Le confessioni di una figlia del Secolo (1906)/A Fabrizio
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A FABRIZIO ...
A FABRIZIO.
Ogni giorno, io lo so, tu vieni, Fabrizio, alla mia porta, e domandi con ansia mie nuove — ed ogni giorno il tuo amore, che è grande ancora, ti fa scegliere i fiori più belli, perchè io ne abbia la felicità di sapere che tu mi pensi ancora con amore. Di questa tua tenera sollecitudine io ti ringrazio, con tutto il cuore e con tutte le viscere — che sono tuoi — ma tu non sai, tu non sai, adorato, che i tuoi fiori, anziché allietare di nuova gioia la mia convalescenza, vanno tristemente profumando le ultime ore della mia agonia. Tu mi credi presso a guarire, Fabrizio... ed io, invece, sono presso a morire! ... Ogni giorno, nel mentre alla mia porta tu interroghi, trepidante ancora della sorte di questa amante tua .... io faccio un passo verso la tomba e mi distacco da te — inesorabilmente.
E quel giorno verrà, in cui una voce ti dirà, fra i singhiozzi, ch’io sono morta ... e ti dirà che gli ultimi fiori da te inviatimi e dalle tue mani sante prescelti, son distesi su me ... sulla mia povera persona, disfatta in un male senza pietà.
Oh! ... com’io vorrei, com’io vorrei, che quel giorno, udendo la notizia inattesa — non mi credevi tu guarita, e vicina ai tuoi baci e vicina alle tue carezze? ... — tu cadessi fulminato, nello schianto del dolore, e così rimanessi, morto con me e con me riunito ... là ... — dove, non so ... — ma là, dove deve cessare, certo, il cerchio di questa vita crudele! ... Ma, ahimè ... per una creatura che si dilegua, per un amore che se ne va con essa — altre creature ed altri amori sono, a cui prima si domanda il conforto, poi si domanda l’oblìo, poi si domanda la felicità consciente della risurrezione ... Tu, Fabrizio, questo farai — dopo il subitaneo terrore, dopo le lacrime dell’improvviso strazio — né io potrò troppo lagnarmene. Non mi ami tu, adesso? ,.. E non son io che, di mia volontà, crudelmente ti abbandono?
E pure — e voi lo vedete, o potenze del cielo e della terrai — io tanto, tanto ti amo! Raccolte tutte le facoltà d’amore, tutte le energie non ancora disperse, io ho creato un amore solo, che è forte sopra ogni altra forza, e dolce sopra ogni altro miele. Di esso io ho fatto dono a te, alla tua bella ed eletta virilità ... e tu, o divino, accogliendolo ed apprezzandone la spontaneità grande e l'infinito ardore, l'hai dato ad ornamento della tua vita di lavoratore e di studioso.
O mio! ... O, ancora, mio! ... Come, scrivendo la breve parola, che ha tutta la soavità di una carezza e tutta l'energia di un possesso indiscusso — come io tremo di commozione, come io singhiozzo di dolore senza fine! ... Dinanzi al mio sguardo si leva, chiarissima come la realtà sempre agognata, la visione della tua persona, ch’io prediligo su tutte. È dessa quella di un uomo sano e normale, di un uomo cosciente e forte è dessa una persona, insomma, non un fantasma, non un fantoccio ripieno di stoppa, o di congegni che al minimo tocco si sfasciano. E la tua persona mi piace, anche nelle sue stesse lievi irregolarità, poichè per esse io apprezzo ancor più le perfezioni molte. Quanta attrattiva di schiettezza e di bontà sul tuo volto! ... Quanta serenità nel tuo riso arguto e quanta dolcezza nel tuo sguardo limpido! ... E come elastica la nervosità del tuo bel corpo, alto e diritto ... così più alto del mio, così divinamente dominatore! ...
