Lezioni sulla Divina Commedia/Nota

Nota

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Appendice Indice dei nomi

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NOTA

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Quando Francesco De Sanctis, dopo trentatré mesi di carcere sostenuti nel Castel dell’Ovo di Napoli per un’insussistente accusa di congiura contro Ferdinando II, giunse sul principio dell’ottobre del i853 a Torino, rifiutò il sussidio di 60 lire mensili, che il governo concedeva agli esuli (perché, come scrisse piú tardi, «il modo come un esule può onorare la patria è mantenersi onesto, domandare i mezzi della esistenza al lavoro, illustrare il suo paese con gli scritti»), e si diede a cercare lavoro. Per consiglio degli amici decise di aprire un corso di lingua e letteratura italiana a pagamento — una specie di scuola di perfezionamento per i giovani che giá avessero compiuto gli studi di lingua e di retorica — , in cui alle lezioni teoriche sulla letteratura italiana in generale, e sulla Divina Commedia in particolare, si accompagnassero esercitazioni pratiche, consistenti nell’esame critico di componimenti per mezzo di discussioni, nella lettura ed esame dei classici e in traduzioni dal latino. Ma, sebbene il Cibrario, ministro della istruzione, gli concedesse senza indugio la licenza di aprire il corso e ne approvasse il programma, il De Sanctis non potè attuare subito il proposito, quale che ne fosse la ragione. Dovè perciò in quei primi mesi di dura povertá, poiché la gelosa difesa della sua dignitá e la fierezza dell’animo non gli consentivano di accettare soccorsi nemmeno dagli amici piú intimi, adattarsi ad insegnare nell’istituto femminile della signora Elliot, con un magro stipendio, e affaticarsi a impartire lezioni private ad altre giovinette, come la gentile Virginia Basco, con la quale poi conservò affettuosa amicizia e corrispondenza epistolare per tutta la vita1, e la vivace Teresa De Amicis, che gl’ispirò una calda [p. 422 modifica]passione2. Quando infine ebbe trovata, per le lezioni, l’ampia sala del collegio S. Francesco di Paola, si presentò un’altra difficoltá: quella di vincere i sospetti del solennissimo pedante Pier Alessandro Paravia, soprintendente al collegio e professore dell’universitá di Torino, il quale, avendo in uggia i meridionali, perché facili a montare nelle nuvole, prima di concedergli il permesso, volle conoscere il programma delle lezioni. Il De Sanctis con pronta e abile disinvoltura gli sciorinò «li per li un falso programma di commenti allegorici, mitologici e perfino grammaticali»3, e cosí verso la metá di febbraio del i854 potè dare inizio al corso. Ma intanto nella sua mente il programma si era venuto modificando, sia per la difficoltá di trovar giovani che, compiuti gli studi, volessero sottoporsi a una nuova scuola, in una cittá come Torino, che non aveva l’amore e la tradizione degli «studi privati» di Napoli, sia perché, essendo egli nella pienezza del suo fervore intellettuale, dopo la lunga preparazione della scuola napoletana e la meditazione delle opere di Hegel, sentisse il bisogno di dar completo sviluppo al sistema critico che gli fermentava nella mente. Il corso si ridusse a una serie di lezioni, o conferenze, che il De Sanctis tenne per quel primo anno due per settimana, il giovedí e la domenica, ma talvolta anche a intervalli più brevi, o piú lunghi, fin verso la fine di maggio o il principio di giugno. La seconda lezione Dell’unitá dei due mondi nella Divina Commedia ebbe luogo di domenica, il i9 febbraio, e la terza il 23. Di questa non conosciamo l’argomento, ma ci resta l’impressione che ne riportò Margherita Provana di Collegno, che, condotta dal De Meis ad ascoltare l’oratore, annotò nel suo Diario’. «È prodigiosa la sua erudizione sull’argomento che trattava, e lo tratta con sentimento, senza il fanatismo da panegirista e con vedute nuove»4. Il i9 marzo tornò ad ascoltarlo, e questa volta, insieme col suo giudizio, tracciò la trama della lezione che si svolse sullo stile: [p. 423 modifica]

Di Dante non disse nulla, ma fece la storia dello stile pigliandolo quando è parola morta, come nei dizionari e vocabolari, poi diventa frase. Disse diverse definizioni dello stile; gli antichi dicevano: è la veste del pensiero. Buffon disse: «Le style est l’homme». De Sanctis fece tutta una figliazione per cui da questa definizione si giunge al «humour» e all’ironia. Si scatenò con ragione contro gli adoratori della forma nella poesia ove il concetto è secondario e spesso nullo: è una bella casa senza abitatore. Disse però che costoro sono quelli che piú figurano nella societá, perché il loro parlare è fiorito e facile e che le persone di genio parlano poco, perchè non parlano che opportunamente<ref>Op. cit., pp. i75-76. Di questa lezione avanzano degli appunti scarni e poco decifrabili nelle «Carte desanctisiane» della Bibl. Naz. di Napoli, ms. XVI. C. 49; perciò ho tralasciato di riportarli in appendice./ref>.

Il 23 marzo trattò del concetto nel brutto5, il 30 del modo come Dante trasformò il brutto, ossia della depravazione dell’anima6, il 2 aprile dei gradi della depravazione, il 6 della passione, posta tra l’indifferente e il brutto7. In altre sette lezioni discorse della natura dei luoghi nell’inferno, dei demòni, dei gruppi di anime, della fusione dei vari elementi nel canto III, degli episodi di Francesca da Rimini, di Farinata, di Cavalcante. In tutto il De Sanctis pronunziò nel primo corso non meno di 24 lezioni, poiché in un fascicoletto delle sue carte, possedute dalla Bibl. Naz. di Napoli e segnate XVI. A. 72, quella del 30 marzo è indicata come XV, quella del 2 aprile come XVI e quella del 6 come XVII. Anche nel secondo anno egli cominciò il corso molto tardi per la straordinaria rigidezza dell’inverno, come ricordò nella prima lezione su Pier della Vigna8. [p. 424 modifica]

Questa certamente dovè aver luogo sulla fine di febbraio o il principio di marzo del i855, perché tra essa e quella ascoltata dalla Collegno, il i8 marzo, sul comico, sul ridicolo e la caricatura9, ne intercorrono soltanto due (la XXIV e la XXV del presente volume). Il 23 aprile la Collegno ne ascoltò ancora un’altra (la nostra XXVIII), in cui l’autore, a proposito del canto dei simoniaci, fece la differenza tra la poesia, la scienza e l’eloquenza10. Da questi dati cronologici si deduce che tra il i8 marzo e il 22 aprile vi fu una sola lezione (la XXVII), quella cioè sul sarcasmo come forma d’arte, che un recensore, l’Occurti, nella rivista Il Cimento, indicava come la quinta dell’anno11. E poiché alla lezione del 22 aprile ne seguirono altre sei, di cui cinque sul Pwgatorio, possiamo affermare che il secondo e ultimo corso — l’anno dopo il grande maestro venne chiamato ad insegnare nel Politecnico di Zurigo — risultò di i2 lezioni, che, tenute una per settimana, terminarono pure, come quelle del primo corso, sulla fine di maggio o il principio di giugno.

Mentre però possediamo tutte le lezioni del secondo anno, non ci restano tutte quelle del primo, che, come si è detto, furono ventiquattro. Noi ne abbiamo potuto porre insieme ventidue, poiché manca la lezione sullo stile di Dante, che fu ascoltata dalla Collegno, e un’altra, di cui non si può stabilire il contenuto. Ma perdita ancor piú dolorosa è che alcune delle ventidue lezioni, da noi raccolte, non ci son pervenute in manoscritti del tempo per le vicende che ora narreremo.

Quando le carte letterarie del De Sanctis furono, dopo la sua morte, dalla vedova donate alla Biblioteca di S. Martino, donde son passate alla Bibl. Naz. di Napoli, la nipote prediletta, sig.na {{subst:Agnese De Sanctis}}, per amoroso ricordo dello zio ne volle conservare una parte, tra cui quelle che contenevano quasi tutte le lezioni torinesi su Dante. Parecchi anni dopo carte e lettere, in parte da lei e in parte da un suo nipote, che forse le sottrasse, [p. 425 modifica]furono affidate al prof. Gerardo Laurini, che, per essere stato nella sua giovinezza devoto amico del grande critico e per la religiosa memoria che ne serbava, si riprometteva di pubblicare le lezioni del i854 e del i855. Infatti nel i9i3 si rivolse al Barbera, col quale giá il De Sanctis, per suggerimento del giovane Alessandro D’Ancona, era stato in trattative. Fallito il tentativo, si rivolse al Morano e giá la stampa si era iniziata, quando nel i9i6, per ragioni che non conosciamo, la troncò, facendosi consegnare tutte le bozze dall’editore, né piú in seguito ebbe opportunitá di riprenderla.

