Orlando furioso (1928)/Canto 37

Canto trentesimosettimo

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Canto 36 Canto 38

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CANTO TRENTESIMOSETTIMO


1
     Se, come in acquistar qualch’altro dono
che senza industria non può dar Natura,
affaticate notte e dí si sono
con somma diligenzia e lunga cura
le valorose donne, e se con buono
successo n’è uscit’opra non oscura;
cosí si fosson poste a quelli studi
ch’immortal fanno le mortal virtudi;

2
     e che per sé medesime potuto
avesson dar memoria alle sue lode,
non mendicar dagli scrittori aiuto,
ai quali astio et invidia il cor si rode,
che ’l ben che ne puon dir, spesso è taciuto,
e ’l mal, quanto ne san, per tutto s’ode;
tanto il lor nome sorgeria, che forse
viril fama a tal grado unqua non sorse.

3
     Non basta a molti di prestarsi l’opra
in far l’un l’altro glorïoso al mondo,
ch’anco studian di far che si discuopra
ciò che le donne hanno fra lor d’immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sopra,
e quanto puon, fan per cacciarle al fondo:
dico gli antiqui; quasi l’onor debbia
d’esse il lor oscurar, come il sol nebbia.

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4
     Ma non ebbe e non ha mano né lingua,
formando in voce o discrivendo in carte
(quantunque il mal, quanto può, accresce e impingua,
e minuendo il ben va con ogni arte),
poter però, che de le donne estingua
la gloria sí, che non ne resti parte;
ma non giá tal, che presso al segno giunga,
né ch’anco se gli accosti di gran lunga:

5
     ch’Arpalice non fu, non fu Tomiri,
non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
non chi seguita da Sidonii e Tiri
andò per lungo mare in Libia a porse;
non Zenobia, non quella che gli Assiri,
i Persi e gl’Indi con vittoria scórse:
non fur queste e poch’altre degne sole,
di cui per arme eterna fama vole.

6
     E di fedeli e caste e saggie e forti
stato ne son, non pur in Grecia e in Roma,
ma in ogni parte ove fra gl’Indi e gli Orti
de le Esperide il Sol spiega la chioma:
de le quai sono i pregi agli onor morti,
sí ch’a pena di mille una si noma;
e questo, perché avuto hanno ai lor tempi
gli scrittori bugiardi, invidi et empi.

7
     Non restate però, donne, a cui giova
il bene oprar, di seguir vostra via;
né da vostra alta impresa vi rimuova
tema che degno onor non vi si dia:
che, come cosa buona non si trova
che duri sempre, cosí ancor né ria.
Se le carte sin qui state e gl’inchiostri
per voi non sono, or sono a’ tempi nostri.

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8
     Dianzi Marullo et il Pontan per vui
sono, e duo Strozzi il padre, e ’l figlio, stati:
c’è il Bembo, c’è il Capel, c’è chi, qual lui
vediamo, ha tali i cortigian formati:
c’è un Luigi Alaman: ce ne son dui,
di par da Marte e da le Muse amati,
ambi del sangue che regge la terra
che ’l Menzo fende e d’alti stagni serra.

9
     Di questi l’uno, oltre che ’l proprio instinto
ad onorarvi e a riverirvi inchina,
e far Parnasso risonare e Cinto
di vostra laude, e porla al ciel vicina;
l’amor, la fede, il saldo e non mai vinto
per minacciar di strazii e di ruina,
animo ch’Issabella gli ha dimostro,
lo fa, assai piú che di se stesso, vostro:

10
     sí che non è per mai trovarsi stanco
di farvi onor nei suoi vivaci carmi:
e s’altri vi dá biasmo, non è ch’anco
sia piú pronto di lui per pigliar l’armi:
e non ha il mondo cavallier che manco
la vita sua per la virtú rispiarmi.
Dá insieme egli materia ond’altri scriva,
e fa la gloria altrui, scrivendo, viva.

11
     Et è ben degno che sí ricca donna,
ricca di tutto quel valor che possa
esser fra quante al mondo portin gonna,
mai non si sia di sua constanzia mossa;
e sia stata per lui vera colonna,
sprezzando di Fortuna ogni percossa:
di lei degno egli, e degna ella di lui;
né meglio s’accoppiaro unque altri dui.

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12
     Nuovi trofei pon su la riva d’Oglio;
ch’in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a ruote
ha sparso alcun tanto ben scritto foglio,
che ’l vicin fiume invidia aver gli puote.
Appresso a questo un Ercol Bentivoglio
fa chiaro il vostro onor con chiare note,
e Renato Trivulcio, e ’l mio Guidetto,
e ’l Molza, a dir di voi da Febo eletto.

13
     C’è ’l duca de’ Carnuti Ercol, figliuolo
del duca mio, che spiega l’ali come
canoro cigno, e va cantando a volo,
e fin al cielo udir fa il vostro nome.
C’è il mio signor del Vasto, a cui non solo
di dare a mille Atene e a mille Rome
di sé materia basta, ch’anco accenna
volervi eterne far con la sua penna.

14
     Et oltre a questi et altri ch’oggi avete,
che v’hanno dato gloria e ve la danno,
voi per voi stesse dar ve la potete;
poi che molte, lasciando l’ago e ’l panno,
son con le Muse a spegnersi la sete
al fonte d’Aganippe andate, e vanno;
e ne ritornan tai, che l’opra vostra
è piú bisogno a noi, ch’a voi la nostra.