Questo è, Fabrizio — o amante mio! — che tu mi piaci, cioè che tu rispondi a tutte le mie esigenze estetiche ed intellettuali. Si può amare un uomo, e trovarlo bellissimo, senza che egli piaccia. Ma quando questa sensazione di piacere — che è quasi il gusto di un sapore — si condensa in un sentimento di passione e lo dilata, l’amore che ne consegue è così completo e complesso, tiene così all’anima ed alla vista, così al cuore ed al palato, così a tutta la esteriorità della materia ed a tutta la interiorità dello spirito, che esso si converte quasi in un connaturato ed imprescindibile istinto. E tu mi piaci, o mio Fabrizio, tu sei tutto entro lanima mia come una luce, ed entro le viscere mie come un appetito: tu mi piaci, tu sei la mia ghiottoneria, la mia predilezione, il boccone di vita che si morde con delizia e si trangugia con voluttà ... O adorato !...
Nel mentre io scrivo, piangendo, dinanzi al velo delle lacrime io ti vedo ed alle attrattive tue, — che già completamente vinsero la mia anima ed il mio desiderio — il velo del mio pianto accresce l’aureola di mille gemme scintillanti, come attorno alla nicchia di una divinità. Ed è per ciò — che tu mi ti mostri ancora l'unico signore del mio pensiero e della mia carne — che, dinanzi a te, ancora una volta con la mia tenerezza mi prostro, si come già, con tutte le membra tremanti di amore e di gratitudine, io mi prostrai tante volte nelle divine ore passate.
Tu non volevi, no, tu non volevi — oh anima! ... — ch’io, con quell’atto di tanto palese adorazione mi sottoponessi a te, e mi umiliassi al tuo dominio ... e però mi prendevi per le braccia — ricordi? — e mi tiravi su, con le robuste mani ... Ma io lottava — e la follia della mia adorazione mi dava centuplicate forze — io mi avvinghiava alle tue ginocchia, io inchiodava la testa sui tuoi piedi e rimaneva così, discinta e amorosa e palpitante come una Maddalena! ... Ma tu non volevi, no, che così rimanessi... e ancora mi prendevi per le braccia, e ancora mi tiravi su, con una così deliziosa impazienza e con tanto deliziosi rimproveri — ch’io ti cadeva tutta tremante sul cuore e sulle labbra ... e per le labbra entrambi perdutamente esalavamo la piena della nostra commozione! ...
E quante volte, o mio, tu mi hai impedito di baciarti le mani! ... Perchè? ... Perchè non volevi che ti baciassi le mani? ... E pure è così soave cosa, è un’espansione così soavemente consolatrice, baciare la mano dell’uomo amato! ... Dopo i tanti e veementi e scomposti baci di passione, di quanta trepida e devota gioia non è posar la bocca sulla palma ... in quella piccola ed ardente area, ove l'intera energia della vita sembra palpitare! ... La palma della mano, o mio Fabrizio, è così significativa! ... In essa è raccolto tutto il profumo e tutto il moto e tutto il calore di una vita — e le labbra, che vi si posano, godono di suggere la triplice condensazione, che è fatta di poesia, di forza e di voluttà. Io la baciavo, dunque, la tua palma, a tuo dispetto, e per tenerla salda l’affondavo nel seno .... ma tu, sentendo ardere su essa il cerchio di fuoco della mia bocca ed il vellicare del mio alito, ti agitavi vibrante, domandando pietà come per una delizia troppo grande! ...
Oh mio paradiso di ieri, o passato così recente e pure così disperatamente lontano! ... O mio Fabrizio ... tesoro e gioia e spasimo mio!⁂
Strano e pure bello — ed inesorabile, come un ordine del Fato — il nostro romanzo. Tu, certo, ne rivivi ora le prime fasi, nel mentre la triste lettera di morte ne rievoca, con tutta la tormentosa lucidità di un estremo addio, i giorni, le ore e gli attimi, e su essi addensa tutta l’ultima energia di un ricordo, che sopravviverà alla morte.