Dopo la sua morte, avvenuta nel i932, la vedova, sig.ra Anna Purpo, affidò tutte le carte in suo possesso al notaio Pasquale Landolfi, amoroso raccoglitore di memorie desanctisiane. Sorpreso anche lui dalla morte, sequestrati i suoi beni, tra cui anche le preziose carte, per liti tra gli eredi, a stento la vedova Laurini potè riaverle, ma è facile immaginare quale scempio ne fosse avvenuto in tutte queste dolorose vicende. Venute infine nelle mie mani, nel i938 pubblicai presso il Morano le lezioni torinesi, facendone dopo acquistare dalla Bibl. Naz. di Napoli i manoscritti che le contengono (ora segnati XVI. A. 72), tranne le copie dovute alla mano del Laurini e le bozze di stampa dell’edizione da lui sospesa, che sono rimaste presso di me.

I manoscritti non sono autografi del De Sanctis, tranne poche pagine, di cui diremo tra poco, ma sono dovuti a due diversi amanuensi. Ad uno di essi appartengono solo le nove pagine, contenenti le lezioni numerate XV, XVI e XVII (corrispondenti nel nostro volume alla XIII, alla XIV e alla XV), sebbene quest’ultima sia soltanto numerata, ma non trascritta. Sembra che egli abbia atteso a fornire al De Sanctis una bella copia, tanta è la cura calligrafica. Al secondo si devono invece tutte le altre lezioni, dalla XVII del presente volume (essa manca per altro quasi della prima parte, fino al capoverso: «E nondimeno ci ha di quelli» ecc., contenuta solo in una copia del Laurini) alla XXXIV, ad eccezione delle quattro XXIII-XXVI, che si trovano in un fascicolo delle carte desanctisiane della Bibl. Naz. di Napoli, segnate XVI. C. 49. Di esse la XXIII su Pier della Vigna è in parte autografa, la XXV fu giá pubblicata dal Torraca12, e la XXVI, [p. 426 modifica]incompleta, trova la sua continuazione nel primo degli ultimi tre fascicoli delle carte XVI. A. 72. Chi sia il primo amanuense non sappiamo dire; ma il secondo fu certamente il discepolo e amico dilettissimo del De Sanctis, Diomede Marvasi. La identificazione risulta incontestabile sia dal confronto della scrittura tra le lettere autografe, che il Marvasi inviava al maestro a Zurigo tra il i856 e il ’6013, e il manoscritto delle lezioni; sia dal seguente passo della lettera, che il maestro, pure da Zurigo, gli scriveva il i7 giugno i856:

Sono terminate le lezioni generali su Dante; alcune le ho abbreviate, altre le ho omesse, per accomodarmi a’ giovani, che sono di ottima volontá, ma indietro molto negli studi. Martedí ho cominciato l’Inferno. Ho veduto la prima lezione nel mio manoscritto, ed ho trovati i tuoi caratteri, e mi sono commosso. Povero Diomede! Cosi impaziente, ed hai avuto l’animo di scrivere tante lezioni sotto la mia dettatura14.

Né possono far difficoltá alla identificazione i frequenti errori, perché alcuni sono dovuti alla fretta e ai fraintendimenti, particolari a chi scrive distrattamente sotto dettatura15, altri alle abitudini fonetiche, caratteristiche dei napoletani16.

Dal brano della lettera riportato e da ciò che segue poco dopo sembra anche potersi dedurre che il De Sanctis cominciasse a dettare le sue lezioni al Marvasi proprio con la prima sull’Inferno, XII di questo volume:

Quella prima lezione, a cui assistette Massari, ti ricordi? riuscí pessima. Ma, vedendo i tuoi caratteri, io ho detto: bisogna fare onore a Diomede; farò una bella lezione. E mi è riuscita di lá da ogni aspettazione. [p. 427 modifica]

Le poche pagine autografe delle carte XVI. A. 72 sono costituite da due foglietti, le cui facciate portano la numerazione da 2i a 28. Sono minute, come chiariscono le correzioni; e poiché sulla facciata 25 è scritto di mano del De Sanctis: «Lezione ii», si può essere sicuri che le facciate 2i-24 contengano, monca del principio, la lezione X, sul carattere di Dante, e quelle 25-28 la XI, sulla cultura di Dante, monca della fine. Mancano, da quanto siamo venuti osservando, in fascicoli del tempo, le lezioni dalla I alla IX, la XII, sul concetto nel brutto, la XV, sulla passione tra l’indifferente e il brutto, la XVI, sulla natura nell’inferno, quasi la metá della XVJI, sui demòni, e l’ultima parte della XXI su Farinata. Di queste son pqesso di me le prime sei nelle bozze della stampa iniziata dal Laurini e in copie di sua mano, eccetto la II; le altre, tranne la IX, soltanto in copie di sua mano, certamente estratte dai fascicoli andati forse smarriti nelle vicende che abbiamo innanzi narrate.

Come IX ci è parso opportuno ristampare quella su Beatrice, che lo stesso Laurini pubblicò a parte nel 1914, come primizia del volume delle lezioni, che si proponeva di dar presto alla luce, sia perché nelle sue copie, dopo l’ottava lezione, scrisse sotto il titolo «Beatrice»: «Si riproduca il saggio giá stampato», sebbene in un secondo momento cancellasse l’indicazione; sia (e questa è, senza dubbio, una ragione molto più valida) perché il De Sanctis, terminando la VII lezione, annunziava il contenuto delle due successive: Dante e Beatrice.

Ma, a questo punto, ci si presentano due questioni. La prima è questa: — Le lezioni, pervenuteci attraverso le bozze di stampa o le copie del Laurini, riproducono fedelmente i manoscritti che ora non si trovano piú? — Nell’introduzione al saggio su Beatrice egli dichiarò di averle «studiosamente purgate e restaurate»17. Ed invero corresse gli evidenti errori, che si trovano nei fascicoli dovuti alla penna del Marvasi; ma non si limitò a questo. Dal confronto tra alcune lezioni, di cui esistono i manoscritti e, nello stesso tempo, le sue copie, possiamo assicurare che i restauri arbitrari non mancano, sebbene si riducano a sostituzioni di parole e di frasi, a modificazioni di periodi, a brevi omissioni o aggiunte. Cosi alla lezione su Francesca da Rimini aggiunse [p. 428 modifica]l’ultima parte che si legge nel saggio famoso18. Nella lezione su Belacqua, che vide la luce nella Critica del Croce19, oltre a mutamenti di forme lessicali e di espressioni, fuse il principio della XXX («Il Purgatorio è poco letto e meno studiato» ecc.) fino alle parole: «obblio dell’anima nella cosa, in che è posta la cima e la perfezione dell’arte», con la XXXI, a cominciare dal periodo: «Nell’Inferno la carne è il sostanziale» sino alla fine, eccettuato l’ultimo periodo. Noi ci siamo attenuti ai manoscritti, lá dove ci hanno soccorso.

Seconda questione: — Il De Sanctis dettava al Marvasi, o ad altri, integralmente le lezioni, dopo di averle pronunziate, servendosi degli appunti raccolti da qualche uditore, oppure dettava dei riassunti? Per qualcuna, data la sua brevitá, non può escludersi questa seconda ipotesi, e nemmeno che ne modificasse il contenuto, tralasciando argomenti, toccati nella foga del discorso e che avrebbe svolti successivamente. Sembra confermare questa supposizione il confronto tra le due lezioni che riportiamo in appendice, togliendole dalle carte della Bibl. Naz. di Napoli XVI. C. 49, e la II e la XII del nostro testo.

Nella lezione in appendice Dell’unitá dei due mondi nella Divina Commedia, a parte che la forma è spesso trascurata (certo per difetto del raccoglitore, e non del De Sanctis, che fu, come è noto, uno degli oratori «di maggior sicurezza di parola e maggior luciditá di espressione»20), si esamina la situazione, nella quale i due mondi, l’ultraterreno e il terreno sono fusi; nella II del nostro testo si critica invece la forma secondo la scuola antica e la moderna, si stabilisce il principio che ogni argomento ha in se stesso le sue leggi organiche, il suo concetto, e infine si illustrano i due mondi posti di fronte. Il grande critico terminava domandandosi: — Si trovano essi «l’uno accanto all’altro inconfusi, o il poeta ha saputo fonderli ed immedesimarli?» — In quella era giá risoluta la questione, che in questa è semplicemente proposta e che viene sviluppata in parte nella III e in parte nella IV lezione. [p. 429 modifica]

La XII, quale ci è pervenuta nella copia del Laurini, è bensí identica per il contenuto a quella che riportiamo in appendice, ma per la forma piú sobria ed elaborata ne è un semplice compendio.

