio di Tognarone le medica, e doppo un po' le du' donne soccallano gli occhi e adagino adagino tornano 'n sé e si levano rinsanichite. Che allegrie in nel ricognoscersi! Nun si pole nemmanco raccontarle. Basta, si dissano tutti e' successi e finirno col fare una congiura contr'a Tognarone per ritornarsene a casa sua in ugni mo'. Doppo mangiorno a du' palmenti, che della fame ficuratevi se loro n'avevano, e la Caterina le niscose 'n segreto, perché Tognarone non le scoprissi, quando arritornava. Dice la Caterina: - Lassatemi 'l pensieri a me, che forse mi rinusce fargliela in sull'auzzatura a questo birbone venduto. Me l'ha da pagar cara. Deccoti che arriva doppo diversi giorni Tognarone e la Caterina premuriosa va a riscontrarlo, l'accompagna 'n casa e gli fa mille finezze; Tognarone nun capiva più 'n sé dal gran contento, e 'nsenza accorgersene, dalla tanta fede per la Caterina, lui finì che quasimente lei lo menava per il naso; sicché quando gli parse tempo disse la Caterina: - Mi' omo, de' mi' vecchi 'gli è un bel pezzo ch'i' nun ne so più nulla. Poeri mi' genitori! Loro e' si lamenteranno di me con bona ragione. E poi con queste carestie è capace per insino a mancargli 'l campamento. Sai, mi' omo, quel che ho ideato? Ho ideato di mandargli a mi' genitori un cassone pienato di robba, e te me l'ha' da portare. Addomanda Tognarone: - Ma che ci metti dientro? - Da mangiare, de' vestiti e qualche altro gingillo, - arrispose la Caterina: - ma quando i' l'ho chiusto, che vo' nun sia ardito d'aprirlo per istrada. Badate, veh! perch'i' starò a vedere, e se vo' disubbidite, i' vi cavo gli occhi con le mi' mane. Dice Tognarone: - Almanco, che te nun lo faccia tanto peso. La Caterina dunque ammannì 'l cassone, ma 'n scambio di pienarlo con soltanto della robba per regalo e' ci accomidò sdraiata l'Assunta, e quando l'ebbe serro disse a Tognarone: - 'Gnamo, pigliatelo e portatelo al su' destino. Abbeneché con isforzo Tognarone prendette 'l cassone e se lo mettiede in onca, 'n sulle spalle, via; ma ci si ripiegava sotto. Scrama: - Arcipreti! e' pare un masso. Dice la Caterina: - È che vo' siete un poltrone e la fatica nun vi garba. Sbrigatevi, e abbadate che nun vi caschi, e arricordatevi di nun aprirlo, se vi [412] [p. 412 modifica]preme di stare d'accordo con meco. Tognarone ponzava: in ugni mo' sortì dall'uscio e s'arrivolse in verso la casa della Caterina; ma arrivo dietro a un palazzo, siccome 'gli era stracco e tutto molle di sudore, posa il cassone su un muricciolo e poi pensa di guardare quel che la su' donna ci aveva barbato per farlo tanto peso, e con quest'idea va per aprirlo. L'Assunta però indettata dalla sorella principia a dire: - Oh! birbone bugiardo! nun vi vergognate a rinfrucolare e' fatti degli altri? Vo' me la pagherete al ritorno. A quella voce Tognarone rimanette a mezzo punto. - Poer'a me! - scrama, - 'gli ha la vista lunga la mi' donna. Che sia monta 'n sul tetto? E subbito si rimette io onca il cassone e séguita a camminare 'nsino a un ponte; e anco lì si provò, concredendosi al sicuro, a aprire il cassone: ma la solita voce dell'Assunta lo 'mpaurì, sicché lui 'nsospettito d'essere scoperto, piglia 'l cassone e 'nsenza più fermarsi lo porta diviato a' genitori della Caterina, e lì lo lassa, e detto addio se ne va. La Caterina isteva a aspettarlo Tognarone co' una faccia malandrina e le mane 'n su' fianchi, e siccome se lo ficurava che lui si fusse provato a disaminare il cassone, gli fece un busso, quasimente che lei e' l'avessi visto co' su' propi occhi; lui mogio mogio badava a biasciucolare delle palore per protestare che il cassone e' nun l'aveva aperto, e la Caterina gli disse: - Ma la tentazione vi viense, e s'i' nun bociavo, vo' disubbidivi al mi' comando. Per questa volta vadia pure liscia; quest'altra poi vo' sentirete la gragnola doppo 'l tono. Accosì passorno otto giorni, che Tognarone si sentiva più sempre spadroneggiato dalla su' donna, che a fin di settimana gli disse: - A quest'ora i mia la provvista l'hanno da avere bell'e finita, e i' ho voglia di mandargliene un altro de' cassoni, pienato come al solito. Dunque i' l'ammannisco e vo' lo porterete, e che nun vi salti in nel capo di guardare quel che c'è dientro. Arrisponde Tognarone: - Arricordati almanco che nun sia peso da farmi richinare. La Caterina 'nsenz'abbadargli, ascese in cambera a preparare il cassone e ci mettiede niscosta tra la robba la su' sorella Tieresina: poi comandò a Tognarone che lo pigliassi per il medesimo viaggio, e lui se lo buttò in onca alla sgarbata e andette via. Ma per istrada, allacco dalla fatica, si [413] [p. 413 modifica]fermò rieto al palazzo, poi addoppato a un pagliaio, poi sotto 'l ponte, anco per la curiosità di sapere quel che ci fusse nel cassone; e la Tieresina ugni volta sbergolava: - 'Gnorante! che attienete le 'mprumesse a questo mo'? Fate l'obbligo vostro e nun vi 'nteressate delle spizzee degli altri. Tognarone a quelle voci sbirciava d'intorno concredendo che la Caterina gli stessi alle costole, e po' diceva tra sé tutto 'nsospettito: - Cattadeddua! Ma che la mi' donna 'gli abbia la vista d'un falcaccio? Che sia monta 'n sul comignolo del tetto? E rialzo 'l cassone, da ultimo viense alla casa della Caterina, lo lassò lì, e detto addio a que' vecchi, se ne andette diviato; ma torno che lui fu, e' buscò un altro diascoleto, che propio nun sapeva racchetarla la Caterina 'nviperita, per bone ragioni che gli portassi. Oramai gli era rinuscito alla Caterina di rimandare le du' sorelle a' su' genitori; ci mancava che pure lei potessi fuggire dalle mane di Tognarone, e nun gli pareva tanto facile. Pensa e ripensa, finalmente almanaccò d'infingersi ammalata: - Mi dole 'l corpo, mi dole 'l corpo, i' mi sento male, - cominciò a dire. - Bisogna ch'i' vadia a letto. Ohi! ohi! Tognarone sgomento gli arriscaldò le lenzola, gli fece del brodo di cappone, e la Caterina ficurò di stare più meglio e che voleva riposarsi: - Ma - dice - te 'ntanto preparati a portarmi quest'altro cassone a casa mia, perché son otto giorni, e i' vo' che que' poeri vecchi nun manchino di nulla. Va' pur fora pe' tu' 'nteressi e al ritorno i' averò ammannito ugni cosa. Tognarone dunque sortì, e 'n quel mentre la Caterina con de' cenci e una maschera fabbricò una fantoccia della su' grandezza e la mettiede dientro al su' letto, e alla testa gli ci aveva appiccico un filo, sicché, quand'uno apriva l'uscio, quella fantoccia tentennava 'l capo, come se dicessi di sì; poi lei si niscose ben bene con dimolti quattrini, vezzi e pietre preziose in nel cassone, e ci si rinchiudé. Deccoti che arritorna Tognarone, e 'n punta di piedi ascende le scale e apre l'uscio di cambera, che era a finestre soccallate, e domanda: - Come va, Caterina? Che, dormi? E siccome lui smoveva la 'mposta, guà! la fantoccia gli accennava di sì. Dice Tognarone: - Che ho da ire subbito col cassone a casa tua? E la fantoccia, sì. Dunque Tognarone stronfiando alza il cassone per buttarselo in onca, e gli parse anco [414] [p. 414 modifica]più greve di quegli altri dua, sicché scrama: - Perziolino! che ci sia una macina? E quando lui fu per istrada camminava richino e in un bagno di sudore, e tutte le volte che s'imbatteva a un logo per riposarsi, o al palazzo, o al pagliaio o sotto 'l ponte, lì messo 'n terra 'l cassone e' gli vieniva la tentazione di vedere quel che la Caterina c'avessi riposto dientro; ma la Caterina a quell'atto di repente diceva: - Oh! birbon venduto! che te nun abbi un simile ardimento. Sbrigati 'n scambio, che nun mi garba di rimanere accosì sola. E Tognarone 'mpaurito da quelle voci, 'nsenza frammettere 'ndugio, ripigliato 'l carico, finalmente giugnette al su' destino. E' vecchi lo 'nvitorno Tognarone a rinfescarsi e gli porsano una sieda; ma lui nun volse nulla e disse: - Tante grazie. I' ho lassa la moglie un po' ammalata, e i' devo tornar di corsa, perché la nun stia solingola e nun gli manchi 'l custodimento. Addio, addio e alla rivista; a quando la Caterina 'gli è rinsanichita. Con la lingua mezza fora e ansimando peggio d'un cane Tognarone arriva a casa sua, e vede la porta sempre spalancata come al mumento che lui era partito; 'n furia salisce la scala a in nel nentrare in cambera domanda tutto premurioso: - Come ti senti, Caterina? La fantoccia smossa dal filo acchinò il capo, e Tognarone e' s'accosta al letto per abbracciarla; ma poero mammalucco, e' s'accorgette 'n scambio che quella ficura 'gli era soltanto un mucchio di cenci e no la su' giovane donna. Ficuratevi, se in nel cognoscersi corbellato 'n quel mo', nun gli prendette a Tognarone una gran rabbia! Pareva ammattito. 'Nsenza stare a dire, "che c'è?" agguanta un'accetta e via a gambe a casa de' vecchi per affettargli tutti quanti: ma la fece a sego, perché le ragazze e' s'erano per bene asserragliate e prepare a quell'assalto. Loro istevano alla finestra co' una caldaia d'acqua a bollore, e a male brighe viense Tognarone per iscassinare l'usciale, giù, gliela rovesciorno in sul capo, sicché lui cascò morto stecchito a gambe all'eria. Doppo, andorno con un barroccio addove abitava Tognarone, presano ugni cosa, e accosì le diventorno ricche sfondolate e nun patirno più la miseria; e a su' tempo nun gli mancò un bel marito a ognuna, perché dov'ènno quattrini e' giovanotti ci corrano facile in nel mondo. [p. 415 modifica]