Ora, ch’io penso a questo nostro breve e strano romanzo — io sento che esso ha compreso tutta la mia esistenza, tanto l’intensità sua ultima si è distesa ed ha avvolto anche il passato. Ora, che tu sei nella mia vita, con la saldezza di una padronanza assoluta, io sento che tu, nella mia vita, sei sempre stato, egualmente signoreggiatore. A traverso questo presente, che è tutto pieno di te, io non distinguo se non in confuso, anzi non vedo quasi, il mio passato, in cui tu tangibilmente non eri, ed altri erano invece tua. Non so: ma io provo, ora, la sensazione di averti sempre conosciuto e di essere sempre stata tua. Perchè? ...
Si dice, tuttavia, che le impressioni recenti sieno le meno vive — e se è vero che il sovrapporsi incalzante delle nuove sensazioni trova il terreno già sfruttato, e però non incide solchi molto netti, ne molto profondi — tu dovresti rappresentare in me il piccolo ruscello, che corre a fior di terra, non già il largo fiume che va, per il letto profondo, sonoramente ed ampiamente irrorando la sponda. — Invece questo è: che tu solo nell’anima mia e nel mio senso corri come un fiume ed inondi — mentre il mio passato, sia pur di passione, si confonde in una intricata rete senza rilievo. Perchè?. ..
Veramente io credo che tu sia sempre stato, nella mia vita. — Io non ti ho conosciuto sempre, no — ma ti ho sentito — e però ti ho cercato e però, forse, ti ho avuto, sempre. Sin dall'adolescenza, quando orgogliosa dei miei sedici anni, arditi e splendidi come un levar di sole, io provava la vertigine del sangue vergine e del vergine sentimento — io, forse, ho sentito che qualcuno v'era, nel mondo — anima e sangue — che doveva essere mio ed appartenermi, come un necessario complemento vitale.
L'influenza della tua vita, sin da quel tempo, agiva sulla mia: una disposizione indeclinabile del Fato — un ricercarsi di fluidi, a cui era imposto di unirsi ed integrarsi in una sola unità di vita. Chi può sapere il mistero della natura, il mistero dell’amore? ... Io, certo, ho provato, in tutta la sua ampiezza, questo aggiogamento del mio ad un altro essere — questa dipendenza delle esplicazioni del mio io, alle esplicazioni di un altro io,
E ti ho sentito — e ti ho cercato — e ti ho, forse, avuto — però che l’anima mia ha sempre amato la tua, e le mie viscere hanno sempre fremuto di te — anche quando la tua anima e la tua carne mi erano sconosciute. — La mia adolescenza, con i suoi primi indefiniti palpiti, ed i suoi sogni fluttuanti — la mia giovinezza, con i suoi imperiosi desideri, ed i suoi delineati fantasmi — la mia femminilità, con le sue arsure, le sue ansie, le sue ricerche, i suoi spasimi, le sue follie — con tutta la sua scienza grande e completa di vita — tutta, tutta la mia esistenza è stata tua... Ed ora, che la mia vita finisce, la mia vita è ancor tua, o Fabrizio, completamente ed incondizionatamente ...
Ma la ragione dell’apparente arcano è in ciò: che tu hai sempre fatto parte della mia vita. Chi veniva, nelle mie notti di fanciulla ignara, a riempir di sole i miei sogni?... Chi si levava al mio fianco nelle lunghe ore di un esilio orrendo, in cui la mia giovinezza in fiore minacciava di disfarsi nell’abbandono?... Non eri tu, ch’io voleva quasi bimba? ... Non eri tu, ch’io voleva quasi donna?. .. Non era l’amore, che io sentiva per te — l’amore eletto ed ardente, come materiato nell’essere mio — quello che mi faceva amare i fiori e berne il profumo, e amare il sole e berne il raggio — e amare tutte le umane creature e berne a lunghi sorsi l’illusione d’amore?...
