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ch’io cerco, ch’io voglio, nella certezza che essa sia la pace, sia la voluttà di goderti, senza tregua e senza contrasto.

Ma quel ricordo sopravviverà al disfacimento del mio corpo. I suoi elementi fanno ormai parte della mia esistenza, insieme alla materia che mi compone — e se altro non sarò io, oltre la vita, se non un umile cardo spinoso, la gloria di quel giorno si anniderà ancora entro le mie spine, nel cuore del piccolo fiore semprevivo! ...

Il giorno venne, o mio Fabrizio — e la tua paura si dileguò come un inesplicabile incubo. Tu comprendesti alfine che qualcosa — più alto di te e più alto di me — superiore alla nostra piccola potenza, aveva imposto il nostro congiungimento. Comprendesti che non capriccio di donna mi aveva guidata, non perversità di femmina, oziosa e viziosa — ma le supreme disposizioni di una signoria incontrastabile, contro la quale ninna lotta — mia o tua — sarebbe stata proficua.

Ed allora, anziché fuggirmi come un pericolo, tutto mi ti abbandonasti ... Guidata dalla tua mano