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Chiamato alla cattedra di letteratura italiana nel Politecnico di Zurigo, con decreto del 6 gennaio i856, il De Sanctis giunse nella cittá negli ultimi giorni di marzo e iniziò il corso del secondo semestre (estivo) del i855-56 il 23 aprile: lo chiuse l’8 agosto. Il corso comprendeva due ore settimanali di Esercizi di composizione, un’ora di Analisi degli autori italiani, tra cui il Manzoni, e un’altra di Storia della letteratura italiana del secolo XIV con discussioni generali stilla Divina Commedia.

Le lezioni generali sul poema, cominciate probabilmente il i4 maggio, terminarono prima dell’ii giugno, quando il maestro prese a trattare dell’Inferno21. Nel primo semestre (invernale) del i856-57, dal i6 ottobre al marzo, completò il corso sulla prima cantica22, e nel secondo (estivo) dello stesso anno, tra il 23 aprile e il 3 agosto, trattò della poesia del Purgatorio e del Paradiso23.

Ma, mentre nelle lezioni di Torino, o integralmente dettate o riassunte, si trova il fresco entusiasmo del maestro, che svolge per la prima volta il suo pensiero critico, e lo saggia nell’interpretazione della poesia dantesca, dinanzi a un uditorio che lo segue e si entusiasma e si eleva con lui; in quelle di Zurigo, come si può dedurre dai riassunti, il tono dovette essere dimesso e l’andamento proprio del maestro che vuole iniziare menti rozze e inesperte al gusto della poesia. Scriveva infatti il nostro al De Meis il i5 maggio i856:

Nella lezione passata sono entrato a parlare di Dante. Ma non c’è un solo che abbia non dico studiato, ma neppure letto la Divina Commedia. La mia lezione si dee ridurre a pochissime idee, accompagnate [p. 430 modifica]da moltissimi esempi, per ficcarli in queste crasse intelligenze, inavvezze alla meditazione; e forse dovrò ridurmi a leggere loro Dante e spiegarlo parte a parte24.

E un mese dopo, il i7 giugno, come abbiamo giá riferito, annunziandogli di aver terminate le lezioni generali su Dante, aggiungeva di averne dovuto abbreviare alcune e omettere altre per adattarsi ai giovani «di ottima volontá, ma indietro molto negli studi». Vero è che la lezione sul brutto, a Torino, gli era riuscita, come egli c’informa, «pessima», si che vedendo a Zurigo i caratteri di Diomede Marvasi aveva promesso a se stesso di fargli onore con una bella lezione:

E mi è riuscita di lá da ogni mia aspettazione. È la prima volta che i giovani sonosi scambiate delle occhiate; vi è stato un punto in cui tutti sonosi sentiti alzare dalle loro sedie senza accorgersi; alla fine i piú vivaci, capo Scazziga, hanno mormorato: magnifica lezione! Dico mormorato, perché nella loro testa ci è che applaudire la lezione significa giudicare il maestro e farsi suo eguale. Non credere però che abbiano valutato il fondo: sono troppo indietro; è la forma ed il calore che li trascina25.

Ma anche questa lezione, che fece tanto colpo sugli uditori, a rileggerne ora il riassunto26, ci conferma che, a parte il calore del sentimento e la freschezza dell’espressione, non scaturí da una meditazione nuova Si deve anzi notare che man mano che la materia dei corsi torinesi si venne esaurendo, le lezioni del De Sanctis si ridussero a una guida nella lettura del Purgatorio e del Paradiso, guida certo sapiente, che indicava la concezione dei due mondi e la natura della loro poesia.

Dei riassunti delle lezioni zurighesi, per evitare un’inutile ripetizione, ho riprodotto solo quelli che riguardano le lezioni nuove sul Purgatorio, dal sesto all’undicesimo, e tutti quelli sul Paradiso.

Ringrazio pubblicamente la famiglia Frizzoni e l’editore Einaudi, che mi hanno consentito di riprodurli, e in particolare il chiaro prof. Sergio Romagnoli, che non solo ha interposto i suoi buoni [p. 431 modifica]uffici per farmi ottenere il permesso, ma mi ha favorito con squisita cortesia la riproduzione fotografica dell’intero manoscritto27.

Nell’Appendice ho riportato, oltre le due lezioni torinesi dal ms. XVI. C. 49, e la lezione sul brutto, tenuta a Zurigo, i due frammenti della critica all’estetica hegeliana e a quella dello Schopenhauer28 e l’Esposizione critica della Divina Commedia, che il Laurini pubblicò nel i92i (Napoli, Morano). I due frammenti di critica all’estetica di Hegel e dello Schopenhauer, sebbene pubblicati dal Croce, prima nel fasc. IV di Ricerche e documenti desanctisiani {Atti dell’Accademia Pontaniana di Napoli, t. XLIV, i9i4) e poi nelle Pagine sparse del De Sanctis (Bari, Laterza, i934, pp. i6 sgg.), mi è parso opportuno ristamparli, perché rappresentano quell’approfondimento del pensiero estetico, che il nostro venne compiendo nel periodo delle lezioni torinesi. Si può anzi dire che essi siano lo sviluppo, o l’ampiamento delle pagine 29-33 della lezione V, dove ricorrono pensieri, immagini, periodi, che poi furono trasportati di peso nei due frammenti, come, per dare un esempio, la seguente osservazione:

Il pensiero in quanto pensiero è fuori dell’arte. Che cosa è il pensiero per un gran sonatore? Il pensiero è melodia: nel tempo stesso gli lampeggia dinanzi e gli freme sotto le dita. Che cosa è il pensiero per un grande oratore? Il pensiero è la parola: infiammato, innalzato dal suo uditorio, egli pensa e parla ad un tempo. Che cosa è il pensiero per un gran poeta? Il pensiero è l’immagine: egli non può, egli non dee saper pensare se non per mezzo della sua immaginazione.

Nel 1921 il Laurini, pubblicando da un manoscritto autografo del De Sanctis, che egli conservava e che deve ritenersi ora [p. 432 modifica]perduto, l’Esposizione critica della Divina Commedia, affermò che trattavasi del primo lavoro compiuto dal nostro a Torino; che lo aveva mondato dalle locuzioni arcaiche, reminiscenze della scuola del Puoti, di cui era ripieno; che da esso furono desunte le lezioni dei corsi torinesi, il capitolo della Storia della letteratura italiana sul poema, i saggi su Ugolino, su Francesca, su Farinata, su Pier della Vigna. Che egli corresse con troppo sbrigliata fantasia a far derivare dallo smilzo lavoretto quanto il De Sanctis meditò e scrisse su Dante, non c’è bisogno di dimostrarlo; basti solo notare per i primi due capitoli: Il subbietto della Divina Commedia e l’Inferno,Inferno, che, nel primo, non si trova alcun accenno alla questione dei rapporti tra l’argomento del poema e le visioni precedenti, e a quella della fusione dei due mondi, il divino e il terreno; e, nel secondo, al problema del brutto, come materia di poesia, e alla natura del comico e delle sue varie forme nei canti di Malebolge: trattazioni tutte che si trovano largamente dibattute nei corsi di Torino.

Ma a me sembra che non si possa neanche ammettere che l’Esposizione sia stato il primo lavoro del De Sanctis nella capitale piemontese, quasi sintesi, nella quale egli cercasse di stringere in unitá tutto il suo pensiero, per varie ragioni.

In primo luogo tra i critici che riposero l’essenza della poesia dantesca nell’allegoria vi si cita il Rosenkranz e lo Schlosser29.

Ora, mentre il De Sanctis conosceva bene l’opera del primo per averne iniziato la traduzione nella prigione di Castel dell’Ovo e averne fatto pubblicare anche a Napoli i due primi volumi col titolo: Manuale di una storia generale della poesia; del secondo, se avesse scritto l’Esposizione sulla fine del i853, o nel i854, non poteva conoscere gli Studi, perché vennero pubblicati, in Germania, nel i855. Nelle lezioni torinesi, infatti, del i854-55 non cita lo Schlosser, e solo nel 1856, a Zurigo, dichiarava di conoscerne l’opera, che criticò severamente, per ribattere il giudizio del Vischer, che ne riteneva indispensabile la conoscenza, perché si potesse intendere Dante30.

In secondo luogo nelle lezioni di Zurigo sul Paradiso, tenute nel semestre estivo del i856-57, giudicava che nei versi: «Ciò che non muore e ciò che può morire» ecc. (52-63) del c. XIII Dante [p. 433 modifica]non avesse raggiunto la poesia, perché il contenuto rimaneva scientifico, non essendo messo in atto. Nell’Esposizione, invece, e nel cap. della Storia della letteratura sulla Divina Commedia li dichiara con felice analisi vera poesia. Poiché siamo, come è evidente, di fronte a uno svolgimento e approfondimento della meditazione e del gusto del grande critico, l’Esposizione dev’essere necessariamente posteriore alle lezioni di Zurigo. Ed invero parecchi passi di essa sono piú vicini a queste ultime e alla Storia della letteratura che alle lezioni di Torino. Giova inoltre considerare che, mentre il cap. sul Subbietto della Divina Commedia e quello sull’Inferno sono scheletrici e superficiali, quelli sul Purgatorio e sul Paradiso sono più nutriti, piú ricchi di analisi, piú felici. Ciò fa pensare che il De Sanctis, scrivendo i primi due dopo gli ampi corsi torinesi, ripetuti e riassunti ancora a Zurigo, non si sentisse piú investito dal calore della ricerca e dell’entusiasmo, mentre nello scrivere i capitoli sul Purgatorio e sul Paradiso, dopo le lezioni di Zurigo, era ancora posseduto dal fervore e dall’appassionamento per la scoperta della natura della poesia nelle due ultime cantiche.

