Le Mille ed una Notti/Storia del Saggio Hicar
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Traduzione dall'arabo di Antoine Galland, Eugène Destains, Antonio Francesco Falconetti (1852)
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NOTTE CDXLIII
STORIA DEL SAGGIO HICAR.
— Sire, Sencharib, re dell’Assiria e di Ninive, aveva un visir di nome Hicar. Era questi l’uomo più istruito di que’ tempi in tutte le scienze, e lo si chiamava, a buon dritto, il Saggio, il Filosofo. L’estensione delle sue cognizioni, la sua prudenza ed abilità, rendendolo il più fermo sostegno del trono d’Assiria, facevano insieme la felicità e la prosperità dell’impero.
«Hicar possedeva immense ricchezze; il suo palazzo, il quale non la cedeva in grandezza e magnificenza a quello del monarca, racchiudeva nelle sue mura sessanta altri palagi, occupati da altrettante principesse da lui sposate. Malgrado tanto numero di donne, Hicar non aveva figli, e questa privazione gli arrecava gran dispiacere.
«Un giorno, radunò egli i savi, gli astrologhi, i magi, ed esposto loro il soggetto del suo dolore, chiese se conoscessero un mezzo di farne cessar la cagione. Lo consigliarono a rivolgersi agli dei ed offrir loro sagrifizi per ottenere la prole che tanto desiderava. Hicar ne seguì i consigli: implorò il favore degli dei, si prosternò dinanzi alle loro immagini, arse incenso sui loro altari, immolò numerose vittime, ma essi furono sordi alle di lui preghiere.
«Pieno di tristezza, uscì dal tempio, alzò gli occhi al cielo, riconobbe il suo autore, e gli disse con voce alta e nell’amarezza del cuore: — Sovrano padrone del cielo e della terra; creatore di tutti gli esseri viventi, esaudisci le mie preghiere, dammi un figlio che formi la consolazione del resto de’ miei giorni, che possa succedermi, m’assista alla morte, mi chiuda gli occhi ed eseguisca le ultime mie volontà!» Appena ebbe finita tale preghiera, udì una voce che diceva: — Perchè riponesti dapprima la tua fiducia nelle immagini scolpite, resterai senza prole; ma tu hai un nipote: prendi Nadan, il figlio di tua sorella, adottalo, comunicagli la tua scienza, la tua abilità e saggezza, e sia il tuo erede. —
«Hicar obbedi subito agli ordini del cielo; prese il piccolo Nadan che poppava ancora, e lo consegnò ad otto scelte donne, alle quali affidò la cura della sua prima educazione; fu il bambino vestito di seta, di porpora e scarlatto, e circondato di preziosi tappeti. Uscito dall’infanzia, diventò grande e forte colla rapidità dei cedri che nascono sul monte Libano. Gli fu insegnato a leggere e scrivere, e gli si diedero i migliori maestri in tutte le scienze. Dotato di spirito vivo e penetrante, d’una memoria felice, fece dapprima grandi progressi, e superò in breve le speranze concepite di lui. Hicar gl’insegnava in persona la saviezza, più difficile a conseguirsi di tutte le altre scienze, e cercava l’occasione di farlo conoscere al re. Quest’occasione si presentò fra non molto da sè.
«Sencharib, conversando un giorno col visir, gli disse: — Mio caro Hicar, modello di tutti i ministri, mio fedel consigliere, depositario de’ miei segreti, sostegno del mio trono, gli uomini tuoi pari dovrebbero essere immortali; ma vedo con dispiacere che tu sei avanzato in età; la tua vecchiaia mi fa temere pe’ tuoi giorni; e chi potrà surrogarti appo di me?
«— Principe,» rispose Hicar, «sono i monarchi come voi che dovrebbero essere immortali. Quanto a me, potrete surrogarmi facilmente. Io vi ho parlato altre volte del figlio di mia sorella, di Nadan; l’ho allevato dall’infanzia, insegnandogli ciò che imparai io stesso coll’esperienza: oso credere che ora sarà in istato di servirvi e meritare così la vostra fiducia. — Voglio vederlo,» disse il re; «e se è come me lo dipingi, potrò fin d’ora dargli il tuo posto. Conserverai gli onori, e potrai gustare il riposo di cui hai bisogno, e che li meritasti. —
«Hicar fece tosto venire il nipote; il suo aspetto era amabile e seducente: il re lo considerò con attenzione, e si sentì attirato da simpatia verso di lui. Gli volse poscia alcune domande, alle quali rispose con ispirito e franchezza. Allora, voltosi ad Hicar, gli disse: — Io riguardo Nadan come vostro figlio; egli merita di portar tal nome; voglio riconoscere in lui i vostri servigi, e farlo erede della stessa fiducia, ch’io riponeva in voi; desidero che mi serva come mi serviste, e come avete servito, prima di me, mio padre Serchadum, e vi giuro che non avrò un più intimo confidente, un miglior amico di lui.» Il vecchio gli si gettò ai piedi, ringraziollo, assicurandolo dello zelo e della fedeltà di Nadan, gli chiese la sua indulgenza per gli errori che potesse commettere, e prese congedo.
«Hicar, tornato a casa, chiamò a sè Nadan, per rammentargli le lezioni di saggezza che gli aveva date, e gli parlò in questi termini:
«— Onorato dalla confidenza del principe, voi ascolterete cose che bisognerà accuratamente nasconderee custodire in voi stesso; una parola sfuggita indiscretamente è un carbone acceso che abbrucia la lingua; infiamma tutto il corpo, e lo ricopre d’obbrobrio e d’infamia.
«È similmente dannoso tal volta lo spargere una notizia, e narrare ciò di cui si fu testimonio. «Quando dovrete impartir ordini, esprimetevi sempre chiaramente, ed in modo da essere inteso; quando vi si domanderà qualche cosa, non affrettatevi a rispondere.
«Non attaccatevi alla magnificenza ed allo splendore esterno: questo splendore impallidisce; ma la buona fama si perpetua e dura in eterno.
«Chiudete l’orecchio ai discorsi d’una donna imprudente, per timore che vi faccia cadere ne’ suoi lacci, vi copra di vergogna e sia cagione della vostra rovina.
«Non lasciatevi sedurre da quelle donne pomposamente vestite, esalanti l’odore dei più squisiti profumi; non lasciate prender loro alcun impero sul vostro cuore, e non dite ciò che v’appartiene. —
«Non siate come il mandorlo, le cui foglie spuntano prima delle altre piante, ma che da frutti dopo di esse.