NOVELLA L


Il Mercante di sale (Raccontata dalla ragazza Giuditta Diddi contadina)


C'era una volta un signore di nascita, un bel giovanotto, ma no tanto ricco, e lui andeva a veglia da una Marchese per isposarla, s'intende; e questa Marchese, abbeneché aggraziatina, 'gli era però un po' civetta e dimolto ambiziosa; insomma una ragazza con de' cattivi pensieri, e quando si viense a concludere il matrimonio, lei disse al su' damo che nun lo voleva più, perché al su' paragone nun ci poteva stare; a su' petto nun aveva lui abbastanza quattrini. Quel poero giovanotto rimanette male a essere licenziato a quel mo' com'un cane, e se n'andiede a casa mezzo 'nvecille per lo spregio partito; sicché su' pa', in nel vederlo con quella faccia scura, gli domandò se gli fusse successo qualche disgrazia. Dice il giovanotto: - Pur troppo! La Marchese doppo tante imprumesse e spergiuri m'ha rimando, perch'i' nun so' ricco al su' paragone. Dunque, babbo, i' nun ci vo' più stare 'n questi paesi; i' vo' ire a fare il Mercante di sale. Dapprima il padre si provò a consolarlo il giovanotto, a mettergli 'nnanzi i risti che lui risicava d'incontrare; ma quando lo vedde risoluto nella su' idea, gli comperò un grosso bastimento, gliel'empiette tutto di sale, e con la su' santa benedizione gli permettiede che partissi. Doppo avere navicato dimolti mesi il giovanotto arriva a un paese e lì scende, e va a desinare a un'osteria, in dove c'erano un branco di signori a tavola per su' divertimento; ma a male brighe che il giovanotto principiò a mangiare, s'accorgé che la [416] [p. 416 modifica]minestra e le pietanze nun sapevan di nulla; e' ci mancava dientro il sale. Dice: - Oste, tutta questa robba 'gli è sciocca al mi' palato e nun è bona. I' ho con meco portato una polvere, che a mettercela con mitidio la fa subbito saporita. Volete ch'i' la provi? - Oh! - gli arrispose l'oste, - faccia lei! E 'nfrattanto tutti que' signori gli stevano attenti per cognoscere quel che arebbe operato il giovanotto forestiero. Lui dunque salò ugni cosa, e quando l'ebbano assaggia e' rimasano, perché in quel paese del sale nun se ne servivano per l'avanti, e nun rifinivano dal domandare: - Che la vende questa polvere? Che ce n'ha dimolta lei? La compero io, la compero io. Dice il giovanotto: - I' n'ho un bastimento pieno zeppo, e i' la do al più meglio compratore. Que' signori assieme gli offrirno tanti napoleoni d'oro in baratto; ma l'oste disse: - E i' gli offerisco 'n scambio tanti diamanti. Al giovanotto gli parse più di vantaggio pigliarsi i diamanti, e accosì presto si trovò d'accordo con quell'oste, gli diede il sale del bastimento e poi arritornò a casa ricco sfondolato, e la prima domanda che lui fece a su' padre fu di sentire, che n'era della su' ragazza. Dice il padre: - La tu' ragazza 'gli è sposa 'mprumessa d'un Re. - Oh! birbona! - scrama il giovanotto, che nun aveva possuto smenticarla, e volse rivederla 'n tutti i modi, ma con che lei nun lo ricognoscessi. Il giorno doppo il giovanotto si travestì da carbonaio e si mettiede 'n dito un anello co' un diamante che traluceva da lontano e del gosto di cinquemila scudi, e col su' sacco del carbone 'n sulle spalle andette in nella strada in dove steva la Marchese a bociare: - Carbone, carbone bono da vendere, donne, ohé! Deccoti s'affaccia alla finestra la camberiera della Marchese e subbito gli sbatte negli occhi il luccichio del diamante, sicché corre dalla padrona e gli dice: - Signora, signora, c'è un Carbonaio co' un diamante 'n dito, propio una maraviglia. Dice la Marchese: - Chiamalo su e senti se lui me lo vole vendere. Quando il Carbonaio nentrò in salotto, dice la camberiera: - Galantomo, la mi' padrona gradirebbe codesto diamante che portate 'n dito; lei ve lo paga quel che gosta. E il Carbonaio: - Che! la mi' robba nun la vendo; la regalo. Dice la Marchese: - Ma io de' regali simili nun gli vog [p. 417 modifica]lio [417] dalla gente che nun cognosco e nun sono di par mio. - Allora, - arrisponde il Carbonaio, - i' lo darò in scambio di qualche altra cosa. - E sarebbe? - Che lei mi lassi baciare il su' piedi 'gnudo. Scrama la Marchese. - No davvero. Sicché il Carbonaio disse: - Gua'! e io l'anello i' lo tiengo per me, - e s'arrivolse addietro per andarsene; ma si vedeva bene che alla Marchese quel diamante gli faceva gola. Dice la camberiera: - Padrona, che male c'è in un bacio su un piedi? Tiri via, che tanto e' nun si sa che io e lei. - Te sie' una tentatora, e te mi dai un consiglio cattivo, - disse la Marchese, - abbeneché i' n'ho un gran desìo del diamante. - Dunque, - dice la camberiera, - per la miscea d'un bacio su un piedi nun la lassi scappare questa maraviglia. Insomma finì che la Marchese si cavò una calza e il Carbonaio gli diede un bacio sul piedi 'gnudo, e lei prendette l'anello e se lo 'nfilziò nel su' dito. Il secondo giorno il Carbonaio finto, con il su' solito sacco di carbone e un diamante di diecimila scudi, arritorna a bociare sotto al palazzo della Marchese, e alla su' voce deccoti s'affaccia la camberiera. A male brighe che lei vedde quel barbaglio 'n sulla mano del Carbonaio, corre diviata dalla padrona: - Signora, signora, e' passa il Carbonaio d'ieri e 'gli ha un diamante più bello al doppio 'n dito. Dice la Marchese: - Chiamalo su e domandagli se lui vole barattarlo con questo che qui, e gli darò anco il resto del gosto in quattrini. Il Carbonaio salisce e la camberiera gli fa la richiesta della su' padrona. Arrisponde lui: - Che! la mi' robba nun la vendo; la regalo. Ma se lei nun l'accetta il mi' anello accosì, i' glielo do 'n scambio d'un bacio su un ginocchio 'gnudo. Scrama la Marchese: - A questo patto i' nun vo' nulla. - E allora l'anello i' lo tiengo per me, e 'nsenza un bacio su un ginocchio 'gnudo lei nun lo pole più avere, - disse il Carbonaio, e prendette l'uscio per andarsene. La Marchese se ne struggeva di possederlo il diamante, e la camberiera che se n'accorgé, dice: - Tiri via, padrona, che male c'è egli a forsi baciare un ginocchio 'gnudo? Io per una simile rarità me gli lassere' baciare tuttadua. - Ma se lo viengono a risapere? - dice la Marchese. E la camberiera: - Che! è 'mpossibile. Nun si saperà che [418] [p. 418 modifica]io e lei. Insomma, la Marchese prendette il diamante doppo che il Carbonaio gli ebbe baciato un ginocchio 'gnudo. Deccoci al terzo giorno, che il Carbonaio daccapo viense a bociare in nella medesima strada col su' sacco in sulle spalle e co' un diamante 'n dito del valsente di ventimila scudi; luccicava, luccicava quella pietra preziosa da cavar gli occhi soltanto a guardarla. All'urlìo s'affaccia la camberiera e visto l'anello corre a tutte gambe dalla padrona: - Signora, signora, che cosa stupenda! Il Carbonaio ha oggi un anello, che nel mondo de' simili nun se ne pole trovare. Dice la Marchese per l'ambizione di possederlo: - Chiamalo su, e domandagli se me lo vende. I' gli do 'n baratto quest'altri du' diamanti e il di più in muneta. Ma il Carbonaio 'gli arrispose: - Che! i' nun vendo la mi' robba; la regalo a chi mi fa una grazia. Dice a Marchese: - Che grazia v'abbisogna, galantomo? E il Carbonaio: - Se lei brama il mi' diamante, mi lassi dormire con seco una notte. Scrama la Marchese: - Ma che siete ammattito? Queste nun ènno grazie nemmanco da pensarle. E il Carbonaio: - E allora l'anello i' lo tiengo per me. Stia bene e alla rivista. E s'avvia giù per le scale. Dice la camberiera: - Padrona, che vole propio perderla una fortuna accosì? E' nun capita mica tutt'i giorni. - Ma che ti pare ch'i' voglia dormire con un omo, - disse la Marchese, - quando appunto domani i' vo' sposa? Dice la camberiera: - Che 'mport'egli? Basta che nimo lo sappia e nun se n'accorga. 'Gli è un fatto che rimane tra me e lei. E la Marchese, che a nun avere il diamante ci pativa: - Ma la sera e' viene ugni sempre il Re e nun se ne va che dimolto tardi. Anco per questo, quel che protende il Carbonaio nun si pole assoluto. Dice la camberiera: - E lei ficuri che gli dole 'l capo e lo licenzi il su' sposo prima del solito, e si fa 'n modo che il Carbonaio s'accontenti di du' ore sole per dormire con seco. Ma si sbrighi a accordargliela questa grazia al Carbonaio: lui è già 'n fondo alle scale, e una volta sparito, chi lo ritrova? - Te sie' una gran tentatora, - scrama la Marchese, - e abbeneché m'accorga ch'i' opero male, per possedere il diamante i' non ho la forza di scontradirti. Sentuto questo ragionamento, la camberiera fu lesta a [ [p. 419 modifica]419] richiamare su il Carbonaio e lo niscose dientro un armadio in nell'arcova della padrona, e siccome già principiava a farsi buio, un po' doppo apparse il Re a discorrire con la su' sposa e gli portò in regalo una bella camicia di tela da notte, trapuntita da vetta 'n fondo d'oro e con l'insegne reali ricamate 'n sulla pettorina: la Marchese la prendette e poi la porgé alla camberiera, perché gliela mettessi sotto 'l capezzale del letto; e quando fu una cert'ora, la Marchese principiò a dire, che nun si sentiva troppo bene, che gli doleva 'l capo e che aveva bisogno di dormire. Il Re allora s'arrizzò con dimolto dispiacere, e detto addio se n'andiede, con la 'mprumessa di vienirsene la mattina doppo a pigliar la sposa 'n carrozza e menarla a Corte per la cirimonia delle nozze. Sicché dunque la Marchese traditora rimasa sola si spogliò diviata e, rientrata a letto, il Carbonaio sortì dall'armadio e 'nsenza tanti discorsi gli si sdraiò accanto a tienergli allegra compagnia 'nsino a che lei stucca nun s'addormì com'un ghiro. Ma quando il Carbonaio s'accorgette che la ragazza era per bene appioppata, prima gl'infilziò l'anello 'n dito, poi pian pianino gli prendé la camicia ricamata di sotto 'l capezzale, e rimessosi i su' panni addosso, fuggì via alla rifruga e riviense a casa a cavarsi quel travestimento da carbonaio. Alla Marchese poi in nello scionnarsi nun gli parse vero di nun trovare più con seco il Carbonaio, e tutt'allegra dell'anello avuto, si vestiede per lo sposalizio e nun s'avvedde punto del mancamento della camicia. Si sa che alle nozze de' Principi è costume che siano 'nvitati i più gran signori del Regno per più d'onore agli sposi: sicché il Re volse al su' pranzo le meglio persone e ci chiamò anco il Mercante di sale, perché da povero che lui era prima 'gli era diventato uno de' più ricchi della città. Si metterno a tavola e tutti s'appalesavano allegri e chiacchieroni; soltanto il Mercante di sale steva mogio mogio e nun apriva ma' bocca; sicché in nel vederlo a quel mo' con quella mutria di malcontento, e' si divertivano a sbeffarlo e i su' amichi ugni po' po' gli domandavano: - Ma te che hai? Che ti pass'egli per il capo? Dice lui: - I' penso che una volta i' andiedi a caccia co' uno stioppo di cinquemila scudi, tirai e i' la colsi in un piedi e nun l'ebbi. - Chi, chi? - tutti a urlare. - Te nun connetti. E [420] lui: - I' [p. 420 modifica]penso che un'altra volta i' andiedi a caccia co' uno stioppo di diecimila scudi, tirai e i' la colsi in un ginocchio e nun l'ebbi. - Ma chi? Che bestia? - bociavano da ugni parte smascellandosi dalle risa. - Te ha' troppo alzato 'l gombito. La Marchese però a questo discorso principiò a sturbarsi e nun poteva siedere tranquilla al su posto; e quegli altri badavano a bociare: - Ma parla chiaro. Che 'ntendi te con questi 'ndovinelli? Dice il Mercante di sale: - I' penso che un'altra volta i' andiedi a caccia co' uno stioppo di ventimila scudi, tirai, e i' la colsi 'n mezzo al corpo e questa 'gli è la su' camicia. E in nel listesso tempo lui cavò fora la camicia ricamata che lui aveva rubbato la sera 'nnanzi d'in sul capezzali della Marchese. Il Re a simile vista scramò: - Dunque te nun sie' fedele? Te m'ha' tradito per lo 'nteresso. Nascette una gran discussione e la Marchese dovette fuggire via dalla vergogna, che tutti gli buttavano 'n faccia delle brutte parole e 'l Re nun la volse più altrimenti per su' sposa; e lei si niscondé 'n casa sua e nimo ne seppe più nulla. E accosì gli toccò questo giusto gastigo per i su' mali portamenti nel mondo. [p. 421 modifica]