15
     Se chi sian queste, e di ciascuna voglio
render buon conto, e degno pregio darle,
bisognerá ch’io verghi piú d’un foglio,
e ch’oggi il canto mio d’altro non parle:
e s’a lodarne cinque o sei ne toglio,
io potrei l’altre offendere e sdegnarle.
Che farò dunque? Ho da tacer d’ognuna,
o pur fra tante sceglierne sol una?

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16
     Sceglieronne una; e sceglierolla tale,
che superato avrá l’invidia in modo,
che nessun’altra potrá avere a male,
se l’altre taccio, e se lei sola lodo.
Quest’una ha non pur sé fatta immortale
col dolce stil di che il meglior non odo;
ma può qualunque di cui parli o scriva,
trar del sepolcro, e far ch’eterno viva.

17
     Come Febo la candida sorella
fa piú di luce adorna, e piú la mira,
che Venere o che Maia o ch’altra stella
che va col cielo o che da sé si gira:
cosí facundia, piú ch’all’altre, a quella
di ch’io vi parlo, e piú dolcezza spira;
e dá tal forza all’alte sue parole,
ch’orna a’ dí nostri il ciel d’un altro sole.

18
     Vittoria è ’l nome; e ben conviensi a nata
fra le vittorie, et a chi, o vada o stanzi,
di trofei sempre e di trionfi ornata,
la vittoria abbia seco, o dietro o inanzi.
Questa è un’altra Artemisia, che lodata
fu di pietá verso il suo Mausolo; anzi
tanto maggior, quanto è piú assai bell’opra,
che por sotterra un uom, trarlo di sopra.

19
     Se Laodamía, se la moglier di Bruto,
s’Arria, s’Argia, s’Evadne, e s’altre molte
meritâr laude per aver voluto,
morti i mariti, esser con lor sepolte;
quanto onore a Vittoria è piú dovuto,
che di Lete e del rio che nove volte
l’ombre circonda, ha tratto il suo consorte,
mal grado de le Parche e de la Morte!

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20
     S’al fiero Achille invidia de la chiara
meonia tromba il Macedonico ebbe,
quanto, invitto Francesco di Pescara,
maggiore a te, se vivesse or, l’avrebbe!
che sí casta mogliere e a te sí cara
canti l’eterno onor che ti si debbe,
e che per lei sí ’l nome tuo rimbombe,
che da bramar non hai piú chiare trombe.

21
     Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto
io n’ho desir, volessi porre in carte,
ne direi lungamente; ma non tanto,
ch’a dir non ne restasse anco gran parte:
e di Marfisa e dei compagni intanto
la bella istoria rimarria da parte,
la quale io vi promisi di seguire,
s’in questo canto mi verreste a udire.

22
     Ora essendo voi qui per ascoltarmi,
et io per non mancar de la promessa,
serberò a maggior ozio di provarmi
ch’ogni laude di lei sia da me espressa;
non perch’io creda bisognar miei carmi
a chi se ne fa copia da se stessa;
ma sol per satisfare a questo mio,
c’ho d’onoraria e di lodar, disio.

23
     Donne, io conchiudo in somma, ch’ogni etate
molte ha di voi degne d’istoria avute;
ma per invidia di scrittori state
non sète dopo morte conosciute:
il che piú non sará, poi che voi fate
per voi stesse immortal vostra virtute.
Se far le due cognate sapean questo,
si sapria meglio ogni lor degno gesto.

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24
     Di Bradamante e di Marfisa dico,
le cui vittorïose inclite prove
di ritornare in luce m’affatico;
ma de le diece mancanmi le nove.
Queste ch’io so, ben volentieri esplico;
sí perché ogni bell’opra si de’, dove
occulta sia, scoprir, sí perché bramo
a voi, donne, aggradir, ch’onoro et amo.

25
     Stava Ruggier, com’io vi dissi, in atto
di partirsi, et avea commiato preso,
e dall’arbore il brando giá ritratto,
che, come dianzi, non gli fu conteso;
quando un gran pianto, che non lungo tratto
era lontan, lo fe’ restar sospeso;
e con le donne a quella via si mosse,
per aiutar, dove bisogno fosse.

26
     Spingonsi inanzi, e via piú chiaro il suon ne
viene, e via piú son le parole intese.
Giunti ne la vallea, trovan tre donne
che fan quel duolo, assai strane in arnese;
che fin all’ombilico ha lor le gonne
scorciate non so chi poco cortese:
e per non saper meglio elle celarsi,
sedeano in terra, e non ardian levarsi.

27
     Come quel figlio di Vulcan, che venne
fuor de la polve senza madre in vita,
e Pallade nutrir fe’ con solenne
cura d’Aglauro, al veder troppo ardita,
sedendo, ascosi i brutti piedi tenne
su la quadriga da lui prima ordita;
cosí quelle tre giovani le cose
secrete lor tenean, sedendo, ascose.

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28
     Lo spettacolo enorme e disonesto
l’una e l’altra magnanima guerriera
fe’ del color che nei giardin di Pesto
esser la rosa suol da primavera.
Riguardò Bradamante, e manifesto
tosto le fu ch’Ullania una d’esse era,
Ullania che da l’Isola Perduta
in Francia messaggiera era venuta:

29
     e riconobbe non men l’altre due;
che dove vide lei, vide esse ancora.
Ma se n’andaron le parole sue
a quella de le tre ch’ella piú onora;
e le domanda chi sí iniquo fue,
e sí di legge e di costumi fuora,
che quei segreti agli occhi altrui riveli,
che, quanto può, par che Natura celi.

30
     Ullania che conosce Bradamante,
non meno ch’alle insegne, alla favella,
esser colei che pochi giorni inante
avea gittati i tre guerrier di sella,
narra che ad un castel poco distante
una ria gente e di pietá ribella,
oltre all’ingiuria di scorciarle i panni,
l’avea battuta e fattol’altri danni.