«Siate piuttosto come il gelso, le cui foglie spuntano tardi, ma il cui frutto matura pel primo.
«Siate dolce, modesto; non ostentate di passeggiare colla testa alta e di alzare la voce parlando: giacchè se fosse vantaggio l’avere la voce grossa, l’asino sarebbe il più perfetto degli animali.
«È meglio dividere un lavoro duro e penoso coll’uomo saggio, che bere e divertirsi col libertino.
«Versate il vostro vino sulla tomba degli onesti, piuttosto che berlo coi malvagi.
«Amicatevi cogli uomini saggi, e cercato di somigliarli.
«Fuggite la compagnia degli scemi, per tema di non battere la stessa via.
«Esperimentate il vostre amico prima di aprirgli il cuore.»
«Camminate sulle spine finchè avete il piede sicuro e leggiero, e segnate la via ai vostri figlie pronipoti.» «I posti più elevati, vanno soggetti ai grandi rovesci.
«Riparate la vostra nave prima della burrasca, se non volete vederla sommersa, e perire voi stesso con lei.
«Diffidate dei giudizi del volgo.
«Quando si vede un uomo ricco mangiare una serpe, lo si attribuisce alla sua scienza ed al suo discernimento; se è un povero che la mangia, si dice esserne causa la fame od il bisogno.
«L’ambizione sovente cresce colla fortuna: accontentatevi del poco che possedete, e non desiderate l’altrui.
«Se un nemico vuol nuocervi, cercate di prevenirlo, facendogli del bene.
«Scegliete quelli che volete vedere, evitate di mangiare cogli sciocchi, e temete l’uomo che non teme Iddio.
«L’insensato vacilla e cade; l’uomo saggio vacilla, ma non cade, e tosto si rialza; se ammala, può bensì non essere facilmente guarito, ma la malattia degli sciocchi e degl’ignoranti è incurabile.
«Che la vostra alta posizione non v’impedisca di vegliare all’educazione de’ vostri figli; abbiate cura soprattutto di rimproverarli e correggerli: la correzione è nell’educazione ciò che il concime nella coltura. Bisogna legare l’apertura al sacco, porre un freno agli animali, e chiudere bene la porta.
«Reprimete le cattive inclinazioni d’un fanciullo prima che si faccia adulto e si rivolti contro di voi; altrimenti vi farà arrossire nelle pubbliche vie e nelle assemblee, e vi coprirà d’infamia colle sue azioni.
«Consultate il vostro cuore prima di lasciarvi sfuggire dalla bocca una parola.
«Evitate d’entrare nelle querele particolari; esse generano l’odio, la guerra e le discordie. Palesate la verità se siete chiamato come testimonio, ma fuggite subito. «Sebbene rivestito d’illimitata potenza, dovete aspettarvi agli ostacoli: sappiate temporeggiare, sopportar con pazienza, e non opponete vana resistenza ad una forza superiore.
«Non esultate per la morte del vostro nemico: fra poco gli sarete vicino.
«Non isperate nulla di buono dagl’insensati e dagli sciocchi: se l’acqua potesse fermare il suo corso, se gli uccelli potessero innalzarsi fino al cielo, il corvo diventar bianco, o la mirra dolce come il miele, gli sciocchi potrebbero intendere ed istruirsi.
«Se volete esser saggio, imparate a trattenere la lingua, le mani e gli occhi.
«Lasciatevi percuotere dal bastone del saggio, e non accarezzare dall’ignorante.
«Siate modesto nella vostra gioventù, ond’essere amato nella vecchiaia.
«Rispettate l’autorità, anche quando sia inferiore alla vostra. Non opponetevi ad un magistrato nell’esercizio delle sue funzioni, nè ad un fiume nel suo straripamento.
«Quattro cose rovinano un regno ed un esercito: l’avarizia d’un visir, la sua cattiva condotta, la perfidia delle sue intenzioni, la sua ingiustizia.
«Quattro cose non ponno restare a lungo celate: la scienza, la sciocchezza, la ricchezza e la povertà. —
«Dopo aver dato questi savi precetti a Nadan, credè che li avrebbe messi in pratica, servendosene in tutte le sue azioni; in questa persuasione lo pose alla testa degli affari, gli affidò l’amministrazione dei suoi beni, ed accordogli un potere assoluto su tutta la casa.
«Contento di fruire del riposo che desiderava da tanto tempo, Hicar viveva in pace nel suo ritiro, andando qualche volta alla corte onde presentare al monarca i suoi omaggi, e tornando sempre a casa con nuovo piacere. Ma non tardò ad accorgersi che suo nipote non corrispondeva alla propria aspettativa, tenendo invece una condotta affatto opposta a quella che avrebbe dovuto.
«Nadan, vedendosi assoluto padrone nella casa dello zio, e solo possessore della fiducia del sovrano, si lasciò in breve abbagliare da tanta grandezza e prosperità: divenuto altiero ed insolente, dimenticò dapprima ciò che doveva al suo benefattore, ostentava di sprezzarlo, lo trattava da vecchio ignorante ed imbecille, batteva gli schiavi, vendeva masserizie e cavalli, e disponeva a suo talento di tutte le cose affidategli.
«Hicar, informato dell’ingratitudine del nipote, e dell’abuso che faceva dell’autorità ricevuta, non volle che vivesse più a lungo in casa sua, e credè nel medesimo tempo dover informare il re dei motivi che lo obbligavano a quella separazione. Questi approvò la sua condotta, e vietò al giovane visir di turbare lo zio, per qualsiasi pretesto, nel godimento di quanto possedeva.
«Nadan, non potendo più disporre degli averi dello zio, cessò dal visitarlo e dimostrargli alcun segno del rispetto e dell’attaccamento che gli doveva. Hicar, sorpreso da tanto eccesso d’ingratitudine, si pentì della pena avuta per educarlo, e cercò di formare un altro allievo, che meglio corrispondesse ai suoi benefizi. Nadan aveva un fratello molto più giovane di lui, chiamato Nudan; Hicar lo fece venire, l’educò come il fratello maggiore, e lo pose quindi alla testa della propria casa.»
NOTTE CDXLIV
— Il livore turbò in breve l’animo di Nadan; non si accontentava più di burlarsi dello zio, ma lagnavasi con tutti ch’egli non avesselo mandato fuor di casa se non per mettere al suo posto il fratello minore, e giurò di vendicarsene.