Tu ... sempre tu, sei stato nella mia vita. Te io cercava entro i prati, affondata nell’erbe, con il viso contro la terra, come contro una bocca, che dovesse dirmi il tuo nome ... Te io cercava nella piccola chiesuola deserta, seduta in un angolo, con gli occhi smarriti nella penombra di rosa, con il cuore schiacciato sotto il peso di una tale angoscia d’amore, ch’io ne fuggiva spaventata come per un sacrilegio ... Te ... te, sempre te io ho cercato ... anche nell’uomo, che un giorno sorse nella mia vita, e mi domandò se volevo seguirlo. Si, anche in lui io ti ho cercato ... E quando mi avvidi di no ... — di no — che tu non eri lui — io ti ho cercato ancora nella sapienza, che quell'uomo mi dette, nella sapienza ultima della vita e che doveva, forse, svelarmi il tuo mistero.
E ti ho cercato ancora. Avanti, avanti, avanti ... nella mia ricerca, sospinta alle spalle, afferrata per le braccia, trascinata da una forza, che era più grande del mio volere e contro la quale, nulla, nessun dovere, nessun diritto, nessuna religione mi avrebbe dato virtù di resistere! ... Avanti nella ricerca ... a tentoni ... a caso ... brancolando nella folla come un ebra ... buttandomi di qua e di là come un’allucinata ... stendendo le mani, folle, ad afferrare tutto quanto mi si parava dinanzi, e mi pareva dovesse essere il fantasma di te ... E, a volte, un urlo di trionfo mi sfuggiva dal petto, ansimante ... “Eccolo! ... È lui! ...” Io ti aveva trovato ... io avevo messo queste mie mani voraci sulla tua vita, per travolgerla nella mia, per farla cadere entro la mia, quasi dentro un precipizio! ... E allora una vertigine di felicità mi prendeva ... Eri tu! ... Eri tu ... i cercato tanto ... il tanto agognato! ...
E tu non eri. ― Ed io riprendeva la mia ricerca ... Ed ancora io mi agitava frenetica, cercando al buio quella divina sorgente di vita, quel cibo divino che mi sazierebbe alfine ... che mi darebbe alfine la certezza sovrumana di aver trovato l’altra metà del mio essere, senza la quale io non poteva dirmi vivente: Te! ... E così sono andata, instancabile, incalzata alle spalle, sospinta senza posa... arrestandomi sol brevi istanti, nella fallace speranza di poter posare alfine ... per riprendere subito dopo il mio febbrile cammino.
⁂
Ma un giorno, finalmente, io ti scorsi nella folla, che i miei occhi frugavano, forse in un’ultima ricerca disperata - e qualcosa in me gridò la parola di rivelazione: eri tu! ... Nè io credetti, in prima. Troppe volte la speranza mi aveva mostrato il miraggio del suo desiderio ... troppe volte io era caduta sulla via e mi era ferita ed aveva perduto, per le vene, il miglior sangue ... perchè ancora una volta, vicina quasi a disperare, io potessi abbandonarmi, cieca, all’inganno.
Pur nonostante ti circuii, ti girai d’attorno, attratta da una forza misteriosa verso te, imponendo a me stessa la forza di attrarti a mia volta ... domandando al mio essere tutto il magnete necessario a farti cadere su me, come un corpo scagliato nello spazio ricade sul suolo. Paziente, astuta, costante, io ti tesi tutte le tagliuole di cui, donna e femmina, posseda la privativa ... e ti attorniai ... e ti strinsi da presso ... Tu resistesti, a lungo ― oh, troppo a lungo! .... ― Sentivi la mia forza e ne avevi paura, sentivi l’avvolgimento del mio volere insignorirsi della tua volontà e ne avevi paura ... sentivi di cadere ed ancora avevi paura ... Resistesti ... oh resistesti! ... Ti ribellasti al fascino, che da tutta me ― dal mio corpo e dalla mia intelligenza, dal mio sguardo e dalle mie parole sfuggiva per miriadi di scintille, quasi a traverso i pori di tutta la mia pelle ... E volevi fuggirmi e non potevi — e volevi parlarmi e non osavi ― volevi scrivermi e non sapevi ...