31
     Né le sa dir che de lo scudo sia,
né dei tre re che per tanti paesi
fatto le avean sí lunga compagnia:
non sa se morti, o sian restati presi;
e dice c’ha pigliata questa via,
ancor ch’andare a piè molto le pesi,
per richiamarsi de l’oltraggio a Carlo,
sperando che non sia per tolerarlo.

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32
     Alle guerriere et a Ruggier, che meno
non han pietosi i cor, ch’audaci e forti,
de’ bei visi turbò l’aer sereno
l’udire, e piú il veder sí gravi torti:
et oblïando ogn’altro affar che avieno,
e senza che li prieghi o che gli esorti
la donna afflitta a far la sua vendetta,
piglian la via verso quel luogo in fretta.

33
     Di commune parer le sopraveste,
mosse da gran bontá, s’aveano tratte,
ch’a ricoprir le parti meno oneste
di quelle sventurate assai furo atte.
Bradamante non vuol ch’Ullania peste
le strade a piè, ch’avea a piede anco fatte,
e se la leva in groppa del destriero;
l’altra Marfisa, l’altra il buon Ruggiero.

34
     Ullania a Bradamante che la porta,
mostra la via che va al castel piú dritta:
Bradamante all’incontro lei conforta,
che la vendicherá di chi l’ha afflitta.
Lascian la valle, e per via lunga e torta
sagliono un colle or a man manca or ritta;
e prima il sol fu dentro il mare ascoso,
che volesser tra via prender riposo.

35
     Trovaro una villetta che la schena
d’un erto colle, aspro a salir, tenea;
ove ebbon buono albergo e buona cena,
quale avere in quel loco si potea.
Si mirano d’intorno, e quivi piena
ogni parte di donne si vedea,
quai giovani, quai vecchie; e in tanto stuolo
faccia non v’apparia d’un uomo solo.

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36
     Non piú a Iason di maraviglia denno,
né agli Argonauti che venian con lui,
le donne che i mariti morir fenno
e i figli e i padri coi fratelli sui,
sí che per tutta l’isola di Lenno
di viril faccia non si vider dui;
che Ruggier quivi, e chi con Ruggier era
maraviglia ebbe all’alloggiar la sera.

37
     Fêro ad Ullania et alle damigelle
che venivan con lei, le due guerriere
la sera proveder di tre gonnelle,
se non cosí polite, almeno intere.
A sé chiama Ruggiero una di quelle
donne ch’abitan quivi, e vuol sapere
ove gli uomini sian, ch’un non ne vede;
et ella a lui questa risposta diede:

38
     — Questa che forse è maraviglia a voi,
che tante donne senza uomini siamo,
è grave e intolerabil pena a noi,
che qui bandite misere viviamo.
E perché il duro esilio piú ci annoi,
padri, figli e mariti, che sí amiamo,
aspro e lungo divorzio da noi fanno,
come piace al crudel nostro tiranno.

39
     Da le sue terre, le quai son vicine
a noi due leghe, e dove noi sián nate,
qui ci ha mandato il barbaro in confine,
prima di mille scorni ingiurïate;
et ha gli uomini nostri e noi meschine
di morte e d’ogni strazio minacciate,
se quelli a noi verranno, o gli fia detto
che noi dián lor, venendoci, ricetto.

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40
     Nimico è sí costui del nostro nome,
che non ci vuol, piú ch’io vi dico, appresso,
né ch’a noi venga alcun de’ nostri, come
l’odor l’ammorbi del femineo sesso.
Giá due volte l’onor de le lor chiome
s’hanno spogliato gli alberi e rimesso,
da indi in qua che ’l rio signor vaneggia
in furor tanto: e non è chi ’l correggia;

41
     che ’l populo ha di lui quella paura
che maggior aver può l’uom de la morte;
ch’aggiunto al mal voler gli ha la natura
una possanza fuor d’umana sorte.
Il corpo suo di gigantea statura
è piú, che di cent’altri insieme, forte.
Né pur a noi sue suddite è molesto,
ma fa alle strane ancor peggio di questo.

42
     Se l’onor vostro, e questre tre vi sono
punto care, ch’avete in compagnia,
piú vi sará sicuro, utile e buono
non gir piú inanzi, e trovar altra via.
Questa al castel de l’uom di ch’io ragiono,
a provar mena la costuma ria
che v’ha posta il crudel con scorno e danno
di donne e di guerrier che di lá vanno.

43
     Marganor il fellon (cosí si chiama
il signore, il tiran di quel castello),
del qual Nerone, o s’altri è ch’abbia fama
di crudeltá, non fu piú iniquo e fello,
il sangue uman, ma ’l feminil piú brama,
che ’l lupo non lo brama de l’agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte
da lor ria sorte a quel castel condutte. —

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44
     Perché quell’empio in tal furor venisse,
volson le donne intendere e Ruggiero:
pregar colei, ch’in cortesia seguisse,
anzi che cominciasse il conto intero.
— Fu il signor del castel (la donna disse)
sempre crudel, sempre inumano e fiero;
ma tenne un tempo il cor maligno ascosto,
né si lasciò conoscer cosí tosto:

45
     che mentre duo suoi figli erano vivi,
molto diversi dai paterni stili,
ch’amavan forestieri, et eran schivi
di crudeltade e degli altri atti vili;
quivi le cortesie fiorivan, quivi
i bei costumi e l’opere gentili:
che ’l padre mai, quantunque avaro fosse,
da quel che lor piacea non li rimosse.

