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mi novecento talenti d’oro, di cui ho bisogno pel soldo d’uno de’ miei eserciti.»»

«Hicar presentò all’indomani il foglio al re d’Egitto. — È vero,» disse questi, dopo aver letto, «che non mi fu mai fatta una simile domanda. — Non è men vero,» riprese Hicar, «che il re, mio signore, avrà in breve il diritto di chiedervi tal somma.» Faraone, pieno di ammirazione, sclamò: — Uomini pari tuoi, o Hicar, sono degni di essere ministri dei re! Benedetto sia Iddio che t’ha dato la prudenza, la scienza e la saggezza! Ma v’ha un’altra condizione da adempiere, quella di fabbricare un palazzo fra il cielo e la terra. — Lo so,» rispose Hicar, «e son pronto a fare ciò che attendete da me. Io ho qui abili operai che sono disposti a fabbricare il vostro palazzo; spero però che mi farete preparare le pietre, la calce, la sabbia, e che mi darete manovali per portar i materiali agli operai.» Faraone riconobbe la giustezza della domanda, assicurò che tutto era pronto, e disse che la prova farebbesi all’indomani. Diede adunque gli ordini necessari, e fissò un luogo spazioso e comodo al di fuori della città.

«Il re egizio recossi all’indomani al luogo stabilito, accompagnato da tutta la corte e da numerosa soldatesca; tutto il popolo vi si era già radunato fin dallo spuntar del giorno, e ciascuno era impaziente di vedere ciò che avrebbe fatto Hicar. Ritirato in una specie di tenda eretta nel luogo al disopra del quale doveva corrispondere il proteso palazzo aereo, il visir assiro aveva segretamente disposto ogni cosa per l’esecuzione del suo strattagemma.

«D’improvviso la tenda si apre, le aquile prendono il volo, ed i fanciulli sono alzati in aria. Essi si fermano a considerevole altezza, e cominciano a gridare: — Portateci le pietre, la calce, la sabbia, per poter fabbricare il palazzo di Faraone; noi non possiamo far nulla senza i materiali, e li aspettiamo. —