«Infatti, vedendo che il proprio credito andava sempre più aumentando, e che il re non si ricordava più del suo antico visir, cercò il mezzo di accusarlo e farlo perire.
«In tal pensiero, scrisse, a nome d’Hicar, una lettera al re di Persia, nella quale lo invitava, appena ricevuto il foglio, a venire nella pianura di Nesrin, promettendo di consegnargli il regno d’Assiria senza battaglia o resistenza. Scrisse una lettera simile a Faraone re d’Egitto, ebbe cura d’imitare in essa il carattere d’Hicar, le suggellò col sigillo dello zio e le gettò nell’interno del palazzo.
«Nadan scrisse poscia allo zio, a nome del re Sencharib, un foglio, nel quale quel principe, dopo aver ricordati gli antichi servigi d’Hicar, diceva di aspettarne da lui uno nuovo, che doveva porre il colmo a tutti gli altri: di riunire, cioè, un esercito composto delle truppe che gl’indicava, d’aver cura che fosse ben equipaggiato e provveduto del necessario, e condurlo nel tal giorno nella pianura di Nesrin. Sencharib, accompagnato dagli ambasciatori del re d’Egitto, che si trovavano alla sua corte, doveva recarsi nello stesso giorno in quella pianura, alla testa d’un altro esercito. L’armata d’Hicar doveva porsi in movimento, come per attaccare le truppe del re, appena fossero comparse. La riunione dei due eserciti, quell’apparato di guerra, quelle evoluzioni militari avevano per iscopo di mostrare agli ambasciatori egiziani le forze dell’impero, ed impedire al loro padrone, al quale non mancherebbero di render conto di quanto avessero veduto, di attaccare le province d’Assiria. Tal era il contenuto di quella lettera, che Nadan fece ricapitare ad Hicar col mezzo d’uno degli ufficiali del re.
«Frattanto le lettere scritte in nome d’Hicar ai re di Persia e d’Egitto, essendo state trovate nel palazzo; furono portate a Sencharib, che le partecipò tosto a Nadan. Questi, fingendo la maggior sorpresa, non ristette dal fargli osservare esser quello il carattere ed il suggello di suo zio. — O Hicar!» sclamò il re; «che ti ho mai fatto? Perchè mi tradisci? Non ho io ricompensati abbastanza i tuoi servigi, e che cosa puoi sperare dai re di Persia e d’Egitto? Se io ho cessato di giovarmi de’ tuoi consigli, fu per lasciarti in riposo; e non scegliesti tu stesso il tuo successore? —
«Nadan, vedendo l’impressione da quelle lettere prodotta sullo spirito del re, lo consigliò a non affliggersi, ma di recarsi subito alla pianura di Nesrin, per vedere, coi propri occhi, ciò che sarebbe accaduto. Approvato il suggerimento dal monarca, Nadan si recò da lui nel giorno indicato nella lettera scritta ad Hicar, in nome di Sencharib.
«Questi partì alla testa di numerose schiere, accompagnato dai visiri e dagli altri grandi del regno, e si recò nella pianura di Nesrin. Ivi trovò l’armata d’Hicar disposta in ordine di battaglia. Quando il vecchio visir vide le soldatesche reali, fece avanzare le sue, e dispose il tutto per l’attacco, secondo l’ordine contenuto nella lettera ricevuta. Il re, vedendo quel movimento, non dubitò che Hicar non fosse risoluto di attaccarlo a forza aperta. Spinto dall’ira, voleva subito cominciare la zuffa e vendicarsi di quella perfidia; ma Nadan ebbe cura di far suonare la ritirata, lo consigliò di tornare al suo palazzo, e gli promise di condurgli all’indomani il vecchio carico di catene, e respingere i nemici.
«Infatti, Nadan si recò all’indomani dallo zio, dissegli che il re era assai soddisfatto della maniera colla quale aveva eseguiti i suoi ordini, che non dubitava l’aspetto dei due eserciti, il buon ordine che vi regnava, la precisione colla quale vennero eseguiti i movimenti, non avessero fatta viva impressione sugli ambasciatori egizi; ma che, per incuter loro maggior timore, e dare una più grande idea della potenza assoluta del re sui principali suoi sudditi, Sencharib desiderava che si lasciasse condurre al palazzo carico di catene.
«Hicar, alieno dal dubitare di quanto si tramava contro di lui, acconsentì senza esitare ai reali desiderii. Si lasciò legare piedi e mani, e così fu condotto al palazzo. Quando il re lo ebbe veduto, rimproverogli la sua ingratitudine e perfidia, e gli mostrò le due lettere scritte da lui ai re di Persia e d’Egitto.
«Quella vista fece tale impressione sul misero Hicar, che rimase interdetto: tremò per tutte le membra, la ragione turbossi, la sua lingua ammutolì, tutta la sua sapienza lo abbandonò, e non potè proferire una sola parola per giustificarsi. Il re, vedendolo colla testa bassa e gli occhi fitti a terra, fu sempre più convinto del suo delitto. Fece venire il carnefice, e gli ordinò di andar a tagliare la testa all’antico visir fuor dalla città, e gettarla lontana dal cadavere.
«Hicar ebbe appena la forza di chiedere al re, per unica grazia, di venir decapitato alla porta della sua casa, e che il suo corpo fosse consegnato ai propri schiavi onde seppellirlo. Si acconsentì alla sua domanda, ed i soldati s’impadronirono tosto di lui.
«Frattanto Hicar, vedendo pronunciata la propria sentenza, senza essersi potuto difendere, cercò un ultimo mezzo di salvezza: mandò a dire alla moglie di far vestire magnificamente le più giovani schiave, di venirgli incontro per piangere la sua morte, e far nello stesso tempo apparecchiare una mensa coperta di vini e vivande d’ogni sorta. Shagfatni (era il nome della moglie d’Hicar) era saggia e prudente quanto il marito, e compreso il suo pensiero, ne eseguì fedelmente gli ordini.