46
     Le donne e i cavallier che questa via
facean talor, venian sí ben raccolti,
che si partian de l’alta cortesia
dei duo germani inamorati molti.
Amendui questi di cavalleria
parimente i santi ordini avean tolti:
Cilandro l’un, l’altro Tanacro detto,
gagliardi, arditi e di reale aspetto.

47
     Et eran veramente, e sarian stati
sempre di laude degni e d’ogni onore,
s’in preda non si fossino sí dati
a quel desir che nominiamo amore;
per cui dal buon sentier fur travïati
al labirinto et al camin d’errore;
e ciò che mai di buono aveano fatto,
restò contaminato e brutto a un tratto.

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48
     Capitò quivi un cavallier di corte
del greco imperator, che seco avea
una sua donna di maniere accorte,
bella quanto bramar piú si potea.
Cilandro in lei s’inamorò sí forte,
che morir, non l’avendo, gli parea:
gli parea che dovesse, alla partita
di lei, partire insieme la sua vita.

49
     E perché i prieghi non v’avriano loco,
di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal castel lontano un poco,
ove passar dovean, cheto s’ascose.
L’usata audacia e l’amoroso fuoco
non gli lasciò pensar troppo le cose:
sí che vedendo il cavallier venire,
l’andò lancia per lancia ad assalire.

50
     Al primo incontro credea porlo in terra,
portar la donna e la vittoria indietro;
ma ’l cavallier, che mastro era di guerra,
l’osbergo gli spezzò come di vetro.
Venne la nuova al padre ne la terra,
che lo fe’ riportar sopra un ferètro;
e ritrovandol morto, con gran pianto
gli diè sepulcro agli antiqui avi a canto.

51
     Né piú però né manco si contese
l’albergo e l’accoglienza a questo e a quello,
perché non men Tanacro era cortese,
né meno era gentil di suo fratello.
L’anno medesmo di lontan paese
con la moglie un baron venne al castello,
a maraviglia egli gagliardo, et ella,
quanto si possa dir, leggiadra e bella;

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52
     né men che bella, onesta e valorosa,
e degna veramente d’ogni loda:
il cavallier, di stirpe generosa,
di tanto ardir, quanto piú d’altri s’oda.
E ben conviensi a tal valor, che cosa
di tanto prezzo e sí eccellente goda.
Olindro il cavallier da Lungavilla,
la donna nominata era Drusilla.

53
     Non men di questa il giovene Tanacro
arse, che ’l suo fratel di quella ardesse,
che gli fe’ gustar fine acerbo et acro
del desiderio ingiusto ch’in lei messe.
Non men di lui di vïolar del sacro
e santo ospizio ogni ragione ellesse,
piú tosto che patir che ’l duro e forte
nuovo desir lo conducesse a morte.

54
     Ma perch’avea dinanzi agli occhi il tema
del suo fratel che n’era stato morto,
pensa di torla in guisa, che non tema
ch’Olindro s’abbia a vendicar del torto.
Tosto s’estingue in lui, non pur si scema
quella virtú su che solea star sorto;
che non lo sommergean dei vizii l’acque,
de le quai sempre al fondo il padre giacque.

55
     Con gran silenzio fece quella notte
seco raccor da vent’uomini armati;
e lontan dal castel, fra certe grotte
che si trovan tra via, messe gli aguati.
Quivi ad Olindro il dí le strade rotte,
e chiusi i passi fur da tutti i lati;
e ben che fe’ lunga difesa e molta,
pur la moglie e la vita gli fu tolta.

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56
     Ucciso Olindro, ne menò captiva
la bella donna, addolorata in guisa,
ch’a patto alcun restar non volea viva,
e di grazia chiedea d’essere uccisa.
Per morir si gittò giú d’una riva
che vi trovò sopra un vallone assisa;
e non poté morir, ma con la testa
rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.

57
     Altrimente Tanacro riportarla
a casa non poté che s’una bara.
Fece con diligenzia medicarla;
che perder non volea preda sí cara.
E mentre che s’indugia a risanarla,
di celebrar le nozze si prepara:
ch’aver sí bella donna e sí pudica
debbe nome di moglie, e non d’amica.

58
     Non pensa altro Tanacro, altro non brama,
d’altro non cura, e d’altro mai non parla.
Si vede averla offesa, e se ne chiama
in colpa, e ciò che può, fa d’emendarla.
Ma tutto è invano: quanto egli piú l’ama,
quanto piú s’affatica di placarla,
tant’ella odia piú lui, tanto è piú forte,
tanto è piú ferma in voler porlo a morte.

59
     Ma non però quest’odio cosí ammorza
la conoscenza in lei, che non comprenda
che, se vuol far quanto disegna, è forza
che simuli, et occulte insidie tenda;
e che ’l desir sotto contraria scorza
(il quale è sol come Tanacro offenda)
veder gli faccia; e che si mostri tolta
dal primo amore, e tutto a lui rivolta.

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60
     Simula il viso pace; ma vendetta
chiama il cor dentro, e ad altro non attende.
Molte cose rivolge, alcune accetta,
altre ne lascia, et altre in dubbio appende.
Le par che quando essa a morir si metta,
avrá il suo intento; e quivi al fin s’apprende.
E dove meglio può morire, o quando,
che ’l suo caro marito vendicando?

61
     Ella si mostra tutta lieta, e finge
di queste nozze aver sommo disio;
e ciò che può indugiarle, a dietro spinge,
non ch’ella mostri averne il cor restio.
Piú de l’altre s’adorna e si dipinge:
Olindro al tutto par messo in oblio.
Ma che sian fatte queste nozze vuole,
come ne la sua patria far si suole.