Ho qui una tua lettera. È la prima. È la smarrita. È la divina! ... Tutto il tuo terrore e tutto il tuo amore si ribellano ... ed al tempo stesso invocano! ...
Ah... o Fabrizio!... Quale urlo pazzo di vittoria mi uscì dal più intimo essere, quando lessi quelle parole, quasi smarrite, quasi vili! ... Tu eri mio, ormai, irremissibilmente mio!. .. Tu mi appartenevi ... Io era riuscita, alfine, ad afferrarti, a trascinarti su me, a farti cadere entro me! ... Nulla e nessuno poteva salvarti più ... neppure la fuga che tentasti ... no, perchè di nuovo tornasti a me, più completamente mio, come se pur da lontano l’incantesimo avesse seguito, anzi, acuito il suo corso.
E il giorno del trionfo venne ... Quel giorno, o Fabrizio, resterà nella mia mente pur dopo la morte. Io lo so ... io lo credo — ed è questa la fede unica, che risplenda dinanzi a me come un sole, mentre sto per inoltrarmi nel buio mistero della tomba. Guai su me ... guai sull’anima mia, se la mia fede fosse vana, se io — di là — non avessi, unico e sconfinato come un gaudio di paradiso, il ricordo vivente di quel giorno!... Tutta la mia vita maledetta, tutti i miei dolori, e le lacrime e gli strazii che ora mi conducono, così disperatamente alla morte, sarebbero stati inutili — ed inutile sarebbe questa morte stessa ch’io cerco, ch’io voglio, nella certezza che essa sia la pace, sia la voluttà di goderti, senza tregua e senza contrasto.
Ma quel ricordo sopravviverà al disfacimento del mio corpo. I suoi elementi fanno ormai parte della mia esistenza, insieme alla materia che mi compone — e se altro non sarò io, oltre la vita, se non un umile cardo spinoso, la gloria di quel giorno si anniderà ancora entro le mie spine, nel cuore del piccolo fiore semprevivo! ...
Il giorno venne, o mio Fabrizio — e la tua paura si dileguò come un inesplicabile incubo. Tu comprendesti alfine che qualcosa — più alto di te e più alto di me — superiore alla nostra piccola potenza, aveva imposto il nostro congiungimento. Comprendesti che non capriccio di donna mi aveva guidata, non perversità di femmina, oziosa e viziosa — ma le supreme disposizioni di una signoria incontrastabile, contro la quale ninna lotta — mia o tua — sarebbe stata proficua.
Ed allora, anziché fuggirmi come un pericolo, tutto mi ti abbandonasti ... Guidata dalla tua mano amorosa io entrai nel tuo essere e tutti, ad uno ad uno, ne scopersi le bellezze ed i misteri e gli orrori — anche gli orrori, più belli e più accattivanti delle bellezze medesime. — Tutto di te mi rivelasti, ed io ti amai ancor di più per questo tuo abbandono, per questo opulento omaggio dei più riposti misteri del tuo essere. E del dono io ti ricambiai ad usura. L’intero mio miserabile passato, con le sue vergogne e le sue lacrime, con le sue fallaci gioie e le sue insensate disperazioni, io ti narrai — e l’anima mia ti mostrai, finché potei farlo senza colpa di impudicizia. Ma tutto non ti dissi, Fabrizio, tremante che — malgrado il tuo grande amore e la tua grande intelligenza — tu non dimenticassi di essere uomo e di essere amante — e però parziale e però debole, e però, forse, crudele. Tutto non ti dissi ... perchè sonovi cose nella vita — misteri di colpe pensate se non commesse, misteri di istinti, misteri di fatalità — che non si possono dire, neppure morendo. E, vedi, io non te li svelo neppure ora, nel mentre son vicina a morire...⁂
Ma il supremo giorno giunse, in cui il divino sacrificio d’amore doveva venir consumato. Ricordi, anima, il cantuccio che ci accolse primo? ... Era una piccola osteria di campagna, netta e fragrante di cibo e tutta attorniata da una pergola di roselline gialle. Noi vi giungemmo stanchi, dopo una gita per certi viottoli campestri, così malagevoli, ch’io spesso vacillava — forse per averne il brivido di sentirmi sostenere dalle tue mani ... Stanchi eravamo ed affamati, e con molte risa, sane e felici — mentre gli occhi dicevano le frasi ardenti, che le bocche non potevano — noi ci ristorammo sotto i viticci profumati. Soli eravamo e un po’ stanchi e molto e molto desiderosi ...