Infine dalla seguente dichiarazione che si legge nel capitolo sul Purgatorio:

La natura di questo lavoro non mi consente che io entri in altri particolari, e giá ho detto anche troppo31;

si desume che egli dovè stendere l’Esposizione non per il bisogno di dare una sistemazione critica al suo pensiero, rinchiudendolo in una sintesi organica, ma per fornire a una poco esperta scolaresca un chiaro ed efficace sommario.

Al mio avviso circa il tempo della composizione di questa operetta si oppone, è vero, la dichiarazione del Laurini, che egli avrebbe dovuto ripulirla delle molte locuzioni arcaiche, le quali, rilevando un influsso ancor vivo del pensiero del Puoti, indurrebbero a riportarla ai primi mesi della dimora del De Sanctis a Torino; ma, nella impossibilitá di poter accertare la natura e il numero delle locuzioni arcaiche per la mancanza del manoscritto, non so quanto peso si possa dare all’affermazione del curatore, [p. 434 modifica]devoto senza dubbio alla memoria del suo grande amico, ma filologo non molto prudente.

Recentemente il Romagnoli, accettando la data del Laurini, ha visto nell’Esposizione l’influenza ancor dominante dello Hegel, per il fatto che, come il filosofo di Stoccarda, anche il nostro si preoccupa ancora di muovere dall’idea per scendere alle forme32. Ma si potrebbe domandare quando mai il De Sanctis nella sua critica non mova dall’idea, per mostrare — e qui è la novitá del suo metodo — come calasse nella situazione fino a rimanervi dimenticata. E se nell’esame dell’ultima cantica, sempre secondo il Romagnoli, l’autore rivela la volontá di «organare la visione poetica della Commedia entro un unitario concetto»33, si potrebbe obiettare che questo fu il problema intorno al quale il De Sanctis si travagliò per tutta la vita. Per me l ’Esposizione è un lavoro scolastico di non grande valore, almeno nei primi due capitoli, e l’ho raccolto nell ’Appendice per una ragione di compiutezza.

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Mi resta ora da dire qualche cosa sui criteri adottati nel pubblicare i testi delle lezioni.

Per quelle di Torino, pervenute nelle copie del Laurini e nelle bozze di stampa, ho seguite le prime, perché mi è parso che le seconde rappresentino piú il gusto personale del curatore. Per le altre, pervenute nei manoscritti che ora si conservano nella Bibl. Naz. di Napoli, li ho seguiti fedelmente, depurandoli solo degli errori evidenti e grossolani degli amanuensi, di cui ho dato giá dei saggi, e aggiungendo qualche parola necessaria in parentesi quadre. Ma lá dove il testo mi è parso guasto, o dubbio, ne dò qui appresso notizia, di volta in volta. Quando poi periodi, o brani, ricorrono integralmente nelle opere a stampa, mi sono conformato a queste, seguendo per la Storia della letteratura italiana l’ediz. del Croce e per i Saggi critici quella del Russo. Ho lasciato alle lezioni i titoli che portano nei manoscritti, ma sono poche; per le altre, come per tutte quelle di Zurigo, li ho desunti dal contenuto, chiudendoli in parentesi quadre.

Per la grafia, e le citazioni che s’incontrano cosí nelle lezioni; [p. 435 modifica]torinesi, come in quelle di Zurigo (anche di queste ultime ho corretto gli errori evidenti34) ho seguito i criteri precisati dal Russo nella Nota ai Saggi critici.

Quando poi le citazioni dei versi della Divina Commedia sono nei manoscritti appena abbozzate, le ho completate, chiudendo in parentesi quadre le aggiunte, secondo il testo critico della «Societá Dantesca Italiana» riveduto, col commento scartazziniano, dal Vandelli (Hoepli, i929). Lo stesso testo ho seguito correggendo in questa Nota i versi, che si leggono alterati nei manoscritti o per fallo dei trascrittori, o per fallo della memoria del De Sanctis.

Perché infine il lettore possa rendersi conto di ciò che vi è di nuovo nelle lezioni e di ciò che è passato, piú o meno integralmente, nella Storia della letteratura italiana e nei Saggi critici del De Sanctis, indico qui appresso le pagine di queste opere nelle edizioni Laterza.

Quanto ai due frammenti di critica all’estetica hegeliana e a quella dello Schopenhauer, riportati in appendice, li ho rivisti sui mss. (Bibl. Naz. di Napoli, XVI. C. 36), correggendo alcune sviste, omissioni, o modificazioni del Croce, di cui dò notizia anche qui appresso, e restituendo l’interpunzione, dal Croce largamente mutata. Ma di queste ultime mutazioni non mi è parso necessario dare l’esemplificazione.

CORSI TENUTI A TORINO


Lez. I, — Cfr. St. d. lett. it., a cura del Croce, pp. i02, i03-4, e qualche frase a p. i69.

P. 3, r. 2. Sulle bozze di stampa il Laurini corresse e poi cancellò: «concepita»; e cosí alla r. i7, davanti a «coltello» aggiunse e poi cancellò: «minuto».

P. 5, r. i7. Nelle bozze manca: «vedono». [p. 436 modifica]

P. 8, r. 7. Il De Sanctis anche nella Storia d. lett. it. (I, p. i03) scrisse: «Niccolò III». La svista è sfuggita a tutti gli editori, compreso il Croce. Si tratta di Niccolò II, che fu papa dal i058 al i06i ed ebbe a consigliere Ildebrando nella riforma della Chiesa, mentre Niccolò III è il papa Orsini (i277-80), messo da Dante tra i simoniaci.


Lez. II. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i69-70, i7i, e Saggi critici citt., a cura del Russo, II, Dell’argomento della D. C'.', pp. 88-89, 92, 93, 94, 95.


Lez. III. — L’ultima parte, cominciando dal periodo: «La vera unitá non è posta» ecc. (p. 20), corrisponde quasi alla lettera alle pp. i7i-72 della St. d. lett. it., I; cfr. pure la p. i75. Per altri brani cfr. Saggi critici, II, Dell’argomento della D. C., pp. 96-7, 98-9.

P. 2i, r. 25. Dopo: «tutta in ciascuna parte» sulle bozze di stampa il Laurini pose punto e virgola e aggiunse: «il lavoro poetico dev’essere un naturale dispiegarsi di quella e non un subbiettivo congiungimento».


Lez. IV. È riassunta in pochi periodi della St. d. lett. it., I, pp. i72-73

P. 25, r. 24. Nelle bozze: «onde le due forme».

P. 27, r. 9. Nelle bozze erroneamente: «nella sua piena infanzia».

Ivi, r. 25. Nelle bozze e nella copia Laurini si legge: «mostra», ma il senso vuole, come ho corretto, «mostrò».


Lez. V. — L’ultima parte dal periodo: «Il concetto del suo universo» ecc. (p. 33, r. 24) si legge con poche modificazioni nella St. d. lett. it., I, pp. i73-75, e alcuni periodi ritornano nel frammento di Critica dell’estetica hegeliana.

P. 33, r. 2. Nelle bozze: «gli lampeggia dinanzi alla mente». Ivi, r. i0. Nelle bozze dopo «Silvia» compare: «Nerina».


Lez. VI. — Cfr. per riecheggiamenti di concetti qui espressi la St. d. lett. it., I, pp. i49, i58, i62, i64, i68.

P. 38, r. 20. Nella copia Laurini si legge: «non sia velata». Ho soppresso il «non» che verrebbe a capovolgere il senso [p. 437 modifica]dell’espressione e del pensiero dantesco a proposito dei «versi strani».

Ivi, r. 24. È la canzone che Dante commenta nel II trattato del Convivio.

P. 39, r. i4. Nella copia Laurini erroneamente è detto: «la Fisica e la Matematica». Manca poi: «alla nona la Scienza morale» (Convivio, II, cap. XIV).

Ivi, r. 28. Nel testo dantesco, invece di: «molte giá furono che non saranno», si legge: «che ancor saranno» (op. cit., cap. XIV).

Ivi, r. 35. Invece di: «la lettera» il testo dantesco dice: «della lettera» (op. cit., ivi).

P. 40, r. i6. È il commiato della canzone giá citata.

Ivi, rr. 25-26. Il testo dantesco è parafrasato; quello integro suona cosí: «Se per ventura incontra che tu vadi lá dove persone siano, che dubitare ti paiano nella tua ragione» (op. cit., cap. XII).