62
     Non era però ver che questa usanza
che dir volea, ne la sua patria fosse:
ma, perché in lei pensier mai non avanza,
che spender possa altrove, imaginosse
una bugia, la qual le diè speranza
di far morir chi ’l suo signor percosse:
e disse di voler le nozze a guisa
de la sua patria, e ’l modo gli devisa.

63
     — La vedovella che marito prende,
deve, prima (dicea) ch’a lui s’appresse,
placar l’alma del morto ch’ella offende,
facendo celebrargli offici e messe,
in remission de le passate mende,
nel tempio ove di quel son l’ossa messe;
e dato fin ch’al sacrificio sia,
alla sposa l’annel lo sposo dia:

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64
     ma ch’abbia in questo mezzo il sacerdote
sul vino ivi portato a tale effetto
approprïate orazïon devote,
sempre il liquor benedicendo, detto;
indi che ’l fiasco in una coppa vòte,
e dia alli sposi il vino benedetto:
ma portare alla sposa il vino tocca,
et esser prima a porvi su la bocca. —

65
     Tanacro, che non mira quanto importe
ch’ella le nozze alla sua usanza faccia,
le dice: — Pur che ’l termine si scorte
d’essere insieme, in questo si compiaccia. —
Né s’avede il meschin ch’essa la morte
d’Olindro vendicar cosí procaccia,
e sí la voglia ha in uno oggetto intensa,
che sol di quello, e mai d’altro non pensa.

66
     Avea seco Drusilla una sua vecchia,
che seco presa, seco era rimasa.
A sé chiamolla, e le disse all’orecchia,
sí che non poté udire uomo di casa:
— Un subitano tòsco m’apparecchia,
qual so che sai comporre, e me lo invasa;
c’ho trovato la via di vita tôrre
il traditor figliuol di Marganorre.

67
     E me so come, e te salvar non meno:
ma diferisco a dirtelo piú ad agio. —
Andò la vecchia, e apparecchiò il veneno,
et acconciollo, e ritornò al palagio.
Di vin dolce di Candia un fiasco pieno
trovò da por con quel succo malvagio,
e lo serbò pel giorno de le nozze;
ch’omai tutte l’indugie erano mozze.

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68
     Lo statuito giorno al tempio venne,
di gemme ornata e di leggiadre gonne,
ove d’Olindro, come gli convenne,
fatto avea l’arca alzar su due colonne.
Quivi l’officio si cantò solenne:
trasseno a udirlo tutti, uomini e donne;
e lieto Marganor piú de l’usato,
venne col figlio e con gli amici a lato.

69
     Tosto ch’al fin le sante esequie fôro,
e fu col tòsco il vino benedetto,
il sacerdote in una coppa d’oro
lo versò, come avea Drusilla detto.
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
si conveniva, e potea far l’effetto:
poi diè allo sposo con viso giocondo
il nappo; e quel gli fe’ apparire il fondo.

70
     Renduto il nappo al sacerdote, lieto
per abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or quivi il dolce stile e mansueto
in lei si cangia e quella gran bonaccia.
Lo spinge a dietro, e gli ne fa divieto,
e par ch’arda negli occhi e ne la faccia;
e con voce terribile e incomposta
gli grida: — Traditor, da me ti scosta!

71
     Tu dunque avrai da me solazzo e gioia,
io lagrime da te, martíri e guai?
Io vo’ per le mie man ch’ora tu muoia:
questo è stato venen, se tu nol sai.
Ben mi duol c’hai troppo onorato boia,
che troppo lieve e facil morte fai;
che mani e pene io non so sí nefande,
che fosson pari al tuo peccato grande.

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72
     Mi duol di non vedere in questa morte
il sacrificio mio tutto perfetto:
che s’io ’l poteva far di quella sorte
ch’era il disio, non avria alcun difetto.
Di ciò mi scusi il dolce mio consorte:
riguardi al buon volere, e l’abbia accetto;
che non potendo come avrei voluto,
io t’ho fatto morir come ho potuto.

73
     E la punizïon che qui, secondo
il desiderio mio, non posso darti,
spero l’anima tua ne l’altro mondo
veder patire; et io starò a mirarti. —
Poi disse, alzando con viso giocondo
i turbidi occhi alle superne parti:
— Questa vittima, Olindro, in tua vendetta
col buon voler de la tua moglie accetta;

74
     et impetra per me dal Signor nostro
grazia, ch’in paradiso oggi io sia teco.
Se ti dirá che senza merto al vostro
regno anima non vien, di’ ch’io l’ho meco;
che di questo empio e scelerato mostro
le spoglie opime al santo tempio arreco.
E che merti esser puon maggior di questi,
spenger sí brutte e abominose pesti? —

75
     Finí il parlare insieme con la vita;
e morta anco parea lieta nel volto
d’aver la crudeltá cosí punita
di chi il caro marito le avea tolto.
Non so se prevenuta, o se seguita
fu da lo spirto di Tanacro sciolto:
fu prevenuta, credo; ch’effetto ebbe
prima il veneno in lui, perché piú bebbe.

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76
     Marganor che cader vede il figliuolo,
e poi restar ne le sue braccia estinto,
fu per morir con lui, dal grave duolo
ch’alla sprovista lo trafisse, vinto.
Duo n’ebbe un tempo, or si ritrova solo:
due femine a quel termine l’han spinto.
La morte a l’un da l’una fu causata;
e l’altra all’altro di sua man l’ha data.