L’ostessa, vedendo cotali sposi a disagio sulle seggiole rozze, ci offrì — benedetta! — la patriarcale ed unica camera della sua locanda... Oh il lampo delle nostre pupille alla proposta, e il tumulto improvviso del sangue entro le arterie, che suonavano a grandi rintocchi l’ora della suprema consacrazione!... Ci levammo dalle sedie, quasi barcollanti, e così salimmo — ricordi? — la scala dipinta di vasi dai fiori mitologici... e nell’ascendere le nostre ginocchia si piegavano, come sotto un peso troppo grave di felicità...
E là fu... E là io piansi le lacrime della tremenda gioia e del tremendo dolore... Là io piansi le lacrime, che in questa ora ultima si addensano nelle mie ciglia e mi tolgono la vista per pro- seguire... Oh mio!... Oh tutto mio!...
Ed ecco, Fabrizio, anima mia, amore mio unico e grande, perchè io muoio. Tutta la ragione, implacabile come una condanna, è in una parola sola, breve ed orrenda. Essa rugge tutte le ferocie e rimbomba di tutti i fragori, ed ulula tutti i rimpianti: — Tardi!
Tardi, tardi, tardi!... Troppo tardi io ti ho trovato, troppo tardi io ti ho amato, troppo tardi tu sei venuto nella mia vita, a renderla completa ed armonica come un’opera divina!... Io mi sono illusa, sì... un momento mi sono illusa che per te, per virtù tua, la mia vita potesse ricominciare... Ma Terrore è stato breve ... breve come il barbaglio di un lampo. Tu ti eri levato, con tanta potenza di raggi, sul mio fosco orizzonte’ ... Come poteva mai occhio di donna, per quanto esperto degli inganni della vita, per quanto usato ai tranelli dei miraggi, non rimanerne abbagliato e confuso? ... Ma il fenomeno è stato fuggevole ... ed io ho riveduto, dopo, più chiara e più ferocemente inflessibile, la condanna tremenda ed indelebile: Tardi!
Tardi, perchè la mia giovinezza è all’ultima sua agonia; tardi, perchè le mie forze sono all’ultimo loro tentativo — tardi, perchè della vita profusa, come un tesoro che non dovesse mai aver fondo, io non ritrovo in me che i miserevoli avanzi ... E tardi, tardi, tardi perchè tu sei giovane ancora, alla mia età, perchè ancora possedi integro quel mirabile capitale di energie intellettuali e fisiche, di cui natura volle, con tanta liberalità, dotarti.
Che cosa vuoi, dunque, ch’io ti offra, in cambio di così ricco dono? ... Io non potrei offrirti che un cuore inesauribilmente acceso, una tenerezza senza confini di ampiezza e di durata ... povere cose, povere cose per chi, come te, ha diritto a ben altri e ben più attraenti possessi! .. Io non ho più la giovinezza, nè ho la bellezza ormai più ... sono una donna di quarant’anni, sciupata, pallida, già quasi canuta ... Che cosa posso io darti, se non la devozione di un povero cane, che sa che il padrone potrebbe, se volesse, ucciderlo? ...