Ivi, r. 3i. Invece di: «alla sua bellezza» il testo dantesco porta: «la sua bellezza» (op. cit., ivi).

Ivi, rr. 32-34. Invece di: «pertiene alla Grammatica» il testo dantesco ha: «appartiene alli grammatici», e cosí subito dopo sempre: «appartiene», e invece di: «alla Musica»: «ai musici».

P. 43, r. 2. Nella copia Laurini: «e sotto la penna gli esce una poesia». Ho corretto «poesia» in «persona».


Lez. VIII. — A cominciare dal capoverso (p. 5i): «Ne’ nostri giovani anni sentiamo tutti confusamente agitarsi dentro di noi» modificato in: «Chiamo poeta colui che sente confusamente agitarsi dentro di sé», tranne lievi mutazioni di forma e pochissimi periodi tralasciati, la lezione è uguale al saggio: Carattere di Dante e sua utopia {Saggi critici citt., II, pp. i0i sgg.) fino alle parole: «popule mi, quid feci tibi?» I periodi omessi nel saggio sono in questo volume a:

P. 5i, dalla r. 28 fino alla r. 6 della p. 52; p. 52, dalla r. 8 alla r. i4; ivi, rr. i9-22 fino a: «ed è ragione perché»; ivi, rr. 30-36, da: «cosí piena di Beatrice» fino a: «ne’suoi imitatori»; p. 54, rr. 34-35; P, 55. rr. 4-5, da: «né ci ha latebra» fino a: «penetrato».

P. 58, r. 2i, Il Laurini dopo la fine di questa lezione, nella copia che ne fece, aveva scritto, andando daccapo: «Prenderemo ad esempio Beatrice»; ma dopo cancellò. [p. 438 modifica]

Lez. IX. — È il saggio, come giá si è detto, che il Laurini pubblicò a parte col titolo: Beatrice.

P. 6i, r. 27. Il Romagnoli {Lezioni e saggi su Dante citt., p. i32) corregge, forse a torto: «varietá storica» in «veritá storica», perché il De Sanctis intese dire: varietá degli eventi storici.


Lez. X. — È monca del principio; quello che avanza corrisponde alle pp. i06-8 del saggio cit.: Carattere di Dante e sua utopia, tranne i periodetti riportati a: p. 75, rr. i-4 fino a: «Nella sua vita vi sono tre tempi»; p. 76, rr. 3-5 e 35-37. Dopo queste ultime righe il De Sanctis, allorché attendeva a Zurigo a comporre il libro su Dante, chiuse la lez. I {ms. XVI. C. 36) col notevole brano, che qui riporto, e che tralasciò nel saggio: Carattere di Dante e sua utopia, costituito appunto, in gran parte, da quella lezione:

Ma dal fin qui detto si può trarre giá una conseguenza importante. Non fu, non poteva essere un puro poeta, un semplice organo nato per suonare. Dante non è spinto all’arte solo dall’arte; ma dalla religione, dall’amore, dalla patria, dalla scienza; si accosta alla poesia, pieno di passioni e di preoccupazioni, con fini particolari. Non s’innamora delle belle forme, ma dell’idea, e perché ci crede, perché ci si appassiona, quella gli comparisce bella. Nel suo entusiasmo, nella sua ispirazione ci entra l’amore dell’arte; ma insieme ci entrano molte passioni e molti interessi. Può essere un bene e può essere un male. Se in lui fu bene o male, lo vedremo a suo luogo; per ora questo è il fatto.


Lez. XI. — Corrisponde anch’essa, tranne piccoli spostamenti o aggiunte, alle pp. i08-9 del saggio cit.: Carattere di Dante e sua utopia, e forse doveva proseguire come questo prosegue.

Aggiunte: p. 77, rr. 8-i0 e 19-24, fino alla r. 2 della p. 78.

Ho chiuso tra virgolette la fine del periodo che manca nel foglietto autografo delle carte XVI. A. 72, e che ho riportato dal saggio cit.


Lez. XIII. — Di questa solo il principio è rifuso nella St. d. lett. it., I, pp. i77-78.


Lez. XIV. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i78-8i.

P. 93, r. i3. Nel ms. XVI. A. 72 si legge, per evidente distrazione dell’amanuense, o del De Sanctis: «in bocca di Ciacco». [p. 439 modifica]

P. 94, r. 7. Da qui alla fine della pagina il brano fu ripetuto quasi integralmente dal De Sanctis nella lezione su Pier della Vigna, che fu la prima del corso del i855 (cfr. Saggi critici citt., I, pp. ii8-i9).


Lez. XV. — cfr. St. d. lett. it., I, i8i-82 e i90.


Lez. XVI. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i80, i82-83, i90, i99.

P. i03, rr. 20-24 e 27-29: sono la ripetizione delle rr. 30-35 della lez. III, p. 22.


Lez. XVII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i84, i85, i90, i96.

P. ii3, r. 32. Nella copia «Laurini, che sola ci conserva questa prima parte della lezione, le parole: «su coniando in mezzo» non hanno significato. Ho sostituito: «tirando in mezzo».

P. ii6, r. 2i. Nel ms. XVI. A. 72 si legge: «susurrandoci a noi».


Lez. XVIII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i86-7.

P. i24, r. 24. Nel ms. cit. si legge: «reale o simbolico»; ma è evidente che si debba correggere: «reale e simbolico».

P. i26, r. i2. Erroneamente nel ms. cit.: «fino alla lacrima».


Lez. XIX. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i82-83.

P. i27, rr. i-i2. Lo stesso brano, quasi integralmente, è a p. i2, rr. 32-36 e a p. i3, rr. i-i3.

P. i28, rr. i6-i7. Nel ms. cit.: «espresso in un modo generale anch’esso un grido». Ho messo due punti dopo «anch’esso», anziché congiungerlo con «un grido».

Ivi, r. 20. Ho corretto: «leggendo» del ms. cit. in «Leggete».

P. i3i, r. ii. Ho corretto: «Roberti» del ms. cit. in «Brunetti».

P. i32, r. i4. «Questi tre elementi»; ma non s’intende quali siano.

P. i34, rr. 28-29. Nel ms. cit.: «nel fuoco purgante». Ho corretto: «col digiuno».


Lez. XX. — Vi è giá qui il nucleo principale del famoso saggio su Francesca (Saggi critici citt., II, pp. 240 sgg.)

P. i43, r. 2. Nel ms. cit.: «Il genio che qui». Ho soppresso «qui». [p. 440 modifica]

Lezz. XXI-XXII. — Il De Sanctis fuse queste due lezioni nel saggio su Farinata (Saggi critici citt., II, pp 28i sgg.).

P. i48-49. Per le impressioni del mondo greco-romano su Dante e per la poesia del limbo cfr. St. d. lett. it., I, pp. i79-80.

P. 154, r. 22. Il brano che comincia con questa riga fino alle ultime parole della lezione: «di Monte aperto succede il salvatore di Firenze» (p. i58) manca nel ms. cit. per la perdita dei fogli, ma si trova nella copia del Laurini in mio possesso.

Ivi, r. 32. Tenendo presente il saggio cit. ho corretto: «si concretano» della copia Laurini in: «si contentano».

P. i57, r. 2. Cosi leggeva il verso il De Sanctis (v. Saggi critici citt., II, p. 305).

P. i59, r. i4. Il brano che qui comincia fino a: «Popule mi, quid feci tibi» (r. i3 della p. i60) è ripetizione quasi alla lettera della p. 55 dalla r. 29 fino alla r. i7 della p. 56.

P. i60, r. i9. Nel ms. cit. il testo è errato: «facendo entrare l’un racconto nell’altro a cogliere».

P. i6i, r. 4. Ms. cit.: «entrando», in luogo di: «entrato» o «entrante».

P. i64, r. 28. Ms. cit.: «In Guido Cavalcanti»; distrazione del De Sanctis per «Cavalcante Cavalcanti», che si ripete anche nell’Esposizione critica della D. C. (pp. 362, 364, 366).

P. i65, rr. 34-35, e p. i66, rr. i-i0. Nel ms. cit., dopo: «quando sono fatti a disegno» è avvenuta una confusione per spostamento di osservazioni. Ecco il brano:

                                         La vide e la conobbe e restò senza
E vita e moto...
     
dove la voce si concentra sopra quel «restò»; e quella pausa rappresenta dinanzi all’animo l’immobilitá in cui rimane Tancredi nel riconoscere Clorinda. E parimenti «di subito drizzato gridò», quell’«ò» risuona alcun tempo all’orecchio ed imita in certo modo la corda musicale, la quale, emesso il suo suono e non tocca piú dalla mano, seguita il suo tintinnio finché affievolendosi non si estingue».

Ho corretto come trovo nella copia Laurini.