77
     Amor, pietá, sdegno, dolore et ira,
disio di morte e di vendetta insieme
quell’infelice et orbo padre aggira,
che, come il mar che turbi il vento, freme.
Per vendicarsi va a Drusilla, e mira
che di sua vita ha chiuse l’ore estreme;
e come il punge e sferza l’odio ardente,
cerca offendere il corpo che non sente.

78
     Qual serpe che ne l’asta ch’alla sabbia
la tenga fissa, indarno i denti metta;
o qual mastin ch’al ciottolo che gli abbia
gittato il vïandante, corra in fretta,
e morda invano con stizza e con rabbia,
né se ne voglia andar senza vendetta:
tal Marganor d’ogni mastin, d’ogni angue
via piú crudel, fa contra il corpo esangue.

79
     E poi che per stracciarlo e farne scempio
non si sfoga il fellon né disacerba,
vien fra le donne di che è pieno il tempio,
né piú l’una de l’altra ci riserba;
ma di noi fa col brando crudo et empio
quel che fa con la falce il villan d’erba.
Non vi fu alcun ripar, ch’in un momento
trenta n’uccise, e ne ferí ben cento.

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80
     Egli da la sua gente è sí temuto,
ch’uomo non fu ch’ardisse alzar la testa.
Fuggon le donne col popul minuto
fuor de la chiesa, e chi può uscir, non resta.
Quel pazzo impeto al fin fu ritenuto
dagli amici con prieghi e forza onesta,
e lasciando ogni cosa in pianto al basso,
fatto entrar ne la ròcca in cima al sasso.

81
     E tuttavia la colera durando,
di cacciar tutte per partito prese;
poi che gli amici e ’l populo pregando,
che non ci uccise a fatto, gli contese:
e quel medesmo dí fe’ andare un bando,
che tutte gli sgombrassimo il paese;
e darci qui gli piacque le confine.
Misera chi al castel piú s’avvicine!

82
     Da le mogli cosí furo i mariti,
da le madri cosí i figli divisi.
S’alcuni sono a noi venire arditi,
nol sappia giá chi Marganor n’avisi;
che di multe gravissime puniti
n’ha molti, e molti crudelmente uccisi.
Al suo castello ha poi fatto una legge,
di cui peggior non s’ode né si legge.

83
     Ogni donna che trovin ne la valle,
la legge vuol (ch’alcuna pur vi cade)
che percuotan con vimini alle spalle,
e la faccian sgombrar queste contrade:
ma scorciar prima i panni, e mostrar fálle
quel che Natura asconde et Onestade;
e s’alcuna vi va, ch’armata scorta
abbia di cavallier, vi resta morta.

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84
     Quelle c’hanno per scorta cavallieri,
son da questo nimico di pietate,
come vittime, tratte ai cimiteri
dei morti figli, e di sua man scannate.
Leva con ignominia arme e destrieri,
e poi caccia in prigion chi l’ha guidate:
e lo può far; che sempre notte e giorno
si trova piú di mille uomini intorno.

84
     E dir di piú vi voglio ancora, ch’esso,
s’alcun ne lascia, vuol che prima giuri
su l’ostia sacra, che ’l femineo sesso
in odio avrá fin che la vita duri.
Se perder queste donne e voi appresso
dunque vi pare, ite a veder quei muri
ove alberga il fellone, e fate prova
s’in lui piú forza o crudeltá si trova. —

86
     Cosí dicendo, le guerriere mosse
prima a pietade, e poscia a tanto sdegno,
che se, come era notte, giorno fosse,
sarian corse al castel senza ritegno.
La bella compagnia quivi pososse;
e tosto che l’Aurora fece segno
che dar dovesse al Sol loco ogni stella,
ripigliò l’arme e si rimesse in sella.

87
     Giá sendo in atto di partir, s’udiro
le strade risonar dietro le spalle
d’un lungo calpestio, che gli occhi in giro
fece a tutti voltar giú ne la valle.
E lungi quanto esser potrebbe un tiro
di mano, andar per uno istretto calle
vider da forse venti armati in schiera,
di che parte in arcion, parte a pied’era;

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88
     e che traean con lor sopra un cavallo
donna ch’al viso aver parea molt’anni,
a guisa che si mena un che per fallo
a fuoco o a ceppo o a laccio si condanni:
la qual fu, non ostante l’intervallo,
tosto riconosciuta al viso e ai panni.
La riconobber queste de la villa
esser la cameriera di Drusilla:

89
     la cameriera che con lei fu presa
dal rapace Tanacro, come ho detto,
et a chi fu dipoi data l’impresa
di quel venen che fe’ ’l crudele effetto.
Non era entrata ella con l’altre in chiesa;
che di quel che seguí stava in sospetto:
anzi in quel tempo, de la villa uscita,
ove esser sperò salva, era fugita.

90
     Avuto Marganor poi di lei spia,
la qual s’era ridotta in Ostericche,
non ha cessato mai di cercar via
come in man l’abbia, acciò l’abruci o impicche:
e finalmente l’Avarizia ria,
mossa da doni e da proferte ricche,
ha fatto ch’un baron, ch’assicurata
l’avea in sua terra, a Marganor l’ha data:

91
     e mandata glie l’ha fin a Costanza
sopra un somier, come la merce s’usa,
legata e stretta, e toltole possanza
di far parole, e in una cassa chiusa:
onde poi questa gente l’ha ad instanza
de l’uom ch’ogni pietade ha da sé esclusa,
quivi condotta con disegno ch’abbia
l’empio a sfogar sopra di lei sua rabbia.