NOVELLA LI


Caterina (Raccontata dalla ragazza Giuditta Diddi contadina)


Una volta c'era un Re e una Regina che avevano una gran brama che gli nascessi una creatura; che fusse mastio o femmina nun gl'importava a loro, pure di non restare sempre soli 'nsenza erede nel mondo; e il Signore finalmente, quando gli parse, gli disaudì que' regnanti, perché gli ebbano una bambina e furno dimolti allegri di questa grazia, e nun si pole dire in che mo' s'addevano a rallevarla la figliola con tutta l'attenzione, e gli posano per nome Caterina. Dunque Caterina vieniva su propio per bene e in nel crescere diventava bella e garbosa di naturale; sicché il su' babbo, a' tempi che lei fu grandettina da struirla, gli prendette un Maestro per imparargli a leggere e a scrivere e tutto; ma per nun dargli troppo svago a' su' studi, lui volse che il Maestro gli andess'a abitare con la scolara in una villa reale discosta dalla città, e al Maestro gli diede questi comandi: Che badassi alla su' figliola, che lei fusse 'struita perfetta; ma se lei era disubbidiente lo voleva sapere per gastigarla, e la pena era il taglio del capo. La Caterina a quel mo' col su' Maestro sempre alle costole studiava a morte e si faceva dimolto brava; lei cognosceva tutt'i libri quasimente a paragone d'un dottore, e anco s'appalesava gentilina e educata per ugni lato e una brava e bellissima ragazza: per su' disgrazia però, il Maestro, abbeneché attempatotto, a starci assiemo con lei e' finì con innamorarsene fora di ragione, e un giorno che nun ne poteva più gli domanda alla sfacciata: - Caterina, che mi vo' bene? Dice lei: - Perché n [p. 422 modifica]o? [422] Che non gli ho a voler bene al mi' Maestro? Il secondo giorno daccapo dimanda il Maestro: - Caterina, che mi vo' bene? E lei: - Perché no? Che nun gli ho a voler bene al mi' Maestro? Il terzo giorno ripicchia con la listessa domanda: - Caterina, che mi vo' bene? E lei: - Perché no? Che nun gli ho a voler bene al mi' Maestro? - Allora - dice il Maestro - dammi un bacio. Scrama la Caterina: - Oh! questo po' no. E lui indispettito, tunfete, gli sona uno stiaffo, e subbito nesce e corre al palazzo del Re. Quando il Re lo vedde il Maestro con quella faccia stralunita, dice: - Che 'gli è successo? C'è egli qualche novità? Dice il Maestro: - Pur troppo, Sacra Corona. La novità è, che la Caterina s'è fatta dimolto disubbidiente, e siccome i' l'ho volsuta gridare e lei m'ha lassato ire un bel ceffone in sul grugno. - Peggio per lei! - disse il Re. - I' gli mantiengo la mi' parola. E 'nsenza traccheggìo dà ordine a' soldati che vadiano alla villa, menino la Caterina dientro un bosco e lì gli taglino la testa diviato, e che 'n prova d'avere ubbidito gli portino la lingua e i panni della ragazza. Deccoti dunque che i soldati arrivano alla villa. Dice la Caterina: - C'è egli quache disgrazia? Che è morto il babbo? - No, sta bene. - È morta forse la mamma? - Che! anco lei sta bene. Dice la Caterina: - Oh! dunque, che volete? Dice il Sargente: - S'ha un brutto comando. - Ho da morire io? - domanda la Caterina. Dice il Sargente: - Pur troppo! e bisogna che s'ubbidisca il Re, e gli s'ha da portare la su' lingua e i su' panni per prova d'averla morta. Scrama la Caterina 'nsenza sturbarsi: - Tutto il male sia questo! Menatemi pure con voialtri, i' son pronta alla morte, quando lo comanda il Re mi' padre. Nescono e vanno in un bosco folto, in dove c'era un tabernacolo con l'immagine della Madonna; la Caterina gli si buttò 'n ginocchioni davanti per raccomandarsi l'anima, e 'nfrattanto i soldati discorrivano tra di loro pensando se ci fusse modo di salvare quella poera sciaurata innocente e nun patire nissun gastigo. Per fortuna viense a passare di lì un cane, e la Caterina che aveva sentuto i ragionamenti de' soldati, s'arrizzò e disse: - Se vo' siete nella bona 'ntenzione di nun ammazzarmi, pigliate la lingua di [ [p. 423 modifica]423] quel cane: la lingua de' cani è compagna a quella de' cristiani, e mi' padre nun la pole ricognoscere. Io per me v'imprumetto che nun mi farò vedere più mai ne' mi' paesi. A' soldati gli garbò quest'idea, perché loro l'ammazzavano mal volenchieri la Caterina, ma soltanto per ubbidienza al Re; sicché con una stioppettata stesano l'animale e gli presano la lingua; poi si fecian dare tutti i panni dalla Caterina e la dibandonarono lì solingola e tutta 'gnuda nel bosco; e lei, nun sapendo come ricoprirsi, si gufò in una macchia aspettando che Dio l'aitasse. La mattina doppo il figliolo d'un altro Re di quelle vicinanze, un bel giovanotto sverto, 'gli andeva a caccia e a un tratto sente i cani che si fermano a un logo con un grand'abbaio. Concredendo che ci fusse qualche liepre al covo, corse a vedere, e 'n scambio scopre la Caterina rannicchiata tra le frasche e 'mpaurita a bono. Dice: - Che fai costì a codesto modo 'gnuda? La Caterina con gli occhi bassi per la vergogna gli raccontò la disgrazia, e il giovanotto levatosi il mantello glielo mettiede d'attorno al corpo e poi la menò tutto premurioso a un'osteria, e nun era passa un'ora che già lui se n'era innamorato tanto, che gl'imprumettiede di sposarla a ugni patto; ma prima volse sentire anco la Regina su' mamma, sicché lassata la Caterina alle mane dell'oste e co' una bona mancia, riviense al su' palazzo e subbito si presenta alla Regina: - Mamma, mamma! Che bella caccia i' ho trovo stamane! Scrama la Regina: - Ha da esser bella davvero, perch'i' nun la veggo nemmanco. Dice il giovanotto: - Eh! nun è una caccia di salvaggina. Ho trovo in una macchia dientro al bosco la più bella e struita ragazza di tutto 'l mondo e che m'ha racconto le su' disgrazie. 'Gli era lì dibandonata e 'gnuda per l'affatto; e i' l'ho lassa a un'osteria e i' vo' che diventi la mi' sposa. Che dite, mamma, il babbo sarà contento? Scrama la Regina: - No che nun sarà contento. Che vo' te che permetta al su' erede di pigliarsi la prima che gli capita tra' piedi, una donna spersa per un bosco e 'n simile arnese, e che nun si sa chi sia e se t'ha dato a intendere di brave bugie? Dice il giovanotto: - Che! quella ragazza nun è capace di tradimenti. I' gli ho 'mprumesso che lei diventerà la mi' moglie a ugni patto, e nun vo' mancargli di parola. Ma quando il giovanotto s'arrivolse al Re [424 [p. 424 modifica]] su' padre, perché gli accordassi di sposarsi con la Caterina, lui gli arrispose di no assoluto e gli disse, che nel su' palazzo una ragazza a quel mo' nun fusse ardito di farcela nentrare. Sicché dunque al giovanotto innamorato gli toccò a contentarsi di un matrimonio alla rifruga, e perché su' padre nun s'accorgessi di nulla, mettiede la Caterina in una villa lontana e ugni tanto andeva a trovarla e a passare de' giorni con lei, e accosì lei gli partorì un bambino. Ma stevano sempre 'n sospetto d'essere scoperti e gastigati: tutta la contentezza loro nun l'avevano. Successe che di lì a un po' a questo Re gli mossano la guerra, e il figliolo dovette partire co' soldati come Generale a battagliarsi co' su' nemichi: ma prima di lassarla la su' moglie Caterina, gli disse, che lui gli arebbe scritto, ma che badassi bene di nun le ricevere le lettere da nimo che soltanto avanti la levata del sole e doppo sotto il sole, insennonò risicava qualche tradimento; e dati questi segnali, si disseparorno. La Caterina rimanette a casa co' il bambino, e lo sposo se n'andiede al comando dell'esercito. Infrattanto però, quel birbone di Maestro, in nel girandolare di qua e di là, gli era capitato alla villa della Caterina, e quando la vedde un giorno alla finestra, subbito la ricognobbe e capì che i soldati nun l'avevano morta, bensì 'n scambio salvata e dato a intendere a so' padre d'essere stati ubbidienti: dunque, volse discorrire con lei, perché sempre 'nnamorato, e co' una lettera in tra le mane viense alla porta della villa e picchiò. S'affaccia la Caterina e domanda: - Chi siete? che cercate, galantomo? Dice il Maestro: - I' ho una lettera del su' sposo. M'apra. - Che! - arrispose la Caterina: - nun è possibile a quest'ora che qui. Le lettere del mi' sposo, lui me le manda sempre avanti la levata del sole e doppo sotto il sole. I' nun apro e ve ne potete andare. Codesta lettera nun è per me. E 'nsenz'aspettare che il Maestro gli riparlassi, gli sbacchia la 'nvetriata 'n sul grugno e disparisce. Il Maestro 'ncattivito dalla mala rinuscita rimane lì com'un allocco, ma nun si sperse punto di coraggio, e almanaccò di fare le su' vendette; sicché, quando fu notte buia, da un finestrino basso ripì su per le muraglie e carponi gli andette per insino 'n cambera della Caterina, che al rumiccìo tutta sospetta e' s'era svegliata e co' una voce tremolante principia a urlare: - Oh [ [p. 425 modifica]425] Dio, i ladri! Dice il Maestro: - I' ladri no: i' son io, e so' vienuto per possederti o per amore o per forza, Caterina. 'Gli è appunto il tempo del ricatto. A quella voce la Caterina perdiede il cervello, e salta al buio giù dal letto e va a niscondersi gufata in un cantuccio insenza pensare al su' bambino. Il Maestro fu inutile che s'arrabinass'a cercarla barbottando resìe, e da ultimo, infiammito dall'aschero, sentuto con le mane il bambino, a forza di coltellate l'ammazzò e doppo fuggì via più lesto del vento. Ficuratevi la poera Caterina, che dolore! quando lei nuscita fora da quel cantuccio e acceso un lume si avvedde del su' figliolo morto dientro un lago di sangue! Si strappava i capelli e piagneva dalla pena, e scramava: - Oh! me sciaurata, che farò io? Se torna il mi' sposo, lui crederà che la colpa 'gli è tutta mia e chi sa il gastigo che mi tocca, abbeneché innocente. Oh Dio, Dio! il mi' caro bambino, il frutto del mi' amore, nun l'ho saputo difendere da quel birbone di Maestro. Era più meglio che avess'ammazzato anco me! I' nun starei accosì disperata con tutte queste disgrazie a ridosso. Ma oramai cominciava a spuntare 'l giorno e la Caterina per nun farsi trovare con quello spettacolo 'n cambera, si mettiede 'n fretta i su' panni e, scese le scale alla cheta, scappò via dalla villa attraverso 'l bosco, e cammina cammina alla ventura in sulla sera viense a un poggiolo, addove una pastora menava le pecore a pascere per que' prati. Dice: - Fanciullina, che saresti contenta di barattare i vostri vestiti co' mia? - Ma che gli pare, signora! - gli arrispose quella: - e' nun stanno al paragone. I sua so' troppo belli. Dice la Caterina: - Che 'mporta? I' ho bisogno di nun comparire accosì, e voi se ci guadagnate nun poterete lamentarvi. I mi' panni e' vi serviranno per le feste. 