«Il carnefice ed i soldati che lo accompagnavano, trovando, nel giungere, una tavola ben ammannita e vini in copia, cominciarono a bere ed a mangiare. Hicar, vedendoli riscaldati dal vino, fe’ accostare il carnefice che si chiamava Abu Shomaik, e gli parlò in questi termini: — Amico, quando il re Serchadum, padre di Sencharib, ingannato dagli artifizi de’ tuoi nemici, ordinò di farti morire, io ti accolsi e ti nascosi in un luogo a me sol noto, sperando che un giorno il re riconoscerebbe la tua innocenza, e si pentirebbe d’essersi privato d’un servo fedele. Tutti i giorni io cercava di trarlo d’inganno e svelargli la trama ordita contro di te. Vi riuscii: egli pianse la tua perdita, e desiderò ardentemente di renderti la vita. Io approfittai di quel memento, gli confessai la mia azione, e fu assai lieto di rivederti.
«Ricordati oggi ciò ch’io allora feci per te. Sono vittima della perfidia di mio nipote Nadan: il re non tarderà ad essere convinto dell’impostura, punirà il calunniatore, e si pentirà d’avermi condannato sì leggermente.
«Io ho un sotterraneo nella mia casa, conosciuto soltanto da me e da mia moglie; permetti che mi serva di asilo. Un mio schiavo, il quale ha meritata la morte, è rinchiuso qui in prigione; lo faremo tirar fuori, sarà vestito de’ miei abiti, e tu ordinerai ai soldati di ucciderlo in mia vece. Riscaldati come sono dal vino, non si accorgeranno dello strattagemma; così tu diventerai alla tua volta mio benefattore, ed otterrai un giorno dal re le maggiori ricompense. —
«Abu Shomaik era buono e sensibile, e fu lieto di poter contraccambiare il servigio fattogli da Hicar. Tutto venne preparato con tanta astuzia e segretezza, che lo strattagemma riuscì perfettamente, e si annunciò al re che i suoi ordini erano stati eseguiti.
«La sola Shagfatni conosceva il ricovero del marito, e prendeva cura di portargli tutto il necessario; ma il timore di essere scoperta, non le permetteva di scendere nel sotterraneo più d’una volta alla settimana. Abu Shomaik veniva anch’egli segretamente ad informarsi di tanto in tanto delle notizie del suo antico benefattore, e farlo consapevole di quanto avveniva in corte.
«La morte del saggio Hicar sparse la costernazione in tutte le province dell’impero; nessuno lo credeva colpevole del tradimento imputatogli, e ciascuno ne dimostrava apertamente il proprio dispiacere. — Saggio Hicar,» si diceva, «che avvenne delle tue virtù, dei tuoi talenti? Tu eri l’occhio del monarca, il protettore dei deboli, il vendicatore degli oppressi; mantenevi la tranquillità interna del regno, ne assicuravi la pace al di fuori. Amato dagli Assiri, eri temuto dai nemici. In chi si potrà trovare tanta saggezza, tanta prudenza, e chi potrà degnamente succederti?»
NOTTE CDXLV
— Lo stesso Sencharib non tardò a pentirsi della precipitazione con cui aveva fatto perire il visir. Mandò a cercare Nadan, gl’impose di radunare gli amici ed i parenti di suo zio, di vestire con essi il lutto, di piangere, affliggersi, coprirsi il capo di cenere, ed osservare tutte le cerimonie colle quali si suol dimostrare il pubblico duolo per la morte delle persone distinte, care allo stato ed alle loro famiglie.
«Nadan, in vece di eseguire gli ordini del re, riunì una brigata di giovani malvagi al par di lui, li condusse alla casa dello zio, imbandì loro un lauto banchetto ove regnò il disordine e la licenza: si maltrattarono i servi d’Hicar, s’insultarono le di lui schiave; sua moglie stessa non fu risparmiata. Il fracasso ed il tumulto si fecero udire perfino nel sotterraneo ov’egli stava nascosto. L’infelice, pieno d’indegnazione, volgeva a Dio le sue preghiere, supplicandolo di punire quell’eccesso d’impudenza e di barbarie.
«Frattanto i re vicini, udita la morte del saggio Hicar, rallegraronsi al vedere Sencharib privo del più fermo sostegno della sua potenza. I nemici dell’impero ne menaron vanto, e cercarono ogni pretesto per invadere l’Assiria.
«Il re d’Egitto, il quale aveva più d’una volta esperimentato che il saggio Hicar non la cedeva ai suoi preti e ministri, pretese allora di superare il monarca assiro in saggezza e potenza, e fece tosto partire per Ninive un messo incaricato di consegnare a Sencharib la lettera seguente:
««Salute ed onore al mio fratello ed amico il re Sencharib. La natura ha posto l’Egitto al disopra degli altri paesi, ed i suoi abitanti, studiando la natura, superarono tutte le nazioni.
««Una nuova meraviglia deve qui colpire gli sguardi dello straniero, ed annunciare da lungi tutta la potenza del genio. Io vorrei fabbricare un palazzo tra il cielo e la terra: se l’Assiria possiede un uomo abbastanza destro per esserne l’architetto, io vi prego di mandarmelo. Avrò eziandio molte questioni da proporgli. Se riesce a scioglierle e ad eseguire il mio pensiero, io vi pagherò una somma eguale alle rendite dell’Assiria per tre anni.»
«Sencharib comunicò dapprima la lettera ai grandi dell’impero. Essi furono sorpresi, e non seppero qual risposta dare. Ad uno poscia tutti i sapienti, i savi, i filosofi, i magi, gli astrologhi, e chiese loro se qualcuno d’essi volesse andare dal re d’Egitto a soddisfare alla sua domanda. Tutti risposero che il solo Hicar poteva altre volte rispondere a quegli enimmi, e che aveva partecipati i suoi segreti e le sue cognizioni soltanto al nipote Nadan. Il re, voltosi a costui, gli chiese il suo parere sul contenuto dello scritto. — Principe,» rispose questi, «il disegno del re d’Egitto è ridicolo ed impossibile; io veggo che le sue questioni non saranno meno frivole. Simili assurdità non meritano alcuna risposta; bisogna accontentarsi di sprezzarle. —
«Sencharih fu estremamente addolorato, vedendo l’imbarazzo e l’incapacità di tutti quelli che lo circondavano; si lacerò le vesti, scese dal trono, sedè sulla cenere, e si mise a piangere la morte del suo antico visir. — Ove sei,» sclamò, «o saggio Hicar? Ove sei, o il più saggio e sapiente degli uomini, tu che possedevi i segreti tutti della natura, e potevi sciogliere le più difficili questioni? Sciagurato me, che lo condannai sull’asserzione d’un fanciullo. Perchè non esaminai con maggior attenzione quest’affare? Perchè non ho io differito a pronunciare la tua sentenza? Io ti piangerò per tutta la vita, e non potrò esser più felice un sol momento. Se potessi richiamarti al mondo, se alcuno potesse mostrarti a’ miei occhi, la metà delle mie ricchezze ed il regno, mi sembrerebbero una debole ricompensa di sì grande servigio! —
«Abu Shomaik, vedendo l’afflizione del re, si accostò, si gettò a’ suoi piedi, e gli disse: — Principe, quel suddito che disubbidisce al suo re, dev’essere punito di morte: io ho disubbidito, comandate che venga decapitato.» Sencharib, sorpreso, gli chiese in che cosa avesse disobbedito. — Voi mi ordinaste,» riprese questi, «di far morire il saggio Hicar; persuaso ch’era innocente, e che vi sareste in breve pentito di averlo perduto, io l’ho nascosto in un luogo segreto, facendo morire in sua vece uno de’ suoi schiavi. Hicar vive ancora, e se volete, ve lo conduco dinanzi. Ora, o re, ordinate la mia morte, o fate grazia al vostro schiavo! —
«Il re non potè dapprima prestar fede a tali parole; ma Abu Shomaik avendogli più volte giurato che Hicar viveva ancora, si alzò pieno di gioia, ordinò che lo si facesse tosto venire, e promise di colmare di beni e d’onori chi lo aveva salvato.