Ed è questo terrore enorme, questa ribellione enorme nel vedermi insufficiente a controbilanciare la ardenza, sempre inestinguibile, della mia pascione, con quelle prerogative di giovinezza, che son così grande parte nel suo soddisfacimento ... è questo terrore folle di vedere ogni giorno maggiore lo squilibrio fra me e me stessa — quello che mi uccide. Ah! ... sentirsi vivi e vibranti e forti ed ardenti in tutto l'intangibile essere ... e vedersi, in tutta la tangibile forma, disfatti e brutti e segnati già dal marchio delle cose che sono per finire! ... Non v’è, o Fabrizio, non può esservi nel più profondo inferno, un tormento più grande, un tormento che meglio dilanii lo spirito ed il corpo insieme! ...
Una sola speranza potrebbe arridermi oggi — oh ferocia! — La speranza di riuscire a non amarti più, la speranza di richiamare questo mio essere, cosi completamente a te vòlto, incontro a qualche altra divinità — ideale o materiale — meno giustamente esigente. Ma io non posso ... non posso! ... Nulla, nel cielo e sulla terra, potrebbe surrogare il culto ampio e completo, in cui io ho trovato tanta perfezione di gioie ... ed io sento, con tutta la sapienza di sensibilità, che mi viene da una lunga e dolorosa esperienza di vita, che tu sei ormai l’unico elemento che può dar forza e dar poesia alla mia presso che esaurita esistenza ...
Ma ahimè! ... ahimè! ... io non ho più nulla che mi conceda l'illusione di poterti tenere a me — sempre! ... Potrei, forse, se attorno alla mia fronte qualche aureola irradiasse ... Ma io non ne ho alcuna ... Donna dell’oggi, nulla a me fu dato peparare alle ultime disfatte della giovinezza ... Noi non siam state educate per ciò ... ma, se graziose cianfrusaglie, abbiam potuto trionfare fin che durò la nostra freschezza, al pari di una ciarpa, che già parve vaporoso ornamento, noi diveniamo poi il ciarpame del rigattiere ... né il destino è crudele con noi, quando ci scaglia a dirittura sotto la maciulla di un industriale, che trarrà dalla nostra materia una maraviglia nuova ... anziché consentirci di cadere nel possesso di un lurido istrione, che ne farà ancora cintura per le sue brache di pagliaccio ...
Questa è, o mio Fabrizio, la ragione della mia morte. Nulla ho più da darti, oltre quanto io t’ho dato già: tutto l’ardore del mio tramonto materiale e tutta la poesia di un’alba spirituale che, unica, sopravviverà alla mia tenebra. Intuitiva sempre, io ho sentito quest’ora, fatale e tragica, in quel giorno di sovrumana gioia, in cui, maravigliati, smarriti, tremanti, ci trovammo soli nella patriarcale camera della locanda campagnola. Oh i tuoi baci, quel giorno! ... e le tue carezze folli ... e la commozione spasmodica di tutti i miei nervi e la febbre di gioia di tutto l’essere mio! ... Nessuna cosa esisteva per noi, sulla terra, oltre la sovranità di quell'ora, che a te giungeva quasi nuova — ed a me tornava quasi antica! ... Tutto l’universo mondo — e il passato e il futuro — era piombato nell’oscurità del nulla. Solo e fulgidissimo, come un astro di sogno, sulle nostre teste unite in un bacio di follia, brillava la santità dell’attimo fuggente.