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92
     Come il gran fiume che di Vesulo esce,
quanto piú inanzi e verso il mar discende,
e che con lui Lambra e Ticin si mesce,
et Ada e gli altri onde tributo prende,
tanto piú altiero e impetuoso cresce;
cosí Ruggier, quante piú colpe intende
di Marganor, cosí le due guerriere
se gli fan contra piú sdegnose e fiere.

93
     Elle fur d’odio, elle fur d’ira tanta
contra il crudel, per tante colpe, accese,
che di punirlo, mal grado di quanta
gente egli avea, conclusïon si prese.
Ma dargli presta morte troppo santa
pena lor parve e indegna a tante offese;
et era meglio fargliela sentire,
fra strazio prolungandola e martíre.

94
     Ma prima liberar la donna è onesto,
che sia condotta da quei birri a morte.
Lentar di briglia col calcagno presto
fece a’ presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assaliti mai di questo
uno incontro piú acerbo né piú forte;
sí che han di grazia di lasciar gli scudi
e la donna e l’arnese, e fuggir nudi:

95
     sí come il lupo che di preda vada
carco alla tana, e quando piú si crede
d’esser sicur, dal cacciator la strada
e da’ suoi cani attraversar si vede,
getta la soma, e dove appar men rada
la scura macchia inanzi, affretta il piede.
Giá men presti non fur quelli a fuggire,
che li fusson quest’altri ad assalire.

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96
     Non pur la donna e l’arme vi lasciaro,
ma de’ cavalli ancor lasciaron molti,
e da rive e da grotte si lanciaro,
parendo lor cosí d’esser piú sciolti.
Il che alle donne et a Ruggier fu caro;
che tre di quei cavalli ebbono tolti
per portar quelle tre che ’l giorno d’ieri
feron sudar le groppe ai tre destrieri.

97
     Quindi espediti segueno la strada
verso l’infame e dispietata villa.
Voglion che seco quella vecchia vada,
per veder la vendetta di Drusilla.
Ella che teme che non ben le accada,
lo niega indarno, e piange e grida e strilla;
ma per forza Ruggier la leva in groppa
del buon Frontino, e via con lei galoppa.

98
     Giunseno in somma onde vedeano al basso
di molte case un ricco borgo e grosso,
che non serrava d’alcun lato il passo,
perché né muro intorno avea né fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso
ch’un’alta ròcca sostenea sul dosso.
A quella si drizzâr con gran baldanza,
ch’esser sapean di Marganor la stanza.

99
     Tosto che son nel borgo, alcuni fanti
che v’erano alla guardia de l’entrata,
dietro chiudon la sbarra, e giá davanti
veggion che l’altra uscita era serrata:
et ecco Marganorre, e seco alquanti
a piè e a cavallo, e tutta gente armata;
che con brevi parole, ma orgogliose,
la ria costuma di sua terra espose.

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100
     Marfisa, la qual prima avea composta
con Bradamante e con Ruggier la cosa,
gli spronò incontro in cambio di risposta;
e com’era possente e valorosa,
senza ch’abbassi lancia, o che sia posta
in opra quella spada sí famosa,
col pugno in guisa l’elmo gli martella,
che lo fa tramortir sopra la sella.

101
     Con Marfisa la giovane di Francia
spinge a un tempo il destrier, né Ruggier resta,
ma con tanto valor corre la lancia,
che sei, senza levarsela di resta,
n’uccide, uno ferito ne la pancia,
duo nel petto, un nel collo, un ne la testa:
nel sesto che fuggia l’asta si roppe,
ch’entrò alle schene e riuscí alle poppe.

102
     La figliuola d’Amon quanti ne tocca
con la sua lancia d’or, tanti n’atterra:
fulmine par, che ’l cielo ardendo scocca,
che ciò ch’incontra, spezza e getta a terra.
Il popul sgombra, chi verso la ròcca,
chi verso il piano; altri si chiude e serra,
chi ne le chiese e chi ne le sue case;
né, fuor che morti, in piazza uomo rimase.

103
     Marfisa Marganorre avea legato
intanto con le man dietro alle rene,
et alla vecchia di Drusilla dato,
ch’appagata e contenta se ne tiene.
D’arder quel borgo poi fu ragionato,
s’a penitenzia del suo error non viene:
levi la legge ria di Marganorre,
e questa accetti, ch’essa vi vuol porre.

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104
     Non fu giá d’ottener questo fatica;
che quella gente, oltre al timor ch’avea
che piú faccia Marfisa che non dica,
ch’uccider tutti et abbruciar volea,
di Marganorre affatto era nimica
e de la legge sua crudele e rea.
Ma ’l populo facea come i piú fanno,
ch’ubbidiscon piú a quei che piú in odio hanno.

105
     Però che l’un de l’altro non si fida,
e non ardisce conferir sua voglia,
lo lascian ch’un bandisca, un altro uccida,
a quel l’avere, a questo l’onor toglia.
Ma il cor che tace qui, su nel ciel grida,
fin che Dio e santi alla vendetta invoglia;
la qual, se ben tarda a venir, compensa
l’indugio poi con punizione immensa.

106
     Or quella turba d’ira e d’odio pregna
con fatti e con mal dir cerca vendetta:
com’è in proverbio, ognun corre a far legna
all’arbore che ’l vento in terra getta.
Sia Marganorre essempio di chi regna;
che chi mal opra, male al fine aspetta.
Di vederlo punir de’ suoi nefandi
peccati, avean piacer piccioli e grandi.

107
     Molti a chi fur le mogli o le sorelle
o le figlie o le madri da lui morte,
non piú celando l’animo ribelle,
correan per dargli di lor man la morte:
e con fatica lo difeser quelle
magnanime guerriere e Ruggier forte;
che disegnato avean farlo morire
d’affanno, di disagio e di martíre.