«Shomaik corse tosto al palazzo d’Hicar, e scese nel sotterraneo ov’era nascosto, lo trovò occupato alla preghiera e nella meditazione. Gli narrò l’accaduto, e lo condùsse dinanzi al re.
«Sencharib fu commosso dello stato nel quale vide il visir; aveva il viso pallido e sfigurato, il corpo scarno; i capelli e le unghie erano di straordinaria lunghezza. Il re, alle scorgerlo, non potè trattenere la propria gioia: gli corse incontro, l’abbracciò piangendo, gli dimostrò il piacere che provava nel rivederlo, e cercò di consolarlo, e scusarsi del proprio operato.
«— La mia disgrazia,» rispose Hicar, «fu opra della perfidia e dell’ingratitudine. Io ebbi cura d’un palmizio, mi sono appoggiato a lui, ed egli mi rovinò addosso. Ma giacchè posso ancora servirvi, obbliate i mali da me sofferti, e non abbiate alcuna inquietudine per la salute e la gloria dell’impero. — Ringrazio Iddio,» ripigliò il re, «che ha veduto la vostra innocenza, e conservati i vostri giorni. Ma lo stato in cui vi trovate mi obbliga a differire alquanto a ricorrere ai vostri buoni consigli. Ritornato a casa, occupatevi del ristabilimento della vostra salute, abbandonatevi al riposo ed alla gioia, e fra alcuni giorni, venite da me. —
«Hicar tu ricondotto in trionfo al suo palazzo. La di lui moglie dimostrò con isplendide feste il piacere che aveva nel veder riconosciuta la di lui innocenza I suoi amici vennero a complimentarlo, e stette allegro con essi per vari giorni. Nadan, al contrario, dopo essere stato testimonio dell’accoglienza dal re fatta allo zio, si era ritirato in casa sua, pieno di turbamento e d’inquietudine, e non sapendo a qual partito appigliarsi.
«Scorsi alcuni giorni, Hicar andò a visitare il re con tutta la pompa dell’antica dignità, preceduto e seguito da numerosa folla di schiavi; Sencharib se lo fece sedere accanto, e fattagli leggere la lettera di Faraone, gli disse poscia che gli Egizi insultavano già le province assire, e che gran quantità d’abitanti erano passati in Egitto per non pagare il tributo che il vinto doveva mandare al vincitore. —
«Hicar, leggendo la lettera, aveva immaginato il modo di rispondervi. — Non abbiate alcuna inquietudine,» disse a Sencharib; «andrò in Egitto, e risponderò alle questioni di Faraone. Io vi porterò poscia il premio del vincitore, e farò tornare tutti coloro che il timore di nuove imposte ha fatti passare in Egitto. Così voi trionferete, ed il vostro nemico andrà coperto di vergogna e confusione. Accordatemi soltanto quaranta giorni, alfine di preparare il necessario per soddisfare alla domanda di Faraone. —
«Le parole del saggio vecchio empirono di gioia il re, il quale gli attestò la propria soddisfazione e riconoscenza nei termini più lusinghieri, salutollo salvatore dell’Assiria, e gli assicurò magnifiche ricompense.
«Hicar, di ritorno al suo palazzo, occupossi del mezzo immaginato per isventare la sfida del re d’Egitto, e far ricadere su lui il biasimo per la mancanza d’esenzione. Fece venire alcuni cacciatori, ed ordinò loro di portargli due aquilotti; fe’ fare funi di seta lunghe duemila cubiti e due canestri: si attaccarono i canestri agli artigli degli aquilotti, avvezzandoli a volare portando i canestri; si facevano poscia scendere per mezzo delle funi. Erano nutriti di carne di montone, e non si dava loro da mangiare se non quando avevano alzato più volte i canestri. Allorchè quegli uccelli furono addestrati a tale esercizio, diventando forti e vigorosi pel copioso nutrimento, si cominciò a poco a poco a caricare i canestri onde renderli più pesanti. Poscia, vi si fecero salire alcuni ragazzi, allevati cogli aquilotti, ed incaricati soltanto di averne cura e porger loro il cibo. Si fecero dapprima sollevare ad un’altezza mediocre, quindi salire ancor più, e finalmente tant’alto fin che permettevalo la lunghezza delle funi. Quando trovaronsi così in aria, gridavano con tutta la forza: — Portateci le pietre, la sabbia, la calce, affinchè fabbrichiamo il palazzo del re Faraone; il disegno è già fatto; noi siamo pronti ad eseguirlo, ma non possiamo far nulla senza i materiali. — «Hicar, vedendo tutto disposto per l’esecuzione del suo strattagemma, volle dare al re il piacere di quello spettacolo, ed avvezzare nello stesso tempo i fanciulli e gli uccelli alla vista di numerosa assemblea. Sencharib, seguito da tutta la corte, recossi in una vasta pianura; presero posto in un grande recinto, e quando ciascuno fu seduto, il visir fece avanzare i fanciulli e quelli che portavano gli aquilotti in mezzo al recinto. Si attaccarono i canestri agli uccelli; vi si fecero salire i fanciulli; le aquile presero il volo, o giunti nel più alto dell’aere, si udirono i fanciulli gridare di portar loro i materiali. Il re, meravigliato di quell’invenzione, fece rivestire Hicar d’un abito d’onore d’immenso pregio, e gli permise di partire per l’Egitto.