E fu allora che, soggiogata dalla felicità e dal terrore, io piansi nelle tue braccia, come una povera creatura d’agonia piange alla vista di una giovinezza, che le passa dinanzi, quasi una sfida. .. Tu, buono — tu, santo — tu, mio divino ... tu asciugasti quelle lacrime con le tue labbra e richiamasti l’oblio nel mio spirito, con la tenerezza passionata delle tue carezze ... E grazie, grazie, unico e grande tesoro della mia vita, della bontà tua, che mi permise, almeno per un attimo, di credere all’avvenire e di posare il cuore dolente ed ansioso nell’inganno di quella fede! ... Ma l’attimo passò, Fabrizio ... e l’inganno è passato con esso. Io ho riacquistata la lucidità della mia intelligenza, anzi ho trovato una lucidità nuova più grande ancora: io vedo che debbo morire ... Perchè il giorno, o Fabrizio, in cui, stanco di me non più giovane e del mio amore troppo esigente — tu mi volgessi le spalle e mi abbandonassi e mi lasciassi sola, nel buio, ancor più grande della mia miserabile esistenza ... io diventerei pazza, quel giorno, io sentirei tutte le mie facoltà precipitare nell’abisso ... Ed io voglio morire — non divenir pazza, mai!...
Pochi giorni ancora, forse — chi sa! — poche ore... e questo mio cuore, che ha tanto palpitato, questa mia mente, che tante ha creato chimere, questo mio spirito, che con tanto accanimento ha perseguito la felicità nella manifestazione unica dell’amore — pochi giorni ancora, ed ogni cosa tacerà e poserà nella eterna quiete. La mia lamentevole vita di donna, che ha fallito tutti i suoi scopi — non, quasi, figlia — non, quasi, moglie — non madre mai — amante solo, ma disperatamente irrequieta, perchè incapace di trovare la verità avrà fine, fra pochi giorni. Tutto tacerà, tutto poserà, tutto finirà, di ciò che è stata Viviana, la donna di passione. Cadranno le lotte e le menzogne, cadranno gli odii e gli affetti ~ entro la voragine della morte ogni cosa precipiterà, per non più risorgere.
Una sola e grande e sovrumana cosa, sorviverà alla fine di tutto ed alla mia dissoluzione: il mio amore per te, il ricordo del trionfo quando ti ebbi mio e lo straziante rammarico di averti tardi — tardi! — trovato, dopo aver consumato tutte le forze della mia giovinezza nella ricerca di te. Sarà questo — felicità e disperazione — il mio purgatorio: il tempo della prova. Poi tu verrai, o mio per sempre, e ti ricongiungerai a me oltre la vita ed ancora su noi, inestinguibile come un astro di sogno, brillerà la felicità del presente, che sarà di immortale gioia. E sola e unica e grande — cosi grande, che a creatura vivente non è concesso goderne senza che il suo miserabile corpo non ne debba soggiacere — resterà nell’infinito la gloria del nostro amore perpetuo, come perpetuo è il moto delle stelle.
Così, in questa fede — che è tutta l’intera fede, che io ho della vita e della morte — io muoio, o mio Fabrizio. — Ma prima di morire, con lo spirito che è vivo e lucido quanto mai, e con le membra, già quasi irrigidite, io ancora una volta mi prostro adorante dinanzi a te e cingo le tue ginocchia con le braccia, che l’amore anima di un’ultima energia. Tu non protestare, o adorato, non ti ribellare: lascia che così si esali l’estremo alito della mia esistenza, e lascia che così si estingua l’ultimo palpito del mio cuore. E non mi prendere con le dolci mani impazienti... non mi tirare su, come facevi nelle nostre divine ore d’amore — non mi far cadere palpitante su te... Tu sentiresti sulle labbra il gelo delle mie, che già appartengono alla morte!...
Ed ecco, che mentre la mia vita finisce, l’attesa incomincia. Ogni mia speranza e tutta la forza del mio amore son chiuse in questa parola di oscurità e di luce: ti aspetto!...
E tu vieni, o Fabrizio, o adorato, o mio!... Vieni ancora nelle braccia, alla bocca ed entro l’anima della tua
Viviana.
Fine.