'Gnamo, nun mi dite di no. Insomma alla pastora nun gli parse vero di quel baratto e finì con trovarsi d'accordo; sicché la Caterina, a male brighe che fu vestita da pastora, seguitò la su' strada e a buio 'gli era all'uscio d'una osteriuccia, stracca e affamata, che durava fatica a reggersi 'n sulle gambe. Dice l'oste: - Che volete, pastora? - Datemi un po' d'albergo. I' so' una poera sciaurata spersa per questi loghi, e se vi garba il mi' servizio, i' restere' anco volenchieri qui per sempre alla vostr'ubbidienza. Dice l'oste: [426] - Perch [p. 426 modifica]é no? Appunto i' cercavo chi m'aitasse. I' ho la moglie malata e nun c'è chi la custodisca e vo' siete al caso. Nentrate pure, e' ci s'accomida facile, se vo' vi contentate di poco. Accosì la Caterina stiede per serva da quell'oste e campellava alla meglio; ma il pensieri l'aveva ugni mumento al su' sposo e al su' bambino, e nun si sapeva dar pace che quel birbone di Maestro fusse rinuscito nelle su' vendette. Ma riveniamo al figliolo del Re, che s'è lassato alla guerra. La guerra finì e feciano le paci, e subbito il figliolo del Re volse ritornare al su' paese. Poero giovanotto! Lui credeva d'arritrovare la Caterina e il bambino in nella villa, e 'n scambio trovò il bambino morto e la Caterina scappata, che nissuno potiede dirgli in che parte fusse ita. 'Gli arebbe dato il capo per le mura dal dispiacere smenso, e su' padre, in nel vederlo a quel mo' disperato, e' si pentiede, pur troppo tardi, d'averlo scontradito per la superbia in verso la su' moglie 'gnota. Ma per dargli un po' di consolazione gli permetté di spassarsi e di viaggiare a su' piacimento; e il giovanotto 'gli andeva girelloni, tanto solo che in compagnia, un po' di qua, un po' di là, per ismenticarsi la su' disgrazia. Ma che? Quando s'ha l'amaro dientro al core e' non c'è zucchero capace di raddolcirlo. Insomma, gli succedette che nell'essere a caccia si riscontrò un giorno con quel Maestro, che per essersi accorto del nascondiglio della Caterina e' si studiava di scoprirla a dargli dell'altra noia, e però spasseggiava in quel paese con l'idea di nentrare nell'osteriuccia con qualche bona scusa. Diventorno amichi tra il figliolo del Re e il Maestro, che anco gli fece fare la cognoscenza del babbo della Caterina; ma il Maestro nun lo sapeva che quel figliolo di Re fusse lo sposo della Caterina e lui nun gli raccontò ma' nulla; e' su' segreti lui nun gli appalesava a nissuno. E accosì passò diverso tempo e ugni tanto que' tre tutt'assieme si ritrovavano per isvagarsi e discorrire e battere con lo stioppo in spalla la campagna: ma il figliolo del Re delle parole 'n bocca nun ce n'aveva dimolte, e steva mutolo e pensieroso, sempre con la mente alla su' Caterina. Una volta che i tre amichi ebbano cacciato tutto il giorno, stracchi e co' una fame da lupi viensano a capitare all'osteriuccia, addov'era la Caterina: volsano dunque riposarsi e desinare, [427] e [p. 427 modifica]però nentrati comandorno all'oste che gli ammannissi quel che lui tieneva di meglio in nella su' cucina. L'oste premurioso di farsi onore, che di quelle sorti gliene cadeva di rado, si mettiede a opera e apparecchiò una bella mensa con delle pietanze saporite e un vino delicato da cavar la sete pure alle pietre; sicché i cacciatori mangiorno e bevvano insenza discorsi e doppo principiorno a fummare il sigaro; ma tutti zitti. E' parevan tanti frati. Finalmente dice il babbo della Caterina: - O more qualchuno impiccato, oppuramente e' nasce un ebreo. Ma che ha lei, Maestà, che nun fa sentire la su' voce e rimane a codesto mo' soprappensieri? Nun c'è nulla che lo svaghi? Arrisponde il giovanotto quasimente per burla: - Per isvagarmi propio, i' are' bisogno d'una che mi raccontassi una novella da bambini. A simile proposta tutti risano a crepabudella, tanto gli parse buffa; ma l'oste disse: - Se lei nun ha altra brama, qui con meco 'gli abita una pastora che delle novelle e' ne saperà cento e le racconta per bene. Si ficuri! per la mi' moglie malata nun c'è altro divertimento. Se lei comanda che la chiami la pastora, i' gli do una voce, perché la scenda. - Sì, si, - 'gli urlorno tutti, - chiamatela. Ci garba di sentire come lei è brava. L'oste dunque andiede a piè della scala a chiamarla la Caterina, che subbito viense giù, e a male brighe che lei vedde que' signori e' gli ricognoscé diviato, ma però fece fiuta che gli fussano 'gnoti per l'affatto; loro 'n scambio non la ricognobbano, vestita a quel mo' da pastora come lei era; e l'oste in quel mentre disse: - Questi signori bramano ascoltare una delle vostre novelle. Animo via! siedete e contentategli. - Ma io nun me n'arricordo, - arrispose la Caterina. - E poi mi perito, mi vergogno dinanzi alla gente di città. Dice il Maestro: - Nun vi sgomentate, bella giovane. Nun siemo gente da dare soggezione, e se ci raccontate una novella e' vi saremo obbligati, e anco più questo giovanotto che qui, che nun si svaga mai con nulla. - Guà! alla meglio, - disse la Caterina, - e com'i' so. Gli prego a compatirmi. I' racconterò la novella di Caterina disgraziata. Gli garba? A quest'annunzio, nel mentre che i soprani si messano in fazione per istare attenti, al Maestro gli fece un sobbalzo 'l core; ma la Caterina, 'nsenz'abbadarci, diede principio accosì: [428] [p. 428 modifica]Loro han da' sapere, che doppo averla bramata un pezzo finalmente nascette a un Re e a una Regina una figliola e gli messano il nome di Caterina, e quando lei fu grande, i su' genitori l'affidorno a un Maestro a struirla, e perché non si svagassi nello studio, loro volsano che il Maestro e la scolara abitassino soli in una villa fora della città. Il Maestro a queste prime parole della Caterina cominciò a stralunare gli occhi e a divincolarsi 'n sulla ciscranna; ma la Caterina, 'nsenz'addarsene, seguitava: - Questo Maestro, abbeneché attempatotto e galantomo nell'apparenza, era 'n scambio un birbone e di cattive idee, sicché diviense 'nnamorato della su' scolara e voleva da lei un bacio; ma lei gli arrispose di no assoluto, e il Maestro impermalito gli lassò andare uno stiaffo; e nun contento di questo corse da' genitori della ragazza a raccontargli che la su' scolara si portava male e che lei aveva dato un bel ceffone a lui. Il Re tiense la su' parola, e comandò a' soldati d'ammazzare quella poera innocente e di portargli la su' lingua e i su' panni. Il Maestro a questo punto scramò: - Mi sento male, vo' andar via. - No, no, aspettate, - disse il babbo della Caterina. - È bene sentirla come finisce la novella. Dite pure, bella pastora. E la Caterina: - Ma i soldati furno più giusti di quel barbaro padre: non se le volsano imbrattare le mane con il sangue della ragazza e la lassorno dibandonata nel bosco doppo averla spogliata 'gnuda come Dio la fece, e al Re gli presentorno i su' panni e la lingua d'un cane per segno dell'ubbidienza. La ragazza rimasa lì sola gufata dientro un cespuglio e' la trovò la mattina un figliolo di Re che andeva a caccia; gli garbò, gli mettiede il su' mantello per coprirla, e 'nsomma la diviense su' sposa legittima, abbeneché alla rifruga per nun dar so spetto al padre del giovanotto che di questo matrimonio nun era contento; anzi, per meglio nisconderla lui e' la tieneva la moglie in una villa lontano dalla città, e in codesto logo, a su' tempi, la Caterina gli parturì un bel bambino. Ficuratevi il Maestro a un simile racconto! Sbergolò a un tratto: - Ohi! ohi! mi dole il corpo. Bisogna ch'i' vadia via. Dice il figliolo del Re: - Eh! no. Bisogna restar qui 'nsino 'nfondo, caro Maestro. A me la novella mi garba, sicché seguitate pure, [ [p. 429 modifica]429] bella pastora. E la Caterina: - Allo sposo della Caterina gli mossan guerra 'n que' giorni e gli toccò a comandare a su' soldati fora del paese. Dunque lui, prima di partire, diede le su' 'struzioni alla sposa per fargli assapere le su' nove; che lei le lettere nun le ricevessi da nimo se no' avanti la levata del sole e doppo sotto il sole. Ma una volta ci capitò alla villa quel Maestro birbone e voleva per forza che la Caterina gli aprissi con la scusa di dargli una lettera finta in sul meriggio; e siccome la Caterina gli arrispose di no e gli sbacchiò la 'nvetriata 'n sul grugno, lui per vendetta ripì a buio da un finestrino su 'n cambera di quella sciaurata e a coltellate gli ammazzò il bambino dientro il letto, e poi scappò per la listessa via. La poera Caterina sperse il cervello dal gran dolore e se ne fuggitte di casa mezzo ammattita, e ora... Ma il Maestro nun lo sentiede il resto, perché co' un urlaccio s'arrovesciò per l'indietro e andò 'n terra svienuto tutto d'un colpo, in nel mentre che quegli altri dua badavano a dire: - Te sie' la Caterina. Sie' la mi' figliola, la mi' sposa. - Sì, sì, son io, - arrispose la Caterina, e s'abbracciorno con grande allegrezza. Doppo presano il Maestro, lo feciano legare da' servitori e lo menorno alla città, addove co' una camicia di pece addosso fu subbito bruciato 'n mezzo della piazza per gastigo de' su' delitti. Gli sposi poi si rappattumorno co' genitori e stiedano sempre assieme, e dicerto e' ci saranno tavìa. [p. 430 modifica]