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108
     A quella vecchia che l’odiava quanto
femina odiare alcun nimico possa,
nudo in mano lo dier, legato tanto,
che non si scioglierá per una scossa;
et ella, per vendetta del suo pianto,
gli andò facendo la persona rossa
con un stimulo aguzzo ch’un villano,
che quivi si trovò, le pose in mano.

109
     La messaggiera e le sue giovani anco,
che quell’onta non son mai per scordarsi,
non s’hanno piú a tener le mani al fianco,
né meno che la vecchia, a vendicarsi;
ma sí è il desir d’offenderlo, che manco
viene il potere, e pur vorrian sfogarsi:
chi con sassi il percuote, chi con l’unge;
altra lo morde, altra cogli aghi il punge.

110
     Come torrente che superbo faccia
lunga pioggia talvolta o nievi sciolte,
va ruinoso, e giú da’ monti caccia
gli arbori e i sassi e i campi e le ricolte;
vien tempo poi, che l’orgogliosa faccia
gli cade, e sí le forze gli son tolte,
ch’un fanciullo, una femina per tutto
passar lo puote, e spesso a piede asciutto:

111
     cosí giá fu che Marganorre intorno
fece tremar, dovunque udiasi il nome;
or venuto è chi gli ha spezzato il corno
di tanto orgoglio, e sí le forze dome,
che gli puon far sin a’ bambini scorno,
chi pelargli la barba e chi le chiome.
Quindi Ruggiero e le donzelle il passo
alla ròcca voltâr, ch’era sul sasso.

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112
     La diè senza contrasto in poter loro
chi v’era dentro, e cosí i ricchi arnesi,
ch’in parte messi a sacco, in parte fôro
dati ad Ullania et a’ compagni offesi.
Ricovrato vi fu lo scudo d’oro,
e quei tre re ch’avea il tiranno presi,
li quai venendo quivi, come parmi
d’avervi detto, erano a piè senz’armi;

113
     perché dal dí che fur tolti di sella
da Bradamante, a piè sempre eran iti
senz’arme, in compagnia de la donzella
la qual venía da sí lontani liti.
Non so se meglio o peggio fu di quella,
che di lor armi non fusson guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa;
ma peggio assai, se ne perdean l’impresa:

114
     perché stata saria, com’eran tutte
quelle ch’armate avean seco le scorte,
al cimitero misere condutte
dei duo fratelli, e in sacrificio morte.
Gli è pur men che morir, mostrar le brutte
e disoneste parti, duro e forte;
e sempre questo e ogn’altro obbrobrio amorza
il poter dir che le sia fatto a forza.

115
     Prima ch’indi si partan le guerriere,
fan venir gli abitanti a giuramento,
che daranno i mariti alle mogliere
de la terra e del tutto il reggimento;
e castigato con pene severe
sará chi contrastare abbia ardimento.
In somma quel ch’altrove è del marito,
che sia qui de la moglie è statuito.

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116
     Poi si feccion promettere ch’a quanti
mai verrian quivi, non darian ricetto,
o fosson cavallieri, o fosson fanti,
né ’ntrar li lascerian pur sotto un tetto,
se per Dio non giurassino e per santi,
o s’altro giuramento v’è piú stretto,
che sarian sempre de le donne amici,
e dei nimici lor sempre nimici;

117
     e s’avranno in quel tempo, e se saranno,
tardi o piú tosto, mai per aver moglie,
che sempre a quelle sudditi saranno,
e ubbidïenti a tutte le lor voglie.
Tornar Marfisa, prima ch’esca l’anno,
disse, e che perdan gli arbori le foglie;
e se la legge in uso non trovasse,
fuoco e ruina il borgo s’aspetasse.

118
     Né quindi si partîr, che de l’immondo
luogo dov’era, fêr Drusilla tôrre,
e col marito in uno avel, secondo
ch’ivi potean piú riccamente porre.
La vecchia facea intanto rubicondo
con lo stimulo il dosso a Marganorre:
sol si dolea di non aver tal lena,
che potesse non dar triegua alla pena.

119
     L’animose guerriere a lato un tempio
videno quivi una colonna in piazza,
ne la qual fatt’avea quel tiranno empio
scriver la legge sua crudele e pazza.
Elle, imitando d’un trofeo l’esempio,
lo scudo v’attaccaro e la corazza
di Marganorre e l’elmo; e scriver fenno
la legge appresso, ch’esse al loco denno.

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120
     Quivi s’indugiâr tanto, che Marfisa
fe’ por la legge sua ne la colonna,
contraria a quella che giá v’era incisa
a morte et ignominia d’ogni donna.
Da questa compagnia restò divisa
quella d’Islanda, per rifar la gonna;
che comparire in corte obbrobrio stima,
se non si veste et orna come prima.

121
     Quivi rimase Ullania; e Marganorre
di lei restò in potere: et essa poi,
perché non s’abbia in qualche modo a sciorre,
e le donzelle un’altra volta annoi,
lo fe’ un giorno saltar giú d’una torre,
che non fe’ il maggior salto a’ giorni suoi.
Non piú di lei, né piú dei suoi si parli,
ma de la compagnia che va verso Arli.

122
     Tutto quel giorno, e l’altro fin appresso
l’ora di terza andaro; e poi che furo
giunti dove in due strade è il camin fesso
(l’una va al campo, e l’altra d’Arli al muro),
tornâr gli amanti ad abbracciarsi, e spesso
a tor commiato, e sempre acerbo e duro.
Al fin le donne in campo, e in Arli è gito
Ruggiero; et io il mio canto ho qui finito.