P. i68 r. 18. Il Romagnoli (op. cit., p. 286), invece di «cavare» legge nel ms. cit. «uscire».


Lez. XXIV. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 1i88-90. [p. 441 modifica]

P. i77, r. i3. Nel ms. XVI. C. 49 dopo: «idropici» ho soppresso la parola: «dovuti», che non ha senso.


Lez. XXV. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i9i-94.

P. i8i, r. i9. Il ms. cit. ha: «e di nazionale». La correzione in «originale» è del Torraca, che, come si è detto, pubblicò questa lezione nel i9i7. Il Romagnoli (op. cit., p. 268) lascia «nazionale», perché pensa che il De Sanctis accenni «al concetto di ‛poesia nazionale’ nata la prima volta in Grecia secondo la critica romantica di F. Schlegel». Ma nel i855 non poteva dirsi che il nostro teatro non avesse nulla di nazionale.

Ivi, r. 35. Ms. cit.: «il pubblico è distratto». Il Torraca corresse: «il pubblico essendo distratto»; il Romagnoli (op. cit., p. 269) piú felicemente premette un semplice: «se».

P. i82. r. 4. Il ms. cit. ha: «i8»; giusta la correzione del Torraca in: «i3».

Ivi, r. i4. «Ulisse è un gran personaggio storico»: il Torraca soppresse «storico», ma l’aggettivo in senso lato può giustificarsi.

P. i84, rr. 32-33. Nel ms. cit.: «Come i topi e le ranocchie d’Omero e gli Dei». La correzione è del Torraca.

P. i85, r. i: «da una parte» è un’aggiunta del Torraca.

Ivi, rr. 9-i0. Ms. cit.: «Questi caratteri senza coscienza sono i piú perfetti come una perfetta bellezza è quella che sgorga spontanea dalla mente dell’artista». Il Torraca corresse: «Questi caratteri... sono i piú perfetti: una perfetta bellezza è quella, che sgorga...».

Ivi, r. 22. Il Torraca o lesse male nel ms. cit., o sostituí inopportunamente «insistere» a «imitare».


Lez. XXVI. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i94-96.

P. i90, rr. 3i-32. Il testo del ms. cit. è errato: «glielo fa parere al di fuori a quello».

P. i96, r. 22. Ms. cit. «il successo che succede». Col confronto della St. d. lett. it. (I, p. i95) ho corretto: «il riflesso che succede».

P. i97, r. 6. Anche qui col confronto della St. d. lett. it. (I, p. i95) ho corretto: «brutto» del ms. cit. in: «brusco».


Lez. XXVII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i96-97.

P. 207, r. i3. Non trovo che Orazio parli nella sua opera [p. 442 modifica]dell’odio che ispira; forse il De Sanctis, come pensa pure il Romagnoli (op. cit., p. 293, n. i) si riferisce al noto verso di Giovenale (Sat. I, 79): «Si natura negat, facit indignatio versum».


Lez. XXVIII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. i97-98.

P. 209, r. 2i. Ms. cit.: «il pensiero, Narciso riconosca». Ho aggiunto: «simile a» davanti a: «Narciso».

P. 2i4, rr. 24-25. I due versi sono del Tasso, Gerusalemme liberata, c. XVI, ott. i5, ma il primo non è completo: «Né, perché faccia in dietro aprii ritorno».

P. 2i5, r. 3. È il v. 30 della romanza del Berchet: «Giulia».

Ivi, r. 2i. Il ms. cit. è guasto: «risveglia in Dante l’immagine ideale del papato le simboli che chiama». Ho corretto: «con le simboliche chiavi»; il Romagnoli (op. cit., p. 301): «le simboliche chiavi».

P. 2i6, r. 2. Ms. cit.-. «come chiamando». Ho sostituito: «o come quando chiama».


Lez. XXIX. — Cfr. per alcuni dei primi brani la St. d. lett. it., I, pp. i98-99, e per il resto il saggio su Ugolino (Saggi critici citt., III, pp. 24 sgg.).

P. 2i8, rr. 2i-22. Il De Sanctis, citando a mente, cosí riferí i due versi anche nel saggio cit. (ivi, p. 25), mentre il testo esatto è:

                                                                                      cui minaccia
Giove dal cielo ancora, quando tuona.
                                                       (Inf., XXXI, 44-45)
     

P. 227, rr. 2i e 22. «Tre giorni», invece di «due», si legge, per distrazione del De Sanctis, nel ms. cit. e nel saggio (ivi, p. 4i),

P. 228, rr. i6-i7. Nel ms. cit. il testo è guasto: «e ripetersi questa scena ogni volta! e vedersi di cascar dinnanzi ad uno ad uno».


Lez. XXX. — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 202-204, 208, 2ii, 2i2.

P. 229, rr. i4-i5. Nel ms. cit., quasi certamente errato, si legge: «maggior capitano di Cesare e Napoleone».

P. 230, r. i4. Ms. cit.: «mi ponete a tanto». La correzione: «accanto» è del Romagnoli (op. cit., p. 3i5). [p. 443 modifica]

P. 232, rr. 8-9. Ms. cit.: «Nell’inferno elleno hanno un corpo ed è ingannato, in cui si manifestano». La correzione: «ed è inganno» è del Romagnoli [op. cit., p. 3i7).

Ivi, r. i2. Ms. cit.: «sulle pareti del purgatorio». Ho soppresso la ripetizione: «del purgatorio».

P. 233, r. 27. Ms. cit.: «ed il poeta con tanto affetto nella confessione di Dante». Ho mutato: «nella sua confessione».


Lez. XXXI. — Cfr. per Catone St. d. lett. it., I, pp. 20i-3, e per Belacqua la Critica del Croce, i9i2 (a. X), fase. IV, pp. 3i2-i5. V. osservazioni a p. 428.


Lez. XXXII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 203-5, 206.

P. 245, r. i3. La lezione esatta del verso è: «Forse qual diede ad Èva il cibo amaro» (Purg., VIII, 99).

P. 246, r. i7. Nel ms. cit., inesattamente: «per condannarle e giudicarle». Per l’inversione cfr. St. d. lett. it., I, p. 203.

Ivi, r. 22. Erroneamente nel ms. cit. si legge: «speranza» in luogo di «rimembranza».


Lez. XXXIII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 204-5.

P. 256, r. 33. Nel ms. cit. dopo: «il corpo» vi è un: «cioè a dire» superfluo.


Lez, XXXIV. — Di questa nella St. d. lett. it. vi sono soltanto echi qua e lá.

P. 259, r. 2i. Invece di: «biblici» nel ms. cit. si legge: «Regii».

P. 263, r. i7. La lezione esatta del verso è: «Quindi parliamo e quindi ridiam noi» {Purg., XXV, i03).

RIASSUNTI DELLE LEZIONI TENUTE A ZURIGO

Purgatorio.


Lez. VI. — Cfr. per il giudizio sull’invettiva contro le discordie italiane St. d. lett. it., I, p. 22i.

P. 270, rr. 2-3. La lezione esatta dei primi due versi è:

                                         Orribil furon li peccati miei,
Ma la bontá infinita ha si gran braccia
                                                       (Purg., III, i2i-22)
     
[p. 444 modifica]

Lez. VII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 207, 208-09.

P. 272, r. 24. Invece di: «forse» la lezione dantesca è: «assai».

P. 273, r. 25. Nel ms. Frizzoni erroneamente: «Adriano IV».

Ivi, r. 34. Il verso esatto è: «Biondo era e bello e di gentile aspetto» (Purg., III, i07).


Lez. VIII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 2ii, 2i2, 2i4.


Lez. IX. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 2i4-i5.

P. 277, r, 32. Nel ms. Frizzoni; «Niccolò IV».


Lez. X. — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 2i5.


Lez. XI. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 2i6-i7.

Paradiso.


Lez. I. — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 223.


Lez. II — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 224.

P. 286, rr. i6-i8. La lezione esatta della terzina è:


                                         Tu hai l’udir mortai siccome il viso,
Rispose a me, onde qui non si canta
Per quel che Beatrice non ha riso
                                                       (Par., XXI, 6i-63).
     


Lez. III. — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 227.

P. 288, r. 29. Nel ms. Frizzoni: «dell’altro» invece di: «dell’altra».

P. 289, r. 2. La lezione esatta è: «nel suo volto» (Par., XXVII, i05).


Lez. IV. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 229-30.


Lez. V. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 222-23 e 23i.

P. 29i, r. 3. Il De Sanctis vorrebbe riferirsi al c. XXVII, 3i-36, ma ha fatto confusione col c. XVIII, 64-67.

Ivi, r. i6. Lezione esatta: «E come» {Par., XVIII, 58).

P. 292, r. 9. Lezione esatta: «Qual» {Par., XXXII, i03). [p. 445 modifica]

Ivi, rr. 26-29. «Da ‛aequam’ sino a: ‛II santo’ il ms. è di mano del De Sanctis» (Romagnoli, op. cit., p. 494, n. 2).