NOVELLA LII


La Lieprina (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


Una volta in ne' tempi passi ci fu un Re con tre figlioli grandi, e questi tre figlioli avean tutti una gran smania di pigliare moglie. Su' padre però nun era contento di dargliela, perché dientro al su' core lui preferiva il più piccino; gli voleva più bene per esser lui bono e amoroso e quegli altri dua no, e l'idea del Re era di farlo erede della corona: ma per nun mettere dell'astio tra' fratelli il Re steva zitto e trandugiava a cercargli donna, sicché quando loro gliela chiesano nun gli parse vero, e immaginò un modo per rinuscire nella su' segreta 'ntenzione. Dunque disse il Re: - Andate a girare per il mondo; e quello che torna più galantomo, quello piglierà moglie. I tre giovanotti subbito ammannirno le robbe e i quattrini per il viaggio e doppo se n'andiedano, chi di qua, chi di là, per istrade diverse; ma il Re al più piccino gli diede di niscosto la potenzia della Corona, perché lui se ne servissi al bisogno. Accosì, ognuno dalla su' parte, camminavano in cerca della sorte per poi rivienire a casa e raccontare a su' pa' tutt'i successi, e che lui giudicassi chi era degno di moglie. Il più piccino de' tre giovanotti, e per nome s'addomandava Peppe, capitò doppo dimolti giorni a un'osteria in una città lontana, e rimase in nel vedere nel bel mezzo della piazza una bara con dientro un morto e che tutti sbergolando male parole lo strapazzavano. Chi gli strappava la barba, chi gli sbarbava i capelli, un altro gli portava via un orecchio, un altro il naso. Peppe a un simile spettacolo corse tra la gente; dice: [ [p. 431 modifica]431] Perché tutti codesti spregi a un morto? Mi pare una 'nfamità sprofumata. Che 'n questi loghi nun sanno nemmanco rispettare i morti? Ma gli arrisposano: - 'Gli è l'uso per quelli che moiono pieni di debiti. Questo birbone se n'è ito 'nsenza pagare nimo, e però se l'è meritato questo gastigo. Scrama Peppe: - Smettete subbito, che i debiti del morto gli pago io e menatelo a seppellire diviato. Viengano i creditori all'osteria, e chi mi presenta le su' carte 'n regola, sarà saldato d'ugni suo avere. Ficurarsi! Nun stettano a farselo ripetere per du' volte lo 'nvito, e Peppe con di bone ricevute libberò quel morto da que' malestrosi, e quando lo vedde sotterrato se ne partiede daccapo per il su' viaggio; e camminò tanto e po' tanto, che finalmente Peppe 'nsenza più un becco d'un quattrino, stracco e affamato, si sperse per un bosco, che era già buio fitto, e pioveva e gragnolava da parere quasi il finimondo. Lui nun sapeva indove si trovava e in che mo' sortire dalla macchia, e tutta la notte la passò ugni sempre in nel sospetto d'essere sbranato dagli animali, oppuramente di cascar giù steccolito per lo stento e il freddo. Come Dio volse a bruzzolo rimbeltempì, e a un tratto deccoti apparisce una Lieprina co' un paniere 'n bocca pieno di robbe da mangiare e da bere. La Lieprina s'accostò a Peppe, gli lassò il pianere a' su' piedi, e po' via, fuggì più lesta del vento. Peppe a quella vista riprendette coraggio e si mettiede a rifocillarsi 'n sall'erba, e 'ntanto badava a almanaccare chi mai gli avessi mandato un simile aiuto miracoloso: ma da ultimo si persuadé che la Lieprina fusse nient'altro che l'anima di quel morto da lui libberato dalle mane de' su' barbari creditori; sicché tutt'allegro e bell'e riposato s'arrizzò e ritrovata la via maestra andeva di bon passo 'n cerca di qualche albergo o paese da potercisi fermare. Cammina cammina, 'n sulle ventiquattro Peppe viense a un'osteria, tienuta da un oste che aveva per figliola una bellissima ragazza. Picchia e lo fanno rientrar dientro. Ma, poero giovanotto! all'aspetto e' lo presano per uno straccione, e lui bisognò purtroppo che s'arraccomandassi per un po' di ricovero per carità e s'offerì per servitore tanto per nun campare alle spalle di quell'oste. All'oste gli garbò la proposta, e accosì Peppe figliolo di Re si vedde arridotto a rigovernare e' piatti 'n cucina e a tutte le più basse faccende della casa. [432] Dunque, [p. 432 modifica]in nello star lì a quel servizio Peppe praticava a ugni mumento con la bella figliola dell'oste, e finirno tutt'addua come succede quando a du' giovani gli si scalda il sangue; s'innamororno a bono e in nel trovarsi soli si scopersano i su' segreti. Peppe gli disse alla ragazza chi era e per che ragione lui viaggiava, e la ragazza gli arraccontò che per una disgrazia dovette fuggir via dal su' Palazzo reale e da un Re lontano su' vero padre, mentre che l'oste 'n scambio l'aveva raccolta spersa da bambina e rallevata per su' figliola. Scrama Peppe: - Questa è una bella nova! E i' ti prumetto che divierrai la mi' legittima sposa a male brighe i' ho finito il mi' giro per il mondo e scontrato la mi' sorte. E però ho fatto pensieri di rimettermi domattina 'n cammino, e nun ti dubitare, che la mi' parola i' te la mantiengo a ugni patto, basta che te mi siei fedele. Dice la ragazza: - I' t'averò dientro 'l core giorno e notte. Va' pure al tu' destino, e al tu' ritorno te mi troverai tal e quala mi lassi, sempre fedele in vita e in morte. Accosì si dissano addio, e Peppe a bruzzolo, doppo d'essersi licenziato dall'oste, se n'andette e riprincipiò a camminare per indove la strada lo portava. Lui camminò delle settimane, insino a che viense in un altro Regno e fece motto a una locanda, e al solito per buscare il campamento s'allogò per isguattero; ma nun era passo dimolto tempo che la figliola del locandieri, ragazza piuttosto bruttina, s'invaghì cotta di Peppe e voleva che lui in tutti i modi la pigliassi per su' moglie. Dice: - Te sara' contento e nun ti mancherà ma' niente, perché, vedi! i' posseggo una borsa che basta ficcarci la mano per ritirarla sempre fora piena di munete d'oro. A Peppe la borsa sì gli garbava, ma no la ragazza; e poi s'arramentava della su' prumessa a quella prima dell'osteria: - Che, che! I' vo' essergli fedele a ugni patto, - barbottava tra di sé. - Ma s'i' potessi aver la borsa, i' me ne 'ngegnerei. Insomma, a forza di daddoli e di discorsi gli rinuscì davvero di farsela regalare quella borsa maravigliosa, e quando l'ebbe in nelle su' mane, co' una scusa si licenziò dal locandieri e si rimettiede in viaggio. Ma questa volta i quattrini nun gli mancorno per trattarsi da principe, perché la borsa gliene deva a ugni frucata e 'nsin quanto lui bramava; e camminò tanto e po' tanto, che sortì da quel Regno per rientrare in [p. 433 modifica]un [433] altro più lontano, e nun si fermò che all'albergo principale di una gran città. L'albergatore pure lui aveva con seco una figliola da marito, ma brutta da nun si raccontare, e in ugni mo' vogliolosa che qualcuno la sposassi. In nel vedere quel bel giovanotto ricco di Peppe, lei nun potiede stare alle mosse, e un bel giorno a quattr'occhi gli palesò pane pane che s'era innamorata di lui. Dice: - Se te mi pigli, i' ti regalo un cavallino che corre più del pensieri e che è mio. I' l'ho giù nella stalla. A Peppe di possedere il cavallino gli sarebbe anco garbato, ma quella brutta ragazza civetta nun gli parse robba per lui; e poi il su' core steva ugni sempre laggiù dalla figliola del primo oste. Dunque con de' ripieghi e un po' di furbizia s'arrabattò per avere il cavallino 'nsenza 'mpegno con la su' padrona, e siccome 'gli era affortunato finì con vienirne a capo, e doppo disse dientro di sé: - Ora 'gli è tempo d'arritornarsene a casa. Peppe con la borsa e' montò in sul cavallino, ribattiede all'incontro la listessa strada per insino all'osteria della su' dama e, per nun farla tanto stucca, si sposorno allegramente, e Peppe comperata una carrozza e presi de' servitori e il cucchieri, s'avviò in verso il Regno di su' padre. Deccoti arriva a un paese per riposarsi e sente a un tratto sonare una campana, sicché subbito domandò che c'era di novo: - E' c'è la giustizia stamattina, - gli arrisposano. Dice lui: - Che giustizia? - Lei ha da sapere che tempo addietro viense un gran signore con dimolti quattrini, e la scialava con giochi, spassi, donne e gioco; ma quando, per su' poco giudizio, 'gli ebbe dato fondo a tutto 'l suo, questo signore si metté al bosco a rubbare e a assassinare, e ora l'han preso e condannato a morte, e a mumenti gli tagliano la testa 'n mezzo di piazza. Scrama Peppe: - I' vo' ire a vedere. Va dunque, e legato con le mane rieto a una colonna e co' un cartellone in sul petto, addove ci si leggevano scritti tutti i su' delitti, ci steva un omo giovane, ma rifinito, scaruffato e sudicio, che propio nun mostrava più l'effigie del cristiano. A Peppe in ugni mo' nun gli parse una persona 'gnota, sicché accostatosi di più alla colonna, pur troppo! ricognobbe che quel disgraziato 'gli era il su' fratello maggiore. Rimané male a un simile spettacolo: ma 'nsenza trandugiare corse da' giudici [434] [p. 434 modifica]e gli disse: - Libberatelo quell'omo. I danni che lui ha fatto gli pago tutti io. Dice il capo de' giudici: - Nun si pole: gli pare! Se nun c'erano che de' rubbamenti, manco male, co' quattrini si rimediava: ma lui ha morto tanta gente, e quella nun rinvivisce per le munete. Oramai 'gli è condannato con giustizia e a libberarlo nascerebbe qualche scandolo. Dice Peppe: - Ma i' lo vo' libbero, perché qui comando io, - e tirò fora la potenzia della corona e si fece ricognoscere per figliolo del Re; sicché nun gli apposano più nulla e gli dettano il fratello nelle su' mane. Lì però nun lo sapevano che fusse fratello del Principe, e lui nun volse palesarlo per rispiarmargli la vergogna. Peppe lo menò con seco alla locanda il fratello, lo rivestì di novo e il giorno doppo tutti assieme partirno dientro la medesima carrozza per seguitare il su' viaggio; ma si vedeva bene che il fratello maggiore sentiva dell'aschero contro di Peppe per la sorte che lui aveva riscontrato, e steva rincantucciato e zitto ficurando di dormire. Quand'ebbano viaggiato per altri otto giorni si fermorno a un paese, e appunto passava una pricissione d'incappati e di soldati, e su d'una carretta tramezzo a' preti portavano un omo a impiccare. Domanda Peppe: - Oh! che ha egli fatto codesto sciaurato? Dice uno: - 'Gli è il più gran birbone del mondo. Da signore, finito i quattrini co' vizi, diviense ladro e assassino: ma finalmente lo chiapporno e ora paga la pena de' suoi delitti. In quel mentre la carretta rasentò Peppe e lui ricognobbe in quel condannato il su' fratello mezzano; sicché scrama: - Fermate! I' vo' la grazia di quest'omo: i danni che lui ha fatto gli pago io tutti. Dibatterno un pezzo in sul si pole e il nun si pole; ma da ultimo Peppe disse, che lui era figliolo del Re e che la voleva a modo suo, e a' giudici gli metté sotto agli occhi la potenzia della corona per persuadergli, e loro dovettano piegare 'l collo e nun far più accezione. Guà! chi comanda, comanda, e a opporsi la rinusce sempre a male. Dunque Peppe rivestì e rimpulizzì anco il mezzano, e po' tatti 'n carrozza s'avviorno per ritornare da su' padre, e per istrada Peppe volse sapere perché i su' fratelli s'erano ridutti a quella disperazione. - Eh! la miseria e la sorte contraria, - loro dissano: - ma 'n scambio a te la rota e' t'è girata ammodo.

[ [p. 435 modifica]435] Dice Peppe:

- Basta fare il galantomo e nun aver de' vizi, la ricompensa de' boni portamenti nun manca mai. Que' dua però a un simile rimprovero si rodevano dientro e già si sentivano avvogliati di fargli qualche brutto tiro a Peppe. Dice lui: - Ma quando s'arriva a casa bisognerà bene che gliel'arraccontate al babbo i vostri successi, insennonò come darà sentenzia tra di noi, come lui e' ci ha 'mprumesso? Quegli però nun arrisposano a segno, e' nfrattanto la carrozza s'era ferma dinanzi a una pescaia dimolto larga e fonda fonda, e Peppe disse: - Scendiamo un po' a rinfrescarci e così anco i cavalli s'arriposeranno. Scesan dunque i tre fratelli soltanto e si dilontanorno 'n giro della pescaia, e quando il maggiore e il mezzano, che s'erano 'ntesi cogli ammicchi, crederno di nun esser veduti dalla sposa e da' servitori, co' un gran spintone buttorno il povero Peppe dientro l'acqua, e visto che lui era ito sotto e nun riappariva a galla, si diedano a sbergolare: - Oh! che disgrazia, che disgrazia! 'Gli è casco Peppe giù nella pescaia. Corrite, corrite a soccorrerlo. Ma fu tutto inutile. Nimo sapeva navicare e nun ci fu modo che Peppe si ritrovassi 'n quel profondo: sicché stati lì 'n sulle sponde un bel pezzo con gran dolore della sposa, che s'era svienuta, i du' fratelli traditori la portorno di peso 'n carrozza e a notte buia nentrorno nel palazzo del Re su' padre; e prima di farsi annunciare dissano alla sposa: - Bada bene di stare zitta e di nun ci scontradire, se la vita ti preme, e te sarà' moglie d'uno di noi, se tu ha' giudizio. Arricòrdati! La mattina doppo i du' fratelli si presentorno al Re. Dice 'l Re: - Peppe, il mi' piccino, addove si trova? - Ma! nun se ne sa nulla. - E questa ragazza? - domanda il Re. E quegli: - 'Gli è una Principessa, e pole diventare sposa di quello tra noi dua che avrà la su' sentenzia, signor padre. Dice il Re: - Dunque arraccontatemi i vostri successi. I fratelli allora si messano a sfilare una storia tutta bugiarda, e il Re bisognò che se la bevessi, e quand'ebban finito, disse: - Chi di voi se lo meriti più di pigliar moglie nun lo posso sentenziare, perché al mi' parere tutt'addua ne saresti degni. I' lo lasso il giudizio a questa Principessa: trascelga lei a su' piacimento. Ma la Principessa scramò: - S'aspetti anco il [436] [p. 436 modifica]più piccino; 'nsenza lui nun è giusta la delibberazione. E siccome i fratelli badavano a noiarla che si decidessi subbito, lei diede in un pianto, e se le donne nun eran leste a sorreggerla cascava 'n terra di tonfo stramortita. E' gli prendette un febbrone che la tiense 'n fin di vita; e abbeneché si riavessi, nunistante fu obbligata a rimanere a letto e nun ci fu medico bono a cognoscere la su' malattia. Parse un caso disperato e che, quella poera ragazza dovessi sbasire adagio adagio, com'una lucernina che gli manchi l'olio; nun faceva altro che piagnere, e soltanto si confidava nelle su' pene co' una camberiera fida che gli steva dì e notte al capezzale per custodirla. Infrattanto i du' fratelli nun sapevan darsi pace e s'arrapinavano che ugni cosa gli andessi accosì di traverso, e gli avrebban dato chi sa che per rinuscire a persuadere la Principessa a sposare un di loro. Ma lei, che! "'Nsin che nun torna 'n vita 'l mi' Peppe, i' nun vo' nimo", badava a rispondere; sicché i fratelli capirno che era più meglio lassarla 'n quiete, per nun risicare che lei 'ncattivita palesass'in qualche modo le bricconate che avevano loro commesso in nel viaggio. Ora, accadette che a Peppe 'n fondo di quella pescaia 'gli apparì la Lieprina del bosco a male brighe che i su' fratelli furno partiti, e diviato lo rimettiede a galla vivo tavìa e con a cintola la su' borsa maravigliosa. Peppe sortì dell'acqua, e gli conviense camminare a piedi, e, con gran fatica per lo strapazzo patito, doppo dimolti mesi arrivò pure lui alla città del Re su' padre; ma siccome dubitava che i su' fratelli gli avessen messo del male, e anco per iscoprire tutto il tradimento, nun si fece cognoscere; andette alla prima locanda e diede avviso che era un medico famoso capace di guarire ugni malattia. La gente principiò a chiamarlo Peppe da tutte le parti, e 'l su' nome si sparse tanto che finalmente pure il Re lo volse a visitare la Principessa. 'Gli era appunto quel che Peppe bramava. Dunque una mattina co' un tiro a quattro Peppe scende al Palazzo reale e salito a udienza dal Re gli disse: - Sacra Maestà, i' ho bisogno di vedere la malata a quattr'occhi per confessarla insenza soggezione, insennonò, se lei nun mi s'appalesa, le mi' medicine nun gli fanno pro. Dice il Re: - I' vi do il mi' pieno permesso, e badate di guarirmela questa ragazza, perché mi preme. [p. 437 modifica]Insomma, [437] quando Peppe fu solo 'n cambera con la Principessa, lei saltò giù dal letto bell'e rinsanichita, e chiamato il Re gli scopersano i mali portamenti de' du' fratelli maggiori e che loro avevano volsuto ammazzare Peppe per godersi della su' donna e della su' robba. Il Re a quella nova intendeva di riffa che que' du' birboni fussan subbito menati al supplizio; ma Peppe e la sposa lo supplicorno tanto di perdonargli, che lui s'abbonì, con patto però che loro rimanessano nel palazzo insenza mai pigliar moglie e sempre sottoposti al fratello più piccino. E accosì successe; e Peppe, doppo morto 'l Re su' padre, ereditò il Regno e la corona, e stiede allegro e contento a lato della su' cara sposa. [p. 438 modifica]