«Il vecchio si pose in cammino il dì dopo, accompagnato da numerosa scorta, e conducendo seco le aquile ed i fanciulli. Faraone, informato che un inviato di Sencharib si recava alla sua corte, incaricò vari ufficiali di riceverlo. Il vecchio visir, al suo arrivo, fu condotto alla presenza di Faraone, e gli volse queste parole:
«— Il re Sencharib, mio signore, saluta il re Faraone e gli manda un suo schiavo per rispondere alle di lui quistioni, e fabbricare un palazzo fra il cielo e la terra. Se io adempirò a tale condizione, il mio padrone riceverà tre volte la rendita annua dell’Egitto, e se non potrò adempirvi, il mio sovrano manderà al re Faraone l’ammontare delle rendite dell’Assiria per tre anni.»
NOTTE CDXLVI
— Faraone, sorpreso della concisione di quel discorso, e dell’aria semplice, ma franca, dell’inviato, gli domandò qual ne fosse il nome ed il grado. — Il mio nome,» rispos’egli, «è Abicam. Quanto al mio grado, io sono una semplice formica fra le formiche del re d’Assiria. — Come!» ripigliò Faraone; «il tuo signore non poteva mandarmi qualcuno di grado più elevato, in vece d’inviarmi una semplice formica per discorrer meco? — Spesso,» riprese il falso Abicam, «un uomo del volgo si fa ammirare dai grandi, e Dio fa trionfare il debole sul forte. Io spero, col di lui aiuto, accontentare il re d’Egitto, e sciogliere le sue questioni. —
«Faraone congedò l’inviato d’Assiria, e dettogli che manderebbe a cercarlo fra tre giorni, ordinò ad uno dei primari ufficiali di condurlo nel palazzo statogli preparato, e dargli il bisognevole per lui ed il suo seguito.
«Il terzo giorno, Faraone si vestì d’un abito di porpora d’un rosso abbagliante, e sedè sul trono, circondato dai grandi del regno, che dimostravangli il maggior rispetto. Mandò a cercare il messo, e dissegli quando fu alla di lui presenza: — Rispondi subito, Abicam, alla quistione che sono per farti. A chi somiglia io, ed a chi somigliano i grandi della mia corte che mi circondano? — Principe,» rispose immantinente Abicam, «voi somigliate al dio Belo; ed i grandi che vi circondano somigliano ai di lui ministri.» Faraone, intesa quella risposta, congedò l’inviato, e gli disse di tornare all’indomani.
«Si vestì quel giorno d’un abito di color rosso, e fe’ indossare abiti bianchi ai grandi del regno. Chiamò quindi l’inviato, e gli chiese: — A chi somiglia io, e a chi assomiglia nei grandi del mio regno? — Voi somigliate al sole,» rispose Abicam senza esitare, «ed i grandi del vostro regno ai raggi di quell’astro.» Il re lo congedò come il dì prima.
«All’indomani si vestì di bianco, e comandò ai cortigiani di vestirsi del medesimo colore. Chiamò l’inviato, e gli chiese: — A chi somiglio io, ed a chi assomigliano i grandi del mio regno? — Voi somigliate,» rispose Abicam, «alla luna, ed i grandi del vostro regno alle stelle.» Il re lo congedò come al solito. -
«Il giorno seguente ordinò ai cortigiani d’indossare abiti di diversi colori, e si vestì ancora d’un abito rosso. Fece venire l’inviato, e gli domandò: — A chi somiglio io, ed a chi somigliano i grandi del mio regno? — Voi somigliate,» rispose Abicam, «al mese di Nisan (1), ed i vostri cortigiani ai fiori che fa sbucciare. —
«Faraone, assai contento delle diverse risposte dell’inviato d’Assiria, stupì di questa, e gli disse: — Tu m’hai la prima volta paragonato al dio Belo, 1a seconda al sole, la terza alla luna e la quarta al mese di Nisan; dimmi ora a chi somigliano il re Sencharib ed i grandi del suo impero. — A Dio non piaccia ch’io parli del mio re,» rispose Hicar, «mentre il re d’Egitto sta seduto sul suo trono; se il re si degna alzarsi un momento, io risponderò alla sua quistione. —
«Faraone fu sorpreso dell’arditezza di quelle parole, ma non credè doversene offendere; alzossi, si tenne in piedi dinanzi al messo, e soggiunse: — Dimmi ora a chi somigliano il re d’Assiria ed i grandi del suo regno? — Il mio signore,» riprese Abicam, «somiglia al Dio del cielo e della terra, ed i grandi che lo circondano, ai lampi ed ai tuoni. Egli comanda, e ratto il lampo brilla, rimbomba il tuono, ed i venti soffiano da tutte le parti; ei dice una parola, ed il sole è privato della sua luce, la luna e le stelle si oscurano. Manda la tempesta, fa cadere la pioggia, distrugge l’onore di Nisan, e ne sperde i fiori. —
«Faraone, ancor più sorpreso di tale risposta che delle precedenti, disse al falso Abicam con accento irato: — Tu devi farmi conoscere la verità; non sembri un uomo volgare. Chi sei tu?» Il visir non credette doversi celare più a lungo. — Io sono Hicar,» rispose, «ministro del re Sencharib, il confidente dei suoi pensieri, il depositario de’ suoi segreti, l’organo delle sue volontà.»
«— Ora ti credo,» riprese Faraone, «e riconosco in te quell’Hicar, sì celebre per la sua saggezza; ma mi avevano annunciata la sua morte.
«— È vero che il re Sencharib, ingannato dagli artifizi dei malvagi, aveva profferita la mia condanna, ma Dio salvò i miei giorni. —
«Faraone congedò Hicar, e lo avvertì che desiderava udire all’indomani qualche cosa ch’egli non avesse mai inteso, come neppure i grandi del regno, nè alcuno de’ sudditi suoi.
«Hicar, ritiratosi nel palazzo che abitava, scrisse la seguente lettera:
««Sencharib, re d’Assiria, a Faraone, re d’Egitto, salute. Voi sapete, fratel mio, che il germano, ha bisogno del germano; i re hanno, pure talvolta bisogno l’un dell’altro. Io spero che vorrete prestarmi novecento talenti d’oro, di cui ho bisogno pel soldo d’uno de’ miei eserciti.»»