Lez. VI. — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 232 e 234.


Lez. VII. — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 234.

P. 297, r. 7. Lezione esatta: «E come» (Par., XXVII, 3i).


Lez. VIII, p. 299, r. i2. Nel ms. Frizzoni: «che le ha dato».


Lez. IX, X, XI. — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 235.

P. 302, rr. 24-25. È il passo famoso della Gerusalemme liberala (c. XV, ott. 20): «Giace l’alta Cartago» ecc.

P. 305, r. i7. Lezione esatta: «E s’io al ver son timido amico» {Par., XVII, ii8).


Lez. XII. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 236-37.


Lez. XIII. — Cfr. St. d. lett, it., I, p. 238.

P. 308, r. i0. Il ms. Frizzoni ha per errore: Ciò che non nasce».

Ivi, r. 34. Il ms. Frizzoni dice: «aggiungi la insufficiente concretezza del contenuto intelligenze spirituale». 11 Romagnoli {op. cit., p. 5i0) soppríme: «intelligenze»; non credo sia necessario.


Lez. XIV. — Cfr. St. d. lett. it., I, p. 238.


Lez. XV. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 239-40.

P. 3i4, r. 29. Lezione esatta: «Io che al divino dall’umano» (Par., XXXI, 37).

P. 3i5, r. 25. Lezione esatta: «Però ch’io sono» (Par., XXXI, i02).


Lez. XVI. — Cfr. St. d. lett. it., I, pp. 24i-42.

P. 3i7, r. 24. Lezione esatta: «Ti porgo» (Par., XXXIII, 30).


Lez. XVII. Cfr. St. d. lett. it., I, p. 242.

P. 3i8, r. i4. Lezione esatta: «che d’un fante» (Par., XXXIII, i07) [p. 446 modifica]

APPENDICE


P. 327, r. 20. Nel ms. XVI. C. 49 erroneamente si legge: «Giustizia» invece di: «Superbia».

P. 330, r. 2i. Nel ms. cit. «sette» è segnato col numero arabo in modo che sembra un «due»; ma «due» non può essere, sia perché dopo si dice: «togliendo l’una forma da una e l’altra da un’altra» sia perché anche nella lez. XII, giuntaci in una copia del Laurini, si dice «sette» (v. avanti p. 79).

P. 336, r. 20. Ms. Frizzoni: «il brutto, e per tanta parte». Invece di: «e per», che non dá un senso soddisfacente, ho sostituito: «esser».

P. 338, rr. i-5. Il Croce (F. De Sanctis, pagine sparse citt., p. i6) le tralasciò, cominciando: «Nel volgo è rimasa» ecc.

Ivi, r. 2i: «mi si concederá ch’io»; Croce: «mi si consenta che io».

P. 339, r. i8: «il poeta dee esser filosofo»; Croce: «dee essere filosofo»; r. 2i: «dee vivere con esso, anzi in essa; uccidere»; Croce: «dee vivere con esso: uccidere».

P. 340, r, 4: «poiché queste parole»; Croce: «perché queste parole»; r. i0: «Pur quando sull’orizzonte»; Croce: «Pure, quando nell’orizzonte»; r. i2: «non vuol piú» Croce: «non vuole piú»; r. i6: «sofista»; Croce: «sofistico»; r. 20: «de’ due termini»; Croce: «dei due termini»; r. 21: «in cui l’idea stia»; Croce: «in cui l’idea sta»; r. 24: «d’individuo»; Croce: d’individui»; r. 29: «indestruttibile?»; Croce: «indistruttibile?».

P. 34i, r. 5. Il De Sanctis dopo: «belle o brutte» aveva scritto, poi cancellò: «E non domanda, qual è l’idea nascosta sotto quelle forme, e se la è vera o falsa, importante o frivola, utile o nociva; non lo domanda e non ne ha bisogno, a lui basta che le sieno belle. Niente è assolutamente falso, o ignobile o frivolo; e se il poeta vede ciò come bello, gli è che in quel frivolo ci è l’importante, in quell’ignobile ci è nobiltá, in quel falso ci è il vero. Il bello inchiude certe condizioni, ed esclude certe altre; ma il poeta non dee analizzarlo, scoprire ciò che vi è supposto o implicito e trarnelo fuori, non dee sapere come nasce, e di che nasce; esiste per lui, quando è nato». [p. 447 modifica]

Ivi, r. i4: «sentimenti»; Croce: «movimenti»; rr. i7-i8: «queste veritá, e, per accomodarle al sistema le altera»; Croce: «questa veritá, e, per accomodarla al sistema, l’altera»; rr. i8-i9: «l’esistenza dell’infinito nel finito, come il suo spirito è il trasparire dell’infinito dal finito, cosí»; Croce: «l’esistenza dell’infinito nel finito, cosí»; r. 36: «non ci è ritegno»; Croce: «non vi è ritegno».

P. 342, r. 4. Dopo il punto il De Sanctis scrisse, poi cancellò: «E come altrimenti, se l’essenza della poesia è per lui nell’idea, che abbia nella forma la sua espressione adeguata?».

Ivi, r. 30: «ed ha rappresentato»; Croce: «e ha rappresentato».

P. 343, r. 8. Dopo: «Ma» seguiva: «se il poeta ed il critico potessero parlarsi, nascerebbe un dialogo curioso»; poi fu cancellato.

Ivi, r. 8: «non è piú quella»; Croce: «Non è piú quella»; r. ii: «Me l’attendevo»; Croce: «Me l’attendea»; r. i4: «rappresentata»; Croce: «Rappresentato»; rr. i8-i9: «non dee dir bugie; e Goethe ha ben fatto a correggerti»; Croce: «non dee dir bugie»: manca il resto; rr. 22-23: «col domandarsi: qual è l’idea»; Croce: col dimandarsi: qual’è Videa»; r.28: «s’attiene»; Croce: «si attiene».

P. 344» r. i: «ciò che vi è»; Croce: «Ciò che v’è»; r. 7: «parlare»; Croce: «parlar»; rr. i2-i3: «a ciò che è idea»; Croce: «e ciò che è idea»; r. i4: «Ora questo individuo»; Croce: «Questo individuo».

P. 346, r. i5. Dopo: «a soccorrerlo» nel Croce manca: «tutto il suo essere apparisce qui come azione. Ciò che pensa o immagina o sente, rimane inespresso per lui e per gli altri, dico inespresso come pensiero, immagine, sentimento»; r. 20-2i: «sia un filosofo, o un moralista o uno scultore, un poeta, uno storico»; Croce: «sia un filosofo, o uno storico»; rr. 34-35: «in modo che consuoni con una idea»; Croce: «in modo che componga, con una idea».

P-347. r. 5. Dopo: «trasparente» seguiva, poi fu cancellato:

«la critica idealistica ha introdotto molti di questi modi di dire di un chiaroscuro misterioso».

P. 348, r. 5; «corre appresso alla figura»; Croce: «corre appresso alla figlia» r. 36: «giugnere»; Croce: «giungere».

P. 349, r. 9: «aggiungervi»; Croce: «aggiungere»; r. 23: «scuotendo»; Croce: «scotendo»; r. 24: «ti disincanta»; Croce: «ti disinganna»; r. 32: «da’ genitori»; Croce: «dai genitori». [p. 448 modifica]

P. 350, r. 2i. Dopo: «sopravvive» seguiva, poi fu cancellato: «Ma il tempo con una mano distrugge, con l’altra crea: questo l’assiduo lavoro delle umane generazioni».

Ivi, r. 23: «i grandi individui, storici, poetici»; Croce: «i grandi individui, storici e poetici»; r. 28: «da’posteri»; Croce: «dai posteri»; r. 34: «dottrinarii»; Croce: «dottrinari».

P. 35i, r. 4: «di un ordine»; Croce: «di ordine»; r. 17-18: «nella macerazione del corpo, digiuni, cilicii»; Croce:» nella macerazione del corpo, con digiuni, cilici».

P. 352. Il Croce (Pagine sparse citt., p. 32) omise questo brano fino a p. 352, r. 20: «cioè il semplice esemplare».

P. 354, rr. 20-23. In luogo di queste righe prima il De Sanctis aveva scritto: «La forma tipica è un cotal po’ artificiale e fredda, perché la persona è una mera copia, un prestanome, ed il lettore passa immediatamente all’esemplare cui corrisponde: il che scema l’interesse e scopre l’artificio».

Ivi, r. 3i: «non puoi neppure piú dire»; Croce: «e non puoi piú neppure dire».

P. 355, r. 4: «che è a dire come»; Croce: «che è a dir come»; r. 8: «e rimane»; Croce: «rimane»; r. 26: «nella generalitá»; Croce: «della generalitá».