NOVELLA LIII


I tre Consigli (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


Un poer'omo, che il campamento lo ricavava dalle su' propie braccia, aveva la su' moglie gravida, e steva soprappensieri del come sopperire alle spese del parto e della creatura da nascere; sicché un giorno disse alla moglie: - Rosina, i' ho fatto pensieri d'andarmene in Maremma per questi nove mesi della tu' gravidanza. I' m'ingegnerò laggiù di buscarmi tanto per il tu' parto e per mantienere la creatura e te in quel mentre che te la rallevi. Arrispose la moglie: - Fa' come ti garba. Vai e guadagna; ma nun te ne scordare d'esser qui quand'i' parturisco. L'omo se n'andiede co' su' fagotti e l'accetta in sulla spalla, e, arrivo in Maremma, trovò un impiego tanto bono, che 'n scambio di rimanerci nove mesi soltanto, si dismenticò per l'affatto della su' moglie, e ci stiede laggiù la bellezza di venticinqu'anni. Ma 'n capo a que' venticinqu'anni gli riviense alla memoria la moglie lassata gravida, e che lui gli aveva imprumesso di rivederla dientro i nove mesi per assisterla in nel parto e portargli tutto il su' guadagno; sicché scrama: - Che zuccone i' so' stato! Com'ho fatt'io a nun arricordarmi per tanto ma' tempo della donna e della su' creatura? Che sia un destino? Ma ora i' nun vo' più trandugiare a ritornarmene a casa. Con quest'idea, va dunque dal padrone a licenziarsi: il padrone però nun era contento che lui lo dibandonassi, perché bon operante e attento al lavoro, e gliene disse di tutte per dissuaderlo: - Che vo' tu? Doppo venticinqu'anni la moglie dev'esser morta, insennonò qualcosa t'arebbe scritto, oppuramente mandato [ [p. 439 modifica]439] un'imbasciata. Dice l'omo: - Nun importa; i' vo' ire a sincerarmi co' mi' propi occhi. E lei, sor padrone, nun mi regala nulla? I' mi sono avanzo a male brighe per la spesa del viaggio. Dice il padrone: - E de' tu' guadagni, che pochi nun ènno stati, che ne fu? Te gli ha' spesi, via! nella bella vita e 'n cantina. Male! I' lo veggo. Te averessi bisogno de' mi' consigli. Ma va' pure, se ti garba; i' ti do' trenta scudi di mancia. Dice l'omo: - I' pigliere' anco i su' consigli, padrone, se lei me gli vole dare. - Perché no? - arrispose il padrone: - ma siccome 'gli è il mi' mestieri di dare e' consigli, i' t'avvertisco che costano dieci scudi l'uno. - Salati! - scrama l'omo. Dice il padrone: - Salati, sì, ma se lo meritano, e chi gli ascolta nun capita ma' male. - Guà! facciamo accosì, - disse l'omo: - vadia per dieci scodi manco di mancia e i' piglio un de' su' consigli, padrone. Dice il padrone: - Deccolo: Nun metter la bocca addove nun ti tocca. L'omo storgé 'l grugno: - Piccino per dieci scudi, padrone! - Ma bono, - fece il padrone, - e ve n'ho anco de' più meglio. Dice l'omo: - Dunque, altri dieci scudi manco. I' ne vo' un altro di questi consigli. Dice il padrone: - Deccolo: Nun lassare la strada vecchia per quella nova. - Piccino anco questo! - scrama l'omo: - ma oramai i' ne vo' anco un altro, e buggiancargli i mi' trenta scudi di mancia. E il padrone: - Deccolo: La superbia della sera asserbala alla mattina. - Poer'a me! com'i' hoe butto i mi' quattrini! - bociò sospirando l'omo. Dice il padrone: - Eppure, se t'ha' mitidio, t'avvederai a su' tempo che nun ènno spesi male. E va' pure al tu' viaggio e che Dio t'accompagni. Ma però te partirai doman mattina a bruzzolo. Stasera si cena per l'ultima volta assieme, e siccome le donne di casa fanno 'l pane, i' ti darò una cofaccia, con ordine espresso di nun la mangiare altro che il giorno doppo del tu' arrivo nel tu' paese e in nel mentre che te desini. Bada d'ubbidire. Dunque a levata di sole l'omo prendette licenzia dal padrone che gli diede una spizzea di quattrini per la spesa della strada, e co' su' fagotti e l'accetta si metté 'n cammino, e a buio si fermò a un'osteria deserta per riposarsi. Comanda la cena, e gli portano la minestra scodellata dientro una testa di schelatro di [440] cristiano. [p. 440 modifica]Eh! gli s'arrizzorno i capelli a lui, e fu 'n sull'undici unce di riscaldarsi per una simile porcheria; ma poi a un tratto ripensò a quel primo consiglio del su' padrone: Nun metter la bocca addove nun ti tocca, e fece le viste di nun essersi accorto di nulla, lassò stare la minestra e ascese 'n cambera digiuno per isdraiarsi a letto, e diviato si spoglia e 'nsacca tra le lenzola: ma a male brighe che si fu disteso, gli parse all'omo che ci fusse qualcuno in sull'altra sponda; tasta e sente un corpo freddo. - Cattadeddina! - scrama: - che c'è egli? - e dal terrore gli s'accapponavano le carni. Svelto l'omo salta giù e accende uno zolfanello, e scopre che nel letto c'era lungo stecchito un ammazzato tutto trasficurito e sanguinente. - Genti mia! i' so' capitato in una spelonca d'assassini! - lui barbottò, e il su' pensieri fu subbito di mettersi alla finestra a sbergolare aiuto. Ma poi disse: - No, che nun mi tocca. Diamo retta al mi' padrone. Sicché insenza più dormire e l'accetta 'n mano per tutti e' casi, aspettò 'l giorno su d'una sieda, e quando s'accorse che nell'osteria gli erano desti, scese 'n cucina per pagare l'alloggio e andarsene. Dice l'oste: - I' nun ho da aver nulla. - Perché? - domanda maravigliato l'omo. E l'oste: - Perché ieri a sera vo' nun mangiasti e stanotte nun ate tocco 'l letto. E mi consolo della vostra prudenzia. Che se vo' facevi del chiasso, vo' eri morto di sicuro. Qui, se capita un bel colpo, un forastiero ricco, s'ammazza e gli si rubba ugni cosa, e la listessa sorte tocca a chi vede e nun tien acqua 'n bocca. Dunque, vo' andate libbero per averla saputa tienere. L'omo in nell'ascoltare un simile discorso e' ripensava tra sé: - Che! i' nun lo pagai caro il primo consiglio del mi' padrone. Per quel che mi poteva succedere dieci scudi furno pochi. L'omo seguitò la su' strada e a sera arriva a un'altra osteria, e con seco gli erano a cena tre giovanotti su' paesani che pure loro arritornavano di Maremma a casa: feciano cognoscenza e si messano a discorrire de' su' 'nteressi. Dice uno: - No' s'è uto sorte quest'anno; s'è buscato una bella somma di quattrini da star bene per un pezzo. E voi? Arrisponde l'omo: - I' ho a male brighe tanto per nun morire di fame per tutto 'l viaggio. Ma voialtri, cari amichi, nun ate mitidio a palesare [ [p. 441 modifica]441] accosì dientro a un'osteria che portate addosso delle munete. E' son loghi di ladri questi che qui. Dice il giovanotto: - Che! nun s'ha mica paura noi. E poi si viaggia di giorno e domani no' si piglia per la strada nova, che è più corta. Vierrete anco voi per la strada nova? - Io noe, - arrispose l'omo: - il mi' padrone mi diede quest'avvertenzia prima ch'i' partissi: Nun lassare la strada vecchia per la nova, sicché i' vo' per la vecchia; e se volete il mi' parere, vienite voialtri piuttosto con meco. - Ah! no davvero, - scramò il giovanotto: - la strada nova è più corta e più comida, e no' si va per di