«Hicar presentò all’indomani il foglio al re d’Egitto. — È vero,» disse questi, dopo aver letto, «che non mi fu mai fatta una simile domanda. — Non è men vero,» riprese Hicar, «che il re, mio signore, avrà in breve il diritto di chiedervi tal somma.» Faraone, pieno di ammirazione, sclamò: — Uomini pari tuoi, o Hicar, sono degni di essere ministri dei re! Benedetto sia Iddio che t’ha dato la prudenza, la scienza e la saggezza! Ma v’ha un’altra condizione da adempiere, quella di fabbricare un palazzo fra il cielo e la terra. — Lo so,» rispose Hicar, «e son pronto a fare ciò che attendete da me. Io ho qui abili operai che sono disposti a fabbricare il vostro palazzo; spero però che mi farete preparare le pietre, la calce, la sabbia, e che mi darete manovali per portar i materiali agli operai.» Faraone riconobbe la giustezza della domanda, assicurò che tutto era pronto, e disse che la prova farebbesi all’indomani. Diede adunque gli ordini necessari, e fissò un luogo spazioso e comodo al di fuori della città.
«Il re egizio recossi all’indomani al luogo stabilito, accompagnato da tutta la corte e da numerosa soldatesca; tutto il popolo vi si era già radunato fin dallo spuntar del giorno, e ciascuno era impaziente di vedere ciò che avrebbe fatto Hicar. Ritirato in una specie di tenda eretta nel luogo al disopra del quale doveva corrispondere il proteso palazzo aereo, il visir assiro aveva segretamente disposto ogni cosa per l’esecuzione del suo strattagemma.
«D’improvviso la tenda si apre, le aquile prendono il volo, ed i fanciulli sono alzati in aria. Essi si fermano a considerevole altezza, e cominciano a gridare: — Portateci le pietre, la calce, la sabbia, per poter fabbricare il palazzo di Faraone; noi non possiamo far nulla senza i materiali, e li aspettiamo. —
«Tutti gli spettatori avevano fissi gli occhi su quell’apparecchio, e non potevano frenare la loro sorpresa. I fanciulli ripeterono più volte la medesima cosa. I servi d’Hicar percuotevano frattanto i manovali, trattandoli da stupidi e da pigri, e gridavano a Faraone ed al suo seguito: — Fate dunque portare ai maestri le cose di cui hanno bisogno, e non lasciateli oziosi.» Il re non potè a meno di ridere di quella scena; confessò di non poter far innalzare i materiali, e si riconobbe vinto. Hicar, approfittando della sua sorpresa, gli disse che se il re Sencharib fosse stato presente, avrebbe fabbricato in un sol giorno due palazzi simili. Faraone, non ponendo attenzione ai detti d’Hicar, gli ordinò di andar a riposare e recarsi da lui all’indomani.
«Venuto Hicar di buon mattino al palazzo, il re gli disse: — Sencharib, tuo padrone, ha un superbo cavallo: quando nitrisce, i nostri puledri lo intendono, e tosto s’impennano.» Il visir, senza rispondere, uscì, facendo segno che sarebbe tornato in breve. Giunto a casa, prese un gatto, lo legò, e flagellollo vigorosamente. Gli Egizi, udendo le grida del gatto, spaventaronsi e corsero a dirlo al re (2). Faraone mandò in cerca d’Hicar, e gli chiese perchè percuotesse in quel modo il povero animale. — Questo gatto,» rispose Hicar, «mi fece un brutto giuoco, che merita il castigo che gl’inflissi: il re Sencharib mi aveva regalato un bel gallo, il quale aveva una voce forte e gradevole; conosceva tutte le ore della notte, e le segnava assai bene col suo canto; questo maledetto gatto andò stanotte a Ninive, ed ha strangolato il mio gallo. — È impossibile,» disse Faraone, «e se non fosse nota la vostra saggezza, si potrebbe credere che la grave età v’abbia fatto perdere il cervello: fra Memfi e Ninive v’hanno trecento sessantotto parasanghe3; come mai quel gatto può aver fatto due volte tale strada in una notte? — Principe,» rispose Hicar, «se v’ha tanta distanza fra Memfi e Ninive, come poteste voi udire il nitrito del cavallo del re mio padrone? —
«Faraone sorrise a quella risposta, e disse: — V’ha qui una macina da molino che si è infranta; io vorrei che tu la potessi aggiustare.» Hicar, vedendosi vicino una pietra di specie più dura, la mostrò al re, dicendogli: — Principe, io sono straniero, e non ho con me gli arnesi necessari a fare ciò che voi dite; ma comandate ai vostri operai di farmi con questa pietra lesine, punteruoli e cesoie, affinchè io possa ricucire la macina spezzata. —
«Faraone non potè trattenersi dal ridere della presenza di spirito d’Hicar, e volle fargli un’ultima quistione, più grave in apparenza. — Senza dubbio,» gli disse, «un filosofo par tuo possiede segreti per cambiare la natura delle cose, e dar arrendevolezza a materie che ne sembrano meno suscettibili. Io vorrei avere due corde fatte di sabbia fluviale. —
«Hicar domandò al re di fargli portare due corde per modello, e quando le ebbero recate, uscì dalla sala, fece nel muro, esposto a mezzogiorno, due fori della grossezza delle corde, e prese un pugno di sabbia. Il sole essendo giunto ad una certa altezza, i suoi raggi s’introdussero nei buchi; Hicar gettò un po’ di sabbia dinanzi ai raggi che formavano le immagini allungate simili a corde, e disse al re di far prendere le funi dagli schiavi. Faraone trovò ingegnosa l’astuzia, e sclamò: «— La tua saggezza, o Hicar; supera tuttociò che ne pubblica la fama; tu sei la forza e la gloria dell’Assiria. Felici i sovrani che hanno tali ministri! Tu adempisti alle condizioni della sfida da me proposta al re assiro; va, ora ti farò consegnare le rendite triennali dell’Egitto: vi aggiungerò le spese del tuo viaggio, regali pel tuo signore, ed i novecento talenti che mi chiedesti per la paga d’un esercito. Attestagli la mia ammirazione per la sua potenza, e il mio desiderio di vivere in buon’armonia con lui. Tu partirai domani. Che l’angelo di salute ti accompagni, e ti faccia arrivare sano e salvo a Ninive.»