P. 356, r. 2: «eppur questo»; Croce: «eppure questo»; r. 3: il brano da: «Il permanente si scioglie» (p. 353, r. 23) fino a: «poesia monumentale», come notò il Croce (op. cit., p. 34), è, con qualche variante, ripetizione del brano riportato nella Critica dell’estetica hegeliana, p. 34i, rr. 23-25, e p. 342, rr. i-4.

P. 364, r. 27, p. 364, r. 33 e p. 366, rr. i e 3. Nell’ed. Laurini (pp. i9, 22, 24) costantemente si legge: «Guido» in luogo di: «Cavalcante».

P. 366, r. i2. Lezione esatta: «è bassa voglia» {Inf., XXX, i48).

P. 374, rr. 4-9. Nell’ed. Laurini (p. 37) le due terzine (Purg., XVIII, 28-33) sono invertite.

P. 377, r. 6. Lezione esatta: «che qui è l’uom felice» {Purg., XXX, 75 ).

Ivi, r. i9. Lezione esatta: «i trassi all’erba» {Purg., XXX, 77).

P. 379, r. 3. Nell’ed. Laurini (p. 44), per evidente errore tipografico, si legge: «contenute».

P. 382, r. 34. Lezione esatta: «Tosto ch’io uscii fuor» {Purg., I, i7). [p. 449 modifica]

P. 384, r. 8. Nell’ed. Laurini (p. 5i) il v. 75 del c. VII del Purg., è storpiato: «fresco smeraldo allorché si fiacca». Invece di: «allora che» la lezione esatta è: «in l’ora che».

P. 389, r. i6. Nell’ed. Laurini (p. 63): «si è voluto».

P. 394, r. 35. Nell’ed. Laurini (p. 7i): «rimasta fantasia».

P. 395, r. 2 Lezione esatta: «che dietro la memoria non può ire» (Par I, 9).

P. 402, r. 24). Nell’ed. Laurini (p. 82), in luogo di: «chi pesca per lo vero» (Par., X III, 123), forse per menda tipografica: «chi pensa per lo vero».

P. 403, r. 4. La «filippica egregia per forza comica e bile poetica» non è contenuta nei vetsi che si riportano (82-87), ma in quelli che seguono (pp. 88-i26).

P. 409, r. 1i3. Lezione esatta: «Non è pileggio» (Par., XXIII, 67).

  1. F. de Sanctis, Lettere a Virginia edite da B. Croce, Bari, Laterza, i9i7.
  2. F. De Sanctis, Lettere a Teresa (i836-57) a cura di A. Croce, Napoli, Ricciardi, i954.
  3. F. De Sanctis, Beatrice, saggio inedito a cura di G. Laurini, Napoli, Morano, i9i4, p. xx.
  4. M. Provana di Collegno, Diario politico (i852-56), illustrato con note e documenti inediti a cura di A. Malvezzi, Milano, Hoepli, i926, p. i7i.
  5. Nel ms. cit. la lezione porta il titolo: «Come si trasfigura il brutto?»
  6. Nei mss. XVI. A. 72, che la signora Anna Purpo, vedova Laurini, cede alla Bibl. Naz. di Napoli, la lezione è intitolata: «Come Dante ha trasformato il brutto?» e porta il numero progressivo XV. Sergio Romagnoli, nel suo studio: Francesco De Sanctis a Torino e i suoi studi su Dante (in Studi Urbinati, a. XXVIII, N. S. B., nn. i-ii, 2954, p. 82, n. 53), osserva che dopo la lezione, da me numerata come XII, dovrebbe inserirsi quella del 23 marzo; che il titolo di questa: «Come si trasfigura il brutto?» sembra logicamente collegarsi con quella da me segnata come XIII, la quale, come si è detto, è intitolata: «Come Dante ha trasformato il brutto?». Confermano — egli aggiunge — la supposizione, le date (23 e 30 marzo), e, per di più, la continuitá del testo. Ma non è possibile, secondo me, inserirla, perché il contenuto di essa è identico a quello della XII. Il De Sanctis, servendosi della lezione del 23 marzo, raccolta da qualche uditore, la rielaborò dandole quella forma che ha ora la nostra XII.
  7. Mss. XVI. A. 72.
  8. F. de Sanctis, Saggi critici, a cura di L. Russo, Bari, Laterza, i952, I, p. i04.
  9. Op. cit., p. 246.
  10. Op. cit., p. 255. «Che sottigliezze sapienti — annotò la nobildonna — , ma troppo astratte per capirle senza avere il tempo di riflettervi sopra. Di Dante non parlò punto, ma fece mille distinzioni fra l’oratore ed il poeta, fra l’oratore e l’uditorio, tra la pura forma e il pensiero. Disse bene tutto, ma fu difficile da seguitare».
  11. La lunga e precisa recensione dell’Occurti su tutte le lezioni del De Sanctis fu da me ristampata in appendice al volume: F. de Sanctis, Lezioni inedite sulla Divina Commedia, Napoli, Morano, 1938, pp. 275 sgg.
  12. Commemorazione di F. De Sanctis nel primo centenario della nascita, a cura della R. Universitá di Napoli, i9i7, pp. 59-67.
  13. Bibl. Naz. di Napoli, XVI. C. 44, n. 53, Lettere di Diomede Marvasi a F. De Sanctis, giá pubblicale nelle Lettere da Zurigo del De Sanctis allo stesso Marvasi, a cura della moglie di quest’ultimo, con prefazione e nota di B. Croce, Napoli, Ricciardi, i9i3.
  14. F. de Sanctis, Lettere dall’esilio (i853-i860), raccolte e annotate da B. Croce, Bari, Laterza, i938, p. 82.
  15. Per es.: O de Risi per Oderisi; stati serbi per stati servi; bel letto per belletto; vanis per vanitas; papato ad ultero per papato adultero ecc.
  16. Per es.: sblendore per splendore; aristograzia per aristocrazia ecc.
    Di questi errori diede esempio anche il Laurini, pubblicando il saggio del De Sanctis su Beatrice (op. cit., p. XLV, n. i).
  17. Op. cit., p. xlv.
  18. La lezione, che nel ms. termina col periodo: «Dante è l’eco dolorosa dell’inferno» ecc., nella copia del Laurini continua come nel saggio: «Tutta questa concezione è cosí viva e costante» ecc. (Saggi critici citt., II, p. 255).
  19. Vol.. X. (i9i2), fasc. IV, pp. (3i2-i5).
  20. G. Sforza, Commemorazione di A. D’Ancona negli Atti della R. Accademia di scienze di Torino, seconda serie, Torino, Bocca, LXV, i9i6, p. 37.
  21. Cfr. per queste notizie: F. de Sanctis, Lettere dall’esilio (i853-60), citt., pp. 83 e 2i6; Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, citt., pp. i5, i7-i9, 34, e lo studio di Sergio Romagnoli: Francesco De Sanctis e Teodoro Frizzoni a Zurigo (estratto dalla rivista Bergomum, n. 4, a. (i853). PP- 4 sgg.
  22. Lettere da Zurigo, p. 46; Lettere dall’esilio, p. i24.
  23. Lettere dall’esilio, p. i54 e i65.
  24. Op. cit., p. 64.
  25. Op. cit., p. 82.
  26. Appendice, n. 3
  27. Egli lo ha ora pubblicato intero nel volume Lezioni e saggi su Dante (Einaudi, 1955), che comprende tutto quello che il De Sanctis venne scrivendo, dettando, pubblicando sul poeta.
  28. II primo fa parte della IV lezione su Dante: Mondo intellettuale allegorico, e il secondo della V: Mondo poetico. Il De Sanctis, insieme con una I lezione: Vita di Dante e una III sull’Argomento detta Divina Commedia, le venne scrivendo a Zurigo nel i857-58, quando pensava di pubblicare un libro sul grande poeta, ma poi se ne servi per i saggi sull’Argomento della Divina Commedia e sul Carattere di Dante e sua utopia, pubblicati l’uno nei ’57 e l’altro nel ’58 nella «Rivista contemporanea» (cfr. Saggi critici, citt. II, pp. 88 sgg. e i0i sgg.) e piú tardi per alcune pagine del capitolo sulla Commedia, nella Storia della letteratura italiana. Le lezioni IV e V, in duplice redazione, sono ora pubblicate nel volume del Romagnoli.
  29. Appendice, p. 358.
  30. De Sanctis, Lettere dall’esilio citt., p. 59.
  31. Appendice, p. 377
  32. Lezioni e saggi su Dante, citt, p. xxiv.
  33. Op. cit., ivi.
  34. Ess.: nella lez. IX sul Purgatorio (p. 278, r. 26): «un semplice eco»; nella lez. I sul Paradiso (p. 284, r. 1): «al che» per «il che»; nella lez. III (p. 288, r. 24): «dell’orologgio»; nella lez. V (p. 293. r. 9): «di bango in bango»; nella lez. IX (p. 300, r. 3 ): «oh sanguis»; nella lez. XII (p. 307, r. i0): «di poi» per «di pochi». Frequentissimo poi l’apostrofo dopo un maschile).