lì. Vo' nun l'ate 'nteso 'l proverbio del padrone; vo' lo spiegate troppo al materiale. Dice l'omo: - Sarà; ma in ugni mo' lassatemi ch'i' vadia per la strada vecchia, e voialtri andate per la nova, se vi garba di più. Dissano i giovanotti: - Allora, siccome no' s'arriva dicerto per i primi a quest'altra fermata, no' vi s'aspetta e s'ordina la cena per tre. Siete contento? Arrispose l'omo: - Oh! per me i' so' contento, e se 'n scambio i' arrivo io per primo, la cena i' l'ordino io. - Bona notte, bona notte, e alla rivista doman da sera all'osteria 'n sulla crociata delle du' vie, la vecchia e la nova, - dissan sgricciando e' giovanotti, e tutti anderno a letto. A bruzzolo gli erano di già 'n piedi, e l'omo s'avviò per la strada vecchia in nel mentre che i du' giovanotti allegri e' nsenza pensieri pigliavano per la nova; ma 'n sulle ventiquattro l'omo arrivo al ritrovo dell'osteria 'gli aspettò 'nvano per insino alla mezzanotte per cenare co' su' paesani, che nun comparirno, e nimo gli aveva visti. Dice l'omo: - E' m'han volsuto fare qualche celia, e a quest'ora 'gli è capace che sono bell'e a casa sua. Sicché cenò solo e poi ascese 'n cambera a dormire. Si levava 'l sole, quando l'omo fu a un tratto svegliato da un vocio di gente che diceva: - Oh! poerini! Poeri disgraziati! Che birbonata! Insospettito l'omo salta da letto, apre la finestra e vede un branco tra donne e omini che ragionavano come ispaventati. Dice: - Che è egli successo? E l'oste: - È successo, che du' giovanotti che tornavano di Maremma con dimolti quattrini, e' gli han trovo e' ladri per la strada nova e sono stati rubbati e ammazzati 'nsenza misericordia. Decco la Compagnia che gli porta. Scrama l'omo a quello spettacolo: [442] - Che! i' n [p. 442 modifica]un l'ho pago caro dieci scudi il secondo consiglio del mi' padrone. E non si volse più trattienere, ma saldato 'l conto all'oste fuggì via, e nun si fermò che al su' propio paese. E qui rimané in nel sentire un gran scampanio nun essendo festa quel giorno; e avviatosi 'n verso casa, vedde 'n sulla terrazza, e la ricognobbe diviato, la su' donna co' un prete giovane che l'abbracciava e la baciava, mentre che lei dal su' canto faceva il simile. All'omo gli s'avvelorno gli occhi dalla rabbia e steva per saltar su con l'accetta 'n tra le mane per gastigare quegli sfacciati, quando gli riviense a mente il terzo consiglio del padrone: La superbia della sera asserbala alla mattina, sicché s'abbonì e svoltate le spalle andiede a albergo in un'osteria per passarci la notte e 'ntanto domandar notizie della moglie. Accosì ideato, si siedette a cena e principiò a discorrire, come se lui fusse stato un forastiero. Dice: - Io che mo' oggi, che nun è festa, e' fanno tutto questo doppio di campane? Arrispose l'oste: - Oh! nun è nulla. Domattina grand'allegrie, sposizione 'n chiesa, baldorie e fochi la sera, pricissioni di ragazze e desinari da principi, e specialmente 'n casa della vedova. Che siete forastiero voi? Dice l'omo: - Sì, e mi garberebbe che vo' mi levassi la curiosità ch'i' ho. Per che ragione, dunque, tutti questi spassi? Arrisponde l'oste: - Vo' ate a sapere che il marito della vedova, ora gli ènno passi venticinque anni, partì per la Maremma e lassò la su' moglie pregna con la 'mprumessa di tornare a assisterla nel parto. 'N scambio lei e' nun l'ha più rivisto, e nun n'ha saputo più né fumo né bruciaticcio, e dicerto lui dev'esser morto. Ma 'nfrattanto alla donna gli nascette un mastio, e siccome lei era povera, certi signori l'aiutorno a rilevarlo, e poi glielo messano 'n Seminario agli studi e il ragazzo diviense virtudioso accosì, che gli è tocco una ricca parrocchia e doman mattina dice per la prima volta Messa, e doppo lui anderà al su' destino. Decco perché in nel paese c'è questo buggianchìo d'allegrezze. - Eh! padrone, padrone! - borbottò l'omo 'n tra' denti: - I' gli spesi pur bene i mi' trenta scudi per que' tre consigli, che allora mi parseno piccolini: ma i' veggo che gli ènno rinusciti dimolto macicani. Insomma la mattina per tempo l'omo picchiò a casa sua; ma dapprima la moglie nun lo ricognobbe; ci volse un po' di tem [p. 443 modifica]po, [443] e lui gli disse tutta la su' vita e feciano le paci, perché s'accorsano che era stato un destino che gli aveva tienuti disseparati per venticinque anni intieri. Dice l'omo: - Il peggio 'gli è che nun mi sono avanzo nulla, e che torno poero come quando partii. Scrama la moglie: - Sie' sano? Basta. Ora nun mi manca il campamento anco per te. Sarà il nostro figliolo che ci mantiene. Dice l'omo: - Mi sbaglio! Qualcosa i' l'ho porta. Il padrone mi diede una cofaccia con ordine espresso che la mangiassi a desinare 'l giorno doppo il mi' arrivo. Dunque, giacché è l'ora del desinare, si vadia a tavola per sentire che robba m'ha regalo. Si messano a tavola l'omo, la su' moglie e 'l su' figliolo, e alle frutta lui stroncò la cofaccia in du' pezzi e cascorno di dientro 'n sulla tovaglia trenta scudi di muneta sonante. Ficuratevi l'allegria e 'l contento! Tutti a una voce benedirno quel bon padrone, perché nun aveva soltanto dato tre consigli giudiziosi al su' lavorante, ma anco reso i trenta scudi che costavano.

E accosì la novella 'gli è finita, E se 'un vi garba leccatevi le dita. [p. 444 modifica]



NOVELLA LIV


Cicerchia o i ventidua Ladri (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


Du' fratelli poeri andevano un giorno per uno al bosco a far legna, e accosì cercavano di buscacchiare alla meglio il campamento della famiglia, perché gli erano ammogliati e co' un branco di figlioli; e il fratello maggiore si chiamava Menico e il minore Gigiuccio. Toccava a Menico di sortire al lavoro, sicché lui, messo 'l basto e le ceste al ciuco, s'avviò là là in verso la macchia, e nel rammontare il seccume si dilontanò tanto ché fece buio, e per di più, nascette a un tratto una gran burrasca di pioggia, di toni e di saette da parere il finimondo. Menico, per ripararsi dal frùscio dell'acqua, legò il ciuco a piè d'una quercia e poi lui ripì dientro al folto delle rame, e 'gli aspettava che si rinsenerassi per ritornarsene a casa, e in quel mentre che lui steva lì gufato, in verso le dua doppo la mezzanotte, vedde vienire sotto la quercia un branco di ventidua ladri armati di stioppi e di stilletti, che si fermorno, e avevano addosso de' gran fagotti e sacchi pienati di robba. A Menico gli si scommosse il bubbolino dalla paura d'esser scoperto e dicerto ammazzato, più poi quando il capo-ladro trovò il ciuco e disse: - Ohé! qui c'è qualcuno in nella macchia. Si cerchi e dategli 'n sul capo 'nsenza misericordia. Per sorte un di quegli altri ladri s'oppose: - A quest'ora e con questo tempo chi volete che sia qui? Hanno lasso 'l ciuco i boscaioli e son faggiti. È più meglio nun lo toccare, che nun s'avveggano del nostro covo qua dientro. Il capo-ladro fu persuaso e accostatosi a piè della quercia scramò: - Cicerchia, apriti. [