NOTTE CDXLVII
— Faraone fece poscia vestire Hicar d’un magnifico abito, e distribuirne altri a tutte le persone del suo seguito. Il visir gli si prosternò dinanzi, e lo pregò di ordinare che tutti gli Assiri venuti da poco tempo a stabilirsi in Egitto, fossero obbligati a ritornare con lui. Faraone acconsentì, e fece tosto pubblicare un apposito decreto. Hicar partì colmo di onori, e portando ricchezze e tesori immensi. Sencharib, informato del suo ritorno e de’ suoi successi, andò ad incontrarlo ad un miglio da Ninive, lo abbracciò e lo accolse coi più grandi onori, chiamandolo pubblicamente proprio padre, il vendicatore dell’Assiria, la gloria del suo regno; e gli disse di scegliere la ricompensa che desiderava, e di prendere, se voleva, la metà del regno e di tutte le sue dovizie. Hicar lo ringraziò, e rispose:
«— Gli onori ed i beni che ottenni finora dalla vostra bontà mi bastano; che la vostra beneficenza si rivolga piuttosto su chi ha protetta la mia innocenza, che espose i suoi giorni per salvare i miei, e mi diè una seconda volta la vita. —
«Il re gli promise di aumentare ancora le ricompense già accordate ad Abu Shomaik, e gli attestò in seguito la più viva impazienza di udire il racconto di quanto era accaduto in Egitto. Hicar soddisfece la sua curiosità, e gli consegnò i regali ed i tributi di Faraone.
«Dopo alcuni giorni, Sencharib mandò in cerca del visir, e disse che voleva vendicarsi del tradimento e della perfidia di Nadan. Hicar scongiurò il re di risparmiargli quell’affronto, e lo pregò di dare in sua mano il nipote, acciò lo punisse egli stesso. — Basta,» aggiunse, «di separarlo dagli uomini; è una tigre che non potrà nuocere quando sarà rinchiusa. —
«Sencharib mandò subito ad arrestare Nadan; fu caricato di catene e condotto dallo zio, che lo fece calare in una prigione e custodire strettamente. Gli si portava tutti i giorni pane ed acqua, ed Hicar accontentavasi, per unico castigo, di rinfacciargli la sua ingratitudine e crudeltà.
«— Io ti colmai di beneficii,» gli diceva, «presi cura della tua infanzia, ti allevai, t’affidati l’amministraziene de’ miei beni; ti riguardava come l’erede delle mie ricchezze, e per lasciarti un’ eredità ancor più preziosa, io voleva trasmetterti il frutto della mia esperienza, le mie cognizioni, la mia saggezza: dopo quanto feci per te, tu cercasti di perdermi e darmi morte; ma Dio, il quale protegge l’innocenza, che consola gl’infelici ed umilia gli orgogliosi, è venuto in mio soccorso e mi ha fatto trionfare de’ tuoi artifizi. Tu fosti per me come lo scorpione, il cui dardo trafigge ciò che v’ha di più duro; come l’uccello di cui si serve l’uccellatore per tirarne altri nel laccio.
«Ricevuto ed allevato da me, tu ti conducesti con maggior perfidia del cane, che il freddo fa entrare in una casa, e che, dopo essersi riscaldato, latra contro quelli di casa che sono costretti e batterlo e scacciarlo, per paura che non li morde; ti copristi d’infamia più del maiale che, dopo essere stato lavato e ripulito, scorge un pantano, e corre ad avvoltolarvisi.
«Innalzato da me al più alto grado, tu impiegasti per la mia rovina il credito ch’io ti aveva procurano. Un vecchio albero diceva un giorno ai boscaiuoli che lo tagliavano: — Il legno de’ miei rami fa il manico delle vostre scuri, e senza di me non potreste abbattermi.
«Io sperava che saresti per me un baluardo contro i miei nemici, e tu scavavi la mia tomba.
«Il tuo perverso carattere ha resi inutili tutti i miei avvertimenti. Si diceva un giorno ad un gatto: — Non rubar più: noi ti faremo un collare d’oro, e ti alimenteremo di zucchero e di mandorle. — Io non posso dimenticare, rispose il gatto, il mestiere de’ miei genitori.» Un giorno fu detto al lupo: — Allontanati da questo gregge; la polvere che solleva ti farà male agli occhi. — La carne degli agnelli, rispos’egli, me li guarirà in breve.» Si voleva insegnar a leggere ad un lupo; ma invece di ripetere solamente: A, B, C, diceva sempre: Agnello, bove, capretto.
«— Perdonatemi,» diceva talvolta Nadan allo zio, «dimenticate il mio delitto; mostratevi buono e generoso; permettete che vi serva, e sia l’ultimo de’ vostri schiavi; io adempirò volentieri alle più basse funzioni, e mi sottometterò alle maggiori umiliazioni per espiare il mio misfatto.
«— Un albero,» rispose Hicar, «sorgeva sulla riva delle acque e non produceva frutti; il suo padrone voleva tagliarlo. — Trasportatemi altrove, gli diss’egli, e se non farò frutto voi mi taglierete. — Tu sei sulla riva delle acque, rispose il padrone, e non porti frutto; come ne porterai tu, se sarai trasportato altrove?» Tu sei ancor giovane, o Nadan; ma la vecchiaia dell’aquila val meglio della giovinezza del corvo. Tu parli di perdono; ma io non ho domandato di averti in mia mano se non per sottratti alla vendetta delle leggi ed ai più crudeli supplizi; se volessi renderti la libertà, Sencharib, accusandomi di debolezza, ti consegnerebbe alla giustizia. Io non voglio usare de’ miei diritti contro di te: Dio giudicherà fra noi e ti ricompenserà un giorno secondo le tue azioni. —
«Nadan, amareggiato da quei rimproveri, ed in balia ai rimorsi, non fruì lungo tempo della vita che doveva alla bontà dello zio; fu soffocato dalla propria rabbia, e la sua miserabil fine confermò la verità di questa sentenza: «Chi scava la fossa al fratello, vi cade egli stesso, e chi tende un laccio agli altri; vi è preso pel primo.»
La sultana avendo finita la storia del saggio Hicar, e temendo di non aver bastantemente divertito il re delle Indie, approfittò del resto della notte, e cominciò tosto la seguente storia, che doveva conservarlo la vita per molti giorni.