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NOVELLA XLIX


La Manetta di morto (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


In una casetta vicino a un bosco ci abitava un omo attempato, che aveva moglie e tre figliole grandi da marito, e per quanto si sa, queste tre ragazze si chiamavano per nome Assunta, Tieresina e Caterina l'ultima; l'omo campellava alla meglio, e ugni volta che gli abbisognava di fare del foco andeva a provvedersi di legna secche nel bosco. Un giorno dunque che lui col su' corbello raunava de' ceppi, deccoti gli vien sopra all'improvviso il padrone, che era un cosaccio com'un Mago e 'nsenza garbo né grazia, e co' una vociaccia terribile gli sbergola: - Oh! birbone, te mi sperperi il mio: te mi sciupini tutto il salvatico. I' sare' capace d'ammazzarti. Dice quel poer'omo impaurito: - Ma, signore, i' ci son sempre vienuto giù di qui e de' malestri nun ce n'ho ma' fatti. I' piglio du' legna secche per riscaldare la mi' moglie e le mi' tre figliole che hanno freddo. - Ah! te ha' tre figliole? - scrama quel mastangone: - E le saranno belle, mi ficuro. Dice l'omo: - Guà! brutte le nun sono. - Bene! - arrisponde il cosaccio. - I' ti perdonerò, e anzi ti lasso libbero di tagliare in nel mi' bosco, ma con patto che te mi dia una delle tu' figliole per mi' moglie. I' son brutto, lo so da mene: da mangiare tavìa e da starsene da signore in casa mia nun me ne manca. Dunque per la tu' figliola, se ha del mitidio, a vienire con meco sarà una sorte macicana. Dice l'omo: - Se loro nun s'appongano, i' nun ci arei accezione. 'Gnamo a casa, si sentirà. Sicché dunque vanno assieme alla casetta dell'omo, che racconta quel che gli è successo e spone la domanda del su' compagno. [